GESUALDO, Ascanio
Nacque a Napoli nella seconda metà del XVI secolo da Michele e da Maria Caracciolo. Accolto tra i referendari apostolici delle Segnature di grazia e di giustizia nel 1609, il 1° luglio 1613 fu creato arcivescovo di Bari al posto del congiunto Decio Caracciolo, cumretentione della abbazia benedettina di S. Lorenzo a Cuenca. Rappresentato dal vicario N.M. Carducci, prese possesso della sede all'indomani della nomina, il 27 luglio, ma raggiunse Bari solo il 1° febbr. 1614. La permanenza nella diocesi fu assai breve: già nel gennaio 1615, infatti, il G. ripartiva per Roma, dove forse si proponeva di seguire meglio un contenzioso in atto tra la diocesi e l'abate del monastero di S. Nicola, contenzioso su cui era stata richiamata anche l'attenzione del viceré, il conte di Lemos. A Roma, però, in quei mesi, Paolo V decideva di inviare il G. a Bruxelles, dove in qualità di nunzio in Fiandra avrebbe rappresentato il pontefice presso gli arciduchi reggenti Alberto e Isabella d'Asburgo. La nomina fu ufficializzata il 24 ott. 1615 e all'inizio di dicembre il G. raggiunse la nuova sede.
L'incarico era di notevole importanza, tanto che Guido Bentivoglio, il predecessore del G., l'aveva definito "una delle più belle scuole di negotij del mondo" (R. Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea del suo tempo, 1607-1621, Padova 1962, p. 59).
I Paesi Bassi spagnoli, infatti, per la loro appartenenza al dominio asburgico e per la collocazione geografica, costituivano un vero e proprio crocevia diplomatico e costringevano i nunzi a occuparsi dei rapporti internazionali e, di conseguenza, della politica interna di Spagna, Francia, Inghilterra, Impero e Province Unite. Una relazione contemporanea conferma il prestigio della legazione fiamminga, soprattutto in occasione di conflitti bellici, e giudica che le qualità del G. - "per sua natura rimesso e quietissimo" (Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 4592, c. 80v) - si sarebbero ben conciliate con quelle della carica, pur esprimendo il dubbio che egli non disponesse di adeguate risorse finanziarie.
La nunziatura del G. seguiva quella ultradecennale e particolarmente luminosa di G. Bentivoglio - che avrebbe continuato a seguire con autorevolezza gli affari in Fiandra, specialmente dopo la nomina, nel settembre del 1616, a nunzio di Francia: così le istruzioni che il G. ricevette alla vigilia della partenza erano state tessute sull'ordito delle ricche informazioni e dell'esperta pratica politica del predecessore. Il memoriale del cardinal nipote Scipione Caffarelli Borghese ricordava al G. che, tra i suoi compiti, il principale sarebbe stato difendere e alimentare quello spontaneo rifiorire del cattolicesimo fiammingo che grandi soddisfazioni stava dando al pontefice. Nelle province "obbedienti", infatti, grazie anche alla buona disposizione e al concreto aiuto degli arciduchi reggenti, "le cose di religione [erano] in assai buon termine" (Arch. segr. Vaticano, Fondo Borghese, II, 442, c. 42); perciò era necessario non discostarsi dalla strada intrapresa dal Bentivoglio, prodigandosi per garantire la tutela degli interessi dei cattolici e la visibilità dei ministri.
Un senso d'allarme per quell'area fedele a Roma, ma troppo vicina alle zone riformate serpeggia nel testo e si evidenzia alla lettura delle istruzioni particolari: da una parte, infatti, il G., con l'aiuto dei vescovi, avrebbe dovuto mantenere la disciplina all'interno della struttura ecclesiastica. Ciò significava soprattutto controllare l'applicazione dei decreti tridentini; ottenere l'osservanza della clausura dei monasteri femminili e, data la sistematica penuria di sacerdoti, porre un freno ai continui contrasti e alle divisioni che attraversavano il mondo religioso maschile, secolare e regolare; infine, assicurare la presenza dei ministri, evitando lunghe vacanze delle sedi episcopali e sollecitando le nomine di vescovi spettanti ai principi. D'altra parte, il G. avrebbe dovuto impedire ogni possibile contaminazione eretica, tenendo sotto controllo la produzione e la circolazione delle opere stampate e sorvegliando la colonia di mercanti inglesi ad Anversa.
Accanto ai compiti ecclesiastici, le istruzioni ricordavano gli impegni eminentemente diplomatici, avanzando raccomandazioni e richieste dettagliate, dati la complessità e l'intrico della situazione internazionale. Anche senza avere responsabilità dirette, il G. avrebbe dovuto inviare informazioni ed eventualmente agire sul nodo di relazioni che stringeva in modo trasversale sovrani e predicatori, ambasciatori e pastori, cattolici, calvinisti e anglicani degli Stati vicini, e che aveva trovato un terreno di espressione nello scontro sulla successione al Ducato di Jülich-Kleve; su tale questione il nunzio avrebbe dovuto sostenere in ogni circostanza il conte palatino Wolfgang Wilhelm von Neuberg, uno degli aspiranti, di recente convertitosi alla fede romana.
Ciò che di rilevante rimase dei diciannove mesi della nunziatura del G. fu, innanzitutto, uno sforzo concreto per l'introduzione della clausura. Ottimista all'inizio - grazie anche alle ripetute manifestazioni di consenso degli arciduchi e dei vescovi - e convinto della favorevole disposizione dell'ambiente monastico all'applicazione della misura, il G. cambiò idea col passare del tempo, sia per le opinioni che intanto era andato raccogliendo, sia per i risultati emersi da un'inchiesta che aveva condotto tra i presuli, arrivando a convincersi, proprio a ridosso della conclusione del suo incarico, dell'opportunità di prevedere interventi individuali per ogni diocesi. Durante la nunziatura non mancò, inoltre, di difendere le prerogative episcopali dalle pretese di controllo del Consiglio di Stato, appellandosi alla tradizione e alla prassi instaurata con i predecessori, e contemporaneamente cercò di ottenere che i nuovi titolari di benefici concessi con nomina regia richiedessero sempre l'approvazione di Roma, consapevole che questa procedura formale avrebbe fornito alle casse pontificie un notevole introito. Apprezzatissimo, tanto da essere auspicato anche nel suo successore, fu il costante e puntuale flusso di informazioni che, attraverso lettere o "Avvisi", il G. fornì a Roma e che sembra essere la più evidente manifestazione del suo impegno nella politica internazionale. Bisogna tuttavia tenere conto della brevità del suo incarico - come d'altronde accadde anche ai suoi due successori - e del carattere di continuità che necessariamente si stabilì con l'opera del predecessore e che dipese, in misura sostanziale, dal perdurare di situazioni politico-religiose, interne ed esterne al paese, che il G. ereditò e trasmise senza poter contribuire a una loro reale trasformazione.
Il 17 giugno 1617 il G. fu trasferito alla nunziatura presso l'imperatore Mattia d'Asburgo: informandolo, il segretario di Stato poneva in luce le superiori difficoltà cui sarebbe andato incontro, soprattutto a causa dei delicati problemi della successione imperiale. Per il G. la nuova sede avrebbe comportato solo una differente prospettiva dalla quale considerare le questioni internazionali che aveva affrontato nel biennio precedente, seppure notevolmente amplificate dalla particolare condizione istituzionale dell'Impero e dalle tensioni religiose.
Una volta arrivato a Bruxelles l'arcivescovo di Otranto Lucio Morra, il G. raggiunse l'imperatore a Praga senza passare per l'Italia.
La nunziatura si svolse in coincidenza con due eventi di grande portata, strettamente collegati: la successione imperiale e l'inizio della guerra dei Trent'anni (la fase boemo-palatina).
Le manovre per la designazione dell'erede di Mattia precedevano l'arrivo del nunzio, risalendo almeno al 1615: ne erano protagonisti il potente e discusso cardinale M. Klesl, cui l'imperatore, malato e anziano, aveva affidato ogni responsabilità di governo, e l'ambizioso arciduca, il cattolico Ferdinando d'Asburgo duca dell'Austria Interiore. Costui, proprio all'inizio del giugno 1617, era riuscito a ottenere dalla Dieta boema il consenso a succedere a Mattia sul trono di San Venceslao: un riconoscimento che era parte della politica abilmente studiata dai rappresentanti spagnoli a Praga, prima Baldassarre de Zuñiga, poi il conte di Oñate. Il loro obiettivo era portare Ferdinando sul trono imperiale e per questo stipularono un accordo segreto con l'arciduca, il quale si assicurò l'appoggio degli Asburgo di Spagna in cambio della sovranità sui feudi dell'Alsazia fondamentali dal punto di vista militare. Ma per potersi sentire del tutto sicuro del buon esito della futura elezione, a Ferdinando mancava ancora la formale decisione di Mattia. La nomina del successore dell'imperatore era un evento atteso in tutto l'Impero, ma incontrava l'ostruzionismo del cardinale M. Klesl, che, considerando opportuna una politica conciliante verso le confessioni riformate dell'Impero, era seriamente preoccupato delle conseguenze dell'elezione del campione degli interessi cattolici e intendeva costruire un accordo tra tutti i principi Asburgo. Fin dal suo arrivo il G. si trovò totalmente coinvolto nella lotta per la convocazione della Dieta imperiale; il comportamento del cardinale appariva incomprensibile: dopo aver promesso di indire l'assemblea degli elettori per la candelora del 1618, Klesl la annullò, sotto mille pretesti, e la rinviò sine die. Ferdinando, l'arciduca Massimiliano di Baviera, l'ambasciatore di Spagna riferivano esasperati al G. le ambigue manovre del cardinale, avanzavano terribili sospetti di doppio gioco, sollecitavano il papa, attraverso il nunzio, a richiamare a Roma il cardinale, dicendosi convinti che ciò avrebbe comportato l'immediata soluzione della questione e prospettando allo stesso tempo i rischi cui si stava esponendo l'ecclesiastico con il suo comportamento intransigente; ma ogni seria ed esplicita pressione del G. su Klesl affinché indicesse la Dieta andò incontro al fallimento.
Nel maggio 1618 Ferdinando migliorò la propria posizione ottenendo anche la corona d'Ungheria; ma contemporaneamente, il 25 maggio, i nobili protestanti boemi, guidati dal conte di Thurm, insorsero a Praga, defenestrando i rappresentanti imperiali. Questo evento aprì la crisi precipitata nella guerra dei Trent'anni, che in questa prima fase, mentre si andava configurando il quadro delle alleanze internazionali, assunse una dimensione tutta interna all'Impero.
Il G., sostanzialmente impotente di fronte agli avvenimenti e ininfluente sui loro protagonisti, vide moltiplicarsi le questioni: in Boemia gli insorti avevano cacciato i gesuiti e ogni prelato cattolico. In luglio l'arresto del cardinale Klesl da parte di Ferdinando e Massimiliano d'Asburgo dette il senso del mutamento che lo stato di guerra aveva introdotto nella normale gestione dei conflitti politici e Roma decise, a seguito della relazione del nunzio, di inviare come commissario Fabrizio Verospi, mentre il G. si sarebbe occupato di tutte le questioni lasciate in sospeso dal cardinale e della mediazione tra la S. Sede e i principi cattolici; contemporaneamente si definivano gli accordi tra l'imperatore e il papa sull'aiuto finanziario che quest'ultimo avrebbe fornito per la difesa dei cattolici. Nel marzo 1619 Mattia morì e il 28 agosto Ferdinando - che due giorni prima i Boemi avevano deposto preferendogli Federico V, l'elettore palatino capo dell'Unione evangelica - fu eletto imperatore a Francoforte. Egli si dimostrò molto più insistente del predecessore nel sollecitare gli aiuti promessi dal papa e nel tentare di ottenerne in maggiore quantità. Nel corso del 1620 il G. si occupò soprattutto di mediare tra le pressanti richieste che l'imperatore avanzava e le risposte forzatamente negative del pontefice, e di impedire che venisse inviata a Roma una delegazione imperiale guidata da Paolo Savelli. Ma nella situazione incerta della guerra, il G. doveva consigliare l'imperatore sulle decisioni più opportune da prendere: nel gennaio 1620 riuscì a persuadere Ferdinando a mantenere un atteggiamento intransigente di fronte ai protestanti austriaci, piuttosto che cercare la divisione dello schieramento riformato attraverso concessioni. L'anno della reazione dei cattolici culminò nella vittoria della Montagna Bianca (8 nov. 1620), che permise la riconquista della Boemia e avviò il processo di ricattolicizzazione dei territori insorti, ultima questione con cui il G. si misurò nel corso del 1621.
L'elezione di Gregorio XV provocò mutamenti sostanziali nell'organigramma pontificio e ne fu vittima anche il Gesualdo. Tornò pertanto a Bari, il 19 marzo 1622, insignito del titolo di patriarca di Costantinopoli, ottenuto a Vienna il 25 giugno 1618. Da questo momento il G. si dedicò esclusivamente all'attività episcopale, la cui traccia più rilevante rimase nei sinodi diocesani del 1624 e del 1628 e in quello provinciale dello stesso anno.
Morì a Bari il 27 genn. 1638 e fu sepolto nel duomo.
Fonti e Bibl.: Bari, Arch. capitolare, Sinodo provinciale di Ascanio Arcivescovo Gesualdo menato a fine nel novembre 1628; Arch. segr. Vaticano, Acta Camerarii, 14, c. 247v; 15, c. 100; Arm. XV, 124; Arm. XLV, 11, cc. 49-59; 12, cc. 18v-25; 124; 145; Fondo Borghese, II, 3, c. 216; 102; 113; 116, cc. 366, 369; 137; 143; 156; 339; 340; 365, cc. 117-134; 403; 428, cc. 203 ss.; 442; III, 12, c. 239; Nunziatura di Fiandra, 12; Nunziatura di Germania, 26, cc. 233-318; 114, c. 33rv; 443, cc. 437-625; 761; Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 4592, c. 80v; 6924; 6925; 7573, cc. 3-11; Borg. lat. 32, c. 43; Vat. lat. 12531, cc. 2v-75v; 14093, c. 247; A. Cauchie - R. Maere, Recueil des instructions genérales aux nonces de Fiandre (1596-1635), Bruxelles 1904, pp. 36-56; Correspondance de nonces G., Morra, Sanseverino avec la secretairie d'État pontifical (1615-1621), a cura di L. van Meerbeeck, Bruxelles 1904; Documents relatifs a l'admission aux Pays-Bas des nonces et internonces des XVIIe et XVIIIe siècles, a cura di J. Lefevre - P. Lefevre, Bruxelles-Rome 1939, pp. 28-30; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 358 s.; F. Ughelli, Italia sacra…, VII, Venetiis 1721, coll. 664-666; M. Garruba, Serie critica de' pastori baresi, I, Bari 1844, pp. 364-375; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili, II, Napoli 1875, p. 56; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 268; A. Pasture, Inventaire du Fonds Borghèse au point de vue de l'histoire des Pays-Bas, in Bullettin de la Commission royale d'histoire, LXXIX (1910), ad nomen; Id., La restauration religieuse aux Pays-Bas catholiques sous les archiducs Albert et Isabelle (1596-1633), Louvain 1925, ad nomen; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX et prelati signaturae supplicationum a Martino V ad Leonem XIII, Città del Vaticano 1931, p. 246; W. Brulez, Le budget de la Nonciature de Fiandre au XVIIe siècle, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XXVII (1952), p. 69; L. von Pastor, Storia dei papi, XI-XII, Roma 1958-62, ad indices; Sinodi diocesani italiani. Catalogo bibliografico degli atti a stampa, 1534-1878, a cura di S. da Nadro, Città del Vaticano 1960, p. 154; L.E. Halkin, Les archives des nonciatures, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XXXIII (1961), p. 666; P. Gauchat, Hierarchia catholica…, IV, Monasterii 1935, pp. 110, 162.