BOCCIARDO, Arturo
Nato a Genova il 16 apr. 1876 da Sebastiano e da Elisa Beker studiò a Torino, dove si laureò in ingegneria industriale e si perfezionò in ingegneria elettrotecnica. Il padre aveva fondato a Genova, verso il 1861, una conceria, divenuta, successivamente, una delle principali aziende genovesi del settore.
Le capacità tecniche e direttive, l'appartenenza ad una famiglia facoltosa e già nota nell'ambiente imprenditoriale, l'espansione in quegli anni delle iniziative industriali nel campo elettromeccanico furono le condizioni che favorirono una rapida affermazione del B.: il quale, già nel 1907, assumeva la direzione degli stabilimenti meccanici di Sestri Ponente della società San Giorgio.
Durante la prima guerra mondiale fece parte del gruppo di dirigenti industriali e tecnici chiamato a Roma per collaborare con le autorità militari presso il sottosegretariato, poi ministero, per le Armi e Munizioni, l'organo che, tra gli altri compiti, curava i rapporti tra l'amministrazione pubblica e le imprese private per le forniture di guerra.
Il B. ebbe importanti e delicati incarichi: nel giugno del 1918 gli venne affidato il servizio siderurgico dell'Ufficio approvvigionamenti materiali metallici; nel novembre dello stesso anno si interessò dei problemi della riconversione dell'industria bellica (A. Monticone, Nitti e la grande guerra, p. 309 n. 19); dal febbraio del 1919 diresse i lavori della Giunta interministeriale per la sistemazione delle industrie di guerra, incaricata di sospendere, ridurre, liquidare e regolare i contratti in corso tra le industrie e lo Stato per forniture belliche. In tale veste, oltre le richieste delle imprese per la sistemazione dei loro rapporti con lo Stato, ne esaminò anche la situazione aziendale in vista dei provvedimenti da adottare per la ripresa di nuove attività produttive. Inoltre, fece parte dei comitati internazionali per la distribuzione dei materiali siderurgici alle nazioni alleate.
In queste funzioni il B. partecipò a decisioni che coinvolgevano gli interessi di numerose industrie, particolarmente dei principali gruppi siderurgici, e venne a trovarsi al centro delle polemiche circa la condotta degli uffici del ministero a favore o a danno di talune imprese private, e circa le indebite ingerenze delle imprese, nonché gli illeciti profitti che queste avrebbero accumulato valendosi dello stato di eccezionale necessità di forniture in cui versava la pubblica amministrazione. Tuttavia, sull'operato del B. non furono mossi mai precisi rilievi, anche se venne avanzata qualche riserva suggerita dai suoi rapporti di amicizia con i massimi dirigenti delle imprese del gruppo Terni-Ilva, notoriamente contrastate da quelle del gruppo Ansaldo, diretto dai Perrone.
Lasciati gli incarichi pubblici, il B. tornò alle sue attività private a Genova e, chiamato a far parte, nel 1920, del Consiglio di amministrazione della Società Terni, ne divenne l'amministratore delegato nel 1921, nel momento in cui questa versava in gravi difficoltà in seguito alle conseguenze dell'arresto delle produzioni belliche e alla sfavorevole congiuntura economico-sociale.
Il B. affrontò con successo i più gravi problemi del momento e avviò quasi subito un programma di iniziative volte ad assicurare nuove basi all'esercizio industriale dell'azienda: attuò l'assorbimento, per incorporazione, della Società italiana del carburo di calcio, una società che apportava impianti idroelettrici e concessioni per l'uso delle acque dei fiumi Velino e Nera. Perseguì nuove sistemazioni contrattuali dei rapporti con gli enti pubblici locali interessati all'utilizzazione delle risorse idrauliche di questi fiumi, allo scopo di assicurarne un razionale e integrale impiego ad usi industriali.
Nel 1922 il B. venne chiamato a curare la sistemazione dell'Ilva - l'altra società siderurgica parimenti controllata dalla Banca Commerciale - che si trovava in stato di dissesto.
Questa impresa - per le larghe disponibilità di mezzi accumulati nel periodo bellico e per le aspettative, poi non avveratesi, di un incremento degli affari in una fase di ripresa postbellica - aveva esteso il suo campo d'azione, sia finanziario sia produttivo, attraverso una complessa rete di interessenze e di partecipazioni, in vari settori (dal settore minerario a quello elettrico, dalla navigazione al settore meccanico e cantieristico): ma, rivelandosi il suo assetto finanziario inadeguato agli impegni in tal modo assunti, dovette subire svalutazioni e ridimensionamenti delle sue consistenze patrimoniali.
Il B. assunse la presidenza della società nel momento in cui si decise di riorganizzarne l'attività delimitandola alle produzioni siderurgiche, e mantenne tale carica sino al 1930 (senza, peraltro, che ad essa facesse corrispondere un effettivo impegno direttivo, dato che egli riservò ogni sua iniziativa allo sviluppo della Terni). Si può dire, quindi, che negli anni Venti il B. fu tra i dirigenti industriali che si affiancarono e si sostituirono agli Odero, agli Orlando, ai Bondi e a quegli altri imprenditori che erano stati protagonisti, nell'anteguerra, della prima esperienza industriale italiana in campo siderurgico; e che egli si venne a trovare in una posizione tale da assicurargli quasi subito una vasta influenza nell'indirizzo, della siderurgia italiana, divenendo portavoce di una intera categoria di interessi industriali e finanziari.
Rappresentante, verso il 1920, di un gruppo politico nazionalistico nel Consiglio comunale di Genova, il B. aderì al movimento fascista, ritenendolo una valida garanzia del programma economico al quale era legata la sua attività imprenditoriale. Si adoperò per il finanziamento del Corriere degli Italiani, contribuì ad assicurare a Mussolini l'appoggio della Confederazione generale dell'industria in qualità di membro della giunta esecutiva di quest'ultima. appoggiò con i suoi consigli, e con le iniziative delle imprese da lui dirette, gli obiettivi economici del regime fascista. Del resto, dalla adesione agli obiettivi della politica industriale del governo fascista la Società Terni, al pari di altre grandi imprese italiane, poté trarre molti e cospicui vantaggi.
Le gestioni industriali della Società Terni restarono a lungo caratterizzate - prima e dopo gli anni Trenta e, sostanzialmente, fino alla nazionalizzazione dell'energia elettrica (1964) - dall'indirizzo dato ad esse dal B. verso il 1922. Tale indirizzo, come si è già accennato, fu reso possibile dalla concentrazione nelle mani della Terni delle concessioni pubbliche per l'uso delle risorse idrauliche dei bacini del Velino e del Nera, e si concretò quindi in un allargamento del campo di attività alla produzione di energia elettrica, alle produzioni elettrochimiche e, in misura minore, ad altri prodotti (cemento, ad esempio). Il B. impostava così un programma industriale diretto a svincolare le sorti della società dagli alti e bassi delle produzioni belliche e ad integrare la produzione di energia elettrica con quella di prodotti chimici e di altri prodotti.
Questo programma, portato a termine tra il 1922 e il 1928 circa, realizzò un complesso produttivo basato sull'utilizzazione - elevata quanto più possibile - di quelle quantità di energia elettrica che, per contingenze stagionali e per la discontinuità di assorbimento da parte dei clienti, sarebbe rimasta inutilizzata. Alla vigilia del 1930 la Terni presentava già la fisionomia di un vasto complesso integrato di diverse attività produttive, il cui sviluppo non era più soltanto vincolato, come per il passato, ai profitti provenienti dall'attività dell'acciaieria.
Un tale obiettivo non venne raggiunto facilmente perché, a parte i cospicui investimenti che si resero necessari, la società, entrata per ultima sul mercato dell'Italia centrale e priva di una propria rete di distribuzione, dovette destinare l'energia prodotta alle grosse utenze di altre imprese elettriche o ad industrie, mediante contratti in qualche caso particolarmente onerosi, mentre, sul mercato dei prodotti chimici, urtò contro le forti posizioni già acquisite della Montecatini. In ogni modo, i programmi attuati tra il 1922 e il 1928 furono sufficienti a porre la società in una posizione di primo piano nella utilizzazione delle risorse idrauliche, non solo dell'Italia centrale. Inoltre, per la sua organizzazione produttiva e la stessa posizione geografica degli impianti, la Terni poté contare su larghe possibilità di sviluppo, al riparo, in qualche caso, dalla concorrenza di altre imprese. In questo modo, il B. riusciva a far superare alla Terni i limiti del precedente indirizzo aziendale, che faceva dipendere dal volume delle commesse belliche l'andamento dei profitti d'impresa. La gestione della Terni continuò però ad essere caratterizzata anche da altri indirizzi, tipici della fase precedente vennero mantenuti in efficienza e sviluppati gli impianti di siderurgia bellica; ed anche le interessenze nei cantieri (Odero e Orlando) continuarono a far sopportare alla società i rischi di perdite e di periodiche vacanze di ordini, anche se esse vennero organizzate in gestione autonoma (società Odero-Terni-Orlando: OTO).
La società, alla vigilia del 1930, presentava una complessa organizzazione tecnica, amministrativa e finanziaria: era capogruppo di società collegate, aveva creato società con compiti sussidiari per risolvere i problemi di finanziamento del gruppo stesso ed era interessata a vario titolo alla gestione di numerose imprese.
Le cariche ricoperte dal B. nel 1932 mostrano quali fossero le società gestite, in un modo o nell'altro, secondo indirizzi amministrativi e industriali rientranti tra gli interessi del gruppo Terni nel momento della sua massima espansione, prima della crisi bancaria e industriale del 1933. Il B. era consigliere delegato, oltre che presidente e vicepresidente, nei consigli d'amministrazione della Società Odero-Terni-Orlando (che riuniva le attività cantieristiche), dell'Istituto di credito industriale e dell'Istituto ligure mobiliare finanziario; era presidente in quelli della Società idroelettrica ligure-piacentina, della Società anonima industriale Interamna, della Società Lavelli prodotti magnesiaci e refrattari, della Società anonima per la utilizzazione delle forze idrauliche della Dalmazia, della Società italiana di ricerche industriali, della Società carburo di calcio e ferroleghe (Consorzio); era consigliere del Consorzio mobiliare finanziario (Comofin), della Società finanziaria industriale italiana (Sofindit), della Società La Magona d'Italia, nonché dei consorzi per la vendita dei prodotti siderurgici e della calciocianamide, oltre che vicepresidente dell'ILVA.
La gestione di un così cospicuo gruppo industriale e finanziario, la considerazione goduta presso le gerarchie del regime e di Mussolini in particolare, le sue convinzioni politiche, l'aver partecipato sin dagli inizi al movimento fascista genovese, le indubbie capacità imprenditoriali confermarono al B. una posizione di particolare influenza negli ambienti imprenditoriali italiani, nelle organizzazioni sindacali degli industriali, negli organismi di categoria del regime corporativo. Venne nominato senatore nel 1933 e cavaliere del lavoro nel 1937; fu membro della giunta esecutiva della Confederazione generale fascista dell'industria, presidente della Federazione nazionale fascista degli industriali meccanici e metallurgici, e membro del Consiglio nazionale delle ricerche.
Nel decennio 1920-1930 la Terni, però, non sfuggì all'indirizzo generale seguito dalle imprese nel procacciarsi i mezzi di finanziamento degli immobilizzi industriali. In una economia priva - com'era quella italiana - di adeguati organismi finanziari capaci di venire incontro alle crescenti esigenze di immobilizzo, le imprese dovettero attingere, anche con espedienti formali, alle erogazioni delle banche di credito ordinario, proprietarie del resto, in molti casi, della maggior parte del loro stesso capitale azionario. In seguito a tale condotta la crisi degli anni 1930, ponendo in difficoltà le industrie, coinvolse in un pericoloso stato di imminente e probabile insolvenza le stesse banche, a tal punto che lo Stato dovette intervenire nel 1933 per evitare un crollo di vaste proporzioni di gran parte dell'apparato industriale e bancario. Anche la Società Terni, gravitante nell'orbita degli interessi industriali e bancari che facevano capo alla Banca Commerciale - la quale possedeva la grande maggioranza del suo capitale azionario -, seguì le sorti di quest'ultima al momento dei "risanamenti bancari" del 1934: fu salvata, a mezzo un intervento dell'IRI, passando nelle mani dello Stato.
La posizione del B. a capo della Terni, e nelle altre sedi in cui egli esercitava la sua influenza, non venne tuttavia compromessa: non solo continuò ad amministrare la Terni anche dopo il 1933, ma, al momento in cui si procedette al riordinamento delle aziende del gruppo e si profilò la soluzione di scorporare le attività siderurgiche dalle rimanenti, riuscì a salvaguardare l'unità di organizzazione attuata nel decennio precedente, assecondato in questo fine dallo stesso Mussolini, che era particolarmente sensibile ai progetti e ai suggerimenti del B. circa il futuro della siderurgia bellica. Dalla Terni vennero scorporate soltanto le attività cantieristiche, costituite in autonoma gestione nel quadro dei programmi di riorganizzazione in questo settore.
Il B. - il quale aveva anche proposto, in passato, una gestione diretta della acciaieria ternana da parte dello Stato e che aveva chiesto allo Stato adeguate contropartite per mantenere in efficienza gli impianti atti alle produzioni belliche - del tipo di quella ternana, cioè di un grande complesso e integrata con le produzioni elettriche, sarebbe stata in grado di far fronte alle necessità belliche del paese. Del resto - sosteneva il B. - la separazione delle produzioni siderurgiche da quelle elettriche ed elettrochimiche avrebbe significato a più o meno breve scadenza la dissoluzione dell'intero complesso: all'intera organizzazione sarebbe venuto meno un essenziale punto di forza, consistente nella utilizzazione di energia elettrica a basso costo. Questi elementi esposti dal B. a Mussolini nel corso di alcuni colloqui, unitamente ad altre considerazioni che erano presenti al capo del governo, al ministro delle Finanze e ai dirigenti dell'IRI, consigliarono di mantenere unite in una unica gestione le produzioni siderurgiche, elettriche ed elettrochimiche della Terni. Si venne così a consolidare un indirizzo destinato a costituire, anche in seguito, la caratteristica condotta di questa impresa, consistente nel razionalizzare al massimo al suo interno le integrazioni tra diversi processi produttivi.Le vedute del B. furono tenute in particolare considerazione dal capo del governo, e furono assunte come formulazioni ufficiali del programma industriale del regime fascista, come avvenne nel caso dei discorsi al Senato del 30 marzo 1936 su La siderurgia, la produzione dell'azoto e l'industria idroelettrica, e del 19 dicembre su Le industrie chiavi e l'intervento dello Stato. In quest'ultima occasione il B. formulò direttive d'intervento pubblico destinate a trovare attuazione nei mesi successivi, e il testo del discorso venne preventivamente e personalmente corretto dallo stesso Mussolini. Inoltre, pochi mesi dopo, al B. veniva affidata la presidenza della società Finsider, l'organismo che veniva creato per attuare un nuovo e più vasto programma di riorganizzazione e sviluppo della produzione siderurgica nazionale, nel cui ambito si inseriva anche l'attività della Terni. Tale nomina sanzionava la posizione di primissimo rango assunta dal B. nella economia italiana e nella politica economica del governo e tendeva a valorizzare la sua specifica esperienza tecnica e imprenditoriale nella realizzazione del programma industriale della Finsider.
Col crollo del regime fascista e la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1945: il B. fu tra i senatori sottoposti al giudizio dell'Alta Corte di giustizia, uscendone però tra i pochi riconfermati nel titolo. Si ritirò a vita privata a Genova (di cui era anche stato consigliere comunale), limitandosi a partecipare alla gestione dell'azienda familiare e a svolgere la funzione di proboviro dell'associazione degli industriali della provincia di Genova.
Il B. morì a Genova il 18 luglio del 1959.
Fonti e Bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio, Segreteria Particolare del Duce, sezione Carteggio ordinario, fasc. 198.122, 509.799, 210.865, 518.330; fondamentali le relazioni annuali alle assemblee degli azionisti delle Società citate nel testo, e i volumi dell'Associazione fra le Società italiane per azioni, Notizie statistiche, per il periodo 1926-1938; si veda anche la pubblicazione celebrativa Terni, 1884-1934, Roma 1934. Alcuni riferimenti, diretti o indiretti, in varie parti dei seguenti volumi: P. Grifone, Il capitalefinanziario in Italia, Torino 1945; E. Rossi, Lo stato industriale, Bari 1952; E. Scalfari, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari 1963; F. Guarneri, Battaglie economiche, Milano 1963; E. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari 1966. Per un quadro delle condizioni in cui si svolse l'attività del B. al sottosegretariato (e poi al ministero) per le Armi e Munizioni: L. Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari 1933; A. Monticone, Nitti e la grande guerra, Milano 1961. Per il periodo successivo: Ministero dell'Industria e del Commercio, L'Istituto per la ricostruzione Industriale, I.R.I., Torino 1955 (particolarmente il volume III, a cura di P. Saraceno). Per un quadro più generale delle condizioni dell'industria italiana: R. Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, Bologna 1963, e B. Caizzi, Storia dell'industria italiana, Torino 1965.