COLONNA, Ascanio
Nacque da Marcantonio principe di Paliano, gran connestabile del Regno, il vincitore di Lepanto, e da Felice Qrsini, il 27 apr. 1560 a Marino. Quando nel settembre dell'anno 1576 il padre lo condusse al suo seguito in Spagna, era già introdotto nelle discipline filosofiche, come dimostra una sua dissertazione conservata manoscritta nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. lat. 2192, c. 29rv), da lui recitata nel palazzo del padre il 29 aprile del medesimo anno. Aveva imparato il greco e naturalmente il latino ed era stato conosciuto e apprezzato da Pio V. Nel regno iberico il C., destinato alla carriera ecclesiastica, studiò prima nell'università di Alcalà e poi a Salamanca, addottorandosi in ambedue i diritti.
Alla morte del padre, nel 1584, secondo il testamento da questo redatto nel 1569 al C. pervennero Marino e Rocca di Papa; ebbe, inoltre, il palazzo detto della Torre ai SS. Apostoli e una parte del contiguo e più antico palazzo, di famiglia.
Già abate commendatario dei monastero di S. Sofia di Benevento e membro dell'Accademia Complutense di Salamanca, il C. recitò nella sede di quest'ultima il 2 genn. 1581 un'orazione per la morte della regina, Anna d'Austria; essa fu stampata a Roma nello stesso anno (Oratio in ser.mae Annae Austriacae Hispanarum et Indiarum reginae funere ...) e dedicata a Filippo II. In essa sono tessute le lodi della defunta. Quale triste ma affettuoso dono essa è offerta al sovrano con l'augurio di superare il dolore per la morte della sposa.
Qualche anno più tardi il C. ebbe dagli accademici l'incarico di pronunciare un'altra orazione in occasione della visita fatta a quell'accademia da parte di Filippo II (Oratio ad Philippum II... habita VIII Kal. febr. cum is eo die Complutensem Academiam inviseret, Romae 1585).
Il essa il C. si dilunga ad elogiare le qualità del re, la sua osservanza verso i papi, la sua prudenza, l'equità, i suoi successi in pace e in guerra, la sua umanità, la sua liberalità, precipuamente verso i letterati. Offrendo se stesso il C. enumera quindi i meriti e la fedeltà dei suoi consorti nei confronti del re e conclude con una serie di "vivet".
La sua fama di studioso e la devozione verso il sovrano spagnolo indussero quest'ultimo a chiedere al papa un degno riconoscimento per il dotto e giovane abate e Sisto V non mancò di dare risposta favorevole a queste richieste il 18 marzo 1586. Nella promozione del 16 novembre 1586, infatti, il C. divenne cardinale diacono.
Intanto il re non ancora al corrente dell'elezione scriveva di nuovo al papa, affidando la missiva allo stesso C., che si mise in viaggio verso Roma. Raggiunto dalla notizia della nomina durante il viaggio, ricevette a Genova la berretta e probabilmente in questa occasione A. Bracchi gli rivolse un'apostrofe, poi data alle stampe (Pro electione A. C. card. ampl. oratio, Genuae 1587). Il 17 febbr. 1587 il C. giunto a Roma riceveva il cappello cardinalizio e il 25 gli veniva assegnato il titolo dei SS. Vito e Modesto in Macello Martyrum. Due giorni prima il papa aveva scritto a Filippo II che il suo desiderio riguardo al C. era stato esaudito, auspicando che quest'ultimo si facesse onore per le sue doti, che avevano trovato nel re un "tanto testimonio".
Il ritorno nell'Urbe dette occasione al C. di scrivere un'altra orazione: Oratio ad Sixtum V P. M. de suo in Urbem reditu ad cardinalatus insigna suscipienda, che fu edita a Roma nel 1773, a cura di Stefano Borgia, in Anecdota litteraria..., I, pp. 75-114 ed anche in tiratura a parte.
In essa l'autore esprime la sua riconoscenza per la Spagna che lo ha allevato come suo figlio e tuttavia la sua gioia per il ritorno nella terra degli avi, tanti dei quali servirono la Chiesa; egli proclama la sua felicità di tornare a Roma, in Curia, presso il grande papa che è Sisto V.
Il 5 dic. 1588il C., che nello stesso anno era divenuto arciprete della basilica di S. Giovanni in Laterano, passò al titolo di S. Niccolò in Carcere Tulliano.
Il 4 giugno egli aveva acquistato la biblioteca del card. Guglielmo Sirleto, con il quale il C. era stato in relazione almeno dal 1581 (Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat. 6180, c. 28; 6194, cc. 184, 216). Questi era morto tre anni prima e il re di Spagna stesso era stato a lungo in trattative per acquistare almeno una parte della biblioteca. Essa constava di circa settemila volumi, fra manoscritti e stampati greci e latini, oltre ad alcuni ebraici, arabi, armeni.
Non sappiamo se il C. possedesse già un nucleo di libri, cui aggiunse quest'importante raccolta; certo non si ha testimonianza di una sua precedente biblioteca. Anche se secondo S. Borgia egli avrebbe trasportato a Roma, peraltro in epoca imprecisata, codici e documenti del monastero di S. Sofia di Benevento, di cui era abate commendatario, che sarebbero stati recuperati alla sua morte da Paolo V per la Biblioteca Vaticana. Non si sa quindi se questi manoscritti fossero già in casa sua o, benché non suoi, egli li aggiungesse in seguito alla sua biblioteca; certo egli un mese circa dopo l'acquisto dei libri del Sirleto stava approntando nel suo palazzo delle stanze per accogliere la sua libreria. È noto che essa fu frequentata da Cesare Baronio, da Latino Latini, da Giovan Battista Stella. Non doveva comunque essere sistemata in modo egregio, se all'inizio del nuovo secolo egli, prima di partire per la Spagna, dispose che i libri fossero posti in uno o due stanzoni dei piani superiori della sua casa, perché "siriavessero dall'umido" (Bibl. Apost. Vaticana, Barb. lat. 5366, c. 201).
Il C. era anche in relazione con Fulvio Orsini e nell'aprile dello stesso 1588era sembrato che questi volesse passare al servizio del C., ma ciò non avvenne e bibliotecario della libreria divenne Pompeo Ugoni, che nella sua Historia delle stationi di Roma, Roma 1588, p. 81, definiva il cardinale da cui dipendeva: "miracolo di natura al mondo, così per l'animo generoso et degno della sua somma nobiltà, come per il divino ingegno et facondo stile et in sì fresca età cognizione maravigliosa d'ogni sorte di lettere e di scienza".
Il 12 giugno 1589 egli fece redigere un documento di protesta, in cui si diceva costretto dal papa a vendergli il palazzo della Torre ai SS. Apostoli (ricevuto in eredità dal padre) per 15.000 scudi, benché il palazzo fosse stato stimato del valore di 40.000. Intendeva con questo atto precostituirsi la possibilità di rescindere in futuro il contratto di vendita.
L'anno successivo il C. prese posizione contro l'edizione sistina della Vulgata e della famosa bolla con cui il papa volle presentarla ai fedeli. Egli la criticò verbalmente e secondo H. Höpfl (Beiträge zur Geschichte der Sixto-Klementinischen Vulgata, Freiburg 1913, p. 154), anche per iscritto, presentando un parere al papa.
Passato il 14 genn. 1591al titolo di S. Maria in Cosmedin, il C. fece parte con altri quattro cardinali, nello stesso periodo, della Congregazione dell'Indice.
Nella controversia che nel medesimo anno schierò una parte dei cardinali contro Gregorio XIV nella questione della successione di Alfonso II d'Este, il C. fece parte della commissione di tredici cardinali incaricata di esaminare se la bolla di Pio V, che vietava l'alienazione dei feudi della Chiesa e che i cardinali dissidenti invocavano., riguardasse anche il caso di questa successione, che il papa voleva cadesse sul filospagnolo Filippo d'Este. Si schierò dalla parte della maggioranza, che ritenne la bolla pertinente al caso in questione, anche se il papa non tenne conto del parere espresso dalla commissione.
Eletto e consacrato Innocenzo IX, il C. accolse, il 6 o l'8 nov. 1591, questo papa nella basilica lateranense per la cerimonia del possesso. Il 12 apr. 1592 ripeté il rito per Clemente VIII. Durante il conclave per l'elezione di quest'ultimo il C. aveva dichiarato clamorosamente la sua opposizione al candidato spagnolo, Giulio Antonio Santori, in modo un po' contraddittorio per lui che aveva avuto la Spagna quale seconda patria.
Da quell'anno tenne per qualche tempo la carica di probibliotecario della Biblioteca Vaticana, di cui era allora cardinale protettore il parente Marcantonio. Di lui si conservano alcuni ordini relativi a varie provvidenze pratiche riguardanti la nuova sistemazione della biblioteca nel salone sistino. Fece preparare, inoltre, una specie di avvertimento concernente i modi e i tempi di servizio per gli ufficiali della biblioteca, scritto forse da Fulvio Orsini e ritoccato probabilmente da Latino Latini.
Due anni più tardi il C. divenne priore di Venezia dell'Ordine gerosolimitano. Era già abate di Subiaco dal 1592, per rinuncia del cardinale Marcantonio ed il soggiorno in quell'abbazia gli dette occasione di scrivere delle composizioni poetiche.
Ce ne sono pervenute tre, conservate nel codice della Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 2074, cc. 12-30. Di esse una è un'ode in latino (De Sublacensis solitudinis fructu), in cui è descritto il sito ove sorgeva l'abbazia, la pace dei luoghi, la cui bellezza e solitaria maestà ispiravano la quiete e la serenità dell'animo; la seconda, è simile alla prima, ma in italiano; la terza è una canzone, anch'essa in italiano, di otto stanze in lode ed esaltazione di s. Benedetto. Benché non molto originali nella forma di stile petrarchesco, esse sembrano comunque far trasparire un sentimento sincero e una ispirazione sentita.
Il 13 sett. 1598 moriva Filippo II. Il C. non lasciò passare quest'occasione senza comporre un'orazione. Egli, rimasto grato al re che gli aveva procurato il cappello, in fondo rimproverava al sovrano di non aver continuato ad elargirgli grazie.
Comunque l'Oratio in funere Philippi II catholici... regis... (Romae 1599) è tutta una tessitura di lodi per il grande sovrano, di cui racconta la vita e le opere ed enumera le doti, fra cui primeggiano la prudenza, la pietà, il valore; dopo un'apostrofe a Filippo III l'operetta termina, ancora una volta, con una serie di entusiastici "vivet".
Maturava intanto nell'animo del C., che il 19 dic. 1599 era passato al titolo di S. Pudenziana, la convinzione che il suo talento non fosse abbastanza apprezzato e utilizzato a Roma e che egli avrebbe potuto ottenere dalla casa di Spagna, di cui era stato sempre devoto, qualche riconoscimento. Intendeva perciò lasciare l'Urbe e portarsi alla corte di Filippo III e l'occasione per farlo gli fu porta dalla morte prematura di un cognato, l'almirante di Castiglia.
Ottenuta licenza da Clemente VIII, che concedendogliela con riluttanza gli raccomandò di avere cura del suo onore e di quello del Sacro Collegio in una nazione superba quale era la Spagna, il C. cercò di raccogliere quanti più denari poteva, non riuscendo però a mettere insieme che 10.000 scudi. Inoltre, convinto di mancare dall'Italia qualche anno, lasciò la sorella Costanza pienamente responsabile di ogni suo affare (Bibl. Apost. Vaticana, Barb. lat. 5366, cc. 197-201), affidò al vescovo di Teano l'amministrazione degli affari di S. Giovanni in Laterano e la cura dei suoi libri e ridimensionò la corte di Roma. Si pose in viaggio il 29 sett. 1600 e dopo una sosta a Bracciano presso Virginio Orsini, giunse a Livorno il 5 ottobre, ottenendo dal granduca Ferdinando di poter viaggiare sulle galere che conducevano in Francia Maria de' Medici. A Savona prese di nuovo il mare nel convoglio del connestabile di Castiglia con una galera concessagli dalla Repubblica di Genova. Dopo varie tappe, fra cui quella di Marsiglia, ove ricevette la visita di alcuni cardinali, arrivò a Barcellona e qui fu riceyuto dal viceré e visitato dalle autorità. Dopo essersi fermato al monastero di Monserato e a Saragozza, il 28 novembre il C. giunse a Valladolid, dove poco dopo arrivava la corte.
Sistemati in qualche modo gli affari di famiglia, il C. sollecitò dal re un segno della sua benevolenza: fu nominato viceré d'Aragona. Inviò allora dal papa Alessandro Tassoni, che era al suo servizio dal 1599 e che vi sarebbe rimasto fino al 1603, per ottenerne licenza di accettare l'incarico e per poter "amministrare giustizia nelle cause criminali". Rimase a coprire quella carica dal 1602 al maggio del 1605, quando tornò a Roma, avendo constatato che si trattava di un ufficio più dispendioso che remunerativo. Durante questo periodo scrisse un Memoriale sullo stato della città di Saragozza, in spagnolo (Arch. Colonna).
A lui, quale cardinale protettore della Fiandra, in quell'anno Teodoro Ameyden dedicò la dissertazione pubblica, che tenne nel Collegio Romano dopo aver ivi studiato per tre anni filosofia.
Nel novembre il C. partecipò di nuovo alla cerimonia del possesso in S. Giovanni in Laterano, accogliendovi Paolo V. L'orazione pronunciata in quell'occasione fu edita nel 1802 da F. Cancellieri (pp. 170 s.).
Nel dicembre del 1605 Cesare Baronio pubblicò il tomo XI dei suoi Annali della Chiesa, che alle pp. 677-710 trattava dei problema giuridico-politico della monarchia sicula. L'autore offrì il volume al C. e lo pregò di esprimere un'opinione riguardante l'argomento. E il C. rispose al Baronio, che pure aveva sostenuto di aver trattato della legazia sicula per incarico e in accordo con il papa, ponendosi tutto dalla parte dei re di Spagna.
La controversia che opponeva il pontefice al sovrano spagnolo era già iniziata alla fine degli anni Settanta del secolo precedente. Il Baronio aveva fatto proprie le ragioni che la Curia opponeva al re, sostenendo con veemenza parecchie argomentazioni per negare la validità giuridica della legazia. Il C. non ribatté le singole affermazioni del Baronio, condannò piuttosto l'irruenza e la mancanza di modestia dell'autore. Non si doveva dimenticare che ci si riferiva a un re nato da piissima progenie, educato religiosamente nel timor di Dio, nella probità dei costumi, nell'osservanza della fede. Ed egli si dichiarava pronto "pro viribus" a difendere e sostenere questo monarca. Questa risposta al trattato del Baronio fu stampata, morti ormai il C. e il Baronio, a Parigi nel 1609 insieme con il trattato stesso e con la risposta del Baronio (C. Baronio, Tractatus de monarchia Siciliae. Accessit Ascanii card. Columnae de eodem tractatu iudicium. Cum eiusdem... Baronii Responsione apologetica).
Trasferito il 30 genn. 1606 al titolo di S. Croce in Gerusalemme, il C. il 5 giugno del medesimo anno divenne cardinale vescovo prenestino. Era anche protettore del Regno di Napoli e dell'abbazia di Montevergine.
Si era andata sviluppando intanto la controversia fra il papa e Venezia, che aveva portato alla scomunica della città. Il C. intervenne pubblicamente due volte.
Fu pubblicata infatti una sua lettera a Paolo V, insieme con altre tre, di cui una del cardinale Baronio (Ad Paulum V P. M. Epistolae IIII clar. Italiae iuris consultorum paraeneticae quibus iustitia causae Venetae pontificiae censurae nullitas ac belli incomoda proponuntur, Phinopoli 1606). In essa il C. condanna l'atteggiamento veneziano di ribellione contro la madre Chiesa. Venezia aveva promulgato leggi che non potevano essere tollerate dal sommo pontefice. Occorreva un rimedio. Nella sua Contra Reip. Venetae episcopos Sententia (Romae 1606) il C. espresse una netta condanna contro i vescovi veneti che avevano accettato le imposizioni dell'autorità civile. I presuli non avrebbero dovuto soccombere alla paura, perché si deve preferire la morte a una vita ingloriosa e nessuno può essere scusato dei suoi errori a causa del timore. Una gloria immortale compensa una vita che si oppone alla volontà dei tiranni, la quale del resto è volontà di Dio, come la santità dei martiri. Nessuna scusante dunque per i vescovi che, obbedendo all'autorità dogale, non hanno pubblicato l'interdetto.
La salute del C., che del resto non era stata mai molto buona, andava però declinando e il 14 giugno 1607 fece testamento.
Lasciò erede universale il pronipote Marcantonio e legò invece i mobili, le gioie e la biblioteca al capitolo lateranense, che avrebbe dovuto vendere tutto per soddisfare i legati perpetui e temporanei da lui istituiti.Il C. morì a Roma, nella propria abitazione, il 17 maggio del 1608, lasciando un figlio solo, naturale, Marino. Il suo corpo venne seppellito nella basilica lateranense.
Dopo la sua morte fra la famiglia e il capitolo sorse una controversia, che fu risolta da due transazioni, una del 1608 stesso e una del 1614, con cui i Colonna si impegnarono a pagare 750 scudi annui al capitolo. La biblioteca fu venduta il 6 ag. 1611 al duca Giov. Angelo Altemps e finì più di un secolo dopo alla Vaticana.
Il C. scrisse anche, in latino, un discorso sulle reliquie di S. Giovanni in Laterano (Archivio Colonna).
A.Valier gli dedicò il suo De consolatione Ecclesiae (edito poi a Roma nel 1795) e G. Castiglione un'Ode (Roma 1590). T. Ameyden (il cui figlio primogenito fu battezzato il 9 apr. 1607 col nome di Ascanio in suo onore) scrisse per lui uno dei suoi Elogia, che fu però contraddittoriamente poco elogiativo; in esso si pungevano infatti la superbia e l'avarizia del C., che secondo l'autore superarono ampiamente ogni sua virtù.
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