ARTROPLASTICA (dal gr. ἄρϑρον "articolazione" e πλάσσω "formo")
Parola usata in chirurgia per indicare la ricostruzione operatoria di un'articolazione anchilosata (v. anchilosi) cioè la cosiddetta mobilizzazione articolare operatoria.
Ridonare il movimento a un'articolazione che lo ha più o meno interamente perso, in seguito a congiunzione e fusione definitiva dei suoi componenti ossei, è antica ambizione chirurgica che ha valso tentativi di ogni genere, ma che s'è compiutamente realizzata solo da quando, col progredire della tecnica, s'è appreso non solo a distruggere il callo osseo che tiene congiunti gli estremi articolari, ma a restituire a questi la loro forma primitiva e, soprattutto, ad evitare che il callo si riformi. A tutto ciò provvede l'artroplastica, operazione che ha origine in un tentativo compiuto all'inizio del sec. XIX da Rhea-Barton, chirurgo di Philadelphia, ma che ha raggiunto la dignità di intervento operatorio metodico solo dopo che il Murphy di Chicago, nei primi anni del secolo in corso, ne disciplinò la tecnica.
L'artroplastica consta essenzialmente di tre tempi:
1. Rompere l'anchilosi, o, in altri termini, disgiungere i componenti ossei dell'articolazione, fra loro saldati da un callo fibroso od osseo prodottosi in seguito a cause d'indole varia (traumi, malattie articolari). Aperta l'articolazione, con uno dei tanti procedimenti operatorî che l'anatomia chirurgica insegna, usando strumenti adatti (forbici, scalpello e martello) si demolisce progressivamente il tessuto fibroso, od osseo, che congiunge le superficie articolari.
2. Ricostruire l'articolazione. - L'anchilosi ha praticamente distrutta la individualità dei componenti l'articolazione, la quale è perciò ridotta ad un unico insieme osseo indifferenziato. Si tratta di ridare alle estremità articolari la loro normale figura e ciò si ottiene con un attento e preciso lavoro plastico che si esegue con scalpelli, sgorbie e lime.
3. Evitare che l'anchilosi si riproduca. - Le estremità articolari preparate nel modo anzidetto, se messe a contatto, hanno tendenza a ricongiungersi per effetto della cicatrice prima fibrosa e poi ossea che si produce fra le loro superficie. Ad evitare questa evenienza che renderebbe nullo l'intervento operatorio, si è pensato di interporre, fra le dette superficie, sostanze isolanti che non permettano la neoformazione cicatriziale. A questo fine si sono messi alla prova materiali inorganici (lamine metalliche) ed organici (lembi di tessuti viventi tolti allo stesso individuo, ad altri soggetti, o a soggetti di altra specie; o di tessuti conservati con speciali metodi). Le sostanze che in pratica hanno meglio corrisposto e che oggi ordinariamente si usano sono: lembi (non peduncolati) di tessuto adiposo od aponeurotico tolti all'individuo che è portatore dell'anchilosi, nell'atto stesso in cui si esegue l'artroplastica.
L'atto chirurgico provvede così alla ricostruzione anatomica, cioè morfologica dell'articolazione, mentre la sua rinascita funzionale è affidata all'azione dell'esercizio motorio al quale la giuntura viene sottoposta gradualmente, a cominciare da circa dodici giorni dopo l'intervento, quando la ferita cutanea è solidamente rimarginata e i tessuti si sono ripresi dal trauma operatorio. La neoartrosi, ancora rozza e imperfetta, sotto lo stimolo funzionale si perfeziona e completa. Il lembo connettivale interposto in parte scompare, in parte concorre alla ricostruzione delle superficie articolari della cavità sinoviale. Dai residui dell'antica capsula articolare, altra se ne riforma a dare alla neoartrosi una completa stabilità. All'azione dell'iperemia attiva (richiamo in loco di sangue, che si ottiene riscaldando fortemente la parte per mezzo di apparecchi detti termofori) che si provoca al fine di intensificare il ricambio umorale dei tessuti, s'aggiunge quella del massaggio e delle stimolazioni elettriche, a ripristinare l'energia contrattile e il tono dei muscoli motori dell'articolazione.
Queste cure debbono essere protratte per lungo tempo (da tre a sei mesi) perché lento e difficile è il processo di adattamento funzionale della nuova articolazione; in grazia ad esse, nonché alla perfezionata tecnica operatoria, si è riusciti a mobilizzare anchilosi che avevano sino allora resistito ad ogni tentativo.
Non tutte le anchilosi si prestano all'artroplastica: le più adatte sono quelle conseguenti a traumi e a malattie articolari acute; le meno, quelle dovute ad artriti croniche, specialmente se poliarticolari. L'operazione si considera quasi concordemente controindicata nelle anchilosi da tubercolosi. L'età più propizia per l'intervento è quella compresa fra i 20 e i 40 anni. Queste sono le indicazioni e controindicazioni generiche; ma per la riuscita di un intervento così delicato e complesso si richiede l'ottemperanza a molte altre condizioni di indole particolare (stato fisico, psichico, sociale dell'operando; abilità dell'operatore).
La percentuale dei successi è andata progressivamente migliorando col perfezionarsi della tecnica e con l'aumentare dell'esperienza dei chirurgi. Mentre sino a pochi anni fa il campo dell'artroplastica era quasi esclusivamente limitato alle articolazioni della mandibola e del gomito, ora si operano con successo anchilosi della spalla, del polso, dell'anca, del gomito, del piede.
Il rendimento funzionale delle neoarticolazioni può essere dei più soddisfacenti. Nei casi meglio riusciti l'articolazione acquista un ampio giuoco di movimento, è in grado di sopportare lavori gravosi, non arreca dolore. L'artroplastica riesce di grande utilità nei casi in cui l'anchilosi è causa di grave danno funzionale, come nelle anchilosi della mandibola, che vietano al malato l'apertura della bocca; in quella bilaterale dell'anca, che limita gravemente la deambulazione; in quelle in estensione del gomito, che rendono praticamente inutile l'arto superiore.
Bibl.: G. B. Murphy, Contribution to the surgery of bones, joints and tendons, in Journ. of the Amer. Med. Assoc., LVIII (1912); id., Arthroplasty, in Annals of Surgery, 1913; E. Payr, Zehn Jahre Arthroplastik, in Zentralbl. für Chirurgie, XIV (1920); V. Putti, The treatment of ankylosis (Internat. Congress of Medicine), Londra 1913; id., La mobilizzazione chirurgica delle anchilosi del ginocchio, in Chir. degli organi di movimento, I (1917); id., L'arthroplastie des articulations ankylosées, in Lyon Chirurgical, marzo-aprile 1922; id., Artroplastiche, negli Atti del Congresso della Soc. Internationale di Chirurgia, Londra 1923.