ASCIUGATOIO
. Una serie di vocaboli greci e latini (χειρόμακτρον, ἐκμαγεῖον, mantele, mantilium, mappa, mappula, gausape, facitergium, manutergium, manumundium, orarium, sudarium, linteum) designano promiscuamente quel pezzo di stoffa che è destinato agli usi così della toletta, come della tavola, e cioè atto a detergere le mani, la bocca, il capo in ogni occorrenza. Distinzioni più precise non sono possibili, quando si pensi che l'oggetto era anch'esso di uso promiscuo. Soltanto leggiere differenze di stoffa e di formato potevano autorizzare denominazioni diverse. Perciò gli accennati vocaboli si devono considerare sinonimi.
Come la mappa è una salvietta da tavola (Orazio, Sat., II, 8, 63) che i convitati ordinariamente portavano con sé (Marziale, XII, 29, 11), così il mantele è una salvietta per le mani e il viso, adoperata anch'essa nei pasti. Sembra essere stata d'un tessuto più grossolano della mappa (Varrone, Lingua lat., VI, 85; Servio, ad Verg. Georg., IV, 377; Marziale, XII, 29, 12 e XIV, 138; Isidoro, Orig., XIX, 26-6). Un tovagliolo è anche l'ἐκμαγεῖον citato in molte fonti papirologiche alessandrine (Pap. Louvre, 52, 7; 53, 43-14 cit. da M. Modica, La civiltà dell'Egitto greco-romano, Roma 1924, p 42). ll gausape (γαυσάπης) era un particolare tessuto di lana introdotto in Roma verso il tempo di Augusto. Era velloso da un lato e più unito dall'altro. Lo si usava per salviette, o, in genere, per asciugatoi (Plinio, Nat. Hist., VIII, 73; Luc., Sat., XXI, 9; Ov., A Amat., II, 300; Oraz., Sat., II, 8, 11; Marz., XIV, 152).
A volte - come nel caso del gausape - l'appellativo della stoffa s accomuna all'oggetto. Un personaggio d'una commedia plautina ordina: Linteum cape (Mostell., I, 3). E, moltissimi secoli più tardi, un costituto monastico del sec. IX descrive: Lintea ad manus tergendas villosa 3 unumquodque de ulnis 5 in longitudine et latitudine 3 (Constitut. Fontanell. Monast., in Acta SS. Ord. S. Bened., p. I, p. 639). Le misure offerte da questo documento medievale provano che gli antichi asciugatoi erano assai lunghi. La caratteristica della villosità fa pensare al gausape.
Questi tovaglioli erano "da tenire inanze" (come precisa un inventario lombardo del sec. XV citato da F. Malaguzzi-Valeri: La corte di Lodovico il Moro - La vita privata, Milano 1913, p. 242), ma si accomodavano pure sul tavolo del banchetto piegandoli a forma di mitra, di turbante, di piramide, di barca. Erano talvolta adorni d'una banderuola con l'arme di ciascun commensale. Si cospargevano di acque odorose (P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, II, 7ª ed., Bergamo 1928, p. 388). La salvietta fu tuttavia ignota ad alcune regioni nel periodo medievale. I signori dei castelli pedemontani si asciugavano la bocca con la larga tovaglia che, a tale effetto, scendeva largamente sui fianchi della mensa. Per gli usi della toletta troviamo menzioni di asciugatoi negli inventarî. Nel corredo di Lucrezia Borgia sono inclusi dei sugacapi o sugacò (Malaguzzi-Valeri, cit., p. 238). In altri elenchi del Medioevo e del Rinascimento vi sono dei capitergia, manifestamente destinati allo stesso uso. Bianca Maria Sforza ne possedeva parecchi, giacché le donne del Rinascimento praticavano di frequente la lavatura dei capelli per applicarvi poi le tinture e gli altri rimedî prescritti dai ricettarî galanti del tempo. Questi capitergi e faccitergi erano di lino o di cotone. Ve ne furono di bianchi e di ricamati. Gli asciugatoi perugini del sec. XIV e XV hanno strisce policrome con begli ornati. In alcune scene di Natività sono riprodotti asciugatoi con ornati geometrici.
Già nel sec. XV la voce "capitergio" indica pure un velo da tenere sul capo. In seguito significa qualunque pezzuola un po' ampia di uso promiscuo. La voce asciugatoio oggi è usata soltanto per designare le pezzuole di lino o di cotone destinate agli usi della toletta. (V. Tavv. CXLIX-CL).