PIGNATELLI, Ascanio
PIGNATELLI, Ascanio. – Nacque a Napoli, probabilmente intorno al 1533, nel seggio di Nido, dall’unione tra il marchese Scipione e la seconda moglie, Isabella Caracciolo.
Dopo i primi studi fu mandato a Padova per perfezionare la sua cultura classica e addottorarsi in utroque iure. Nella città del ‘filosofo della retorica’ Sperone Speroni e dell’aristotelismo eterodosso (dove Pignatelli ebbe modo di accostarsi alle prime riflessioni sulla ‘locuzione artificiosa’, della quale i letterati napoletani avrebbero poi rivendicato a Tasso il primato e a loro stessi l’eredità) rimase fino al 1566 ed entrò in rapporti, tra gli altri, con Torquato Tasso e il veneziano Celio Magno.
Nel 1561 un suo sonetto fu incluso nella raccolta Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo (Venezia, D. e G. B. Guerra, 1561, p. 6). Una canzone e tre sonetti di Ascanio, celato sotto lo pseudonimo di Adombrato, furono poi accolti tra le Rime de gli Academici Eterei ([Venezia] [1567?]), unica pubblicazione che attesti l’operosità del sodalizio. Dopo essersi addottorato, il 27 luglio 1566, tornò a Napoli, dove si dedicò all’esercizio delle armi. Nel 1571 ereditò dal padre il comando di una compagnia di cavalleria pesante e, al servizio della Corona di Spagna, combatté in varie campagne, tra le quali quella marittima contro i Turchi (Tommaso Costo, che fu segretario di Scipione Pignatelli dal 1581 o 1582, riferisce che nel 1572 Pignatelli si sia distinto nella battaglia di Navarino) e nelle Fiandre al seguito di Alessandro Farnese (probabilmente all’inizio degli anni Ottanta).
L’8 settembre 1576, a Napoli, sposò Lucrezia di Capua, dalla quale, come risulta dalle ricerche anagrafiche di Luigi Ammirati (1966, pp. 67-69), avrebbe avuto dieci figli (l’ultima, Lucrezia, nata il 19 dicembre 1601, nove mesi dopo la morte del padre), sebbene i precedenti biografi attribuiscano alla coppia cinque o sei figli. Il primogenito Francesco nacque nel 1577, due anni dopo nacque Diana, che fu monaca con il nome di Maria Teresa nel convento di S. Andrea. Nel 1579, a Napoli, il fratello minore Muzio (anch’egli dilettante di poesia oltre che uomo dai molteplici interessi letterari e scientifici), celebrato da Pignatelli nell’ultima fra le quattro canzoni presenti nelle sue Rime (Napoli, G.T. Todino, 1593), cadde da cavallo e perse la vita durante un torneo in onore della principessa di Bisignano.
Pignatelli è menzionato tra i «cavalieri et gentil’huomini» napoletani che nel febbraio del 1583 costituirono l’Accademia dei Sereni Ardenti (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., X.A.16, c. 52v) e nel 1584, in virtù delle sue affermazioni militari, ottenne da Filippo III di Spagna il collare dell’Ordine militare di S. Giacomo della Spada. Nel febbraio 1585 il viceré gli affidò l’allestimento di due galere, l’Idra e la S. Andrea. Nello stesso anno contribuì con tre sonetti encomiastici di pregevole fattura al florilegio di Rime et versi in lode della Signora Giovanna Castriota Carafa Duchessa di Nocera (Vico Equense, G. Cacchi, 1585, pp. 18 s.). Circa un anno dopo fu coinvolto nella fondazione dell’Accademia degli Svegliati assieme con Giulio Cortese.
Nel 1588, al comando di una compagnia di fanti, fu inviato a presidiare le fortificazioni di Nola, città in cui, forse con brevi intervalli, rimase con la sua famiglia almeno fino al 1594 e dove nacquero i figli Alessio Scipione nel 1588 e Marcello nel 1591. All’inizio del 1592 non mancò di ricevere Tasso a Napoli insieme con i principali letterati cittadini e in aprile acquistò la città di Bisaccia con regio assenso, ottenendo il titolo di barone.
Nel 1593 il pugliese Giovan Battista Crispo, giovane di famiglia borghese trasferitosi a Napoli, convinse Pignatelli a raccogliere le sue rime per darle alle stampe, per i tipi di Giovanni Tommaso Todino.
Il canzoniere pignatelliano (composto da 123 sonetti, 4 canzoni e 2 madrigali) pare organizzato secondo un disegno che comprende un sonetto proemiale e uno conclusivo intesi a sottolinearne una forma compiuta e tracciare i confini di un itinerario esistenziale. Nella ricerca di uno stile grave, concettualmente denso e tutt’altro che incline a un’agevole musicalità, il poeta manifestò un notevole interesse per la lezione di Della Casa, come attesta il sonetto prefatorio all’editio princeps composto da Giulio Carafa, in cui vengono sottolineati i pregi della poesia di Pignatelli. Le liriche paiono adattare il modello petrarchesco a contenuti in buona parte nuovi e rivelano l’influsso di esperienze culturali e filosofiche maturate allo Studio patavino prima e nella Napoli telesiana poi, dai dibattiti sull’averroismo a quelli sorti nel nuovo clima sensista.
Le Rime appaiono disposte per blocchi tematici (come il ciclo di sonetti LXXV-LXXXI «sovra la sua lunga infermità», incentrato sul tema convenzionale della riflessione religiosa come conseguenza della malattia; quello rappresentato dai testi XLIV-XLV sugli amori sensuali corrisposti; i sonetti CVII-CVIII sulla morte degli amanti adulteri, la tragica e celebre vicenda di Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa) e i testi, pur perseguendo nel complesso le canoniche tappe della lirica erotica, rispondono essenzialmente alla logica del virtuosismo e dell’artificio poetico. Le liriche cui è possibile attribuire una datazione credibile (dalla canzone in morte del fratello Muzio al sonetto XCVI per la ferita di Alessandro Farnese a Cau de Bec, che ha come termine ad quem il dicembre 1592, quando il duca di Parma morì) si collocano nello spazio di poco più di un decennio, durante il quale gli interessi letterari di Pignatelli prevalsero forse sugli impegni militari. È probabile che negli anni Ottanta gli oneri della milizia si siano gradualmente ridotti, consentendogli di frequentare gli ambienti letterari della capitale e dedicarsi all’elaborazione del suo canzoniere.
Nel 1603, a Vicenza, fu pubblicata una nuova edizione delle Rime, esemplata sulla precedente con l’aggiunta di quattro sonetti inseriti dopo il numero XL della editio princeps.
Il prestigio e l’ars di Pignatelli furono decantati dai principali poeti contemporanei. Tasso scrisse un sonetto in risposta a un altro di tono consolatorio inviatogli da Pignatelli; inoltre elogiò le virtù militari, politiche e letterarie della famiglia Pignatelli nel dialogo Il Porzio, ovvero della virtù, in cui Muzio Pignatelli figura tra gli interlocutori insieme con il filosofo aristotelico Simone Porzio e a Giovanni Calabro, allievo del Porzio. Nel 1594 Giovan Battista Marino (il quale era stato in precedenza ospitato e protetto da Pignatelli a Napoli e aveva con lui frequentato il gruppo degli Svegliati), dovendosi allontanare dalla città, si fermò nella dimora nolana di Pignatelli per un certo periodo, come si evince da una lettera di Marino a Giovan Battista Manso. Marino indirizzò a Pignatelli un sonetto in cui ne celebrò le doti versificatorie, affermando che la «fiamma» amorosa del destinatario, resa particolarmente luminosa nella pratica stilistica, avrebbe potuto offuscare quella «per cui il gran Tosco a vera gloria ascese» (con impegnativo raffronto tra l’opera di Petrarca e i frutti della musa pignatelliana). In seguito gli dedicò uno dei Ritratti di Poeti volgari nella sua Galeria e lo citò come uno dei «lumi del secol nostro tra ’morti» in una lettera indirizzata da Parigi a Claudio Achillini nel gennaio 1620. Nella nota disputa di inizio Seicento tra Giovan Battista Marino e Gaspare Murtola, quest’ultimo (Risata II, vv. 33-44) indicò maliziosamente le Rime di Pignatelli come oggetto di plagio per il rivale.
Il 17 ottobre 1600, con decreto del re Filippo III, a Pignatelli fu conferito il titolo di duca della città di Bisaccia, con facoltà di trasmetterlo ai suoi eredi. Giulio Cesare Capaccio pubblicò un suo sonetto nell’Apparato funerale nell’essequie celebrate in morte dell’illustriss. et eccellentis. Signor Conte di Lemos (Napoli 1601): si tratta certamente di una fra le ultime composizioni del rimatore, dal momento che la didascalia che accompagna i versi fa riferimento alla visita del conte di Lemos a Roma, avvenuta nella primavera del 1600.
Morì a Napoli il 23 marzo del 1601.
Pignatelli aveva adottato due imprese: la prima, forse in età giovanile, rappresentava un fiume impetuoso la cui violenza è tuttavia contenuta da un argine (a simboleggiare la perseveranza nel resistere alle avversità), con il motto «Obruunt, non dirimunt». L’altra, assunta in età più avanzata, raffigurava la luna scema accompagnata dal motto «Minus lucet, haud minus ardet», a rimarcare l’indole discreta del personaggio e la sua prudente accortezza.
Un’edizione delle Rime fu eseguita a Napoli nel 1692. L’edizione critica è a cura di Maurizio Slawinski, Torino 1996.
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