ascesi
Sembra esser assente, nella Commedia, un esplicito impegno ad applicare al pellegrino D. tutte quelle forme di a. interiore (come l'orazione mentale, la meditazione sistematica e analitica di tutti gli errori e i vizi della propria vita passata e presente), al pari di tutti gli aspetti e modi della pratica ascetica, soprattutto la rinuncia e l'austerità; meno ancora possono applicarsi a D. personaggio le forme, o almeno tutte le forme, dell'a. esteriore (mortificazione carnale, veglia, assoluta solitudine). Ma, ciò nonostante, e proprio in virtù della particolare struttura allegorico-messianicodidascalica della Commedia; si può e deve parlare di un ascetismo del protagonista, condizionato e, quasi si direbbe, complementare alle ben più evidenti esperienze mistiche e profetiche. Il che è dovuto forse a una circostanza che apparirà persino troppo ovvia (cioè che D. è un vivo che non oblia mai la sua condizione di uomo vivente anche negli strati superiori del raptus estatico), ma che pur permea di sé tutti gli episodi del Paradiso, non soltanto quelli della prima e della seconda cantica. Infatti all'interno della rivelazione mistica si opera, con l'intervento soprattutto di D. stesso più che delle sue guide o dei testimoni di perfezione celeste che incontra (da Piccarda a Cunizza, dalla stessa Aquila parlante a s. Pier Damiano, ecc.), il completo resoconto di un'esperienza terrena, simboleggiata o ipotizzata nelle particolari e ben graduate esperienze del pellegrino escatologico.
È probabile che la fonte dell'a. dantesca sia nello schema ascetico di s. Tommaso (Sum. theol. II II 24 9) nelle tre fasi di perfezione, che si adempiono attraverso tre successivi gradi di amore, " secundum diversa studia, ad quae homo perducitur per charitatis augmentum ": la fase dei principianti, consistente nello studio di distaccarsi dal peccato e di reprimere le passioni (diciamo, all'ingrosso, la materia ascetica dell'Inferno), la fase dei progredienti (la constatazione degli effetti della purificazione; e quindi la seconda cantica), infine la fase dei perfetti, cioè di coloro che, domato il peccato e conosciutane la purgazione, " cupiunt dissolvi et esse cum Christo ", come in s. Paolo (nel Paradiso D., a suo modo, non solo contempla la beatitudine delle anime elette ma gusta con loro, e almeno in parte come loro, i gradi supremi della fruizione mistica).
Accanto a una personale esperienza della purificazione rituale (Paradiso terrestre, ma già avviata dal rito quasi liturgico del giunco), D., letterato e uomo di dottrina, non poteva non avvertire in tutta la sua opera poetica, dalla Vita Nuova al Paradiso, l'influsso della letteratura ascetica del Medioevo e particolarmente del Duecento : letteratura sia più propriamente di teologia morale e di mistica (vedi ad es. BONAVENTURA da BAGNOREGIO; UGO da SAN VITTORE, e particolarmente la voce TEOLOGIA e quella FRANCESCANESIMO), sia di quella agiografica, devozionale, allegorico-didattica, dalle epitomi delle Vite dei Santi Padri alla Legenda aurea, dalle vite di s. Francesco a quelle dei suoi seguaci. Ma si ricordino e analizzino anche tutte queste fonti letterarie (in primissimo piano la Vitis mystica e l'Itinerarium mentis ad Deum), non dimenticando la sostanziale originalità, anche in questo settore, dell'esperienza ascetica dantesca.
Bibl. - K. Foster, God's Tree. Essays On Dante And Other Matters, Londra 1957; C. Singleton, Studi Su Dante, I, Napoli 1961; G. Petrocchi, D. E L'ascetica Duecentesca, In " Il Veltro " IX (1965) 663-673; V. Branca, Poetica Del Rinnovamento E Tradizione Agio-Grafica Nella Vita Nuova, In Studi In Onore Di Italo Siciliano, Firenze 1966, 123-148.