di Alessandro Pio
La relazione di vicinato tra la Cina e i paesi Asean (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam) continua a diventare più stretta dal punto di vista economico e più complessa da quello politico.
Il modello di decentramento produttivo iniziato dal Giappone e seguito prima dagli Stati Uniti e poi dall’Europa si è gradualmente evoluto dalla produzione in singoli paesi a una rete industriale che vede la specializzazione di paesi dell’est e Sud-Est asiatico nel produrre componenti specifici (per esempio componenti automobilistici in Thailandia, dischi fissi per computer nelle Filippine) e l’assemblaggio del prodotto finale in Cina. A seguito della crescita dei livelli salariali in Cina dopo decenni di rapido sviluppo inizia ora a manifestarsi un ulteriore spostamento delle fasi più intensive di lavoro verso paesi a basso reddito dell’area Asean (Vietnam, Thailandia, Cambogia), mentre il calo della domanda nei paesi occidentali colpiti dalla recente crisi e la contemporanea crescita dei consumi interni in Cina ha intensificato le relazioni commerciali all’interno dell’area.
Queste dinamiche spiegano una serie di sorpassi a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi anni: la Cina ha superato l’Europa nel 2005, gli Stati Uniti nel 2006 ed il Giappone nel 2007 come principale fonte delle importazioni dei paesi Asean ed è diventata dal 2010 (anno in cui è entrato in vigore l’accordo di libero scambio Cina-Asean) anche la principale destinazione delle esportazioni di questo blocco di paesi. Anche se il commercio intra-Asean rappresenta ancora la quota più consistente (24%) del commercio estero dei 10 paesi che lo compongono, la Cina costituisce adesso il 14% del loro intercambio (esportazioni più importazioni), contro il 10% ciascuno di Europa e Giappone ed il 9% degli Stati Uniti. Nel 2000, alla vigilia dell’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio, le quote erano: Cina 4%, Europa 13%, Giappone 15% e Usa16%. Anche se parte di questo calo è dovuto semplicemente allo spostamento della località di assemblaggio finale (dall’Asean alla Cina) dei prodotti esportati verso l’Occidente, l’intensificarsi delle relazioni tra le due aree è indiscutibile: nei primi nove mesi del 2014 l’intercambio della Cina con l’Asean è cresciuto del 6%, a fronte di una crescita di solo 1,8% del suo commercio mondiale. Più graduale è stato l’intensificarsi degli investimenti diretti tra le due aree. L’Unione Europea continua a essere la principale fonte di investimenti diretti esteri nei paesi Asean, con 76 miliardi di dollari nel periodo 2005-2010 contro i 42 del Giappone, i 31 degli Stati Uniti, ed i 12 della Cina, che però nel periodo 2009-10 ha raddoppiato il suo stock di Fdi nei paesi Asean, dopo aver concluso nel 2009 un accordo sugli investimenti.
L’intensificarsi delle relazioni commerciali è stato accompagnato dal consistente apporto cinese alle iniziative regionali. Pechino ha messo a disposizione circa un terzo dei 240 miliardi di dollari di swap multilaterali a cui i paesi aderenti all’iniziativa di Chiang Mai (Asean+3) possono attingere in caso di crisi valutarie. Poiché’ l’impegno dei tre partner ‘esterni’ (Giappone, Cina e Corea del Sud) rappresenta circa l’80% dei fondi complessivi, è facile vedere come la Cina e gli altri paesi della regione abbiano di fatto fornito concretezza determinante a un’iniziativa che avrebbe altrimenti avuto solo un valore simbolico.
A fronte di queste positive e crescenti interazioni sul fronte economico, le relazioni politiche continuano a essere ambivalenti. Gli Stati Uniti e altri partner occidentali vedono in un Asean forte e compatto un parziale contrappeso a una potenziale egemonia cinese nell’Asia orientale, mentre la Cina ha periodicamente affermato le sue ambizioni territoriali saggiando la reazione dei paesi confinanti. Nel maggio 2014, per esempio, ha installato una piattaforma petrolifera nelle isolette Paracels in acque che il Vietnam considera proprie nel Mar Cinese Meridionale (che non a caso, il Vietnam chiama Mare Orientale, e le Filippine Mare Filippino Occidentale). Le reazioni non si sono fatte attendere: la marina militare vietnamita ha risposto con scaramucce militari e vi sono state violente dimostrazioni anti-cinesi in Vietnam, fino alla rimozione della piattaforma in luglio, seguite da colloqui tra i due paesi volti a ridurre la tensione. Questo incidente si è sommato ad altri analoghi con le Filippine l’anno scorso, sfociati nell’iniziativa del governo filippino di richiedere nel gennaio del 2013 al tribunale internazionale del diritto del mare delle Nazioni Unite un arbitrato sull’estensione delle acque territoriali nelle zone contestate, a cui la Cina si è rifiutata di rispondere, non avendo aderito alle clausole della Convenzione che riguardano l’arbitrato.
Queste tensioni non riguardano solo questioni di confine, ma anche le potenziali ingenti risorse petrolifere sotto i fondali, e si sommano ad altre sull’utilizzazione delle acque del Mekong, sul cui corso settentrionale la Cina sta costruendo dighe che preoccupano i paesi più a valle (Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam), che dalle stesse acque dipendono per la pesca e la coltivazione del riso e quindi per la propria sicurezza alimentare. Mentre il ravvicinamento economico procede, le cause di tensione legate all’utilizzo di risorse naturali condivise continuano.