Artrosi
Il termine artrosi e il suo sinonimo osteoartrosi definiscono una malattia caratterizzata da processi degenerativi delle articolazioni, facente parte delle malattie reumatiche o reumatismi (v.): condizioni morbose che hanno in comune la caratteristica di determinare lesioni e disturbi a carico degli organi di movimento e dei tessuti di sostegno o connettivi. Mentre nell'Europa continentale si usano i termini artrosi od osteoartrosi, che colgono la natura sostanzialmente degenerativa della malattia, nella letteratura medica di lingua inglese si usa il sinonimo osteoarthritis (osteoartrite), che sottolinea i fenomeni infiammatori, responsabili in parte di alcuni disturbi. Nell'artrosi tutte le strutture che costituiscono l'articolazione subiscono alterazioni, che compaiono contemporaneamente o in successione, causando progressive deformazioni, limitazione dei movimenti, e dolore più o meno intenso e continuo. I processi patologici sono di natura sia degenerativa-regressiva sia produttiva-riparativa e possono complicarsi con fenomeni infiammatori locali, di limitata entità e di durata variabile.
L'artrosi è la più frequente malattia reumatica. Prevale nell'età senile e nei paesi industrializzati con elevata età media di vita e costituisce probabilmente, insieme con l'aterosclerosi, la malattia in assoluto più frequente. È infatti del tutto improbabile non trovare segni di artrosi all'esame radiografico dello scheletro in una persona ultrasessantenne. Peraltro, non sempre tali segni, pure evidenti, si accompagnano a disturbi di qualche rilievo. Nel calcolare la prevalenza dell'artrosi occorre perciò distinguere i casi nei quali, accanto alle tipiche lesioni radiografiche, si manifestano i disturbi propri della malattia, e quelli in cui, pur in presenza di dette lesioni, mancano invece del tutto i sintomi. I primi non superano il 25-30% di tutti i casi. Uno studio radiologico condotto su un campione di popolazione olandese (Bagge et al. 1992) ha messo in evidenza, nella fascia di età 75-79 anni, segni di artrosi nel 70-85% dei casi esaminati, a seconda delle varie articolazioni. In Italia, sulla base dei dati di un'indagine ISTAT condotta nel 1986 direttamente su campioni di popolazione, è possibile stimare in circa tre milioni e mezzo gli individui sofferenti per disturbi riferibili ad artrosi. Non è nota, né è probabile esista, un'unica causa dell'artrosi. Le lesioni proprie della malattia sembrano piuttosto la risultante di molti fattori che concorrono a determinarla e a farla progredire, agendo contemporaneamente o in successione, ciascuno con vario peso. Se l'eziologia è multifattoriale, i danni che si sviluppano sono invece gli stessi in tutti i casi.
La struttura articolare elettivamente colpita dall'artrosi è la cartilagine che riveste i capi ossei (cartilagine articolare). In maniera molto schematica si può ammettere l'esistenza di due diversi meccanismi: da un lato, l'intervento di fattori che determinano un carico eccessivo su una cartilagine intrinsecamente normale, e dall'altro quello di fattori che alterano direttamente la composizione e la funzionalità della cartilagine, cosicché questa risponde in modo anomalo a carichi normali. È anche possibile che i due meccanismi agiscano in combinazione tra loro.
Le principali conoscenze sull'eziopatogenesi dell'artrosi derivano dalle indagini epidemiologiche e da studi sperimentali. Sotto questo profilo, si è soliti classificare la malattia in due forme principali, una primaria o idiopatica e una secondaria. La forma primaria apparentemente non è in rapporto, per quanto riguarda la sua origine, con altre condizioni morbose, mentre quella secondaria è la conseguenza di patologie o di particolari situazioni anatomiche o funzionali articolari non fisiologiche, di natura congenita (malformazioni) o acquisita (per es. traumi). Complessivamente, sono fattori eziologici rilevanti per l'artrosi l'età, il sesso, l'ereditarietà, i disturbi endocrini e metabolici, le malattie articolari pregresse, l'infiammazione e le sollecitazioni meccaniche. Il ruolo dell'età è dimostrato dalla maggior prevalenza dell'artrosi nei soggetti anziani. Le modificazioni cui la cartilagine va incontro con l'invecchiamento sono peraltro in buona parte diverse da quelle proprie dell'artrosi, e talora addirittura di segno opposto. Per questo motivo, si ritiene che l'invecchiamento abbia importanza in quanto consente il protrarsi dell'azione di altri fattori, tra i quali l'usura cui la cartilagine è sistematicamente sottoposta. D'altro canto, le modificazioni della cartilagine senile, anche se diverse da quelle dell'artrosi, ne riducono la resistenza e l'elasticità, favorendo in tal modo l'azione di agenti lesivi. Per quanto riguarda il sesso, al di sotto dei 45-50 anni l'artrosi è più frequente nei maschi che nelle femmine, mentre la situazione si inverte dopo i 55-60 anni. L'ereditarietà può intervenire indirettamente, attraverso malattie congenite che causano l'artrosi, oppure esercitare un'influenza diretta. Esempi della prima evenienza sono le malformazioni congenite, i disturbi congeniti del metabolismo e le malattie congenite del tessuto connettivo. Un esempio di intervento diretto dell'ereditarietà è rappresentato dall'artrosi della mano, e in particolare dai noduli di Heberden, per i quali esiste spesso una significativa familiarità. Recentemente è stata messa in evidenza una mutazione del gene del procollagene II che comporta un'alterata composizione della cartilagine.
Le malattie endocrino-metaboliche che costituiscono fattori di rischio per l'artrosi possono essere congenite o acquisite; esse comprendono, tra l'altro, l'acromegalia, l'ocronosi e l'obesità. Il ruolo di quest'ultima è stato però dimostrato solo nella gonartrosi del sesso femminile (Felson 1988). Anche malattie articolari pregresse, come per es. le artriti, favoriscono lo sviluppo dell'artrosi. L'infiammazione, fattore causale nel caso delle artriti, può costituire un meccanismo di progressione dei danni artrosici. Va infatti rilevato, a questo proposito, che nell'artrosi possono manifestarsi modesti processi infiammatori, limitati in genere alle articolazioni già colpite dal processo degenerativo, ma sicuramente responsabili dell'aggravamento delle lesioni. Grande importanza viene infine attribuita ai fattori meccanici, rappresentati da malformazioni articolari o scheletriche, congenite o acquisite, da grossi traumi, oppure da sovraccarichi funzionali notevoli e ripetuti nel contesto di attività professionali o sportive.
Come già ricordato, nell'artrosi la cartilagine articolare è il tessuto che risulta interessato per primo e che in seguito subisce i danni più rilevanti, fino a scomparire completamente. La cartilagine articolare è rivestita da una membrana (membrana sinoviale), a sua volta contornata da una robusta capsula fibrosa, e contiene un liquido chiaro, mucoso e filante (sinovia o liquido sinoviale). I capi ossei articolari sono ricoperti da essa, tranne che in una piccola area periferica. All'interno delle articolazioni mobili si possono trovare legamenti e cuscinetti di tessuto fibroso e cartilagineo, denominati menischi. La cartilagine è formata da connettivo differenziato, che ricopre l'estremità articolare dei capi ossei, consentendo di ammortizzare e distribuire i carichi, e di favorire lo scorrimento delle superfici. Questo tessuto è costituito da una sostanza apparentemente amorfa (la matrice), nella quale sono contenute fibre collagene e una sola popolazione di cellule, i condrociti. È privo di circolazione sanguigna e linfatica e di terminazioni nervose, e il nutrimento è fornito dal liquido sinoviale che penetra in esso per perfusione. La matrice, che ha aspetto spugnoso e contiene abbondante acqua (fino all'80% del peso di tessuto fresco), è composta da grosse molecole, i proteoglicani, formate da una proteina centrale alla quale si aggregano catene di mucopolisaccaridi o glucosaminoglicani, rappresentati da condroitin-solfato e cheratan-solfato. I proteoglicani si saldano, mediante legame non covalente, a lunghi filamenti di acido ialuronico, formando macroaggregati di peso molecolare molto elevato (107-108). Tali aggregati sono dotati di carica elettrica negativa, che li mantiene in reciproca repulsione, per cui possono conglobare una notevole quantità di liquido. L'estensibilità è però limitata dalle fibre collagene, disposte in una rete tridimensionale inestensibile.
Sul piano funzionale, durante il carico l'acqua viene espulsa verso il cavo articolare, il quale, essendo inestensibile perché contenuto nella capsula fibrosa, assorbe l'aumento della pressione, distribuendola in tutte le direzioni. Quando il carico è rimosso, i macroaggregati della cartilagine si riespandono e riprendono al loro interno l'acqua. Il quadro completo dell'artrosi si instaura e si sviluppa nelle articolazioni mobili o diartrodiali, che sono costituite dalle estremità di due ossa contigue affacciate nella cavità articolare. L'artrosi provoca alterazioni a carico di tutte le componenti articolari. La cartilagine subisce dapprima modificazioni biochimiche, denunciate da mutazioni delle sue proprietà tintoriali, e successivamente danni strutturali. Nelle sedi sottoposte a carico si notano fissurazioni e quindi ulcerazioni, che si approfondano e si allargano sempre più, fino a determinare la scomparsa di tutto il tessuto e, di conseguenza, l'esposizione dell'osso direttamente nel cavo articolare. Contemporaneamente, nelle zone marginali non sottoposte a carico la cartilagine prolifera, trasformandosi in tessuto osseo irregolare (ossificazione endocondrale) che forma i cosiddetti osteofiti marginali, elemento tipico dell'artrosi. In definitiva, i fenomeni che si verificano sono di tipo degenerativo e, nello stesso tempo, produttivo.
Al microscopio, la cartilagine assume aspetto fibrillare con microfissurazioni verticali. I condrociti tendono a raccogliersi in nidi negli strati profondi, e aumentano la propria attività sintetizzando nuovo tessuto cartilagineo che tenta di riparare le perdite, fino a quando non vengono coinvolti dal processo distruttivo. Nelle sedi sottoposte a carico, l'osso sottostante alla cartilagine va incontro a processi di sclerosi e diventa più denso (eburneo), ma presenta anche cisti (geodi), la cui formazione è dovuta all'immissione in esso, sotto pressione, di liquido sinoviale. Nelle zone marginali si sviluppano gli osteofiti, che allargano la superficie articolare. La membrana sinoviale diviene congesta ed edematosa, prolifera, e presenta qualche infiltrato di mononucleati. La capsula si ispessisce per fenomeni di fibrosi e, nel tentativo di rendere più stabile l'articolazione, ne limita i movimenti. Questa serie di eventi si sviluppa tipicamente nel giro di anni fino a provocare, nelle fasi più avanzate, riduzione della cavità articolare, allargamento delle superfici ossee con osteofiti, scomparsa della cartilagine, sclerosi dell'osso e formazione dei geodi, moderata ipertrofia della membrana sinoviale e ispessimento della capsula. Nell'artrosi idiopatica, i danni ora descritti interessano prevalentemente alcune articolazioni sottoposte a carico (anca e ginocchio), quelle del rachide, le interfalangee prossimali e distali delle dita delle mani e dei piedi, la trapeziometacarpale e la prima metatarsofalangea. Nelle forme secondarie, oltre all'anca e al ginocchio possono essere interessate altre articolazioni, per es., le caviglie, i gomiti, le spalle ecc.
I disturbi provocati dall'artrosi sono prevalentemente localizzati nell'articolazione colpita, con eventuale estensione alle strutture a essa contigue o in qualche modo a essa correlate. Il malato avverte dolore, rigidità, limitazione dei movimenti, e può presentare inoltre deformazioni articolari. Il dolore più tipico è definito meccanico, in quanto è provocato dal movimento o dal carico e si attenua o si annulla con il riposo e lo scarico. Quando interviene una reazione infiammatoria, di norma modesta, il dolore può essere continuo e persistere anche a riposo. Ciò si verifica pure nel caso in cui responsabile del dolore sia una contrattura muscolare. Il dolore può essere riferito in sede diversa dall'articolazione colpita (per es. sulla superficie interna del ginocchio in caso di artrosi dell'anca), oppure può essere irradiato per l'interessamento di radici nervose o di nervi intrappolati nelle articolazioni artrosiche (per es., alle spalle e agli arti superiori in caso di artrosi cervicale). La rigidità, ovvero l'impaccio nel compiere i movimenti, si manifesta in seguito a inattività e scompare in genere entro pochi minuti dall'inizio dei primi movimenti; nelle fasi più avanzate, tuttavia, può perdurare a lungo. I movimenti in un primo tempo sono limitati dal dolore; in seguito, con l'aggravarsi dei danni, la riduzione diventa stabile. In caso di artrosi dell'anca o del ginocchio insorge zoppia. All'esame obiettivo, nelle articolazioni periferiche si possono osservare deformazioni dei contorni articolari. Queste consistono nell'aumento di volume con allargamenti per lo più asimmetrici e nell'alterato allineamento dei segmenti scheletrici che si affrontano nell'articolazione (per es., ginocchio valgo o varo, alluce valgo ecc.).
Anche la valutazione dei movimenti mostra con evidenza la loro limitazione. Infine, quando si facciano compiere passivamente i movimenti o si facciano sfregare tra loro certe superfici, come per es. quella della rotula sui piani sottostanti, è possibile apprezzare scrosci articolari. Tali sfregamenti possono anche essere spontaneamente avvertiti dal paziente. Decisivo per stabilire la diagnosi di artrosi è l'esame radiografico, che dimostra tutta una serie di immagini tipiche: riduzione, inizialmente parziale e poi completa, dello spazio o rima articolare, sclerosi ossea, cisti o geodi, osteofiti marginali. Indagini più raffinate, come la tomografia assiale computerizzata o la risonanza magnetica, sono importanti nell'artrosi della colonna vertebrale per studiare eventuali compressioni del midollo spinale o di radici nervose. Gli esami ematochimici non mostrano alterazioni, e la loro utilità consiste nell'escludere altre malattie. Importante risulta l'esame del liquido sinoviale, che nell'artrosi ha carattere 'non infiammatorio', contenendo un numero limitato di elementi cellulari, e precisamente non oltre 1500-2000 polimorfonucleati per mm3. Il quadro clinico e radiologico che è stato appena descritto si riferisce in termini generali a tutte le forme e a tutte le localizzazioni dell'artrosi. Tuttavia, nelle varie sedi articolari la malattia può assumere aspetti peculiari; per questo motivo è opportuno considerare separatamente le manifestazioni che con maggiore frequenza e intensità interessano le differenti articolazioni.
a) Artrosi della colonna vertebrale. Segni radiologici di spondiloartrosi o artrosi della colonna vertebrale si riscontrano con grande frequenza nella popolazione. Già osservabili in soggetti giovani, a partire dall'età di circa 30 anni, essi sono presenti nell'80% degli individui ultrasettantenni. La colonna vertebrale o rachide e le strutture a essa correlate sono spesso sede di vari disturbi, e in particolare dolore e limitazione dei movimenti; non sempre, peraltro, questi sintomi sono da attribuire all'artrosi, anche nel caso in cui questa sia evidenziabile all'esame radiologico. La colonna vertebrale è costituita da diversi tipi di articolazioni. Nella sua espressione più completa, l'artrosi colpisce le articolazioni diartrodiali, che comprendono le interapofisarie, le costovertebrali e, a livello cervicale, quando sono completamente sviluppate, le uncovertebrali. Oltre a queste vi sono le voluminose articolazioni intervertebrali, formate dai corpi vertebrali cui sono interposti i dischi intervertebrali, a loro volta costituiti dal nucleo polposo centrale circondato dall'anulus fibrosus; tali articolazioni, denominate anfiartrosi, sono prive di cavità articolare, di membrana sinoviale e di sinovia. A loro carico possono manifestarsi degenerazioni del disco e formazione di osteofiti a partire dai margini delle vertebre. Il quadro viene talora indicato come discoartrosi, ma si tratta di una denominazione impropria, in quanto l'artrosi vera e propria è quella delle articolazioni diartrodiali, munite cioè di cavità e di membrana e liquido sinoviali.
Sotto il profilo anatomico e radiologico, la degenerazione del disco è meglio definita come osteocondrosi intervertebrale e consiste nella disidratazione e nella perdita di elasticità del nucleo polposo, nella riduzione dello spazio intervertebrale, nel cui contesto si osservano aree di ipertrasparenza, e nella sclerosi dei margini vertebrali. Altro tipico quadro anatomico e radiologico, spesso associato al precedente, è rappresentato dalla spondilosi deformante, caratterizzata da degenerazione dell'anulus fibrosus e da formazione di osteofiti, talora anche grossolani, che si sviluppano prevalentemente dai margini anteriori e laterali dei corpi vertebrali; questi osteofiti generalmente non determinano disturbi. I segmenti di rachide più spesso interessati dall'artrosi sono il tratto cervicale e quello lombare.
L'artrosi cervicale può non determinare disturbi, anche in presenza di segni radiologici. Quando diviene sintomatica, provoca dolore e limitazione più o meno dolorosa dei movimenti di flessione o di rotazione del capo, che sono dovuti allo spasmo dei muscoli paravertebrali oppure all'impegno delle articolazioni uncovertebrali situate nei piani anteriori e di quelle interapofisarie che si trovano posteriormente. L'artrosi delle uncovertebrali è più frequente nel tratto cervicale inferiore, quella delle interapofisarie lo è nel tratto superiore, con l'eccezione delle prime due vertebre (atlante ed epistrofeo), che non sono quasi mai colpite da questa malattia. Altri e più gravi sintomi possono però aversi in caso di compressione, da parte dei processi artrosici o degenerativi del disco, di strutture contenute nel rachide, in particolare il midollo spinale, le radici nervose e i vasi sanguigni. Si parla allora di cervicoartrosi complicata, in cui si distinguono la mielopatia, la cervicobrachialgia e l'insufficienza dell'arteria vertebrobasilare. La mielopatia, piuttosto rara, è causata dal restringimento del canale midollare a opera di osteofiti, oppure dalla protrusione del disco (ernia del disco). Insieme con il midollo possono essere lesi anche i nervi spinali. I disturbi sono vari, talora ingravescenti: pesantezza, intorpidimento e riduzione della forza degli arti superiori, e finanche alterazione dei riflessi. Se i sintomi e l'esame clinico sono suggestivi per la diagnosi, si ricorre alla tomografia assiale computerizzata e alla risonanza magnetica. La cervicobrachialgia è meno rara ed è provocata dalla compressione delle radici nervose, a livello del forame intervertebrale, da parte di osteofiti o del disco erniato. I sintomi sono rappresentati da dolore, parestesie, riduzione dei riflessi, con una distribuzione che è di solito monolaterale e in relazione alle radici interessate. L'insufficienza (dell'arteria) vertebrobasilare si manifesta, durante i movimenti di estensione della testa, con perdita del controllo degli arti inferiori non accompagnata da perdita di coscienza (drop attack). Quando è causata dall'artrosi cervicale, ne sono responsabili gli osteofiti uncovertebrali. Può essere però in relazione alla presenza di placche ateromasiche nei tronchi arteriosi epiaortici, oppure dovuta alla combinazione di entrambi questi tipi di lesioni. In passato si usava attribuire all'artrosi la cosiddetta sindrome del simpatico cervicale superiore, denominato anche sindrome di Barré-Liéou, ma negli ultimi tempi questo quadro e i suoi rapporti con l'artrosi sono stati messi seriamente in discussione, fino a essere quasi dimenticati. Si è infatti visto che sintomi quali vertigini, disturbi visivi, cefalea, instabilità sono più spesso associati a sindrome ansioso-depressiva, mentre le alterazioni radiologiche sono scarsamente significative. L'artrosi lombare è una malattia assai frequente, che si manifesta con vari quadri patologici e diversi sintomi clinici, tra i quali predomina il dolore lombare o lombalgia. Il tratto lombare del rachide, dovendo sostenere continui e ampi movimenti sotto carico, è particolarmente soggetto a usura, e ciò costituisce evidentemente un fattore che favorisce sia l'instaurarsi sia il successivo aggravarsi dell'artrosi.
Altri fattori predisponenti sono le frequenti malformazioni del rachide, come per es. le scoliosi, nonché gli sforzi ripetuti e gravosi legati ad attività lavorative pesanti o a particolari pratiche sportive. In tutti questi casi vengono favorite tanto la più precoce comparsa quanto la più rapida progressione dell'artrosi. D'altra parte, la sollecitazione funzionale continua del rachide lombare costituisce uno stimolo all'insorgenza e al mantenimento del dolore in questa sede; e in effetti, la lombalgia ha una prevalenza assai elevata nella popolazione generale tanto da costituire la causa in assoluto più frequente di assenza dal lavoro. L'artrosi della colonna lombare si manifesta con lesioni che nel loro complesso ricalcano quelle già ricordate a proposito della spondiloartrosi. Esse comprendono: la degenerazione dei dischi intervertebrali, l'osteofitosi dei corpi vertebrali e l'artrosi delle articolazioni interapofisarie posteriori. Spesso si associano alterazioni della conformazione della colonna, quali scoliosi o incurvamento laterale, accentuazione o riduzione della lordosi, cioè della curvatura anteroposteriore, e spondilolistesi o scivolamento anteriore di una vertebra sulla sottostante.
Particolarmente frequenti e precoci sono, in questa sede, le alterazioni del disco (discopatie), rappresentate da degenerazione del nucleo polposo, fissurazione dell'anulus fibrosus, riduzione in altezza, protrusione ed erniazione (ernia del disco). Queste ultime possono prodursi in sede anteriore e laterale, nel qual caso favoriscono la formazione di osteofiti vertebrali anteriori e laterali, ma nella maggior parte dei casi rimangono asintomatiche, pur in presenza di quadri radiologici anche vistosi. La protrusione o l'ernia posteriori determinano invece dolore e limitazione dei movimenti. La protrusione posteriore di materiale discale distende il legamento longitudinale posteriore e causa lombalgia cronica. L'ernia posteriore o posterolaterale provoca compressione e reazione flogistica delle radici nervose, con conseguente lombalgia acuta. Il dolore può irradiarsi all'arto inferiore, assumendo il carattere di lombosciatalgia, se sono interessate le fibre del nervo sciatico, o più raramente di lombocruralgia, quando lo sono quelle del nervo femorale. L'ernia posteriore può anche occupare in parte il canale midollare e comprimere il midollo spinale, oppure, al disotto di L1-L2, laddove il midollo termina, le radici dei nervi caudali, determinando in questo caso la cosiddetta sindrome della cauda equina che comporta anche disturbi a carico degli sfinteri. È infine opportuno ricordare che la lombalgia può essere dovuta, oltre che alla discopatia e all'artrosi delle articolazioni interapofisarie, anche a numerose altre cause, tra cui malformazioni del rachide, spondiloartriti, sforzi muscolari improvvisi, traumi, osteoporosi con fratture vertebrali, neoplasie.
b) Artrosi dell'anca. L'artrosi dell'anca o coxartrosi è malattia frequente e molto invalidante. Può insorgere senza cause apparenti (forma primaria) o essere invece provocata da malformazioni congenite, traumi, artrite (forma secondaria). L'età di insorgenza della coxartrosi primaria è compresa tra i 50 e i 60 anni, mentre quella della forma secondaria può essere più precoce. I sintomi sono rappresentati dal dolore sotto carico e dalla limitazione dei movimenti. Il dolore viene avvertito all'inguine o in corrispondenza della natica o delle facce interna o anteriore della coscia, fino al ginocchio. Si manifesta con il carico e si risolve con il riposo, a meno che le lesioni non siano molto progredite. La limitazione dei movimenti è progressiva e interessa, in successione, l'abduzione, l'adduzione e la flessione. L'esame radiografico evidenzia i tipici aspetti dell'artrosi, già descritti nella parte generale: restringimento dapprima parziale e poi completo della rima articolare, osteofiti, pseudocisti e osteosclerosi; a questi si aggiunge, nelle fasi più avanzate, la migrazione della testa del femore in direzione superomediale, con possibilità di protrusione nel bacino.
c) Artrosi del ginocchio. Anche l'artrosi del ginocchio o gonartrosi è frequente e invalidante. Prevale nel sesso femminile e mostra chiari rapporti con l'obesità. Può colpire sia l'articolazione femoro-tibiale che la femororotulea e si manifesta con dolore all'inizio della deambulazione, specie dopo prolungata inattività, oppure dopo uso prolungato. Nelle fasi avanzate, il dolore può essere anche notturno e a riposo. L'esame clinico permette di rilevare dolorabilità, inizialmente localizzata in sede periarticolare e successivamente estesa a tutta l'articolazione, presenza di versamento intrarticolare, limitazione dolorosa dei movimenti, a incominciare da quello di flessione, scrosci articolari, disassamento in varismo o valgismo. Tutti questi reperti si sviluppano nelle varie fasi di malattia e possono essere più o meno accentuati. Il quadro radiologico ricalca quello proprio dell'artrosi, con l'eventuale dimostrazione del disassamento, accompagnato da un impegno più marcato del compartimento mediale o di quello laterale, a seconda che il ginocchio sia deformato rispettivamente in varismo o in valgismo (cioè piegato medialmente o lateralmente). Ai fini diagnostici è importante, in caso di versamento, esaminare il liquido sinoviale, che in questa articolazione può essere facilmente prelevato, allo scopo di dimostrarne il carattere 'non infiammatorio'.
d) Artrosi della mano. L'artrosi della mano è una tipica manifestazione dell'artrosi primaria, anche se in alcuni casi è possibile rilevare l'esistenza di alcune cause quanto meno favorenti, come particolari attività lavorative. Le articolazioni interessate sono le interfalangee distali e prossimali e la trapeziometacarpale. L'impegno delle interfalangee distali prevale nel sesso femminile, e la sua frequenza aumenta con il crescere dell'età. Esso si manifesta con tipici noduli duri sulla superficie dorsale e laterale dell'articolazione, dolorosi e più o meno arrossati, che vanno sotto il nome di noduli di Heberden; in genere, dopo alcuni mesi il dolore e l'eventuale arrossamento regrediscono, mentre le nodosità persistono, e con il passare del tempo possono associarsi a deformità determinate da sublussazioni. La funzionalità è quasi sempre conservata, per cui spesso la menomazione è prevalentemente di natura estetica. Nodi analoghi, definiti noduli di Bouchard, si sviluppano a carico delle articolazioni interfalangee prossimali, peraltro meno frequentemente rispetto a quanto avviene per quelli delle interfalangee distali. L'artrosi trapeziometacarpale viene anche chiamata rizoartrosi del pollice, vale a dire artrosi della base del pollice. Essa comporta lo sviluppo, in un tempo più o meno breve, di una sublussazione, che dà luogo alla cosiddetta mano quadrata.
L'artrosi in questa sede può essere invalidante, specie se vengono compiuti ripetutamente movimenti di opposizione del pollice. Una forma particolare e più rara di artrosi della mano è l'artrosi erosiva, così denominata perché, oltre alle alterazioni tipiche dell'artrosi, determina anche l'erosione della superficie articolare delle ossa delle falangi. Si tratta di una forma più attiva sul piano flogistico locale, che può portare alla perdita del movimento articolare (anchilosi).
Come per molte altre malattie reumatiche, anche per l'artrosi non è finora disponibile una terapia risolutiva, salvo il ricorso, quando indicato e ove possibile, alla sostituzione con una protesi dell'articolazione colpita. Con i mezzi conservativi attualmente a disposizione, i principali obiettivi terapeutici sono la rimozione o l'attenuazione dei sintomi, il mantenimento o il ripristino della funzione articolare, e il rallentamento della progressione delle lesioni articolari. Della massima importanza risultano i programmi di prevenzione, che si basano sulla conoscenza dell'eziopatogenesi della malattia. In questo campo, le maggiori probabilità di successo si prospettano nell'artrosi secondaria, attraverso l'intervento sui fattori responsabili, e in particolare su quelli suscettibili di modificazione. A seconda dei casi, è necessario procedere alla correzione delle malformazioni congenite e acquisite e delle posture incongrue, al trattamento adeguato e tempestivo dei traumi, alla cura delle artriti o di altre artropatie, alla terapia dei disturbi metabolici e dell'obesità, alla correzione e alla modificazione di attività motorie improprie o esagerate di natura lavorativa o sportiva. Tuttavia, le misure preventive possono risultare utili anche nell'artrosi primaria, agendo sugli stessi fattori ora ricordati, che, quando presenti, hanno comunque un ruolo favorente o aggravante.
Attesa l'importanza della prevenzione, occorre rilevare che l'artrosi, allorché diventa sintomatica, è già espressa con lesioni piuttosto avanzate, per cui il trattamento delle forme primarie non differisce da quello delle forme secondarie, anche se in queste ultime è sempre conveniente insistere con la cura delle cause sottostanti, secondo quanto sopra ricordato. Le modalità e i mezzi terapeutici sono molteplici e vanno tra loro integrati in un programma globale, scandito sullo stadio della malattia e sulle sue manifestazioni. L'elenco comprende l'adeguata informazione ed educazione del paziente e delle persone a esso vicine, la modificazione delle attività motorie nell'ambiente domestico e di lavoro, il riposo, gli esercizi, il ricorso a supporti meccanici, i vari tipi di terapia fisica, il trattamento farmacologico generale o locale (a base di antidolorifici e di antinfiammatori non steroidei), gli interventi chirurgici (di natura correttiva o di sostituzione delle articolazioni con protesi artificiali).
e. bagge et al., Prevalence of radiographic osteoarthritis in two elderly European populations, "Rheumatology International", 1992, 12, pp. 1233-38.
d.t. felson, Epidemiology of hip and knee osteoarthritis, "Epidemiological Review", 1988, 10, pp. 1-28.
a.j. hough jr., Pathology of osteoarthritis, in Arthritis and allied conditions, ed. D.J. McCarty, W.J. Koopman, Philadelphia, Lea & Febiger, 1993.
h.j. mankin, k.d. brandt, l.e. shulman, Workshop on etiopathogenesis of osteoarthritis: proceedings and recommendations, "Journal of Rheumatology", 1986, 13, pp. 1130-60.
r.w. moskowitz et al., Osteoarthritis: diagnosis and management, Philadelphia, Saunders, 1991.
a.j. silman, m.c. hochberg, Epidemiology of the rheumatic diseases, Oxford, Oxford University Press, 1993.
s. todesco, p.f. gambari, Malattie reumatiche, Milano, McGraw-Hill, 1993.