ASCETISMO
. Dal greco ἄσκησις "esercizio", che originariamente si disse dell'allenamento usato dagli atleti per acquistare le doti corporali necessarie a trionfare nella lotta, e poi, nella fiosofia cinica e stoica, dell'educazione delle forze dello spirito per acquistare le virtù necessarie a dominare le passioni, è venuto l'uso di ascesi (con i derivati asceta, ascetismo) nel senso religioso di pratica o di astensione da certi atti nella persuasione di acquistare così una capacità superiore di comunicare col divino o di piacere a Dio. Attraverso il pitagorismo, i misteri, e soprattutto il cristianesimo, il vocabolo è passato al linguaggio religioso moderno.
L'ascesi s'incontra già nelle fasi primordiali e arcaiche della religione. Solo che, essendo il divino concepito dai cosiddetti primitivi impersonalmente come forza sacrale, l'ascesi consiste in una serie di pratiche con le quali l'uomo tende a liberarsi dagl'influssi della sacralità (v.) da cui egli sia stato investito (ascesi purificatrice), o ad appropriarsi la sacralità stessa per ottenere un'esaltazione di sé a scopo religioso (ascesi estatica). Prevalgono nell'ascesi primitiva, specialmente nell'ascesi purificatrice, i mezzi materiali ed esterni; onde si ha un'ascesi negativa, consistente in primo luogo nel digiuno e astinenza da certi cibi e bevande e nella continenza sessuale, oltre che in rinunzie di vario genere (al sonno, all'abbigliamento, all'alloggio, alla pulizia, ecc.), ed una positiva, consistente nel procurarsi volontariamente talune sofferenze corporali (calore o freddo eccessivo, posizioni scomode o dolorose, flagellazioni, mutilazioni, ecc.). Nell'ascesi estatica, ai mezzi propriamente ascetici di varia natura sogliono aggiungersi altre pratiche sia debilitanti sia eccitanti (bevande inebrianti, orge sessuali, danze, ecc.). Le cerimonie d'iniziazione, che presso i popoli primitivi sono destinate a far passare il ragazzo in un nuovo stato (società dei maschi adulti), sogliono essere precedute da un periodo d'isolamento per settimane o mesi o anni, in cui l'iniziando deve osservare varie limitazioni, di cibo, di bevanda, di sonno, ecc.
Temporaneo, occasionale, intermittente presso i primitivi e nella maggior parte delle religioni antiche (tracce di vita ascetica si hanno in Egitto per lo meno in epoca ellenistica), l'ascetismo è invece in altre religioni l'elemento essenziale e centrale della vita religiosa, pur essendo necessariamente praticato soltanto da una minoranza di persone. Religioni di tipo ascetico sono in primo luogo, per il loro pessimismo radicale, quelle dell'India, tanto il brahmanesimo e l'induismo quanto il giainismo e il buddhismo. Nella voce ario-indiana tápaḥ "fervore" (cfr. il lat. tepos), che ha il senso di "ascesi", pare sopravviva qualche cosa dell'ascesi primitiva materiale e corporea. L'ascesi estatica fu coltivata specialmente nella scuola del yoga. Nel giainismo il tápaḥ si svolse in un vero e proprio sistema di pratiche atte alla distruzione e all'allontanamento del karman, condizione necessaria e sufficiente per il conseguimento del nirvāṇa. Accanto alle pratiche ascetiche (obbligatorie per i monaci, mentre per i laici sono facoltative), il giainismo ne ammette altre, supremamente meritorie, tra cui anche il suicidio per inanizione. Il buddhismo limitò i rigori delle astinenze e privazioni corporali, dando maggior valore a un'ascesi più spirituale, comprendente la lettura e lo studio delle sacre scritture, oppure la contemplazione interiore (dhyāna), la quale fu particolarmente coltivata dalle scuole contemplative che fiorirono specialmente in Cina (chang-tsung) e nel Giappone (zen-shū).
In una religione non tipicamente ascetica come fu quella dei Greci, l'ascetismo fu una specialità di singole formazioni religiose particolari, quali il pitagorismo, l'orfismo, le religioni misteriche. Specialmente l'ascetismo ellenistico è fondato sopra una concezione dualistica, cioè sull'opposizione tra il mondo dello spirito, che è anche quello della luce o del bene, e il mondo della materia, che è anche quello delle tenebre e del male; opposizione e lotta nella quale anche l'uomo è implicato, in quanto è spirito nella materia, onde per raggiungere il bene supremo deve staccarsi e liberarsi dalla materia. A questo fine concorre l'ascesi insieme con la gnosi: ma l'ascesi è principalmente distacco interiore dal mondo dei sensi, anziché mortificazione del corpo: perché il corpo, essendo opposto all'anima, come non è partecipe della redenzione di essa, così non vi può contribuire con le sue qualità e azioni. Quindi è che in generale i filosofi e i mistici dell'ellenismo, a differenza di ciò che avvenne nell'India, non si sono curati dell'ascesi esteriore o corporale, e anche quelli che l'hanno apprezzata e praticata lo hanno fatto moderatamente. Solo fu tenuta in grande stima la continenza dai piaceri sensuali, che è esaltata da Filone - insieme col digiuno - nella sua Vita di Mosè (II, 6 seg.), e da Porfirio nella sua lettera a Marcella; come pure fu apprezzata, per tradizione derivata dagli orfici e dai pitagorici, l'astinenza dalle carni, la quale ebbe in Apollonio di Tiana un osservante entusiasta, e un teorizzatore in Porfirio (De abstinentia).
Il manicheismo professò un ascetismo assai rigoroso. Dottrina fondamentale di questa religione è la lotta universale fra il principio della luce e il principio delle tenebre, cui l'uomo, che è mescolanza di entrambi, è tenuto a partecipare; onde per lui, in linea di principio, l'obbligo di astenersi dal distruggere, e quindi dal mangiare, qualsiasi essere vivente, come pure dal generare e dal piantare, perché dar vita è mescolare ancora la luce con le tenebre. In linea di fatto ciò diede origine a un compromesso, cioè a una distinzione e separazione dei fedeli in due categorie, gli electi, ch'erano tenuti alla perfetta osservanza, e gli auditores, ai quali era consentito di derogare alla regola per potere, generando, perpetuare la vita e provvedere, coltivando le piante e gli animali, al mantenimento proprio e degli eletti. Il mandeismo invece, sebbene dualista come il manicheismo, non prescrive pratiche ascetiche.
Il giudaismo, pur ammettendo singole pratiche di carattere ascetico, specialmente digiuni e astensioni particolari (v. nasirei), era di per sé stesso immune dal vero e proprio ascetismo, e contrario all'ascesi intesa come sistema di vita. Ma nei tempi vicini a Cristo sono attestate nel suo seno due formazioni di carattere ascetico, gli esseni (v) e i terapeuti (v.), i primi stanziati nella Palestina, e i secondi sparsi nel mondo ellenistico con un centro più cospicuo presso Alessandria. Avendo abbandonato la famiglia e il mondo, essi menavano una vita ritirata e semplice, dedita alla preghiera e all'osservanza di norme particolari, facendo frequenti abluzioni, mortificandosi col digiuno e con l'astinenza, rinunziando alla vita sessuale e all'uso delle carni (gli esseni neppure a Dio offrivano sacrifici animali). Le scarsissime notizie intorno a queste due formazioni non consentono di determinare meglio il carattere del loro ascetismo né di stabilire se esso abbia subito influssi stranieri.
Il cristianesimo, nato in seno al giudaismo, ne ha ereditato la credenza che il mondo ha avuto origine da Dio per creazione. Perciò è stato lontano dal dualismo radicale, pur ammettendo un'essenziale distinzione tra Dio e il mondo: Iddio trascende infinitamente il mondo, il quale, sebbene buono per sé medesimo, può tuttavia, in quanto voluto per sé e non in rapporto a Dio, diventare oggetto di peccato; con che il peccato è trasferito dalle cose, dove lo poneva la mistica ellenistica, nella volontà dell'uomo. Di qui un doppio e antitetico atteggiamento del cristianesimo verso il mondo: da una parte, di avvicinamento in quanto il mondo è buono, perchè opera di Dio e mezzo di salire a Dio; e dall'altra, di repulsione, in quanto esso è cattivo come possibile oggetto e occasione di peccato. Fra questi due poli si è svolta la storia dell'ascetismo cristiano, che si è andata avvicinando ora più all'uno, ora più all'altro, per effetto di cause molteplici, ma soprattutto per l'intimo svolgimento della vita e della società cristiana nelle sue relazioni col mondo esteriore.
Ma l'impronta caratteristica è data all'ascetismo cristiano dalla dottrina del peccato originale e dall'altra, connessa alla prima, della redenzione. Il peccato di Adamo non solo ha privato i suoi discendenti dalla grazia originale, ma ha pure viziato e debilitato la stessa natura umana. Questa generale rovina fu riparata dalla redenzione del nuovo Adamo, cioè Gesù Cristo (v. adamo: Nuovo Testamento); il quale non solo con la sua morte espiatrice ha apprestato agli uomini il mezzo per cancellare in sé stessi la colpa d'origine, ma con l'esempio della sua vita dimessa, e soprattutto con le sofferenze che accompagnarono la sua morte espiatrice, ha indicato la maniera di attenuare nella natura umana gli effetti viziosi di quella colpa. E poiché l'ideale sommo della religiosità cristiana è appunto l'imitazione di Cristo, così, attraverso questa ascetica riproduzione del secondo Adamo nei singoli suoi seguaci, si ottiene in essi la riparazione della rovina causata dal primo Adamo.
Tuttavia, sotto un certo aspetto, specialmente al confronto con le religioni indicate sopra, la morale evangelica non si può dire propriamente ascetica. Gesù pose la volontà del Padre celeste al disopra di tutto, come bene supremo, anzi unico, e perciò richiese dai suoi discepoli la piena e assoluta soggezione a essa, nella gioiosa aspettativa del suo adempimento completo e autonomo nel prossimo regno di Dio. Come conseguenza necessaria dell'accettazione della volontà di Dio quale norma suprema e universale, Gesù richiese la rinunzia alla volontà propria, e la noncuranza per qualsiasi altro bene che non sia compreso nel regno di Dio e non sia ad esso subordinato; e da qui nel Vangelo, da una parte, il comando di disprezzare gli averi, gli onori, i piaceri, perfino gli affetti familiari e la stessa vita, e, dall'altra, neppure una parola e un pensiero per le istituzioni anche più grandi e necessarie di questo mondo, quali lo stato, il diritto, la patria, la famiglia e in generale i cosiddetti beni della civiltà. Siccome però questa rinunzia e noncuranza non era voluta per sé medesima, ma come effetto spontaneo della dedizione completa a Dio e ai suoi voleri, e siccome in importava un atteggiamento antimondano, cioè contrario ai beni del mondo (che Gesù non rinnegò mai esplicitamente), ma soltanto sopramondano, cioè interiormente libero e indipendente dai beni del mondo, più che ascetica essa è da dirsi eroica: da tradursi in atto, non per una regola comune a tutti, ma per l'impulso proprio dei singoli, determinato da speciali circostanze e intendimenti. Così s'intende come di fatto Gesù non abbia imposto il distacco effettivo alle turbe e nemmeno a tutti i suoi discepoli o discepole (cfr. Luca, VIII, 3; X, 38 seg.); e anche come già nei Vangeli si trovi la distinzione tra la sequela comune di Gesù e quella propria dei perfetti (Matteo, XIX, 21; cfr. Marco, X, 21).
Tale atteggiamento di spirituale superiorità riguardo ai beni del mondo è anche quello delle epistole di S. Paolo; solo che qui viene espresso per mezzo della formula nuova - proveniente dalla mistica ellenistica - di opposizione e lotta dello spirito contro la carne. Questa formula era soggetta a essere intesa nel senso che i beni del mondo siano per sé stessi contrarî allo spirito e inseparabili dal peccato, dunque tali che debbano essere fuggiti da tutti e in ogni caso. Questa conclusione, nonostante le espressioni di mortificazione della carne (Romani, VIII, 13) e di asservimento del corpo (I Corinzî, IX, 27), è stata evitata da S. Paolo; per lui infatti; il mondo e tutti i suoi beni sono di Dio (I Cor., X, 26), e la santità della vita cristiana è l'effetto della forza dello Spirito e non di rinunzie o di pratiche ascetiche. Altri però, dopo lui, si avvicinarono molto a questa conclusione, e si fecero promotori di un'ascesi rigorosa nel cristianesimo primitivo, consistente non solo nell'orazione frequente, nel digiuno a tempi fissi, nell'astinenza dal vino e dalle carni, nella fuga dal lusso e da ogni sorta di divertimenti mondani, ma anche nell'abbandono completo delle ricchezze e soprattutto nella continenza (ἐγκράτεια), cioè la rinunzia alle seconde nozze, e anche alle nozze in generale, con infine - qual degno coronamento - il desiderio e la ricerca del martirio. Tale è l'ideale di vita cristiana professato in una parte della letteratura religiosa del secolo II: l'apocrifo Vangelo secondo gli Egiziani, alcune storie apocrife degli apostoli, l'omelia che va sotto il nome di Secunda Clementis, ecc. Questi osservatori ferventi della ἐγράτεια, detti perciò encratiti, sebbene tenessero a distinguersi dalla massa comune dei fedeli, incapace di prendere sopra di sé l'intiero giogo della legge di Cristo, non professavano per questo dottrine speciali, e molto meno intendevano di separarsi dalla comunione della Chiesa universale.
L'ascesi ha una parte importante nello gnosticismo cristiano. Dal principio fondamentale dell'opposizione radicale tra anima e corpo, spinto da Marcione fino all'opposizione tra il Dio rivelatosi in Gesù e il Dio dell'Antico Testamento creatore del mondo i più degli gnostici trassero la pratica conseguenza della necessità di astenersi da tutto ciò che è carne o ha relazione con la carne; alcuni però al contrario - i valentiniani e i carpocraziani - ne dedussero la facoltà di vivere liberamente, sotto pretesto che lo spirito è per sé puro e non può essere inquinato dalla carne. Superata la crisi gnostica, anche la corrente ascetica rigorosa degli encratiti venne in sospetto, e contro di essa ben presto (cfr. I Tim., IV,1-4) si elevò l'accusa e la condanna di eresia. In generale, dalla fine del sec. II in poi, la partecipazione dei fedeli alla vita pubblica e ai beni della civiltà diventò sempre più attiva, resa necessaria dallo stesso loro numero sempre crescente; onde anche la prassi penitenziaria si dovette allargare, e fu giocoforza tollerare che nella Chiesa, secondo la parabola evangelica, insieme con le buone crescessero pure le male erbe. Tutto ciò però suscitò di rimbalzo vasti movimenti di opposizione, a sostegno dell'antica purità e rigore, quali il montanismo, il novazianesimo, il donatismo, ecc.; i quali movimenti, respinti e condannati dalla Chiesa, sopravvissero in piccoli rivi sotterranei, finché, nei secoli medievali di acuta secolarizzazione del cristianesimo, riapparvero, sotto diversi nomi e forme, nei catari, nei valdesi, ecc., con l'intendimento di ricondurre la Chiesa alla lettera della morale evangelica, intesa nel più stretto senso ascetico.
Ma anche nel seno stesso della Chiesa ha sempre perdurato la corrente ascetica rigorosa, messa però d'accordo con la disciplina comune più larga, mercé la distinzione dei diversi gradi di perfezione. Con la condanna dello gnosticismo, non cessò del tutto l'influenza della filosofia mistica ellenistica, e, in diversa misura, secondo le diverse scuole, si cercò di conciliarla coi principî fondamentali del cristianesimo. Così la teologia alessandrina (Clemente e Origene) ripose il sommo bene dell'uomo nella visione di Dio per giungere alla quale è necessaria la santificazione e purificazione del cuore, consistente non, come volevano gli gnostici, nella separazione dalla materia e dal mondo - che, essendo opera di Dio, non è cattivo per sé medesimo - ma nella mortificazione degli affetti, sede naturale e fonte, secondo gli stoici, di ogni male. Siccome però gli affetti dipendono dal mondo dei sensi e della materia, di nuovo, per altra via, si giungeva a considerare l'astinenza da ogni piacere e da ogni contatto con la vita mondana come la condizione necessaria della cognizione di Dio e dell'unione con lui, propria dei perfetti, chiamati di nuovo gnostici, e considerati superiori ai cristiani comuni, gli psichici. Da questi principî e da questa distinzione si svolse poi in Oriente il monachismo, il quale spinse la fuga dal mondo e il distacco dai suoi beni fino alla virtuosità, e sempre rimase contemplativo e individualista; anche quando divenne cenobitico, e da san Pacomio e san Basilio ricevette la nuova regola, che inculcava il precetto della carità del prossimo: ma intendendolo riguardo alle relazioni dei monaci fra loro e allo scambievole aiuto ch'essi dovevano prestarsi, per arrivare al più alto grado di contemplazione e di amore di Dio.
In Occidente invece, rimanendo fermo che il sommo bene consiste nella visione e fruizione di Dio, dietro la guida di S. Agostino, Dio non fu più concepito, come nella filosofia neoplatonica, quale un essere astratto e infinitamente da noi distante, ma, come nel Vangelo, quale volontà buona, sorgente infinita di vita e d'amore, nel quale e per il quale tutte le creature, in specie le razionali, sono degne di essere amate; e perciò la via per giungere al sommo bene non fu più fatta consistere nella separazione dal mondo, ma nell'azione in mezzo al mondo, servendosi dei suoi beni non a proprio vantaggio, ma per l'amore e l'onore di Dio. Così l'ascesi acquistò un carattere prevalentemente interno, perché consistente soprattutto nell'umiltà, cioè nella repressione dell'amor proprio, e nella sua subordinazione all'amore del prossimo e, come ultimo fine, all'amore di Dio; con che peraltro non perdette il carattere esteriore, per la considerazione che, se l'uso dei beni terreni potrebbe essere liberamente permesso nello stato d'integrità originale, non è senza pericolo nello stato attuale di decadenza e di peccato. Onde, nell'estimazione dello stesso S. Agostino e conseguentemente di tutto il Medioevo, il monachismo - divenuto più operoso e sociale soprattutto per opera di S. Benedetto - rimase, come fuga permanente dal mondo, il modo più perfetto di servire Dio; anche per l'impulso che ad esso veniva dalla mistica agostiniana, fondata sulla considerazione della vita povera e soprattutto della passione e morte di Gesù, portata al suo più alto sviluppo contemplativo da S. Bernardo e tradotta nella pratica più piena da S. Francesco. Nell'età moderna, invece, è prevalsa sempre più l'idea che anche in mezzo al mondo si può, come nel chiostro, menare una perfetta vita cristiana, purché difesa, nella lotta quotidiana contro il peccato, dall'esercizio continuo di pratiche devote, e in ispecie della meditazione, sia fatta alla spicciolata, sia bene ordinata in un sapiente sistema pratico, come sono gli esercizî spirituali di S. Ignazio.
Per l'influenza del cristianesimo e dei credenti che provenivano da esso, l'ascetismo (penitenze volontarie, digiuno, elemosine, ecc.) s'introdusse e fiorì anche nell'islamismo; il quale, nonostante le prime tendenze ascetiche della predicazione di Maometto alla Mecca sul giudizio universale, aveva di poi acquistato un aspetto prevalentemente politico e mondano; onde la nuova tendenza ascetica, che trovò terreno favorevole fra le classi povere e i teologi fin dal tempo degli Omayyadi, e rappresentò la corrente propriamente religiosa in opposizione a quella politica. (v. Sufismo).
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