Ripstein, Arturo
Regista cinematografico messicano, nato a Città di Messico il 13 dicembre 1943. Ha fondato, con Felipe Cazals e Rafael Castanedo, il gruppo Cine Indipendente de México elaborando un'idea di cinema indirizzata soprattutto verso la sperimentazione. È autore di un cinema inquieto e doloroso, che affonda le radici nella tragedia popolare e in un antico sentimento di sofferenza che il regista concretizza trasformandolo nel suo particolare linguaggio. Insieme alla sua sceneggiatrice abituale, Paz Alicia Garcíadiego, è andato rielaborando negli anni codici e suggestioni del melodramma, genere prediletto dal cinema messicano, trasponendone le accensioni tragiche in una messinscena spesso crudele e lucida, in cui le miserie e le passioni dell'animo umano emergono in tutta la loro struggente violenza. La fama di R., in Europa, è stata consacrata a partire dagli anni Novanta, con la partecipazione ai più importanti festival internazionali. Al Festival di San Sebastián, dopo aver ottenuto nel 1977 il premio speciale della giuria per El lugar sin límites, ha vinto due volte la Concha de oro, nel 1993 con Principio y fin e nel 2000 con La perdición de los hombres.
Figlio del produttore cinematografico Alfredo Ripstein Jr, frequentò fin da bambino l'ambiente del cinema messicano fino a diventarne uno degli esponenti più importanti e noti a livello internazionale. Alla settima arte, però, si dedicò solo dopo gli studi universitari in giurisprudenza, storia e storia dell'arte, debuttando nel 1962 come aiuto regista (non accreditato) di Luis Buñuel nella realizzazione di El ángel exterminador (1962; L'angelo sterminatore) e Simón del desierto (1965; Simon del deserto). A Buñuel R. avrebbe poi dedicato nel 1970 un documentario, interpretato dallo stesso regista, El náufrago de la Calle Providencia. Il debutto dietro la macchina da presa avvenne con Tiempo de morir (1965), insolito western che trae spunto dalla tragedia sofoclea Edipo re, con una sceneggiatura scritta da Gabriel García Márquez e Carlos Fuentes. Fin dal suo esordio R. manifestò insofferenza per i meccanismi commerciali del cinema messicano degli anni Sessanta. Sulla scia di questo malcontento nacquero i suoi primi film, oltre a Tiempo de morir, Los recuerdos del porvenir (1968) il bellissimo e crudele La hora de los niños (1969), piccoli capolavori di ardimento e passione in cui si ritrovano in nuce le figure che saranno poi prevalenti nella poetica del regista. Da narrazioni semplici e lineari si arriva a opere di grande complessità strutturale come El castillo de la pureza (1972), il cui protagonista è un uomo ossessionato dalla corruzione della società, che tiene prigionieri da diciotto anni moglie e figli nell'insano tentativo di proteggerli; El lugar sin límites, crepuscolare storia di un bordello e delle sue abitanti; e infine Cadena perpetua (1978) che racconta la vita di un piccolo ladro tra la difficile condizione del presente e il ricordo dell'inquieto passato.
Ma la svolta più importante nell'opera di R. è avvenuta con El imperio de la fortuna (1986), da un romanzo di J. Rulfo, dramma che descrive l'ascesa e il crollo di un banditore diventato ricco e potente con la lotta dei galli, cui hanno fatto seguito l'intenso Mentiras piadosas (1988), storia d'amore piena di malinconia tra un anziano erborista e una fragile ex attrice, e La mujer del puerto (1991), sofisticato adattamento del racconto di G. de Maupassant Le port, dove la narrazione di amori sordidi, sofferenze femminili e desolanti povertà è frammentata in tre punti di vista, quello di una donna, di un uomo e di una bambina. Le storie narrate da R. si dipanano in strutture cicliche e ripetitive, componendo ritratti di uomini e donne sull'orlo di un abisso nel quale sono destinati a cadere. Si pensi a Principio y fin (adattamento di un romanzo del Premio Nobel egiziano N. Mahfuz), dedicato alla lenta ma inarrestabile decadenza di una famiglia borghese, fino alla morte o all'annullamento dei suoi componenti; a La reina de la noche (1994), storia di amori malati, destinati a diventare ossessioni dilanianti, raccontati attraverso la biografia trasfigurata della cantante di cabaret Lucha Reyes; e al raggelato melodramma Profundo carmesí (1996), immerso in una luce plumbea, quasi metallica, che immobilizza ogni azione, impregnando di sé sguardi e oggetti. Anche nei più recenti El evangelio de las maravillas (1997; Il vangelo delle meraviglie), ricostruzione di deliri erotici all'interno di una strana comunità religiosa, e Asì es la vida (2000; Asì es la vida… Questa è la vita), variazione sul tema tragico di Medea, la messa in scena è sontuosa e barocca, un percorso labirintico nel corso del quale il legame con la tradizione si confonde con il desiderio di opporvisi, e il complesso substrato della cultura sudamericana è sempre pronto a riemergere e a tradursi in una lenta cadenza espressiva, quasi cerimoniale.
Nel 1999 ha girato El Coronel no tiene quien le escriba (Nessuno scrive al colonnello) adattando con sensibilità il romanzo omonimo di G. García Márquez, e con La perdición de los hombres ha realizzato, in un desolato e polveroso bianco e nero, una specie di triste ballata sul dolore umano, una storia di delitti in ambiente rurale, intrisa di umori funebri e amara ironia. In La virgen de la lujuria (2002; La vergine della lussuria), da un racconto di M. Aub, R. ha ambientato in un caffè art déco di Vera Cruz un intreccio di amori folli e intrighi internazionali, secondo il suo particolare gusto per il melodramma dalla cifra deformata e brechtiana.
P.A. Paranaguá, Arturo Ripstein entre insertion obligée et renouvellement, in "Positif", 1994, 398; Arturo Ripstein, in "Nosferatu", 1996, 22; Arturo Ripstein, a cura di A. Martini, N. Vidal, Torino 1997.