TOSCANINI, Arturo.
– Nacque a Parma il 25 marzo 1867, primogenito di Claudio e di Paola Montani (seguirono le sorelle Narcisa, Ada, Zina); fu registrato l’indomani con i nomi di Arturo Alessandro.
Il padre, repubblicano e anticlericale, dopo aver partecipato alla seconda guerra d’indipendenza e alla spedizione dei Mille, si arruolò nei bersaglieri, ma nel 1862 disertò per seguire Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte. Arrestato a Messina, dopo tre anni di prigionia fece ritorno a Parma, dove iniziò a lavorare come sarto. Si sposò il 7 giugno 1866 tornando subito dopo a combattere come volontario a Condino e Bezzecca.
Arturo si accostò alla musica grazie al padre, che nel 1876 lo iscrisse alla Regia scuola del Carmine, dove studiò violoncello con Leandro Carini e composizione con Giusto Dacci, diplomandosi nel 1885 con il massimo dei voti e i premi destinati ai migliori allievi. Prestò servizio nell’orchestra del Regio e nel marzo del 1886 fu ingaggiato come violoncellista e secondo maestro di coro per una tournée in Brasile. Fin dai primi spettacoli si evidenziarono contrasti fra l’orchestra e il direttore Leopoldo Miguéz, che dopo un clamoroso insuccesso rassegnò le dimissioni accusando la compagnia di ostruzionismo. Il 30 giugno a Rio de Janeiro, durante una burrascosa replica di Aida, il secondo direttore fu costretto ad abbandonare il podio per le proteste del pubblico, e così pure il maestro del coro intervenuto per sostituirlo. L’impresario Claudio Rossi si rivolse allora a Toscanini, che riuscì a portare in fondo la recita con successo e nel seguito della tournée, esonerato dall’incarico in orchestra, diresse altre dodici opere.
Dopo il rientro in Italia il tenore Nikolaj Figner, ch’egli aveva conosciuto nella tournée brasiliana, lo segnalò all’editrice Lucca come possibile direttore per la ‘prima’ della versione riveduta di Edmea di Alfredo Catalani a Torino. La candidatura fu poi caldeggiata dal compositore stesso, e il 4 novembre 1886 Toscanini diresse l’opera con successo. Nel 1887 tornò a suonare in orchestra alla Scala per la prima dell’Otello di Giuseppe Verdi e nel giugno del 1888 l’ascolto del Tristano e Isotta di Richard Wagner, diretto in ‘prima’ italiana da Giuseppe Martucci al Comunale di Bologna, lo convinse a concludere per sempre un’attività di compositore che pure aveva fruttato alcune pagine pubblicate da Lucca e Giudici & Strada. Il 21 maggio 1892 diresse al teatro Dal Verme di Milano la prima di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e in ottobre a Genova Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti, subentrando dalla terza recita a Luigi Mancinelli. Fra il dicembre del 1892 e l’aprile del 1893 fu a Palermo con otto opere e nel gennaio del 1895 diresse Tannhäuser di Wagner a Genova, tornando poi nella città del debutto italiano, alla quale era legato dall’amicizia con il concittadino Giovanni Bolzoni, direttore del conservatorio, e con Giuseppe Depanis, infaticabile organizzatore della vita musicale torinese. Ottenuta la direzione della nuova orchestra municipale e del teatro Regio, fin dalla prima in italiano del Crepuscolo degli dei di Wagner (dicembre del 1895) impostò quelle che sarebbero state le linee guida del proprio repertorio. Nella stessa stagione incluse Falstaff di Verdi, che gli valse i complimenti di Arrigo Boito, e in prima a Torino Savitri di Natale Canti e Emma Liona di Antonio Lozzi, che già aveva diretto in prima assoluta rispettivamente a Bologna e a Venezia; prime cittadine furono anche quelle di Andrea Chénier di Umberto Giordano (dicembre del 1896) e di Ero e Leandro di Mancinelli (gennaio del 1898). Inoltre, presentò in prima assoluta La bohème di Giacomo Puccini il 1° febbraio 1896, Forza d’amore di Arturo Buzzi-Peccia (1897) e La Camargo di Enrico De Leva (1898). Dal dicembre del 1896 diresse anche molti concerti sinfonici, ben quarantatré in occasione dell’Esposizione generale del 1898, includendovi la prima italiana di tre dei Pezzi sacri di Verdi, con il quale a Genova aveva concordato l’esecuzione. Contattato dalla Scala su segnalazione di Boito, vi debuttò il 26 aprile 1896 dirigendo Franz Joseph Haydn, Pëtr Il´ič Čajkovskij e Wagner.
Il 21 giugno 1897 sposò Carlotta (Carla) De Martini (1877-1951), che gli era stata presentata due anni prima a Torino dalla sorella cantante: un matrimonio destinato a durare tutta la vita e dal quale nacquero quattro figli, Walter (1898-1971), Wally (1900-1991), Giorgio (1901-1906) e Wanda (1907-1998), nonostante le frequenti relazioni extraconiugali di Toscanini, fra le quali quelle con le cantanti Rosina Storchio (che gli dette un figlio: Giovanni, detto Giovannino, nato con una disabilità gravissima, 1903-1919), Geraldine Farrar ed Elsa Kurzbauer, e con la pianista Ada Colleoni Mainardi. Nel dicembre del 1898 tornò alla Scala con un contratto triennale dirigendo I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Vi propose in prima assoluta Anton di Cesare Galeotti (1900; lo stesso anno battezzò Zazà di Leoncavallo al Lirico), Le maschere di Pietro Mascagni e, nella chiesa di S. Maria della Pace, Mosè di Lorenzo Perosi (1901), Germania di Franchetti (1902) e Oceana di Antonio Smareglia (1903), e in prima a Milano Pezzi sacri di Verdi, Iris di Mascagni, Sigfrido di Wagner (1899), Eugenio Oneghin di Čajkovskij, Tristano e Isotta di Wagner (1900), Euriante di Carl Maria von Weber, Hänsel e Gretel di Engelbert Humperdinck (1902) e il terz’atto del Parsifal wagneriano (1903).
I successi si accompagnarono però a contrasti con il consiglio direttivo e talvolta a critiche della stampa per la rigidità ritmico-metrica e i tempi spediti delle sue esecuzioni. Fra i primi è da ricordare lo scontro con i dirigenti del teatro causato dal rifiuto di Toscanini di dirigere Norma di Vincenzo Bellini per la presunta inadeguatezza della protagonista (1899). Fra le seconde l’aperta ostilità manifestata da Giulio Ricordi sulla Gazzetta musicale di Milano.
Il 27 febbraio 1901 diresse il coro Va’, pensiero dal Nabucco in occasione della traslazione delle salme di Verdi e di Giuseppina Strepponi nella Casa di riposo per musicisti, e il 27 gennaio 1902, per la prima volta, la Messa da Requiem.
I contrasti con il teatro divennero però insanabili, e il 14 aprile 1903, irritato dall’insistenza del pubblico nel pretendere un bis, abbandonò prima del termine l’ultima recita di Un ballo in maschera di Verdi e partì l’indomani per Buenos Aires, dove già aveva debuttato nel 1901.
Nel 1905 diresse a Bologna la prima di Cassandra di Vittorio Gnecchi e a Torino Sigfrido per la riapertura del Regio restaurato, accompagnandone poi l’orchestra in tournée. Due gravi lutti lo colpirono nel 1906, la morte del padre e quella per difterite del figlio Giorgio. Lo stesso anno riprese l’incarico alla Scala pretendendo sostanziali modifiche: l’abbassamento della buca dell’orchestra, il divieto di replicare pezzi, la sostituzione del vecchio sipario con un velario dalle aperture laterali. Fra le novità in programma figurarono Salomé di Richard Strauss (1906; la prova generale aperta fu programmata per la vigilia della prima italiana ufficiale, diretta dall’autore a Torino), Luisa di Gustave Charpentier, Pelleas e Melisanda di Claude Debussy (1908) e in prima assoluta Gloria di Francesco Cilea (1907). Nel maggio del 1908 il suo rifiuto di includere in un concerto musiche di Gaetano Coronaro, scomparso il mese prima, portò a un nuovo scontro con la Scala. La rottura divenne inevitabile, e d’altra parte il Metropolitan di New York aveva già manifestato l’intenzione di scritturarlo. Il 16 novembre 1908 debuttò con Aida.nel teatro statunitense, dove in sette anni di collaborazione presentò in prima assoluta La fanciulla del West di Puccini (1910) e Madame Sans-Gêne di Giordano (1915), e in prima nazionale Le villi di Puccini (1908), La Wally di Catalani (1909), Germania di Franchetti, Armida di Christoph Willibald Gluck (1910), Ariane et Barbe-bleu di Paul Dukas (1911), Le donne curiose di Ermanno Wolf-Ferrari (1912), Boris Godunov di Modest Musorgskij (1913), L’amore dei tre re di Italo Montemezzi e L’amore medico di Wolf-Ferrari (1914).
Fra le parentesi lontano dagli Stati Uniti sono da ricordare: nel 1911 a Roma la prima italiana della Fanciulla del West e cinque concerti a Torino per l’Esposizione internazionale, nei quali incluse La mer di Debussy, che già aveva diretto due anni prima al conservatorio di Milano; nel 1912 il ritorno per quattro mesi a Buenos Aires; nel 1913 le celebrazioni del centenario verdiano alla Scala e a Busseto.
Nel 1914 Toscanini ebbe un aspro scontro con Puccini a proposito dell’intervento italiano a fianco della Triplice intesa. Durante la guerra diresse per beneficenza una stagione al Dal Verme, ma anche bande per le truppe al fronte, come il 31 agosto 1916 durante la battaglia dell’Isonzo, il che gli valse una medaglia d’argento al valor civile. Suscitò però polemiche la scelta d’includere autori tedeschi nei concerti correnti. A Roma nel 1916, mentre dirigeva Wagner, fu interrotto dal pubblico e abbandonò infuriato il podio: per quattro anni non tornò all’Augusteo, rinunciando anche al concerto nel quale avrebbe dovuto dirigere la prima delle Fontane di Roma di Ottorino Respighi.
Finita la guerra, per le elezioni del 1919, accettò la candidatura fra i Fasci italiani di combattimento per il collegio di Milano. La lista ottenne pochi voti, e Toscanini pose fine al proprio intervento in politica per dedicarsi alla riorganizzazione della Scala. Contribuì alla modifica dei criteri di gestione che la liberava dal vincolo di comproprietà dei palchettisti, rifondò l’orchestra e fra l’ottobre del 1920 e il giugno del 1921 la condusse in tournée in Italia e in Nord America, dove registrò i suoi primi dischi. Significativo gesto politico fu il concerto del 21 novembre 1920 nella Fiume occupata dai legionari di Gabriele D’Annunzio. Il 26 dicembre 1921 diresse Falstaff per la riapertura della Scala, avviando uno dei periodi più gloriosi nella storia del teatro, che ormai gli lasciava piena responsabilità su ogni aspetto dell’attività artistica. Alla cura nella restituzione del repertorio affiancò la consueta attenzione nei confronti delle novità con le prime di Dèbora e Jaéle di Ildebrando Pizzetti (1922), Nerone di Boito, completato sotto la sua supervisione da Smareglia e Vincenzo Tommasini (1924), La cena delle beffe di Giordano (1924), I cavalieri di Ekebù di Riccardo Zandonai (1925), Turandot di Puccini completata da Franco Alfano (1926), Fra Gherardo di Pizzetti (1928) e Il re di Giordano (1929). Nel 1926 diresse tutte le sinfonie di Ludwig van Beethoven e nella stagione seguente Fidelio, poi il 26 dicembre 1928 riprese i Mastri cantori nel trentennale del suo primo incarico stabile alla Scala. Una recita di Aida del maggio del 1929, alla vigilia della tournée a Vienna e Berlino con i complessi della Scala, fu l’ultima opera da lui diretta a Milano. A Vienna portò Falstaff e Lucia di Lammermoor, poi riprese a Berlino con Rigoletto, Il trovatore, Manon Lescaut e Aida. Dal 1926 affiancò alla direzione della Scala una collaborazione con la Philharmonic Symphony di New York, divenuta poi stabile fra il 1928 e il 1936. Nel marzo del 1930 ricevette la laurea honoris causa dalla Georgetown University e in aprile accompagnò l’orchestra in tournée in Europa. In estate diresse Tannhäuser e Tristan und Isolde a Bayreuth, primo direttore non tedesco scritturato dal festival della città bavarese dedicato a Wagner. Riprese quindi l’attività a New York e in novembre debuttò con la Philadelphia Orchestra.
Il 14 maggio 1931 a Bologna per un concerto in ricordo di Martucci, essendosi rifiutato di dirigere in apertura gli inni ufficiali, all’ingresso del Comunale fu insultato e schiaffeggiato da un gruppo di fascisti: annullato il concerto, decise che non avrebbe più diretto in Italia. Nell’estate del 1931 fu di nuovo a Bayreuth con Tannhäuser e Parsifal, ma rifiutò di tornarvi nel 1933, sebbene l’invito fosse caldeggiato personalmente da Adolf Hitler, che aveva ignorato il telegramma di protesta inviatogli da Toscanini insieme a un gruppo di musicisti contro la messa al bando degli artisti ebrei dalle orchestre tedesche. Nel 1932 a New York collaborò per la prima volta con il pianista Vladimir Horowitz, che l’anno dopo sposò sua figlia Wanda. Fra il 1933 e il 1936 fu a Parigi, Bruxelles, Budapest, Praga, Stoccolma e Copenaghen e nel novembre del 1933 a Vienna per i suoi primi concerti con i Wiener Philharmoniker, poi nuovamente diretti nel 1934 a Salisburgo. Fra il 1935 e il 1939 diresse più volte la BBC Symphony a Londra e il 20 dicembre 1936 a Tel Aviv tenne il primo concerto della Palestine Orchestra fondata da Bronisław Huberman, tornando poi a dirigerla nel 1938. Fino al 1937 fu a Salisburgo con memorabili esecuzioni di Falstaff, Fidelio, Die Meistersinger e Die Zauberflöte, ma dopo l’Anschluss decise che non sarebbe più tornato in Austria. Il 25 agosto 1938 a Tribschen diresse il concerto destinato a segnare la nascita del Festival di Lucerna, che già l’estate successiva lo invitò per sette concerti.
Dimessosi dalla New York Philharmonic, nel 1937 accettò l’invito della National Broadcasting Company (NBC) a formare un’orchestra con la quale tenere concerti diffusi via radio su tutto il territorio nazionale. Con la NBC Orchestra realizzò molte registrazioni, fra le quali le opere complete Fidelio (1944), La bohème e La traviata (1946), Otello (1947), Aida.(1949), Falstaff (1950), Un ballo in maschera (1954), e le riprese televisive di dieci concerti tra il 1948 e il 1952. Nell’estate del 1940 condusse l’orchestra in Sud America, nel 1941 diresse per la prima volta la Chicago Symphony e nell’aprile del 1942 l’ultimo suo ciclo beethoveniano con la New York Philharmonic. Divenuto un’icona dell’antifascismo, durante la seconda guerra mondiale si impegnò strenuamente nella propaganda contro l’Asse: il 19 luglio 1942 diresse la prima americana della Sinfonia n. 7 di Dmitrij Šostakovič come simbolo della resistenza contro l’aggressione tedesca e nel 1943 partecipò a un cortometraggio che celebrava il ruolo degli antifascisti italoamericani, includendovi un proprio arrangiamento dell’Inno delle nazioni di Verdi.
Alla fine della guerra tornò in Italia e l’11 maggio 1946 inaugurò la Scala restaurata con un concerto dedicato a Rossini, Verdi, Puccini e Boito. Il 5 dicembre 1949 fu nominato senatore a vita per alti meriti artistici, ma rinunciò alla carica. Diresse ancora più volte a Milano, fra l’altro nel 1948 una serata commemorativa di Boito, nel 1950 il Requiem di Verdi e nel 1952 il suo ultimo concerto scaligero con un programma wagneriano. Dopo tredici anni di assenza, tornò a Londra nel 1952 per un’integrale delle sinfonie di Johannes Brahms con la Philharmonia Orchestra; per il resto, a parte i periodi di riposo estivo in Italia, la sua vita proseguì negli Stati Uniti. Il 25 marzo 1954 rassegnò le dimissioni dalla NBC e il 4 aprile diresse l’ultimo concerto alla Carnegie Hall con musiche di Wagner: dopo aver avuto un vuoto di memoria riuscì comunque a portarlo in fondo, ma decise di ritirarsi definitivamente. Trascorse gli ultimi anni attendendo alla revisione delle proprie registrazioni.
Morì la mattina del 16 gennaio 1957 nella sua casa di Riverdale, in seguito a una trombosi cerebrale. Il 18 febbraio fu sepolto nel cimitero Monumentale di Milano.
Toscanini ha incarnato come nessun altro nella sua epoca l’immagine del moderno direttore d’orchestra. In sessantotto anni di carriera fu strenuo moralizzatore dei costumi esecutivi del melodramma, primo interprete di molte opere contemporanee, instancabile divulgatore del repertorio sinfonico e di Wagner in Italia, infine, durante il periodo statunitense, protagonista di un progetto artistico rivolto alle masse attraverso la radio e il disco. Dal primo ascolto nel 1879 dell’ouverture del Tannhäuser all’ultimo concerto del 1954, la sua vita artistica si dipanò sotto il segno di Wagner. Il suo stesso atteggiamento nei confronti della musica può essere ricondotto alla concezione wagneriana dell’arte più che a quella di Verdi, della quale pure resta interprete di riferimento. A questa, oltre ai rapporti diretti con il compositore, lo legarono le ragioni native e l’ambiente culturale, ma la natura totalizzante e l’ansia di assolutezza che contraddistinsero la sua personalità furono essenzialmente ispirate dall’ammirazione per Wagner. La celebrata oggettività di fronte alle partiture eseguite, il ferreo controllo dell’orchestra, l’inflessibile precisione e l’incalzante energia ritmica costituirono solo gli aspetti esteriori di una prepotente personalità interpretativa, peraltro non da tutti apprezzata (si ricordi il velenoso saggio di Theodor W. Adorno del 1958, Die Meisterschaft des Maestro, trad. it. nelle sue Immagini dialettiche: scritti musicali 1955-1965, a cura di G. Borio, Torino 2004, pp. 39-53). Di certo, nel coniugare rigore e passione seppe rappresentare un modello insostituibile per le generazioni successive.
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