ASIA (A. T., 84-85 e 86-87)
Si vuole che la parola derivi da una voce semitica (p. es. l'assiro Açu) significante "oriente", e che sarebbe stata usata dai Fenici e dai Greci per indicare il Paese d'Oriente, in contrapposto a Europa (Ereb), Paese d'Occidente; ma tale etimologia è tutt'altro che sicura, e l'origine del nome Asia, come quella di gran parte dei nomi geografici antichi, è da considerarsi tuttora ignota.
Sommario. - I. Generalità (p. 839); Storia dell'esplorazione (p. 840); Morfologia e geologia (p. 844); Clima (p. 851); Idrografia (p. 856); Vegetazione (p. 860); Fauna (p. 863); Antropologia (p. 866); Etnologia (p. 868); Lingue (p. 875); Condizioni economiche (p. 875); Quadro politico-statitistico (p. 885); Missioni (p. 886). - II. Le civiltà dell'Asia (p. 886); Storia dal 1850 (p. 898).
Nella trattazione seguente, per i nomi che non abbiano una forma italiana si è seguita la grafia ufficiale (per i nomi di tutti i paesi dell'U. R. S. S. quella russa traslitterata, e per la Cina quella inglese seguita dalle dogane cinesi).
Limitata dapprima all'Asia Minore, la voce Asia abbracciò terre via via più estese, a misura che si estendevano le conoscenze geografiche, sia verso E., sia verso N. Limite fra l'Europa e l'Asia fu considerato per lunghi secoli il Don, come fra l'Africa e l'Asia il Nilo. Soltanto nel Settecento si venne ai confini odierni: e cioè verso l'Africa il Mar Rosso e l'Istmo di Suez, verso l'Europa i Monti Urali, l'Ural, il Caspio e i due Manyč, il Mar Nero e l'Egeo. Tale confine è assai più convenzionale che naturale, misto com'è di rilievi e di depressioni; se pur si può parlare di confini naturali fra Europa ed Asia, che formano una unità inscindibile, alla quale gli studiosi hanno dato il nome di Eurasia. Neppure si può dir naturale il confine verso l'Africa, poiché l'Arabia e la Siria per caratteri morfologici e strutturali hanno legami strettissimi con il continente africano, così da venir considerate geologicamente come parti di esso.
Entro i limiti suaccennati, la superficie dell'Asia misura 44 milioni di kmq.: area pari alla terza parte, all'incirca, delle terre emerse. Le sue isole (2,7 milioni di kmq.) e penisole (oltre 8 milioni di kmq.) prese insieme hanno una superficie maggiore dell'Europa intiera; ciò non ostante il blocco asiatico ha più d'ogni altra parte del mondo spiccato il carattere di continentalità, con un'area interna di quasi 4 milioni di kmq. lontana oltre 1800 km. dal mare, e con una plaga centrale di 100 mila kmq. distante dal mare più di 2400 km. L'Asia si estende ininterrottamente per oltre 75° di latitudine, dal Capo Čeljuskin (77°40' lat. N.) al Capo Buru (1°16' lat. N), e con le isole da oltre 81° lat. N. a 11° lat. S. (rispettivamente Terra di Nicola II, e isola Roti nell'arcipelago della Sonda). Il continente si estende in longitudine per oltre 164°, da Capo Baba nell'Asia Minore a 26°5' long. E. al Capo Dežnev a 169°40' long. O. Di figura quadrangolare, il continente termina verso N. sul Mar Glaciale Artico con una costa bassa che si mantiene intorno al 70° parallelo e si protende notevolmente solo a NO. con la larga penisola del Taimyr. Le grandi penisole di mezzodì hanno valore estremamente diverso l'una dall'altra: l'Asia Minore si protende nel Mediterraneo come un ponte verso l'Europa; l'Arabia, tozza e bagnata solo da mari interni, ha carattere prettamente continentale; le penisole indiane si protendono l'una - l'India - come un grande altipiano triangolare fra il Mare Arabico e il Golfo del Bengāla, l'altra - l'Indocina - come un corpo frastagliato e cinto da archi insulari. Archi e festoni peninsulari e insulari, semplici o più volte ripetuti, caratterizzano la costa asiatica orientale, essi racchiudono mari adiacenti di media profondità, mentre dal lato esterno si affondano subitamente le maggiori fosse del Pacifico.
L'altezza media dell'Asia è calcolata in 950 m.: tale sarebbe cioè la sua altezza sul mare quando si ragguagliassero tutti i dislivelli. E tale cifra è la più alta che si ottenga calcolando l'altezza media dei continenti, eccettuata forse l'Antartide. Tanto più è notevole, poi, in quanto la vastissima zona che si estende dalla depressione aralocaspica al Mare di Bering presenta amplissimi bassopiani e zone a rilievo assai debole. A questa zona di N. e NO., pianeggiante o appena ondulata, fa seguito verso S. una zona montagnosa mediana, elevata per la massima parte sopra i 1000 m. e in parte notevole sopra i 2000, che si allarga da O. ad E.; quindi la grande zona montagnosa centrale e meridionale, con due principali fasci di catene gigantesche che circoscrivono grandi altipiani, la cui elevazione cresce da 1000 m. a O. (Anatolia) a oltre 4000 a E. (Tibet); le catene piegano poi per la maggior parte verso S., collegandosi attraverso l'Indocina con gli archi montuosi delle Isole della Sonda. A sé stanti sono gli altipiani arabico e indiano, posti a S. della grande zona montagnosa meridionale e uniti ad essa dalle pianure alluvionali della Mesopotamia e dell'Indostan.
Come il Tibet è il più elevato e gigantesco altipiano del mondo, così sono fra le maggiori le catene che lo racchiudono, fiancheggiate a S. dall'eccelsa Himālaya, che nell'Everest tocca la più alta quota terrestre, 8882 m. Il continente asiatico vanta pure la maggior depressione scoperta della superficie terrestre, il Mar Morto, col suo specchio a − 394 m., e vanta la maggior depressione assoluta, il lago Baikal, col fondo a − 1060 m. Si noti pure che a − 26 m. è il livello del Caspio e a − 942 il suo fondo, e che a − 169 è l'oasi di Lukciun nel cuore stesso dell'Asia.
Le regioni periferiche, con deflusso verso mare, occupano solo i 2/3 del continente; mentre l'altro terzo della superficie, 13,7 milioni di kmq., costituisce regioni chiuse, e, toltene le parti interne dell'Arabia e dell'Anatolia, forma dal Caspio al Deserto di Gobi la regione chiusa più vasta che esista al mondo, non però interamente arida o sub-arida in grazia delle sue catene elevate. Ma i fiumi originati da queste, anche se grandi come il Tarim, si perdono spesso nelle sabbie; e i grandi deserti forniscono ai venti il materiale pulverulento che si deposita sotto forma di loess nella Manciuria e nella Cina settentrionale. Dalla Siberia alla Cina orientale e meridionale, all'India e alla Mesopotamia, le regioni tributarie dei mari sono tuttavia così vaste da originare fiumane imponenti per lunghezza e portata, tra le quali lo Yang-tze-kiang e l'Ob tengono il 4° e il 5° posto fra i maggiori fiumi del globo.
Storia dell'esplorazione.
Non v'è alcun periodo della storia, anche più remota, in cui siano mancate comunicazioni e relazioni fra i popoli civili dell'Occidente e l'Asia. Dove non soccorrono documenti nostri, ne troviamo le tracce e il ricordo negli annali e nelle tradizioni dell'Asia. Per tutti i secoli nei quali durò la civiltà greco-romana, quando fuori del bacino mediterraneo l'Europa conosciuta arrivava appena oltre il Reno e il Danubio, v'erano attive corrispondenze politiche e scambî commerciali fin con le più remote regioni d'Oriente. La prima conoscenza geografica un poco precisa derivò dall'espansione della civiltà ellenica e dal suo urto contro gli imperi dell'Asia Minore, della Mesopotamia e della Persia, ed Erodoto ne è il più chiaro interprete; al quale si aggiunsero cent'anni dopo le relazioni dei geografi di Alessandro, con le notizie di prima mano concernenti l'Hindu Kush, l'Afghānistān, i paesi a E. del Caspio, la pianura indogangetica e la via marittima dalle bocche dell'Indo al Golfo Persico. Queste cognizioni andarono in parte perdute per Roma dopo l'affermarsi del dominio ostile dei Sassanidi in Persia; sicché gl'interessi politici dell'impero non poterono mai estendersi durevolmente di là dall'Eufrate; pure pervenivano a Roma i prodotti più varî e preziosi dal remoto Oriente, recati e per le vie terrestri dalle carovane, e da naviganti ellenici ed alessandrini che si spingevano spesso fino a Taprobana (Ceylon) incontro alle navi orientali e recavano notizie, sia pur vaghe, della penisola malese e del Mar Cinese Meridionale. Né mancarono contatti politici. I primi datano dal principio dell'era nostra, quando pervennero a Roma, dopo quattro anni di viaggio, messaggeri inviati dall'imperatore della Cina ad Augusto. Per contro, nei secoli II e III, Antonino Pio, Alessandro Severo e Caro, mandarono alla lor volta missioni in Cina.
Col declinare del paganesimo, già prima di Diocleziano, volgendo a decadenza la civiltà e la cultura greco-romana, incominciarono a venir meno gradatamente gl'incentivi tradizionali di curiosità e di ricerca verso quei paesi remoti. Frattanto veniva però formandosi un nuovo potente impulso ad effettuare lontani viaggi, l'interesse religioso. Per lungo periodo di secoli questo fu il solo movente che sospinse individui isolati, man mano più numerosi, a peregrinare, sia per diffondere la fede, sia per acquistar merito visitando i luoghi dove s'era accesa la luce del Cristianesimo. Tralasciando dei discussi viaggi di San Tommaso e San Bartolomeo nell'India e nell'Asia centrale, è certo che missionari propagarono il Vangelo in Arabia già nei secoli II e III; e ancora sono da ricordare la missione di Gregorio l'Illuminatore in Armenia nel 257 e quella di Ephraim nella Scizia, nei primi anni del sec. IV, e altre nella Persia, nell'India e nell'Asia centrale.
Un flusso regolare di pellegrini alla Palestina si inizia con l'avvento di Costantino e con la fondazione dell'impero bizantino. Le relazioni rimasteci di taluno di questi viaggi, spinti anche fino alla Mesopotamia e all'Arabia, hanno invero scarsissimo valore geografico, informate, come sono, al puro interesse religioso e a creare soltanto un fondamento topografico alle più svariate leggende legate alle origini del Cristianesimo (itinerario dell'Anonimo pellegrino di Bordeaux, nel 333; di Eteria abbadessa in Aquitania, nel 386, di Antonino di Piacenza, nel 570, ecc.). Ai viaggi religiosi appartiene anche quello di un Teofilo, forse nativo dell'isola Diu (India), inviato nel 356 da Costanzo imperatore ariano e spintosi a costruire chiese a ‛Aden, a Ṣan‛ā (Yemen), a visitare Socotra e l'Abissinia, a diffondere l'eresia ariana fin oltre l'Indo. Ma il più fervente apostolato missionario e più fertile di risultati, fu certo quello della comunità orientale dei Nestoriani. Nel 431, quando il concilio di Efeso condannò Nestorio, i suoi seguaci erano già disseminati in Persia; di qui si sparsero per l'Asia fino alle coste del Mar Giallo, stabilendosi con una serie di vescovadi e di sedi metropolitane nella Siria, Arabia, Persia, India, Turkestan, Mongolia e Cina, fino a Cambaluc (Pechino) e Si-ngan-fu, tutte dipendenti dal Patriarcato risiedente a Seleucia (Ctesifonte) in Mesopotamia, poi a Baghdād (762).
Non erano però mai cessate del tutto le relazioni commerciali con l'Asia più remota, sia per via di terra, sia di mare; e, durante il fugace rifiorire dell'impero d'Oriente sotto Giustiniano, di Cosma e Sopatro sappiamo che trafficavano (come altri mercanti siriaci e alessandrini) fra il Mar Rosso e Ceylon (e il primo ci lasciò anche una vivace descrizione dei luoghi), e abbiano ricordo nel 568 di un Zemarco, inviato da Giustino II a cercare nuove vie per il commercio della seta e arrivato fin quasi ai T'ien-shan, passando al ritorno a N. del Caspio e per la Caucasia.
Invero, dal sec. IV all'VIII vi fu un movimento dalla Cina verso l'Occidente (in tutto corrispondente a quello opposto dai paesi occidentali verso l'Oriente) anche di viaggi a scopo religioso, e le relazioni lasciateci da quei pellegrini sono ricche (frammezzo ad altra materia) di notizie sui paesi attraversati. La prima relazione importante conservata è quella di Fa-Hien, partito da Si-ngan-fu nel 400 per l'Asia Centrale, il Pamir e l'Afghānistān, indi peregrinato per dieci anni attraverso l'India in tutti i luoghi consacrati dalla leggenda buddhista; scrisse del suo viaggio un racconto chiaro ed equilibrato, con una buona descrizione geografica della via percorsa. Un secolo dopo, dal 518 al 521, è da ricordare la missione religiosa in India (per la via del Gobi e di Khotan) di Hoei Sing e Sung Yun. Più tardi quella, assai più importante, di Hiuen Tsang, dal 629 al 646: da Si-ngan, per il deserto di Gobi e la valle del Tarim, valicando i monti Tengri Khan e lungo l'Issyk-Kul, perviene nel Turkestan, probabilmente fino a Taškent e Samarcanda, poi attraversa l'Afghānistān, e da Peshawar, dopo una escursione nel Kashmir, perviene alfine ai piani gangetici; visita uno dopo l'altro tutti i regni indiani, dove il buddhismo resisteva ancora, e torna in patria dopo 17 anni per il Kashmir, l'Hindu Kush, il Pamir, dove segnala il lago Syri-Kul, non prima menzionato da altri, una delle sorgenti dell'Oxus. Y-tsing, che, imbarcatosi a Canton su nave persiana nel 671, non tornò in patria per 27 anni, e visitò tra l'altro Giava e Sumatra, lasciò un memoriale dove sono menzionati 56 viaggiatori cinesi recatisi in India sulle tracce di Fa-Hien e Hiuen Tsang fra il 650 e il 700 per via marittima o per via terrestre. Fin da questo periodo, del resto, la Cina emergeva per iniziative prettamente geografiche precorrenti di secoli il resto del mondo: così nel 721, un prete, Y-hang, riceveva l'incarico di fare un rilevamento del territorio dell'impero, e venivano mandati osservatori nell'Indocina, nell'India meridionale e nella Tartaria del nord per notare la diversa durata del giorno e della notte e i moti delle stelle non visibili da Si-ngan.
Tornando all'Occidente, il sorgere dell'Islam e il suo prodigioso sviluppo da setta religiosa a un vasto impero avevano profondamente alterato le relazioni tra i popoli. Tuttavia, dopo caduta Gerusalemme in potere dei Musulmani (637), i fedeli, grazie alla moderazione di Omar, poterono riprendere i pellegrinaggi ai luoghi santi e, tra le principali relazioni di questo periodo sono quella del vescovo franco Arculfo (circa 680), di Willibald, inglese (722-31), di Fidelis (750), e di Bernardo il Savio di Mont St. Michel, ultimo dei pellegrini franchi di qualche importanza.
Gli studî geografici, tanto matematici come descrittivi, ch'ebbero così gran parte nel fiorire della civiltà e della cultura araba, perfezionarono assai - almeno dentro l'ambito del mondo musulmano - la conoscenza di molta parte dell'Asia. Ricordiamo, tra gli altri, circa l'840, Sallām, detto l'Interprete, che, inviato in missione da Baghdād fino ai Khazari del Volga, compie il circuito del Caspio, esplora parte dell'Ural e dell'Altai, e torna in Mesopotamia per Buchara e per il Khorāsān. Pochi anni dopo (850), la relazione di un anonimo ci descrive il viaggio marittimo di Sulaymān il Mercante, cioè la via commerciale da Bassora e dal Golfo Persico al Mar Giallo con le isole, le fattezze delle coste, i prodotti, le miniere, i costumi, i governi, le religioni, ecc. dei popoli indiani e dei cinesi; un'edizione ulteriore fa anche cenno dei viaggiatori arabi per la via di terra, da Samarcanda a Kanfu, lungo i confini settentrionali del Tibet. È di quest'epoca (circa 880) una notizia ufficiale delle principali vie di comunicazione redatta da Ibn Khordādhbeh, che è un vero trattato generale di geografia del mondo allora conosciuto e del commercio fra Occidente e Oriente, al quale partecipavano attivamente anche i Russi portando le loro pellicce fino a Baghdād, per la via del Volga e del Mar Caspio.
Alla metà del sec. X appartengono varî grandi viaggiatori. Notissimo è al-Iṣṭakhrī di Persepoli, che percorse quasi tutte le provincie dell'Islām dall'Atlantico all'India e dal Golfo Persico al Caspio, traendone una relazione col titolo Libro dei climi. Egli incontrò nella valle dell'Indo Ibn Hawqal, che unì la materia del Libro dei climi con quella raccolta nelle proprie amplissime peregrinazioni, formandone un'opera, detta Libro delle vie e provincie, nella quale tra l'altro è risolto il quesito, sempre tanto discusso, della chiusura del Mar Caspio. Anche più illustre al-Mas‛ūdī di Baghdād (sec. X), che visitò successivamente la Persia, l'India, Ceylon, l'Asia centrale, le provincie mediterranee dell'Islam, Madagascar, e forse anche la Cina; i suoi scritti dànno fra l'altro le prime informazioni esatte del Lago d'Aral, e delle foci fluviali che vi immettono. Un altro dei più notevoli geografi di questo periodo, al-Muqaddasī, spese 20 anni viaggiando tra molte peripezie per i varî dominî musulmani, e raccolse le sue preziose osservazioni in un'opera ch'è una delle più accurate descrizioni dei paesi dell'Islam nel Medioevo.
Da rammentare è anche, circa due secoli dopo, Ibn Giubair, che si recò dalla Spagna alla Mecca in pellegrinaggio, descrivendo minutamente tutte le funzioni del luogo santo, gli edifizî sacri, ecc. Infine, Yāqūt, di origine greca, che visse fra il sec. XII e il XIlI, fece lunghi viaggi a scopo mercantile, e compilò un grande dizionario geografico, arricchito dalla propria esperienza.
Di fronte a questa energia dei Musulmani, il mondo cristiano serba ancora come unico movente per relazioni e contatti con l'Oriente l'interesse religioso. Fra il sec. VII e il IX il papato inviò parecchie missioni in aiuto dei cristiani di Terra Santa, e ambascerie ai califfi di Baghdād, da essi spesso ricambiate. Merita un cenno il viaggio dei sassoni Sighelmo ed Ethelstano (883), recanti doni del re Alfredo d'Inghilterra alle comunità cristiane di San Tommaso e di San Bartolomeo ancora superstiti in India. I Normanni, nuovi convertiti, divennero alla lor volta i più strenui propugnatori dei pellegrinaggi che rifiorirono verso la fine del sec. X e nel successivo come non mai prima, incontrandosi a Gerusalemme gente d'Europa di ogni provenienza e di ogni classe sociale.
Segue ben presto il fatto prodigioso della Crociata. Le relazioni dei pellegrinaggi posteriori alla liberazione di Gerusalemme (1099) hanno un nuovo carattere; vi troviamo per la prima volta descritte le cose vedute. Tali, all'inizio del sec. XII, quella di Saewulf, mercante inglese di Worcester, e quella dell'archimandrita Daniele di Kiev (il primo Russo che abbia descritto un viaggio ed anche uno dei primi scrittori russi); poi quella di Adelardo di Bath, che portò dalla Palestina in Inghilterra copia di manoscritti, e un trattato arabo di astronomia. Pochi altri hanno lasciato ricordi degni di nota, fino al 1187, quando Gerusalemme ricadde in potere dei Saraceni.
Accanto ai pellegrinaggi cristiani merita speciale menzione il viaggio del rabbino spagnolo Beniamino da Tudela a Gerusalemme, Baghdād e Antiochia, tra il 1159 e il 1173; i suoi pregevoli ricordi sono il primo contributo ebreo alla letteratura geografica, nessuno scritto essendoci rimasto de' molti suoi predecessori che fecero viaggi.
Dopo la caduta di Gerusalemme le sole relazioni di pellegrini degne di nota sono quelle di Burchard di Monte Sion, frate domenicano di Magdeburgo, che andò in Siria nel 1232, e di Ricoldo di Monte Croce, che fu in Siria e a Baghdād (1286), se non più in là.
Ma il sec. XIII aveva aperto per opera degli occidentali un'era nuova nella storia dell'esplorazione dell'Asia, fertile di straordinarî risultati. S'inizia quest'era coi tentativi di arginare, per mezzo di missioni religiose, l'invasione dei Mongoli in Europa, e di trasformarli in alleati nella lotta contro il comune nemico, l'Islām. La prima di queste missioni fu affidata da papa Innocenzo IV a frate Giovanni da Pian del Carpine. Partito nell'aprile del 1245, per la via della Polonia e della Russia arriva al campo di Batu, khān del Kapciak, sul Volga; di qui, attraversando la bassura turanica e la Zungaria, con viaggio molto disagevole e pericoloso, perviene fin presso a Caracorum, la capitale mongola; fa ritorno poi per la stessa via nel 1247. La sua relazione contiene un minuto ragguaglio degli usi e costumi, della religione, dell'organizzazione militare, della storia dei Mongoli, con un'ottima descrizione del paese di Tartaria e un itinerario geografico abbastanza preciso. Lo stesso anno 1247 ritornava anche frate Ascelino o Anselmo, lombardo, inviato da Acri al campo mongolo di Bachū khan, nella regione turanica; ma del suo viaggio ci ririmane solo una relazione incompleta e frammentaria.
Alle missioni papali sono da aggiungere quelle promosse da San Luigi di Francia. La prima fu affidata nel 1249 a frate Andrea di Longjumeau e passò per l'Asia Minore, Tabrīz, Chiva e raggiunse l'orda di Kuyuk nella Zungaria. Una seconda fu affidata a Guglielmo di Rubruck (Fiandra francese). Partitosi da Costantinopoli nella primavera del 1253, passò a N. del Caspio, trovò il khān Batu presso la foce del Volga, indi Mangū khān, successore di Kuyuk, accampato nei piani della Mongolia; si unì con la moltitudine al seguito dell'imperatore e accompagnò la corte a Caracorum. La relazione del Rubruck è un tesoro di preziose notizie su tanti popoli visitati, con molte osservazioni geografiche sui fiumi, sui climi, sui caratteri naturali delle regioni attraversate.
Ma la relazione del Rubruck e quella di frate Giovanni, per quanto piene di cose nuove, erano tuttavia poco più che itinerarî, tenui linee nella immensità delle terre asiatiche, e le osservazioni, raccolte in pochi mesi di permanenza fra popoli di cui essi ignoravano la lingua, erano per necessità superficiali e poco sicure. La gloria di rivelare veramente all'Occidente il mondo asiatico doveva toccare alla famiglia dei Polo, mercanti patrizî veneziani, per merito del più celebre di essi, Marco. Storia così straordinaria, che poté dapprima esser creduta in gran parte frutto dell'immaginazione, finché ricevette la conferma più piena in ogni suo particolare dall'esperienza dei viaggiatori posteriori. Primi i fratelli Niccolò e Maffeo nel 1261, pervenuti alla sede dell'orda mongola a Bolgar sul Volga, vistasi preclusa la via del ritorno per una guerra scoppiata ai confini meridionali del khanato, si spinsero a oriente e, attraverso la steppa, pervennero a Buckara, dove si fermarono tre anni, stringendo relazioni commerciali, imparando a conoscere genti e lingue. Si accompagnarono poi a un'ambasciata che Hulāghū khān di Persia mandava al gran khān Qūbilāy, e con essa penetrarono nella Cina fino alla residenza imperiale a Kaiping. Riattraversata poi tutta l'Asia centrale, fecero ritorno ad Acri nel 1269. Invogliati da quel primo successo, Maffeo e Niccolò Polo partono una seconda volta da Lajazzo (golfo di Alessandretta) nell'autunno del 1271, accompagnati questa volta dal giovinetto Marco, figlio di Niccolò; e rimangono assenti 24 anni. Dalla Cilicia, per la Mesopotamia, la Persia, l'altipiano centroasiatico, il Deserto di Gobi, le steppe mongole e la Cina, attraversarono tutto il continente asiatico fino al Mar Giallo. Non solo, ma Marco dal gran khān Qūbilāy fu inviato in missione nella Birmania, nel 1277, gli fu affidato per tre anni il governo di Yang-ciou sull'Yang-tze-kiang, fu al seguito dell'esercito mongolo al Pegu e infine ambasciatore in Cocincina. I Polo insomma furono i primi Europei a visitare a fondo e a descrivere l'Impero Celeste, che era allora il paese più ricco, più splendido e civile del globo, con le sue grandi città, le manifatture, i porti fluviali e marittimi, la vita pacifica e industriosa; i primi a parlare dei Tibetani, Cocincinesi, Tonchinesi, Annamiti, Siamesi, Birmani e della gente di Laos, e a far cenno del Giappone e delle Isole delle Spezie. Primi pionieri europei, imbarcarono sulle coste orientali d'Asia, navigando (fu questa la via del ritorno) tutti i mari del sud dallo Stretto di Formosa a Sumatra, da Sumatra a Ceylon e all'India, indi al Golfo Persico, di dove raggiunsero a Trebisonda il mar Nero; e primo Marco descrisse le isole della Sonda, primo illustrò diffusamente l'India, coi suoi costumi, e con le sue genti, primo narrò di Socotra, di Mogadiscio, dell'Abissinia, dei nordici "paesi d'oscurità".
Intanto, incoraggiata dalla benevolenza dei mongolici sovrani della Cina, la Chiesa romana estendeva le sue relazioni con tutti i paesi asiatici che le erano stati chiusi inesorabilmente dai Musulmani. Sulṭāniyyah in Persia diventava sede arcivescovile, occupata prima da Francesco da Perugia, poi da Giovanni da Cori, probabile autore del Livre de l'Estat du Grand Caan. Giovanni da Montecorvino, francescano, dapprima missionario in Persia, passò poi nel 1291 dalla Persia al Coromandel, dove sostò tredici mesi; indi da Madras navigò in Cina, e vi fondò le missioni cattoliche che prosperarono finché durò la dinastia mongola. Dei vescovi e frati francescani inviativi di poi, lasciarono lettere e relazioni Andrea da Perugia, vescovo di Zayton, Giovanni da Cori, e, di gran lunga il più importante, frate Odorico da Pordenone, il quale viaggiò per 16 anni (1314-1330) in Persia, in India, a Sumatra, a Giava, a Borneo (dove nessun Europeo era stato prima), e probabilmente anche - durante il ritorno - nel Tibet; in Cina soggiornò tre anni, e aggiunse numerosi particolari a quelli già rilevati da Marco Polo. Altri religiosi, meno fortunati nella loro propaganda, incontravano il martirio fra i Tartari del Volga o nel Turkestan; riusciva invece ad attraversare questi paesi e a raggiungere per la Zungaria e la Mongolia Pechino (1342) il francescano Marignolli, fiorentino, il quale dimorava poi in Cina circa 4 anni; tornò in Europa per la via di mare, con lunghe soste nelle isole della Sonda, nell'India, a Ceylon; lasciò un disordinato racconto dei suoi viaggi inserito in certa sua cronaca di Boemia. Dell'India, pure tentata da molti missionarî, riferiva circa gli stessi anni, con assai larga e acuta informazione di cose e d'uomini, nei suoi Mirabilia il domenicano francese Giordano da Sévérac, assunto tra gravissime difficoltà a reggere il vescovato indigeno di Quillon (1328).
Verso la fine del sec. XIII e per tutto il successivo, sulle vie aperte dai Polo, da Odorico da Pordenone e dai loro successori, i paesi tartari, l'Asia centrale, la Cina, l'India venivano visitate o attraversate da Italiani, e in minor numero da Francesi, Spagnoli, Ungheresi, Tedeschi, attirati dai rischiosi ma lucrosi commerci: e il trattato mercantile del Pegolotti (Libro di divisamemi di paesi o Pratica della mercatura, circa 1340) dà minuta contezza del numero e della estensione delle vie seguite e della importanza dei mercati. Né si tratta solo d'intermediarî, perché mercanti, quasi tutti italiani, erano stabiliti in tutte quelle terre, mentre Genovesi e Veneziani si contendevano la supremazia di tutti i mercati nel bacino del Mar Nero e regioni limitrofe, nella Siria, nell'impero perso-mongolo. I Genovesi avevano anche compiuto l'incredibile impresa di portar navi loro nel Mar Caspio, risalendo con esse il Don dalla foce e trasportandole poscia dal Don al vicino Volga, scendendo poi quest'ultimo fino al mare interno.
A riscontro di quest'attività degli Europei sta una grande figura di viaggiatore arabo, Abü ‛Abd Allāh Muḥammad, detto Ibn Baṭṭūṭah, nato nel Marocco, che fra il 1325 e il 1350 peregrinò, oltre che per gran parte dell'Africa, in Arabia, in Persia, nel Turkestan, nella Siberia fino all'orlo della tundra artica; poi per quasi due lustri in India al servizio del sultano di Delhi, e ancora in Cina e nelle isole malesi, lasciando di tante peregrinazioni un racconto prezioso dettato al suo ritorno in patria.
Il fiorentissimo traffico e le relazioni sempre più intense che s'andavano stabilendo fra Occidente e Oriente, subirono la comune rovina al disfarsi degl'imperi gengiscanidi sotto il cataclisma di Timur Lang (Tamerlano). Con la caduta dei Mongoli e l'instaurazione dei Ming (1368-70), la Cina diventa rigidamente xenofoba, e, con l'islamizzazione dei tartari occidentali, l'islamismo più fanatico si stende di nuovo a chiudere tutte le vie di terra. I viaggi di Europei nell'Asia remota dal Mediterraneo ridiventano rari e privilegio di pochi. Nel 1403-04 abbiamo la missione di Ruy Gonzȧlez de Clavijo, inviato da Enrico IIl di Castiglia a Timur nella sua capitale amarcanda. Abbiamo ancora la storia avventurosa di Johann Schiltberger, a 16 anni fatto prigioniero dal Turco sulle frontiere dell'Ungheria (1396), poi tolto ai Turchi da Timur che lo condusse seco a Samarcanda, più tardi al servizio di varî capi timuridi tratto qua e là per il mondo tartaro dal Caucaso fino in Siberia: la sua relazione, sebbene disordinata e confusa, fa menzione per la prima volta dei luoghi santi islamici, della tomba del profeta a Medina, e del nome Sibir. Di poco posteriore al tempo di Tamerlano è il mercante veneziano Nicolò de' Conti, che viaggiò per 25 anni (dal 1414 al 1439) fin nel più lontano Oriente. Dopo aver soggiornato qualche tempo a Damasco, unitosi ad alcuni Persiani, navigò alla foce dell'Indo e al Malabar, inoltrandosi con lunghe escursioni nell'interno della penisola; dal Coromandel si recò a Sumatra, dove si fermò un anno, tornò in India, nel Bengāla, poi fu in Birmania, in Indocina e forse nel Siam e a Giava. Recatosi di nuovo in India, riuscì ad attraversare la barriera maomettana, tornando per Socotra, per il Mar Rosso e per l'Egitto, dopo subite gravissime peripezie. Il racconto dei suoi viaggi, dettato a Poggio Bracciolini che lo trascrisse in latino, è la più importante relazione di viaggio in Asia del secolo XV, e mostra come il Conti conoscesse l'India e le terre a levante del Golfo del Bengala come nessun Europeo prima di lui.
L'Italia continua a dare il contributo maggiore e più importante di viaggiatori. Venezia, interessata a rompere il cerchio delle ostilità turche che le chiudevano le vie dell'Oriente, dà alla storia dei viaggi asiatici i nomi di Caterino Zeno nel 1471, di Giosafat Barbaro e di Ambrogio Contarini tra il 1473 e il 1479, tutti e tre ambasciatori a Ŭzun Ḥasan, re di Persia: le loro relazioni sono le uniche fonti che possediamo per la conoscenza della Persia, alla fine del sec. XV. A rendere completa tale conoscenza abbiamo anche il racconto di un altro italiano, Giovan Maria Angiolello, al servizio di Mustafà figlio di Maometto II, il quale descrive gli eventi, dal punto di vista turco, fin dopo la morte di Ŭzun Ḥasan. La storia prosegue nel secolo successivo con la relazione di un anonimo mercante che soggiornò in Persia quasi nove anni, dal 1511 al 1520, prendendo parte alle guerre, ottimo e preciso narratore e descrittore di paesi, provincie e città, e con quella di un ultimo ambasciatore veneto, Vincenzo d'Alessandri, inviato nel 1571 allo scià Tahmāsp, della dinastia dei Ṣafawidi.
Ancora ai viaggi in Asia per la via di terra appartiene quello di Lodovico di Varthema bolognese (1502-1508), che primo osò penetrare, sotto veste turca, nelle città proibite di Medina e Mecca e nello Yemen; dopo traversie e avventure romanzesche, per la via della Persia pervenne in India (dove già erano comparsi per la via di mare i Portoghesi) e di qui proseguì fino al Tenasserim e a Malacca, stendendo poi una relazione molto ricca di notizie, degna d'esser posta accanto a quelle del Polo e del Conti.
Nel frattempo però un mutamento straordinario era avvenuto. Gli Europei cioè avevano aperto alle loro navi quella via marittima alle Indie e al lontano Oriente, che sottopose definitivamente l'Asia intera alla intraprendenza degli Occidentali. Pionieri fin dal sec. XIII gl'Italiani col memorabile tentativo genovese di Ugolino e Guido Vivaldi, usciti dal Mediterraneo a tentare lo sconosciuto periplo dell'Africa con l'intento di raggiungere per mare le Indie. I più lenti metodici tentativi, rinnovati molto tempo più tardi dai Portoghesi, hanno coronamento nel 1497-98 col trionfale viaggio di Vasco da Gama, che, girato il capo di Buona Speranza, raggiunge finalmente dall'Europa con una sola navigazione la costa indiana del Malabar. La via maestra dell'Asia è dunque finalmente trovata. Alla prima esplorazione seguono le spedizioni militari e le conquiste, delle quali ormai non più gl'Italiani, bensì i Portoghesi hanno il monopolio ed il merito. Centotrentadue navi portoghesi salpano per l'India nel solo primo decennio del sec. XVII; sorgono sulle coste indiane fattorie commerciali e fortezze; le occupazioni si estendono in pochi anni a Mascate e ai porti vicini dell'Arabia, a Hormūz, a Malacca; ambascerie arrivano al Siam, ai regni malesi, alla Cina; nel 1511 i Portoghesi arrivano alle Isole di Banda, nel 1512 alle Molucche, desideratissimo centro di produzione delle più preziose spezie. E alle stesse Molucche, dopo avere scoperto l'arcipelago delle Filippine, arriva nel 1521, ma per opposto cammino, avendo rivelata e traversata tutta l'immensa distesa del Pacifico, la spedizione di Ferdinando Magellano, vedovata del suo capo ma già prossima a conquistare la gloria dell'intero globo circumnavigato. Con la spedizione magellanica si rinnova e s'integra per la prima volta il concetto della ripartizione generale dei mari e delle terre sul globo; l'Asia anch'essa, benché tuttora rimanga ignoto l'intero contorno continentale dal Mar della Cina al Mar di Kara, si precisa nella sua posizione e funzione di fronte al Mondo Nuovo e all'Antico.
Non ci resta dunque ora che dire per sommi capi come vennero completandosi da codesta epoca in poi le linee generali della conoscenza del continente.
Per quel che riguarda il contorno, in verità soltanto il sec. XIX, data la difficilissima navigabilità di tutto l'orlo di tramontana e di NE., doveva veder completata la faticosa opera esplorativa. Difatti, rapido è sì il progresso nei mari dell'estremo Oriente: al Giappone (noto prima soltanto vagamente a Marco Polo) approda forse fin dal 1542 una prima nave portoghese, e sette anni dopo vi compare a evangelizzare San Francesco Saverio: onde le conoscenze del nuovo arcipelago trovano già espressione nella gran carta asiatica di Jacopo Gastaldi (1561), armonizzante tutte le cognizioni nuove con le più certe dei secoli precedenti. Ma le difficoltà appunto dei mari più settentrionali spiegano come soltanto un secolo più tardi si discoprano le isole di Yeso (Hokkaidō) e di Sachalin (de Vries, 1643) e come lo stretto separante l'Asia dall'America, divinato dal Gastaldi fin dal 1562 e raggiunto per terra dal cosacco Dešnev nel 1647, non sia riconosciuto e accertato con nave che nel 1728 grazie alla spedizione di V. Bering. Così pure, mentre la Siberia, grazie alla sua stretta congiunzione con la Russia, vede i primi tentativi di penetrazione russa fin dal 1553, e poi la conquista talmente rapida che nel 1639 già i russi cacciatori di pellicce avevano raggiunto il Mare d'Ochotsk, - vediamo lentissimamente progredire la conoscenza dell'orlo settentrionale, cominciatosi a scoprire dagli Olandesi nel Mar di Kara nel 1598: appena nel 1742 Čeljuskin raggiunge (per terra) la punta più settentrionale del continente, appena nel 1879 la Vega, comandata dallo svedese Nordenskjöld, riesce a compiere il passaggio di NE. costeggiando tutto il litorale asiatico dal Mar di Kara allo Stretto di Bering.
La rapidità della penetrazione russa nell'Asia settentrionale non ha riscontro nei paesi meridionali, dove i Portoghesi non estendono le loro occupazioni, puramente commerciali, oltre l'orlo costiero. Subentrano però dopo pochi decennî ai Portoghesi, rapidamente declinanti, gli Olandesi e gl'Inglesi.
Il secolo XVII vede non soltanto una graduale diffusione dell'occupazione europea nell'interno dell'India, nell'Indocina e nelle isole malesi, ma vede altresì le prime rinnovate spedizioni nel cuore del continente dopo due secoli di arresto, dovute soprattutto all'ardire e alla tenacia dei missionarî cattolici. Nel 1602-1605 il gesuita portoghese Benedetto Goes attraversa da Agra (Indostan) all'Afghānistān e al Turkestan, indi dal Turkestan per la Mongolia, ricalcando le orme dei viaggiatori dei secoli XIII e XIV, fino a Su-ceu; nel 1625, con viaggio non meno ardito, il gesuita portoghese Antonio de Andràde dall'India attraversa il Tibet e il Tangut con meta Pechino; nel 1661 altri missionarî gesuiti riescono a traversare in senso inverso dalla Cina a Lhasa e all'India. Il secolo XVIII vede per lunghi anni cappuccini e gesuiti europei dimorare nelle solitudini del Tibet, principale fra tutti Ippolito Desideri (v.), primo a percorrere la gran valle del Sang-po (Brahmaputra) e primo a descrivere con precisione e sagacia insuperate gli uomini e le credenze del singolare paese che doveva poi essere per tanto tempo vietato interamente o quasi agli Europei del sec. XIX.
Nella Cina intanto l'attività de' missionarî occidentali riusciva ad allargare e ad assicurare straordinariamente la conoscenza del grande paese. Dopo che nel 1520 era stato accolto a Pechino (non visitata da alcun europeo negli ultimi centosessant'anni) il primo inviato portoghese, la Cina intera s'era aperta senza troppa difficoltà alla propaganda cristiana: primo il P. Matteo Ricci, che, vinte le ostilità oppostegli a Canton (1585), riuscì a farsi accogliere con largo favore per lunghi anni a Pechino. Dell'opera sua e dei suoi successori, largamente proficua, oltre che alla religione, alla scienza, è, per non dire altro, documento famoso l'Atlas Sinensis del gesuita trentino Martino Martini, uscito nel 1655.
Per parlare però veramente di spedizioni organizzate da un punto di vista prettamente scientifico, bisogna venire fino al secolo XVIII, e forse è da dire prima fra tutte quella mandata ad esplorare l'Arabia (una delle regioni asiatiche che più tardivamente s'apersero agli Europei) per iniziativa del re di Danimarca Federico V, con a capo il geologo Carsten Niebuhr (1763).
Da allora si sviluppano prima in una e poi in altra parte del continente le esplorazioni scientifiche e, dov'è possibile, lo studio minuto e metodico. Nell'Asia russa sono celebri i viaggi di Pallas (1768-1793) e gli altri promossi da Caterina II. Nell'India, occupata e organizzata dal governo inglese, già nel 1784 si fonda con severi intenti di studio la Società Asiatica di Calcutta e nel 1801 incominciano le operazioni per la costruzione della prima grande carta corografica della penisola; nel Giappone, chiusosi agli Europei col finire del sec. XVI, il più rapido progresso nella conoscenza scientifica del paese s'inizia col grande rivolgimento che dal 1854 in poi riaperse quella terra alla civiltà moderna. Ben più lentamente si apre la parte più chiusa dell'Asia, vale a dire il centro del continente, sbarrato dagli alti rilievi e dalle altissime pieghe orografiche, reso difficile dal clima e dalle ostilità umane vinte queste ultime più agevolmente nei secoli XIII e XIV che non potessero essere nei secoli moderni. L'esplorazione scientifica può dirsi cominci alla metà del sec. XIX (primi i fratelli Schlagintweit, passati attraverso tutto il Tibet dall'India al bacino del Tarim nel 1856), rapidamente guadagnando terreno grazie soprattutto all'opera di Russi e d'Inglesi. Tra gli altri Severcov e Se'menov nel 1857 nei T'ien-shan, Prevalski in quattro grandi viaggi dal 1871 al 1884 dai T'ien-shan a tutto il bacino del Tarim, aì K'uen-lun, al Deserto di Gobi, Sven Hedin dal 1894 in poi con cinque viaggi per tutto il Tibet e il Han-hai, ecc.
Per opera di questi e di molti altri, anche in questa parte più remota ed aspra possono dirsi omai tolti i maggiori veli, laddove in altre contrade - India, Giappone, parte delle dipendenze russe, parte dell'Indocina e degli arcipelaghi malesi - è in pieno sviluppo il procedimento degli studî scientifici moderni. Molto è ancora da fare tuttavia in vasti tratti di paese conosciuti soltanto per itinerarî isolati, come nel Han-hai, nel Tibet, nelle parti della Siberia più difficili per il clima e per le comunicazioni, alla radice della penisola indocinese, nell'interno dell'Arabia e di taluna fra le isole malesi (v. alle singole regioni).
Bibl.: Per la bibliografia dei singoli viaggi si rimanda alle varie voci regionali dell'Asia. Qui si ricordano soltanto alcune delle principali opere riassuntive, come: C. R. Beazley, The Dawn of Modern Geography, voll. 3, Londra 1901-1906; Travels and Travellers of the Middle Ages, ed. da A. P. Newton, Londra 1926; Bibliographia Geographica Palaestinae; Itinera Hierosolymitana, voll. 3, 1877-1885; P. G. Golubovich, Biblioteca biobibliografica dell'Oriente francescano (1215-1345), voll. 5, Firenze 1906-1929; S. Julien, Voyages des Pélerins Bouddhistes, voll. 3, Parigi 1853; S. Beal, Buddhist Records of the Western World, voll. 2, Londra 1906; G. B. Ramusio, Delle navigationi et viaggi, 2ª edizione, voll. 3, Venezia 1554, 1583, 1556; R. Hakluyt, The principal navigations, voll. 12 (ristampa, Edimburgo 1903-1905); S. Purchas, Hakluyt Posthumus, voll. 20 (ristampa, Edimburgo 1905-1907); P. Amat di San Filippo, Bibliografia dei viaggiatori italiani, Roma 1874; id., Studi biografici e bibliografici, voll. 2, 2ª ed., Roma 1882; id., Illustri viaggiatori italiani, Roma 1885; A. de Gubernatis, Viaggiatori italiani nelle Indie Orientali, Livorno 1875; Henry Yule, Cathay and the way thither, voll. 4, Hakluyt Soc., 2ª ed. (Cordier), Londra 1915-1916; C. Errera, L'epoca delle grandi scoperte geografiche, Milano 1926; Abel Rémusat, Relations politiques des Princes Chrétiens... avec les Empereurs Mogols, in Mém. de l'Académie Royale des Inscr. et Belles-Lettres, IV e V, 1821-22; E. Heawood, A history of geographical discovery in the XVII and XVIII Centuries, Cambridge 1916; W. Sievers, Asien, Lipsia 1904 (al capitolo Erforschungsgeschichte).
Morfologia e geologia.
Dal punto di vista morfologico e strutturale dovremmo distinguere nell'Asia un gran numero di regioni naturali, quali più e quali meno bene individuate; ma per chiarezza e semplicità di esposizione converrà limitarci alle principali e raggrupparle secondo la partizione più in uso.
Siberia. - Regione vastissima e composta dì elementi svariati, che nella zona orientale sono ancora mal noti.
Il Bassopiano siberiano occidentale. - Si estende dal piede orientale degli Urali all'Enisej (Jenissei) e dal Mar Glaciale alle Steppe dei Kirghisi e all'Altai. Nell'insieme è un'immensa pianura che si eleva gradatamente fino a 100-200 m. ed è formata da sedimenti marini terziarî e quaternarî orizzontali e trasgressivi sopra un basamento paleozoico e mesozoico. Deboli rilievi tabulari del Paleogenico, elevati fino a 300 m., costituiscono la regione del Turgai, che s'interpone fra gli Urali e le Steppe dei Kirghisi e separa il bassopiano siberiano dalla Depressione Aralo-caspica.
Il Tavolato siberiano centrale. - Si estende fra l'Enisej e la Lena e dal Mar Glaciale ai Saiani e ai Monti del Baikal. Vi dominano rilievi tabulari di grandezza assai varia; non vi mancano però superficie ondulate e perfino catene frastagliate, come nella penisola del Taimyr, e basse pianure, come lungo l'Angara; l'altitudine è in generale inferiore a 500 m. e arriva solo per eccezione a un massimo di 1500. ll tavolato è costituito da una piattaforma paleozoica antica di sedimenti marini, in generale poco disturbati (la cosiddetta Terra dell'Angara), che sono spesso ricoperti da sedimenti continentali con depositi carboniosi del Paleozoico superiore e del Mesozoico, e che talora sono rotti da grandi eruzioni basaltiche. Massicci granitici affiorano lungo l'Enisej e nella penisola del Taimyr.
La Siberia orientale, a E. della Lena, è molto varia nel suo rilievo, in cui a catene elevate fino a 2400 m. con forme alpine si associano rilievi cupolari, piccole catene di forme varie e pianure notevolmente estese. Nella maggior parte della regione le quote si elevano dal mare a 1000 o 1500 m.: prescindiamo dalla penisola del Camciatca, che fa già parte dei festoni insulari. La struttura geologica appare molto varia e complessa: vi compaiono terreni di tutte le età dall'Arcaico al Terziario, per lo più fortemente dislocati, accompagnati anche da complessi eruttivi in prevalenza più antichi verso il Mare Artico, più recenti verso il Pacifico.
Le catene siberiano-mongole. - Formano la grande fascia montuosa che si svolge fra la piattaforma siberiana centrale e l'altipiano mongolo. Montagne di forme massicce, arrotondate o spianate ad altipiano, divise da valli profonde, contrastano con catene a paesaggio alpino, elevate fino a 3490 m. nei Saiani, a 2450 nella Transbaikalia, a 3600 nell'Altai mongolo, mentre le altezze medie degli altipiani si aggirano sui 1000 m. Grandi depressioni e bacini, dovuti ad affossamenti tettonici multipli: particolarmente notevole quello del lago Baikal e quelli della Mongolia occidentale, in parte disseminati di conche lacustri.
La regione dell'Altai. - È compresa fra il Bassopiano siberiano e le depressioni della Zungaria e del Balchaš. Domina il sistema dell'Altai russo, dove sottili catene si elevano fin oltre 4000 m. sopra un grande altipiano inciso; vi si connette a S. il sistema del Tarbagatai, a O. l'ondulato altipiano delle Steppe dei Kirghisi. Prevalgono terreni antichi, paleozoici e prepaleozoici, molto fortemente dislocati e corrugati. Nell'insieme si ha una serie di catene con tracce di ripetuti piegamenti e di spianamenti erosivi: la Steppa dei Kirghisi è un vero penepiano. Mentre nell'Altai mongolo, continuazione orografica ma non genetica dell'Altai russo, l'ultimo corrugamento risale al Paleozoico antico, qui si ebbe una ulteriore energica piegatura nel Paleozoico superiore.
Asia centrale. - Regione anche questa estremamente vasta e comprendente unità morfologiche svariate, che hanno in comune soltanto l'appartenenza alla grande zona continentale interna.
I T'ien-shan (Monti del Cielo). - Gigantesco sistema montuoso elevato fino a 7200 m., fra i bacini del Balchaš e della Zungaria a N., e quelli della Fergana e del Tarim a S., lungo (nel senso dei paralleli) 2600 km. e largo 600; costituito da numerose catene parallele abbraccianti estesi altipiani, valli e pianure, in parte di sprofondamento tettonico, di cui la più notevole, quella di Lukciun o Fossa dei T'ien-shan, si deprime fino a 169 m. sotto il livello marino. Prevalgono scisti arenarie e calcari del Paleozoico, in parte metamorfosati da intrusioni granitiche e porfiriche; corrugamenti paleozoici; fratturazioni terziarie con sollevamenti e abbassamenti accompagnati da eruzioni.
Alai e Pamir. - Complesso di catene elevatissime, susseguentisi da N. a S. (con direzione EO. girante poi ad arco verso SSO.) fra i bacini del Tarim e dell'Amū-Daryā. A N. si riattaccano ai T'íen-shan, da cui le separa in parte il depresso bacino di Fergana. Alle due lunghe catene a baluardo dell'Alai, elevate fino a 6000 m., seguono le due del Transalai che tocca i 7000, indi quelle del Pamir ancora più alte, separate fra loro da altipiani ("pamiri") e da elevati bacini chiusi, tranne che ad O. dove s'intagliano profondissime valli. Terreni analoghi ai T'ien-shan, cui s'aggiungono sedimenti marini triassici e anche in parte cretacei ed eocenici; ripetuti corrugamenti paleozoici; corrugamento e fratturazione terziaria.
L'altipiano mongolo (Gobi o Han-hai). - Compreso fra le catene siberiano-mongole e il K'uen-lun, benché legato ai bacini dei Tarim, della Zungaria e della Mongolia occidentale, il Gobi è molto diverso da questi; il suo carattere preminente è quello di una regione a pieghe solo in parte spianata dall'erosione e con le depressioni e incisure colmate da materiali di trasporto eolico. È un vastissimo altipiano elevato 1500-1600 m. ai margini, 850 m. verso il centro, attraversato da lunghe serie di rilievi montuosi e collinosi, avanzi di antiche catene con varie direzioni. Pare che vi si possano riconoscere prosecuzioni del Khangai, dell'Altai, dei T'ien-shan e del K'uen-lun. A E. l'altipiano è orlato da un leggiero rialzo, la cosiddetta catena del Grande Khingan, che cade di colpo sulla Manciuria. Nell'ossatura prevalgono, per quanto si sa, rocce cristalline e paleozoiche, con masse intrusive ed effusive; il Terziario è rappresentato da rocce clastiche terrestri e da rocce vulcaniche. Si ebbero corrugamenti antichi, lunghissima erosione subaerea, fratture terziarie. Il modellamento caratteristico dovuto al clima arido risale in parte al Terziario; l'insieme è, meglio che un deserto, una steppa desertica.
Il K'uen-lun. - Imponente sistema montuoso, che si snoda per oltre 2500 km. dall'Alai-Pamir alla Cina, dove la catena centrale si prolunga ancora. A O. il K'uen-lun occidentale descrive un grande arco concavo verso il bacino del Tarim e, a quanto sembra, riallacciantesi all'Alai: è una catena ristretta ma elevatissima (fino a 7000 m.), che dal lato opposto digrada come un orlo rialzato verso gli altipiani del Tibet occidentale. Più ad E., nel K'uen-lun centrale, la catena si sdoppia, isolando fra il Tibet e il Gobi le depressioni del Zai-dam e del Kuku-Nor (2700-3000 m.) salate e desertiche. Prevalgono anche qui rocce cristalline e sedimenti marini paleozoici, ripetutamente corrugati, cui seguirono depositi terrestri meno disturbati, ma che provano un nuovo movimento orogenico alla fine del Mesozoico o poco dopo.
L'altipiano Tibetano. - Fra i grandi sistemi montuosi del K'uenlun e del Caracorum col Transhimālaya, che ne formano i margini rialzati, il Tibet si presenta come un altipiano ad altitudine media di 4600-5000 m., non già tabulare né livellato, ma risultante dalla degradazione di un grandioso fascio di pieghe parallele, che aumentano di numero verso E. Le loro dorsali si elevano anche di 2000 m. sul piano generale di colmata, arido e sparso di laghi. Scisti cristallini e graniti; serie marina dal Carbonico al Cretacico; orogenesi ripetuta; movimenti tettonici anche recenti connessi con eruzioni vulcaniche.
Il sistema Caracorum-Transhimālaya. - Originatosi a quanto sembra nel Pamir con la giogaia del Mustaghata (7860 m.), descrive un grande arco convesso verso S. Il Caracorum è altissimo (fino a 8620 m. col K2), e orograficamente assai complesso, benché stretto e stipato fra l'Himālaya ed il K'uen-lun occidentale. Il Transhimālaya (o Monti Hedin) si allarga rapida mente verso E. suddividendosi in più catene parallele (con cime fra 6 e 7000 m.) ancora mal note e formanti anch'esse un sistema complicato, che digrada con meno aspri rilievi verso l'altipiano tibetano. L'ossatura del Mustaghata e del Caracorum è formata da graniti e scisti cristallini fortemente corrugati e ricoperti in trasgressione da terreni marini paleozoici e mesozoici, pure intensamente piegati; sono invece questi ultimi che prevalgono nel Transhimālaya.
L'Himālaya. - La lunghissima depressione longitudinale in cui scorrono l'alto Indo e il Sang-po-Brahmaputra, decorrente per oltre 2500 km., approfondita enormemente dall'erosione fluviale e glaciale, separa il Caracorum e i Monti Hedin dal gigantesco sistema himālayano. Questo costituisce una vera catena unita e continua, preceduta verso l'Indo dalla catena minore e ad essa parallela del Ladak, e verso la pianura dell'Indostan da complicati rilievi tra cui i fiumi si sono scavati valli strette e profonde. La catena si continua a O. e ad E. per tratti imprecisati oltre le profondissime incisure trasversali con cui l'Indo e il Brahmaputra l'hanno tagliata dirigendosi al mare. L'asse della catena s'incurva prima a SE., poi ad E., e coincide con la serie delle cime maggiori, che nella metà orientale si slanciano spesso oltre i 7000 m., culminando con l'Everest a 8882 m. La zona assiale è formata da gneiss e scisti cristallini, in parte provenienti da metamorfismo di rocce sedimentarie di varia età, con grandi masse di rocce intrusive acide e basiche. Sono inoltre riconoscibili terreni marini di tutti i periodi, dal Cambrico all'Eocene. Il grande corrugamento si compì nel Terziario, accompagnato dalle potenti intrusioni. Prima di esso il Tibet era una regione periferica e perciò ricca di precipitazioni, ciò che spiega le presenti condizioni della rete idrografica.
La Cina e l'Indocina. Manciuria. - Si stende dal piede del Grande Khingan, che le sovrasta con un dislivello di oltre 1800 m., all'Amur e al Mar Giallo, cinta a N. e ad E. dalla regione siberiana dell'Amur, e limitata ad E. e ad O. da grandi fratture marginali. A O. la Manciuria è una regione pianeggiante o ad ampî bacini, ad altezza media di 100-200 metri, in parte arida e priva di ogni deflusso al mare, in parte declinante col fiume Sungari all'Amur, col Liao-ho al Mar Giallo; ad E. è invece assai accidentata, e dalla montuosa penisola del Liao-tung all'Ussuri vi si presentano rilievi che sono ln parte vulcanici, alti fino a 2470 m. verso la penisola coreana.
Tutta la parte N. di quest'ultima è geologicamente legata alla Manciuria. Le rocce scistoso-cristalline e paleozoiche costituenti l'ossatura mancese, eorrugate e spianate in parte, metamorfosate da intrusioni granitiche, sono rotte da fratture recenti che diedero origine a vulcani e ad estesi campi di lave.
La Cina settentrionale. - Compresa fra l'altipiano mongolo e il mare, chiusa verso S. dalla catena del Ts'in-ling-shan - prosecuzione orientale del K'uen-lun - presenta ad O. un massiccio costituito da terreni assai antichi, in parte spianati e tabulari, coperti da loess per ampie estensioni nella zona marginale al deserto mongolo (Ordos). Il massiccio è cristallino e paleozoico; coincide con un bacino carbonico assai ricco. Una lunga frattura con sprofondamento del labbro esterno lo separa dalla zona orientale, dove la piattaforma antica è coperta dalla livellata pianura alluvionale del Huang-ho; isolati emergono i rilievi dello Shan-tung, continuazione di quelli del Liao-tung.
La Cina meridionale. - Si stende a S. del Ts'in-ling, fra il Tibet e il mare. La delimitano ad O. le prosecuzioni delle catene tibetane che piegano bruscamente a S. dirigendosi verso l'Indocina. Fra esse e la Cina meridionale propriamente detta si eleva fino all'altipiano del Yün-nan una zona massiccìa antica, la cui resistenza ebbe parte nel determinare quella brusca inflessione delle pieghe, e il cui limite esterno è pure segnato da frattura con abbassamento della zona verso mare. Questa è ancora bassa e alluvionale fino al Yang-tze-kiang; più a S. abbiamo una zona paleozoica e mesozoica ondulata a penepiano con ampî bacini, per lo più a quote inferiori a 500 m., con rilievo assai vario e disordinato, che soltanto più vicino alla costa si eleva sopra i 1000 metri. Le pieghe hanno direzione NE.-SO., incidendo obliquamente la costa che è alta e ricca di insenature.
L'Indocina. - Si radica profondamente nel continente mercé le sue catene riattaccantisi al Tibet: al N. s'innalzano catene elevate fino a 6000 m., parallele fra loro, strettamente ravvicinate, separate da strette e profondissime valli longitudinali; più a S. via via si deprimono e divergono verso oriente, separate da zone piane o collinose, e infine circuiscono anche ampî bacini, così da collegarsi al motivo orotettonico generale degli archi costieri. Sono rappresentati in questa parte dell'Asia graniti e scisti cristallini, terreni paleozoici svariati, Mesozoico prevalentemente calcareo e carsico; Terziario marino nella Birmania. I piegamenti furono in parte antichi, in parte terziarî sovrapposti ai primi.
Gli archi costieri. - I festoni di isole e penisole di cui s'inghirlanda l'Asia orientale sono da interpretarsi come grandi catene periferiche parzialmente emerse, abbraccianti bacini di profondità limitata, cui fanno contrasto profondissime fosse oceaniche dal lato esterno; catene tutte caratterizzate da un vulcanismo intenso anche oggi, e riferibili alle grandi fasi orogeniche terziarie.
Il Camtciatca, principalissima parte dell'arco omonimo, penisola lunga 1200 km., consta in prevalenza di lave andesitiche, effuse da vulcani elevati fino a 4730 m. e sorti sopra un antico basamento paleozoico e cristallino.
L'arco del Giappone, che si prolunga nell'isola di Sachalin, è orograficamente complesso, con varie catene e altipiani di diversa età; a un nucleo scistoso-cristallino e gneissico fanno seguito terreni marini dal Carbonico al Cretacico con rocce intrusive ed effusive; vi è pure largamente rappresentato il Neogenico marino, e l'orogenesi terziaria vi si è svolta soprattutto con dislocazioni per fratture accompagnate dagl'imponenti fenomeni vulcanici e sismici che tuttora continuano. Se il vulcano sacro, il Fuji-yama, tocca i 3780 m., anche montagne granitiche e paleozoiche oltrepassano i 3000; le rocce vulcaniche recenti coprono circa 1/5 della superficie.
Analoga struttura ha l'isola meridionale del Giappone, Kyūshū, che fa già parte dell'arco delle Ryū-Kyū, formato da una catena esterna rocciosa e da una vulcanica interna; ad esso si riattacca da un lato la Corea meridionale, cristallina e cambrica, limitata verso la Corea settentrionale da una fossa con effusioni basaltiche, e dall'altro lato l'isola di Formosa, quasi totalmente sedimentaria ed alta 4145 m., dove pure si trova un estremo del grande arco multiplo delle Filippine.
Gli archi dell'Insulindia (o delle isole della Sonda), amplissimi, sono oggi molto discussi nel loro significato geotettonico. Sembra che daile Filippine si stacchino tre archi concentrici, di cui l'interno passa per la parte settentrionale di Borneo, il mediano per la parte meridionale di Borneo, l'esterno per Celebes dove si torce a S. Al primo o al secondo si può forse ascrivere la penisola di Malacca, esternamente alla quale segue un arco amplissimo, dalla Birmania per Sumatra e Giava fino all'isola di Flores: isole tutte collegate fra loro e al continente da mare basso, inferiore a 100 metri di profondità. Nelle piccole isole e a Giava i vulcani sono parte essenziale del rilievo e della struttura, e alcuni di essi sono fra i maggiori del mondo; assai numerosi sono pure a Sumatra; meno nelle Filippine, mancano in Borneo. Molto estesi sono i sedimenti terziarî marini, trasgressivi ora su rocce antiche, ora su terreni paleozoici o anche mesozoici, come nella complessa isola di Borneo, ancora mal nota.
Asia anteriore. Asia Minore. - Tozza penisola protesa verso l'Europa, forma un altipiano alto in media 1000 m., percorso da rilievi con gli orli rialzati a N. e a S. in catene marginali, smembrati a O. da valli e affossamenti che rendono articolata la costa. La zona più interna è chiusa, a carattere steppico. Cristallina nell'ossatura profonda, l'Asia Minore presenta anche terreni marini di ogni età dal Silurico all'Eocene, con prevalente sviluppo di calcari su questi terreni corrugati si stendono depositi trasgressivi neogenici, per lo più lagunari o d'acqua dolce. Copiose le masse eruttive serpentinose e vulcaniche; grandioso il vulcano Argeo, punto culminante (3830 m.). Il rilievo attuale è dovuto soprattutto a recenti fratture con movimenti verticali.
Armenia. - Fa seguito all'Asia Minore, con la quale ha comune la serie dei terreni e la storia geologica. anch'essa un altipiano ondulato, steppico, ad altezza media di 1500-1800 m., con catene marginali alte quasi 4000 metri verso la Transcaucasia e fino a 3662 verso la Mesopotamia; vi si nota una grande zona vulcanica centrale, in cui domina l'Ararat (5156 m.), e una serie di depressioni con grandi laghi salati, come il Lago di Vān e quello di Urmiyah, ovvero carsici.
Irān. - Dall'altipiano armeno si passa gradualmente a quello grandioso dell'Irān, compreso fra importanti fasci montuosi, alti in media da 4 a 5000 m., come lo Hindu-kush che si rilega al Pamir e l'Elburs che limita il Caspio. L'interno, arido e chiuso, è percorso da varî sistemi di rilievi, fra cui si stendono vasti piani salati e desertici a un'altezza media di 1200 m. nella zona più ad O., di 700 m. più ad E. Su di un'ossatura granitica e scistoso-cristallina, si ritrovano terreni marini dal Paleozoico al Terziario, con prevalenza di Carbonico, Cretacico ed Eocene specialmente calcarei. I maggiori piegamenti e dislocazioni risalgono all'Oligocene, e furono seguiti nel Miocene medio da una nuova orogenesi con grande sollevamento che isolò i bacini interni come laghi di reliquato, e che si ripeté e completò nel Quaternario antico; a esso si accompagnarono intense manifestazioni vulcaniche (punto culminante è il vulcano Demavend, nell'Elburs, 5671 m.).
Il Caucaso. - Si presenta con un'imponente catena assiale lunga 1100 km., pressoché diritta da NO. a SE., unita e continua, elevatissima nella parte centrale (fino a 5660 m. con l'Elbruz), fiancheggiata sui due lati da un assai sviluppato complesso di creste e catene secondarie pure assai elevate. La parte centrale è un massiccio prevalentemente granitico; su di esso si appoggiano scisti paleozoici e sedimenti giurassici, cretacei e terziarî, e anche i neogenici sollevati a notevole altezzza; l'orogenesi principale fu quindi molto recente, e si svolse in più fasi dall'Eocene al Quaternario. Alcune fra le maggiori cime (compreso l'Elbruz) sono vulcani terziarî e pleistocenici. Celebri sono i cosiddetti vulcani di fango della penisola di Apšeron, all'estremità E. del Caucaso. E quivi sono anche celebri i grandiosi giacimenti petroliferi, che si estendono più o meno su tutta la periferia della catena.
Il Turan (Turkestān). - Compreso fra l'Europa e l'Asia centrale le Steppe dei Kirghisi e l'Irān, costituisce una zona interna complessa, occupata dalla depressione aralo-caspica e dai bacini pure depressi compresi fra le diramazioni orientali delle catene centroasiatiche. Sono bacini riferiti a fenomeni di fratturazioni e affossamenti, colmati in parte da depositi lacustri, alluvionali ed eolici, in prevalenza desertici o steppici. Nella maggior depressione, il Caspio ha lo specchio a − 16 m., e 76 m. più alto è il lago d'Aral, circondato da deserti petrosi o sabbiosi. Questi si estendono a NE., E. e SE. verso le depressioni del Balchaš (274 m.), fra le Steppe dei Kirghisi e il T'ien-shan, di Fergana (bacino fertile e petrolifero), fra le diramazioni orientali del T'ien-shan e dell'Alai, e di Buchara, fra queste e il margine iranico.
Africidi. Sirabia (Siria, Arabia e Mesopotamia). - Regione generalmente inclusa nell'Asia anteriore, ma da questa profondamente diversa per origine e struttura, e considerata dai geologi parte integrante dell'Africa. È una grande e tozza massa quadrangolare fra Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano e Golfo Persico, limitata verso terra dal piede delle catene tauro-iraniche. Forma nell'insieme un tavolato che lentamente declina verso NE., e i cui margini lungo gli altri lati sono rialzati fino a 2500-3500 m.; essi racchiudono una regione che, all'infuori della Mesopotamia, è quasi totalmente chiusa e in gran parte desertica. Fra le catene marginali hanno spiccato rilievo a NO. l'Amano, geologicamente complesso e che separa la Siria dall'Asia Minore; indi le lunghe carsiche dorsali cretacee ed eoceniche del Libano e Antilibano e dei monti della Palestina, divisi per lungo dalla profonda fossa tettonica del Giordano e Mar Morto, continuazione di quella amplissima del Mar Rosso. A quest'ultimo si affaccia, prescindendo da scarsi lembi paleozoici e mesozoici, tutto un grande massiccio cristallino, che si estende anche al Sinai; mentre arenarie e calcari del Cretacico ed Eocene, assai estesi nell'interno, ritornano nella zona di ‛Aden e lungo l'Oceano Indiano. Neogenico marino e alluvioni quaternarie colmano la depressione del Tigri e dell'Eufrate. I grandi affossamenti e sollevamenti, preceduti dai corrugamenti siriaci, datano dalla fine del Pliocene o dall'inizio del Quaternario, insieme con le concomitanti eruzioni basaltiche sul margine occidentale.
India. - Anche la penisola indiana (insieme all'isola di Ceylon) è una grandissima zona estranea alla massa continentale asiatica e affine a quella africana. Il bassopiano alluvionale indo-gangetico probabilmente a substrato cristallino, unisce al piede dell'Himālaya il Deccan, che è uno dei grandi massicci cristallini arcaici, ricoperto dopo una prima orogenesi da sedimenti marini algonchici, indi emerso, salvo qualche lembo marginale. Vi si riconoscono depositi continentali paleozoici e mesozoici; e in tutta la regione di NO. colossali espandimenti basaltici e andesitici della fine del Cretacico. L'altipiano del Deccan, spianato dalla lunghissima erosione subaerea, è anch'esso rialzato sui margini verso il mare.
Tettonica generale dell'asia. - Il quadro tettonico dell'Asia è dominato da sei grandi massicci antichi, corrugati e consolidati fin dai tempi precambrici. Da un lato, il massiccio nordeuropeo, spingentesi ad E. fino al margine occidentale degli Urali e delle Steppe dei Kirghisi; il massiccio siberiano o Terra dell'Angara, fra l'Enisej e l'oceano e spingentesi a S. fino al piede delle catene siberiano-mongole; il massiccio cinese, fra l'oceano e la Mongolia. Dall'altro lato, i massicci indo-africani (Africa, Arabia, India, Australia) supposti uniti per lungo tempo nella Terra di Gondwana. Fin da tempi più antichi si delineano due grandi bacini geosinclinali: la Tetide o Tethys, stendentesi trasversalmente fra il gruppo dei massicci eurasiatici e il gruppo indoafricano, e la Turania, incrociantesi con la Tetide ed estesa in direzione meridiana dal Mar di Kara al Golfo di ‛Omān. Un bacino minore, collegato con questo, doveva separare la Terra dell'Angara dal massiccio cinese.
Durante il Paleozoico antico questi bacini vennero, almeno in parte, colmati, e alla fine del Silurico un energico corrugamento, detto caledoniano, unì una prima volta i massicci eurasiatici e in parte ne venne ampliando i confini verso la Tetide, mentre ampie rughe piegavano di nuovo una parte dei massicci stessi, e soprattutto di quello cinese. Un'ulteriore depressione dei geosinclinali, successivamente colmati, fu seguita nel Paleozoico recente dal corrugamento ercinico, che fece emergere gli Urali, le Steppe dei Kirghisi, l'Altai russo, il Tarbagatai, l'Ala-tau, il T'ien-shan, il K'uen-lun, il Ts'in-ling, immensa corona di rilievi lunga 11.000 km. Con essi s'incurvava ancora una volta la zona fra l'Altai mongolo e il Mare di Ochotsk, a N. della plaga turanico-mongola le cui vicende sono tuttora oscure. E movimenti avevano luogo anche in quella che sarà poi la zona del corrugamento alpino.
Consolidata e ampliata così la vecchia Asia, per tutto il Mesozoico continuò lo spianamento subaereo del continente, con formazione dei depositi continentali della serie dell'Angara e con progressivo riempimento dei geosinclinali. Salvo leggiere e parziali oscillazioni sui margini, le rive settentrionali della Tetide rimasero ferme nella zona orientale, mentre furono mutevoli più verso il Turan; si deprimeva nuovamente la Turania, si smembrava la Terra di Gondwana, e lenti movimenti si producevano deformando rompendo le masse continentali.
Nel Terziario si svolge il grande ciclo orogenico alpino. La Tetide sì restringe e al suo posto sorgono le catene geosinclinali che dall'Asia Minore e dal Caucaso (per limitarci all'Asia) all'Irān, al Tibet, all'Indocina e all'Insulindia, girando a S. del massiccio cinese meridionale, si collegano agli archi marginali della costa pacifica. Nella zona centrale, dove la tensione e lo sforzo sono massimi, alle alte terre delle imponenti catene geosinclinali si aggiungono pieghe gigantesche degli orli continentali, con l'Himālaya e l'arco settentrionale del K'uen-lun. Le tensioni enormi squassano increspando, fratturando, dislocando tutta la vecchia Asia da un lato, i massicci meridionali dall'altro, gli archi costieri orientali (di cui è più difficile la spiegazione) sono forse effetto di spostamenti laterali della vecchia zona deformata; i movimenti isostatici riconducono un parziale equilibrio mentre a SO. gli affossamenti africani smembrano una ultima volta quell'antico massiccio. Un intenso vulcanismo sottolinea la maggior parte delle dislocazioni recenti, che rimangono anche oggi sede di violente manifestazioni sismiche.
Bibl.: E. Suess, La face de la Terre, trad. dal ted. di De Margerie, Parigi 1905-18; È. Haug, Traité de géologie, II, Parigi 1908-11; L. De Launay, La géologie et les richesses minérales de l'Asie, Parigi 1911; Argand, La tectonique de l'Asie, in C. R. XIII Sess. Congr. Geol. intern., Liegi 1924; Handbuch der regionalen Geologie, Heidelberg (dal 1910, in corso di stampa); G. Mercalli, I vulcani attivi della Terra, Milano 1907.
Clima.
Per la sua estensione in latitudine, l'Asia abbraccia tutte e tre le zone climatiche astronomiche. Difatti circa tre quarti del continente si trovano nella zona temperata, un ottavo nella torrida e poco più d'un ottavo nella glaciale artica. Ciò porta a una notevole varietà di climi, varietà che è resa ancora maggiore dalle speciali condizioni del rilievo asiatico. L'immensa superficie del continente, l'altitudine e compattezza delle masse montuose e degli altipiani, la loro posizione e direzione rispetto alle coste e alla latitudine fanno sì che l'azione moderatrice del mare rimanga limitata a una fascia periferica del continente, di solito poco estesa e talora addirittura mancante, mentre invece la massima parte di esso, tutta la centrale e gran parte della settentrionale, è caratterizzata dall'eccessività del clima continentale, con escursioni fortissime sia annue sia diurne. Se osserviamo le isoterme annuali vediamo che queste corrono relativamente parallele fra loro; notiamo però che esse non seguono i paralleli, ma tendono ad avvicinarsi tra loro e all'equatore quanto più si avanzano verso l'oriente, raggiungendo la distanza minima dall'equatore lungo il meridiano 1300 circa, donde poi si spostano nuovamente verso N., raggiungendo maggiori latitudini nelle immediate vicinanze dell'Oceano Pacifico. Se poi osserviamo, non le isoterme annue, ma quelle del mese più freddo e del più caldo, vediamo come le anomalie si presentano ancora maggiori e come fra i fattori climatici prevalgano nell'Asia, oltre la latitudine, anche, e in certe zone principalmente, l'altitudine e la continentalità più o meno grande delle singole regioni. Osservando le isotermie del mese più freddo, vediamo che i freddi più intensi si hanno in una zona interna della Siberia Orientale, da dove vanno diminuendo in direzione di mezzogiorno e verso l'oceano che è relativamente caldo. In tal modo la regione più fredda viene a costituire come un'isola limitata dall'isotemia di gennaio di − 40°, entro la quale sono comprese le località più fredde di tutta la terra. Al centro vi si trova infatti il polo del freddo situato nei pressi di Verchojansk, che ha una media del gennaio di − 48°. Da questo centro il freddo diminuisce, man mano che ci si allontana, tanto andando in direzione di S. come di E. e di O. Tutta la Siberia e la Mongolia vengono a essere comprese nell'isoterma di gennaio di − 20°. Le singole isoterme sono più avvicinate fra loro nella parte rivolta verso l'Oceano Pacifico, mentre l'aumento della temperatura prosegue più lentamente procedendo verso l'interno in direzione di SO. e O. Quivi l'influenza dell'Oceano Atlantico e del Mare del Nord, relativamente caldi, si fa assai sentire, per cui nella Siberia Occidentale le isoterme del mese più freddo vengono ad avere una direzione quasi normale alla latitudine, da N. a S. Nell'estate invece i territorî più riscaldati sono quelli dell'Asia centrale meridionale. L'isoterma di luglio di 30° comprende tutta l'Arabia - esclusa la costa meridionale -, la Siria, la Mesopotamia, l'Irān, e gran parte dell'Asia centrale (Afghānistān, bacino del Tarim). Le temperature massime estive, con medie nel luglio di 34°-35°, si hanno nell'Arabia centrale e nella regione iranica. Dalla carta delle isoterme risulta chiaro come le temperature dei mesi più caldi vadano da questa zona diminuendo abbastanza regolarmente da S. a N., mentre invece si è visto che le temperature invernali, specialmente nell'Asia settentrionale, diminuiscono anche da O. a E. Ciò prova che mentre d'inverno, specialmente nell'Asia settentrionale, oltre la latitudine, ha grandissima importanza la influenza dell'Atlantico che si manifesta, quantunque attenuata, fin nel centro della Siberia, d'estate invece il fattore climatico predominante resta la latitudine.
In diretta dipendenza con la varia distribuzione della temperatura sul continente asiatico durante l'anno, sta la diversa distribuzione della pressione atmosferica e il conseguente avvicendarsi dei venti periodici e delle stagioni secca e piovosa.
L'intenso raffreddamento che durante l'inverno si verifica sulla massa continentale, specialmente nelle regioni centrali e settentrionali, fa sì che in questa stagione si stabilisca su quasi tutta l'Asia un'area di alta pressione, il cui centro viene a trovarsi a N. del Tibet, fra il Baikal, l'Huang-ho superiore e il Tarim, mentre contemporaneamente sull'Oceano Pacifico, sull'Atlantico, sull'Indiano e sulle terre tropicali si determinano delle aree di bassa pressione. Da ciò hanno origine d'inverno i venti anticiclonici, che dalle regioni centrali dell'Asia si dirigono alle periferiche e all'Oceano. E così d'inverno nella Siberia Orientale spirano venti freddi dal mezzogiorno, nella Occidentale da SO., nell'Asia sud-orientale dal N., nell'Asia meridionale i venti del NE. conosciuti col nome di monsone di NE., e nella Persia e Arabia i venti di N. e NE.
Nell'estate si presenta il fenomeno inverso. Per il forte riscaldamento della massa continentale, si determina su tutta l'Asia un'area di bassa pressione, il cui centro si trova nel Belūcistān, con zone di minima pressione anche nell'Irān e nel Tibet, mentre invece sugli oceani e a S. dell'equatore si formano aree di alta pressione. Perciò le correnti aeree in questa stagione hanno direzione opposta a quella invernale, si hanno cioè nell'Asia orientale venti di S. e SE., nella Indocina e nell'India venti di SO. e nell'Insulindia venti di SE. che a N. dell'Equatore prendono direzione di SO. (monsone estivo). Si ha così un avvicendarsi di correnti cicloniche dall'oceano all'interno del continente nella stagione calda, e di correnti anticicloniche dalle regioni interne d'alta pressione atmosferica alle coste e al mare durante l'inverno. Questi venti periodici sono i monsoni, che in nessun altro luogo terrestre risultano tanto caratteristici e importanti quanto nei paesi asiatici bagnati dall'Oceano Indiano e dai mari della Cina, dove assumono grandissima importanza come distributori delle precipitazioni nei varî periodi dell'anno.
La quantità e la distribuzione delle precipitazioni sono legate alla circolazione atmosferica surricordata e modificate localmente dal rilievo del continente. Soltanto l'Insulindia ha piogge abbondanti di tipo equatoriale distribuite durante tutto l'anno con piccole variazioni di quantità fra una stagione e l'altra, e massimi equinoziali (primavera e autunno). Nell'India, nell'Indocina e sulle coste sud-orientali della Cina, le precipitazioni molto abbondanti avvengono specialmente durante il monsone estivo, mentre mancano o sono assai scarse nei mesi invernali.
L'Asia centrale è scarsa di piogge, non potendo i monsoni estivi umidi penetrare nell'interno dell'Asia data l'altezza rilevante e la direzione delle catene montuose. Scarse sono pure le piogge nell'Asia anteriore, eccettuate alcune zone costiere, quali la costa sud-orientale del Mar Nero, la zona mediterranea dell'Asia Minore e la costa meridionale del Caspio, oltre ad alcune fascie ristrette stese lungo i fianchi montuosi meglio esposti, che hanno una quantità di precipitazioni, di solito invernali, abbastanza rilevante. Le precipitazioni non sono rilevanti neppure nell'Asia settentrionale dove cadono spesso sotto forma di neve.
In base alla distribuzione dei singoli elementi climatici sul continente asiatico possiamo pertanto distinguere diverse zone climatiche:
1. La regione umida e equatoriale con medie di temperatura elevate in tutte le stagioni dell'anno, non mai in alcun mese inferiori ai 18°, e con piccole escursioni termiche sia annue sia diurne. Caratteristiche di questa zona, oltre la temperatura perennemente alta, sono la grande e costante umidità atmosferica e l'abbondanza delle precipitazioni distribuite in ogni periodo dell'anno. Hanno questo clima quasi tutta l'Insulindia, comprese le Filippine meridionali e orientali, la penisola di Malacca e la fascia costiera dell'Annam. Possono poi essere comprese in questa zona anche le coste del Malabar e quelle della Birmania, che hanno un breve periodo asciutto invernale (quando soffia il monsone di NE.), non tale però da ostacolare o impedire lo sviluppo della foresta equatoriale, rigogliosa del pari su queste coste come nell'Insulindia.
2. Più accentuato e prolungato è questo periodo asciutto invernale nella zona climatica tropicale, che abbraccia il Deccan, le foci del Gange, la costa orientale e settentrionale di Ceylon, l'Indocina meridionale e la parte nordorientale dell'arcipelago delle Filippine. Questa differisce dalla prima zona, non tanto per la media temperatura annua, poco diversa, quanto perché in queste regioni si osserva un'escursione termica maggiore tra il mese più caldo e il più freddo, e ancora più perché le precipitazioni, sempre assai abbondanti, sono distribuite nei mesi più caldi, nel periodo del monsone estivo, mentre mancano nell'inverno, per un periodo così lungo da non permettere più l'esistenza e lo sviluppo della foresta equatoriale. Siamo ormai nella zona delle piogge monsoniche.
3. La zona di clima subtropicale si manifesta in due regioni diverse dell'Asia. Nell'Asia orientale essa abbraccia l'India settentrionale, l'Indocina a N. del 10° di latitudine boreale e quasi tutta la Cina fino alla latitudine di Pechino. Caratteristiche di questa zona sono un sensibile abbassamento della temperatura invernale, un aumento rilevante dell'escursione termica annuale e la quantità delle precipitazioni ancora assai rilevante. C'è però ormai un pieno contrasto tra la stagione calda, del monsone oceanico, ricca di piogge, e la stagione invernale completamente arida e già fresca. Questa zona climatica subtropicale a inverno asciutto si presenta anche nella regione interna più elevata dell'Arabia sud-occidentale.
Appartengono pure alla zona climatica subtropicale, ma con caratteristiche speciali, le regioni di clima mediterraneo, che differiscono dalle regioni subtropicali dell'Asia orientale, per il fatto che il periodo asciutto cade nell'estate. A questa zona appartengono le coste asiatiche bagnate dal Mediterraneo, da Brussa o addirittura da Sinope fino ad Ascalona, e inoltre una fascia di territorio che corre lungo il versante meridionale dei monti da Alessandretta a Kharput e di lì al Laristān. La zona di clima mediterraneo ha piogge sufficienti nel periodo invernale, mentre manca completamente di precipitazioni nei mesi estivi. Anche l'interno dell'Asia Minore, la Siria e gran parte della Persia hanno le loro scarse precipitazioni limitate alla stagione fredda, ma esse sono così ridotte (di solito sotto i 40 cm. annui, mentre la media annua di temperatura è ancora fra i 15° e i 20°), che queste regioni sono già nella zona di clima arido. Il brusco contrasto fra la stagione delle piogge e la secca, proprio della zona sub-tropicale, è mitigato qua e là da condizioni speciali di posizione e di altitudine, così che si può parlare di un clima temperato umido del Giappone meridionale, delle coste della Corea e di quelle della Cina centrale, clima che troviamo anche, a causa dell'altitudine, nelle regioni più alte di Borneo, di Sumatra e di Ceylon.
4. Fra le regioni di clima mediterraneo ad O. e la zona subtropicale orientale, si allarga una vastissima regione che per la scarsità o addirittura per la mancanza assoluta di precipitazioni costituisce la zona di clima arido, steppica o completamente desertica. Essa si stende quasi ininterrotta dalle coste arabiche del Mar Rosso verso E. fino alla Mongolia e verso N. fino alla Siberia di NO., mentre a S. è limitata dal mare fino all'Indo e poi dalla regione alpina tibetana. Essa abbraccia cinque regioni nettamente desertiche: la zona costiera del Mar Rosso, il deserto arabico, il deserto indiano che si stende lungo l'Indo medio e inferiore, l'aralo-caspico e il bacino del Tarim, tutte limitate e fra loro collegate da fascie più o meno estese di steppa. Hanno clima steppico poi tutta la Mongolia, la Zungaria, la fascia di territorio che dalla Zungaria s'estende verso occidente, a N. del deserto aralo-caspico, del Caspio e del Caucaso, fino alle coste settentrionali del Mar Nero, gli altipiani interni dell'Armenia e dell'Asia Minore, la vallata del Kura, la Mesopotamia, la Siria interna, l'Arabia occidentale e gran parte dell'altipiano iranico. Una stretta fascia di clima steppico del tutto isolata, dovuta alla posizione riparata dal monsone di SO., si presenta sul versante orientale dei Ghati Occidentali. Quasi tutta la vasta zona arida ha temperature di carattere spiccatamente continentale con forti escursioni sia diurne sia annue, specialmente nella parte più settentrionale, dove a estati ancora calde s'alternano inverni rigidissimi.
5. La zona di clima arido è limitata a N. e a oriente dalla zona di clima subartico, a inverni molto freddi, zona che abbraccia tutta l'Asia settentrionale, esclusa l'estrema fascia costiera artica, la Cina e il Giappone settentrionali. Le medie temperature più alte, sia annue sia mensili, si hanno nella Cina settentrionale e nella Manciuria con estati ancora calde; nella regione dell'Amur s'osserva già un forte abbassamento termico. A latitudini superiori a queste, i mesi dell'anno con una media temperatura superiore a 10° sono già ridotti a meno di 4, finché nella Siberia nord-orientale, dagli inverni rigidi e sereni, si raggiungono i freddi più intensi: la regione dei Jakuti ha una media del gennaio inferiore ai − 38°. Le precipitazioni sono in generale scarse su tutta la zona e cadono di solito in prevalenza nei mesi caldi. Nella Siberia orientale sono più ridotte che nell'occidentale, dove, data la temperatura media annua poco elevata, sono sufficienti e distribuite in tutti i periodi dell'anno. Ma i territorî di questa zona più ricchi di precipitazioni sono le coste orientali e specialmente il Camciatca, Sachalin e Yeso che hanno precipitazioni rilevanti anche invernali.
6. La parte estrema settentrionale ha clima suobivale o di tundra. Il mese più caldo non raggiunge in questa zona i 10°, e le precipitazioni sono ancora più scarse che nella Siberia orientale di clima subartico. Caratteristica di tale zona climatica è che il suolo si mantiene perennemente gelato, essendo la media annua della temperatura di molto inferiore allo zero. Durante l'estate íl suolo sgela soltanto superficialmente, fino a una profondità che varia a seconda della durata e dell'intensità del caldo estivo e a seconda della natura del terreno, permettendo così soltanto lo sviluppo di una vita vegetale molto ridotta, senz'alberi, che costituisce il paesaggio tipico della tundra. Il confine meridionale di questa è costituito appunto dal limite polare della vegetazione arborea, che coincide, nel suo andamento generale, con la isoterma di 10° del mese più caldo. I rilievi però della Siberia settentrionale fanno sì che il clima subnivale penetri lungo le loro dorsali (Stanovoi settentrionali, M. di Verchojansk) assai più a sud. E ad altitudini crescenti, man mano che si procede verso il tropico, il clima subnivale di tipo alpino si presenta in tutte le più rilevanti zone montuose, fra il limite altimetrico superiore della vegetazione boschiva e il limite inferiore delle nevi permanenti. Fra quelle zone la massima per estensione è l'altipiano tibetano, che riunisce certi caratteri del clima polare (temperatura) e del clima desertico (estrema scarsità di precipitazioni) e forma una delle regioni più inospitali della terra.
7. Il limite inferiore delle nevi permanenti segna i confini del clima nivale, che in nessun luogo raggiunge il livello del mare. È a 600 m. nella Novaja Zemlja, a 1600 m. nel Camciatca, a 2300 m. nell'Altai, a 4000 m. nel T'ien-shan. Già in questo massiccio montuoso si fa sentire l'influenza della continentalità, e della conseguente scarsità di precipitazioni, per cui il limite delle nevi è molto alto. Nel Tibet e sul versante settentrionale del Caracorum esso cade fra i 5200-6000 m. e si abbassa di nuovo soltanto sui versanti umidi dell'Himālaya (4500 m.) e del Caucaso (2900 m.).
Idrografia.
La conformazione verticale del continente conferisce caratteri particolari all'idrografia. Infatti a causa della posizione centrale del suo massimo rilievo, l'Asia, malgrado la sua area superiore a quella di tutti gli altri continenti, non possiede il maggior fiume della superficie terrestre e non ha neppure alcun fiume principe che si distingua per portata o per lunghezza di corso spiccatamente dagli altri. Fatto tipico dei fiumi asiatici è che generalmente le portate maggiori non si hanno nei fiumi di corso più lungo, né in quelli di bacino più esteso; esse si verificano nei fiumi dell'India, dell'Indocina e della Cina che non sono i più lunghi, né hanno i bacini più ampî. La caratteristica più saliente però dell'idrografia fluviale asiatica è quella dei "fiumi gemelli": i grandi corsi d'acqua sono di solito accoppiati a due a due, e i fiumi di ciascuna coppia presentano fra loro un qualche parallelismo o nel corso o nel regime. Tali sono, p. es., l'Eufrate e il Tigri, l'Indo e il Brahmaputra, l'Huang-ho e lo Yang-tze-kiang, l'Amu-darja e il Syr-darja, il Saluen e il Mekong, per non ricordare che i più noti. I fiumi delle singole coppie hanno le sorgenti fra loro relativamente vicine, lunghezza di corso pressoché uguale, direzione generalmente parallela o diametralmente opposta, bacino di deflusso di solito comune con un riavvicinamento delle foci, se non addirittura, come è il caso dell'Eufrate e del Tigri, con foce comune. Quanto al regime va osservato che anche i fiumi asiatici vanno soggetti quasi tutti a piene periodiche, dovute o alle precipitazioni monsoniche (fiumi indiani e cinesi), o allo scioglimento delle nevi (fiumi siberiani), piene, queste ultime, che pertanto si verificano ordinariamente d'estate.
Rispetto ai bacini marittimi di deflusso il continente è ripartito in diverse regioni. Distingueremo anzitutto la zona centrale dell'Asia, a idrografia interna, rappresentata cioè da fiumi che sboccano in bacini chiusi, non comunicanti con l'oceano. Questa zona a deflusso continentale è la più estesa, abbracciando da sola quasi un terzo dell'intero continente (il 30%). Seguono in ordine di estensione la zona del versante del Mar Glaciale Artico, che abbraccia più di un quarto dell'area asiatica (27%), poi quella del Pacifico (23%), quindi quella dell'Indiano (18%) e da ultimo la zona con deflusso nel Mediterraneo, che è la meno estesa, abbracciando appena la cinquantesima parte dell'intera Asia (2%). La zona a deflusso interno, dovuta a fattori orografici e climatici, comprende una parte della Mongolia e della Zungaria, il bacino del Tarim, e il Tibet occidentale, gran parte della regione stepposa dei Kirghisi, il bassopiano aralo-caspico e l'Irān centrale. Zone piccole e isolate a deflusso interno si trovano inoltre nell'Arabia centrale, nella Siria (Giordano) e nell'Asia Minore.
Al versante del Mar Glaciale Artico appartengono i grandi fiumi siberiani con i loro affluenti e subaffluenti: l'Ob con l'Irtiš l'Enisej (Jenissei) con le due Tungusche, la Lena con l'Aldan e con il Viljuj e i fiumi minori della Siberia nord-orientale. I fiumi siberiani vanno diminuendo di lunghezza e di bacino da occidente verso oriente; l'Ob infatti è il fiume più lungo dell'Asia, misurando 5300 km., e ha un bacino di 2.915.000 kmq.; seguono l'Enisej, con una lunghezza di 5200 km. e con un bacino di 2.510.000 kmq. e la Lena, che misura 4600 km. di corso e ha un bacino di 2.320.000 kmq. Date le alte latitudini in cui già si trovano questi fiumi essi rimangono per lunghi mesi dell'anno gelati, sì che la navigazione è limitata ai pochi mesi estivi. L'Enisej, p. es., si mantiene in media coperto di ghiaccio annualmente per ben 295 giorni alla sua foce; per 253 giorni alla latitudine di 70°; per 219 giorni a quella di 66° 1/2 e per 178 giorni a quella di 61°. A Jakutsk la Lena resta coperta di ghiaccio compatto generalmente dal primo novembre al 25 maggio. Le portate maggiori si hanno allo scioglimento dei ghiacci; allora si originano anche immense inondazioni, dovute al fatto che i fiumi sgelano successivamente da S. a -N., prima cioè nel loro corso superiore, poi nel medio e da ultimo nell'inferiore, dove banchi enormi di ghiaccio fanno barriera e impediscono alle acque di seguire il loro letto e sfociare nel mare.
Fra lo Stretto di Bering e il Mare di Ochotsk, data la vicinanza della linea di spartiacque alla costa orientale, mancano fiumi importanti. Il primo fiume imponente che sbocca nel Pacifico è l'Amur, lungo 4480 km. Anch'esso gela nell'inverno, e ha le massime piene nell'estate inoltrata. Seguono più a S. i fiumi della Cina e dell'Indocina, ricchi d'acqua e pur tuttavia anche questi non molto adatti alla navigazione, specialmente nel loro corso medio e superiore, a causa delle numerose rapide e per il regime irregolare. Fa eccezione il solo Yang-tze-kiang, il secondo fiume asiatico per portata media (22.000 mc.), che ha perenni e ottime condizioni di navigabilità.
Nell'Oceano Indiano sboccano diversi fiumi indiani e indocinesi, molto importanti e ricchi d'acqua, fra cui il Brahmaputra, il terzo fiume del mondo per portata media (25.000 mc.), e il Gange, ottimo per navigabilità durante tutto l'anno.
Nell'Asia occidentale mancano i grandi sistemi fluviali, e i corsi d'acqua hanno più o meno spiccato il carattere di fiumi desertici: in essi infatti la massa d'acqua va diminuendo verso la foce che non raramente è in bacini interni. Meritano un accenno l'Eufrate e il Tigri, che hanno la sorgente nel centro idrografico dell'Armenia e, attraversato il bassopiano della Mesopotamia, sboccano uniti nel Golfo Persico; l'Amu-darja e il Syr-darja che raccolgono le acque del T'ien-shan, dell'Alai e del Pamir e sboccano nel bacino chiuso dell'Aral, e il Tarim, il fiume desertico per eccellenza. Al Mediterraneo confluiscono pochi corsi d'acqua importanti, i maggiori dei quali sono nell'Asia Minore.
L'Asia è abbastanza ricca di laghi, diversi fra loro per genesi, per estensione e per profondità. Essi si allineano specialmente nella regione stepposa o desertica che va dal Caspio al Baikal, lungo il versante settentrionale della zona mediana d'alte terre, pur essendo numerosissimi anche sull'altipiano tibetano. Sono laghi relitti il Caspio, che per la sua area (440.000 kmq.), quasi tre volte e mezzo maggiore di quella dell'Adriatico, è chiamato mare, privo però di maree e di correnti notevoli, e il cui specchio d'acqua è a 26 m. sotto il livello del mare; il lago d'Aral (62.000 kmq.), le cui acque poco profonde sono salate e che ancora in epoche geologiche recenti costituiva col Caspio e col bassopiano aralo-caspico un unico mare; inoltre numerosi altri laghetti salati, spesso asciutti o paludosi, sparsi in questo bassopiano. D'origine tettonica recente è il lago Balchaš (18.000 kmq.), poco profondo (41 m.). Numerosi sono i bacini lacustri occupanti le parti più basse delle varie conche tettoniche della Zungaria e della Mongolia: il principale di essi è il Baikal (34.000 kmq.), che raggiunge la profondità di ben 1521 m. Ricco di laghi d'origine glaciale è l'altipiano del Tibet. Non mancano poi i laghi sparsi sulle varie catene montuose a elevate altitudini, anch'essi d'origine glaciale; di solito, si tratta di laghetti di circo che sono però assai più scarsi che non nelle nostre Alpi.
Le grandi catene dell'Asia centrale vantano poi i più estesi ghiacciai della terra. L'Himālaya, il Caracorum, il K'uen-lun, il Pamir, il T'ien-shan sono famosi per i loro immensi ghiacciai. Nel solo Caracorum furono contati oltre 526 ghiacciai, di cui 5 superiori ai 50 km. di lunghezza, mentre se ne contano una ventina di superiori ai 17 chilometri. I maggiori sono il Siacen, che raggiunge i 75 km., e il Baltoro lungo 66 km. Ghiacciai importanti si trovano anche fuori di questa zona di alte terre, come nel Caucaso, dove essi occupano un'area di 2000 kmq. circa, nell'Armenia e, benché più scarsi, nell'Altai.
La vegetazione.
L'Asia presenta una vegetazione straordinariamente ricca che riflette in modo mirabile le svariatissime condizioni del clima, da quello che impera sulle gelide tundre siberiane e sulle isole del Mare Artico a quello che, con l'appressarsi all'equatore, rende possibile la vita alle piante tropicali delle giungle indiane.
Col nome di tundra gli abitanti della Siberia chiamano tutte le terre settentrionali situate al di là della regione forestale, ma la maggior parte dei botanici adopera questo termine per indicare il suolo pianeggiante che disgela a piccola profondità ed è, perciò accessibile a poche fanerogame: a nessun albero, ma solo a modesti suffrutici di cui i più diffusi sono la Betula nana, un Ledum, due Vaccinium (vitis-idaea e uliginosum), un Empetrum, un Arctostaphylos e una Andromeda, tutte Ericacee eccetto la prima: e vi crescono pure parecchi piccoli salici, molte Ciperacee tra cui predominano gli Eriophorum e Graminacee. Moltissime sono le crittogame, tanto che il Middendorf ha distinto la tundra in base a queste piante; egli distingue cioè una tundra a licheni dove affiora la roccia, una tundra a Polytrichum dove sovrabbondano i muschi e una tundra a sfagni occupata da sfagneti, che è la più bassa ed umida e serve di passaggio alla palude. Dove, invece, il terreno è più asciutto, alle fanerogame citate si aggiungono Dryas octopetala, Diapensia lapponica, Cassiope tetragona, Dianthus superbus, Wahlbergella angustiflora, ecc., e questa è propriamente la tundra a suffrutici.
La tundra può trovarsi intercalata anche nella foresta che, però, in generale, la segue e risulta formata principalmente di Conifere: Picea obovata molto simile al nostro abete rosso, Abies sibirica, Larix sibirica che è una razza del larice delle Alpi, Pinus cembra e P. silvestris, a cui si associano con abbondanza la betulla (Betula alba) e più rari il Populus tremula, il Sorbus aucuparia, l'Alnaster fruticosus, il Prunus padus, ecc. Lungo i fiumi gli alberi avanzano verso N. più che altrove, e alberi isolati o a gruppi di Picea obovata, Larix sibirica con i rami raccorciati e contorti rappresentano, insieme con la betulla, gli estremi avamposti della retrostante massa forestale. Verso levante le ultime propaggini di questa fascia forestale vanno a trovarsi fra i monti Stanovoi, il Mare di Ochotsk e la penisola del Camciatca dove il larice è rappresentato dal Larix davurica, la Picea da P. ajanensis e P. sitchensis e c'è, inoltre, una Tsuga (che, con l'ultima delle nominate picee, è un elemento nordamericano) e una speciale betulla, la B. Ermani. All'altitudine di 300 m. la foresta è sostituita da alberi nani tra cui una forma rimpicciolita di Pinus cembra, da arbusti tra cui l'Iuniperus dahurica e da alcuni Rhododendron. Più a S., e precisamente nella regione dell'Amur, compare un rappresentante del genere Quercus (Q. mongolica): genere che non ha oltrepassato gli Urali e che nella Manciuria si associa a un nocciolo (Corylus heterophylla), a un noce (Iuglans mandshurica), a due pini (Pinus mandshurica e ussuriensis), a una vite (V. amurensis), a parecchi aceri, ecc. Quasi dovunque la vasta foresta siberiana è intersecata da paludi, torbiere, stagni, ospitanti un'abbastanza ricca vegetazione anfibia (Caltha palustris, Oxycoccos p., Comarum p., Pedicularis p., Limosella aquatica, giunchi, eriofori, ecc.) che più o meno diversifica da quella delle tundre sopra descritte.
Come verso N. gli alberi e, quindi, i consorzî forestali sono arrestati dal disgelo troppo superficiale del suolo, così, verso S., essi (tranne che nei rilievi montuosi dove il bosco si ripristina e le essenze ricordate si stratificano in base all'altitudine) vengono a mancare perché l'esistenza delle foreste è resa impossibile dalla scarsezza delle piogge, dal rapido disperdimento dell'acqua negli strati del sottosuolo, dalla salsedine, dalla brevità del periodo vegetativo. Sono queste le condizioni climatiche ed edafiche propizie alla formazione della steppa, che esclude quasi del tutto gli alberi e che, quando le condizioni stesse peggiorano e la vegetazione si fa più rada o manca del tutto, si muta in deserto, come quello estesissimo del Gobi: steppe e deserti che occupano un buon terzo della superficie dell'Asia e ne costituiscono due degli aspetti geografici e fisionomici più caratteristici.
La composizione floristica della steppa varia a seconda che si tratti di regioni basse e pianeggianti come la depressione aralo-caspica, o di zone elevate come gli altipiani dell'Asia anteriore, del Tibet, ecc., ma alcuni caratteri comuni sono dovuti alla grande prevalenza e diffusione di alcune specie sociali presentanti adattamenti di difesa contro l'eccessiva traspirazione: accentuato spinosismo (come negli Astragalus della sezione Tragacantha il cui massimo di concentrazione va a cadere nell'altipiano iranico con circa 200 specie); rapido sviluppo durante la stagione piovosa, poco dopo la quale, condotti a maturità i seminuli, soccombono o permangono sotterra con organi a tipo di tuberi, rizomi, bulbi, ricchi di materiali nutritizî che saranno adoperati nel prossimo periodo vegetativo, infine spiccata succulenza nelle foglie e nei fusti per le piante viventi nelle steppe salate che possono essere anche prive di foglie o con foglie molto ridotte (come è il caso dell'Haloxylon ammodendron diffuso dall'Aral alla Persia, alberetto di 4-6 m. che dà l'impressione di una Casuarina dell'Australia). Dal punto di vista della composizione del tappeto vegetale, le steppe furono distinte in: erbose o steppe a graminacee, non di rado insediate in terre fertili e con alcune specie (es. Festuca avena) che offrono ottimo foraggio, benchè più frequenti vi siano i rappresentanti del genere Stipa che spesso si rendono esclusivi abbassando di molto il valore del pascolo; sassose e sabbiose che trapassano nei deserti; finalmente steppe salate dove prevalgono piante adattate alla salsedine, come principalmente le Chenopodiacee (Salsolacee) e i Tamarix, e che pure passano per estensioni più o meno vaste nei deserti salati. Sono distinte dai pascoli propriamente detti per la discontinuità della copertura, ma presentano molti punti di contatto con analoghe formazioni che, attraverso il Danubio, si sono spinte sin nel cuore della media Europa, con i consorzî di spiaggia e in generale di regioni litoranee dei territorî circummediterranei. Per quel tanto che v'è di mediterraneo nella vegetazione dell'Asia si rimanda, peraltro, alla v. asia minore. Nell'Arabia sud-occidentale ampio sviluppo assume la formazione degli arbusti spinosi, molti dei quali perdono le foglie nella stagione asciutta: a essi si mescolano qua e là tipi dei boschi pluviali sub-tropicali.
Un mondo a sé è il dominio floristico cino-giapponese. Nella Cina si può distinguere una zona di vegetazione del N. ospitante tipi siberiani che si mescolano a elementi dell'Asia orientale non circumpolari; essa manca di arbusti sempreverdi, ma sulle colline aride la macchia è rappresentata da radi arbusti a foglie caduche (Zizyphus Kømpferi, Vitex incisa, Lycium chinense), mentre nelle pianure, spontanee o coltivate, vegetano Paulownia imperialis, Catalpa Bungei, Ailanthus glandulosa, Sophora iaponica, Broussonetia papyrifera che, introdotte in Europa, vi si sono perfettamente acclimatate. La zona superiore delle alte montagne verso l'ovest si ricollega a quella della Manciuria e della Transbaikalia con boschi di betulle e di noccioli sino a 2000 m. La regione di vegetazione del S. era un tempo densamente boscosa, ma presentemente i boschi sono in parte sostituiti da boscaglie di arbusti sempreverdi mescolati con qualche albero. Tra i primi è il genere Camellia, che estende la sua area dall'Himālaya al Giappone, e una specie del quale è la C. thea (= Th. sinensis), arbusto le cui foglie forniscono la nota bevanda. È questa anche la regione dell'albero della canfora (Cinnamomum camphora) e di altre Lauracee, del Trachycarpus excelsa, una palma che, sotto il nome di Chamaerops excelsa, fu largamente introdotta in Europa, del Rhus vernicifera e della Stillingia sebifera, note il primo per l'estrazione di una lacca e il secondo di una sostanza grassa, di alcune Conifere (Cunninghamia, Biotia, ecc.) e del famoso Gingko biloba il solo rappresentante, in via di estinzione, di un'arcaica famiglia di Gimnosperme diffusa nei periodi geologici anteriori in tutto l'emisfero boreale. Un'altra regione è quella formata dalle montagne delle provincie del SO. (specialmente Yün-nan e Sze-ch'uen) dove gli alberi giungono sino a quote di 3000-3500 m., i bambù si spingono sino a 3100 m., la Wistaria sinensis (introdotta in Europa sotto il più noto nome di Glicine) avvolge i suoi tronchi flessibili e poderosi attorno agli alberi e abbondano i Rhododendron alcuni dei quali vivono come epifiti: lianismo ed epifitismo che, insieme con un prevalente numero di piante simili o affini alle subtropicali, fanno di questa regione un'appendice della flora indiana. Questo carattere si accentua procedendo verso le coste sud-orientali rivestite, dove la piovosità è abbondante, da boschi subtropicali e, dove è scarsa, da boschi a parco che qua e là assumono la fisionomia di vere savane. Nella zona più elevata ricompaiono alberi e arbusti a foglia caduca e molti generi di piante erbacee e fruticose proprie delle alte zone montuose dell'Asia centrale e dell'Europa; qui presentano però un grande numero di specie endemiche da doversi considerare come un centro di sviluppo e un punto d'irradiazione verso l'occidente.
Fatti simili, e, cioè, una graduale sostituzione dell'elemento boreale a quello subtropicale e tropicale si constata nella lunga serie di isole che da Sachalin scendono sino al Giappone meridionale, dove diventano prevalenti gli alberi e arbusti a foglie persistenti delle famiglie delle Magnoliacee, Ternstroemiacee, Lauracee; tra questi ultimi ricordiamo l'albero della canfora che non va oltre l'isola di Kyū shū ed il Hon shū meridionale. Sono di questa regione una palma magnifica, la Livistona chinensis (che qui e in Cina rappresenta un tipo australiano), un Ficus, un Podocarpus, ecc. Fra gli alberi caducifogli più comuni a N. ma che, data l'altezza delle montagne, possono spingersi a S., si citano il faggio, che si arresta nella zona caucasico-pontica e che qui come in Corea ricompare sotto la forma di Fagus Sieboldii, un castagno (Castanea iaponica), una Pterocarya e una Zelkova, due Iuglans (noci), due frassini, parecchi aceri a cui si mescolano speciali Conifere che sostituiscono le essenze a foglia caduca a quote più elevate.
Ma dove l'elemento tropicale acquista una preponderanza decisiva è nella regione indiana, qui intesa nel significato più vasto: essa s'inizia con le foreste litoranee a mangrovie, prosegue con la foresta paludosa dove abbondano i Pandanus, quindi con la foresta tropicale propriamente detta (giungla), nella quale sebbene l'uomo abbia aperto spazî enormi e sostituito vantaggiose colture di caffè, di tè, di riso, ecc., è dato tuttora qua e là di ammirare la primitiva svariatissima composizione. Vi predominano essenze arboree sempreverdi delle famiglie più diverse; abbastanza largamente rappresentate vi sono le Palme, alcune delle quali, come specie del genere Calamus, hanno tronchi volubili lunghi anche un centinaio di metri provvisti di robuste spine (rotang); abbondanti le epifiti tra cui è il gen. Nepenthes le cui foglie sono trasformate in speciali bicchieri (ascidî) che servono per catturare e digerire gli insetti caduti nell'acqua che vi si raccoglie; numerose le Bambusee arboree dal rapido accrescimento; parecchie le famiglie vegetali di cui non v'è traccia fuori dei tropici. Vi sono anche, come in Birmania, foreste composte quasi esclusivamente di essenze a foglie caduche durante la stagione calda e secca, molte delle quali fioriscono quando sono spoglie, ove sono rare le palme e la giungla si presenta insomma meno densa e impenetrabile. Anche meno densi con lo scarseggiare delle piogge sono i boschi a parco che preludono alle savane molto estese nell'India occidentale e centrale.
Interessante è la zonazione che si verifica lungo il versante meridionale dell'Himālaya, dove la foresta tropicale non si spinge oltre i 900 m., mentre quella subtropicale raggiunge i 2100 m. e, fatto degno di nota, vi si mescolano alcuni tipi mediterranei (Rhus cotinus, Rosa moschata, Celtis australis, Olea cuspidata affine al nostro olivo, qualche quercia sempreverde). La foresta raggiunge il suo limite attorno ai 3600 m. ed è questa la zona del Cedrus deodara (1800-3000 m.) introdotto in Europa con le sue due specie sorelle del Libano-Tauro e della catena dell'Atlante, di qualche rododendro, del Pinus excelsa prossimo al P. peuce dei Balcani, di una betulla, ecc. Al disopra di questa quota sino al limite delle nevi (3900 m.) la vegetazione, oltre che da alcuni rododendri, è caratterizzata da piante erbacee di tipo boreale appartenenti a generi (Ranunculus, Anemone, Aconitum, Primula, Pedicularis, ecc.) che forniscono specie similari alla flora alpina del Caucaso e dell'Europa.
In questa zona tropicale molte sono le piante spontanee oggetto di sfruttamento diretto o sottoposte a coltura o qui acclimate da altre regioni equatoriali: l'albero della cannella (Cinnamomum zeylanicum), parecchi Piper, lo Zingiber, la galanga (Alpinia galanga), il cardamomo (Amomum), la Curcuma, il banano (Musa sapientum), alcune Auranziacee, comuni anche in Cina e Cocincina, la canna da zucchero, il Ficus elastica che fornisce il caucciù, mentre altre specie (F. religiosa) sono oggetto di venerazione. È originario della regione indiana il riso e v'è largamente coltivato il caffè.
Per la vegetazione di Borneo, Sumatra, Giava ecc., si rimanda alla v. indie olandesi.
La fauna.
L'Asia, dal punto di vista faunistico è notevolmente eterogenea. L'India, l'Indocina, la Cina meridionale con Formosa, le Filippine, Sumatra, Borneo, Giava, Celebes e altre isole minori costituiscono una particolare regione zoogeografica, detta orientale. Tutto il rimanente dell'Asia, comprese le isole giapponesi, fa parte della regione paleartica, a cui appartengono anche l'Europa e l'Africa settentrionale. Delle due faune la più ricca e originale è quella orientale, della quale sono esclusive parecchie famiglie di vertebrati, mentre tutta la vastissima regione paleartica possiede parecchi generi, ma nessuna famiglia esclusivamente propria ad essa.
Rimandando per maggiori particolari sulle faune alle voci sulle singole regioni, accenniamo qui ai caratteri zoologici dell'Asia e alle localizzazioni dei varî gruppi soprattutto di vertebrati.
Le scimmie sono rappresentate da varî gibboni (Hylobates) nell'Indocina, come anche a Sumatra, Borneo e Giava, e da cercopiteci, tra cui Macacus e Semnopithecus, nell'India, Ceylon, l'Indocina, la Cina; il Tibet, Hon shū, Shikoku, Formosa, le Filippine e le Indie Orientali fino a Celebes e Timor. L'Orang-Utan appartiene alla fauna malese ed è localizzato a Sumatra e Borneo. Nell'Arabia meridionale vivono pure cercopiteci, ma essi presentano carattere africano. I Tarsiidae sono esclusivi delle Filippine, Borneo, Celebes, Sumatra, Giava, Bali, Lombok, Sumbava, Sumba e Flores, e non si trovano nel continente.
I pipistrelli si trovano ovunque fuorché ad alte latitudini, però i Rhinolophidae sono limitati all'Asia meridionale e alle tre isole giapponesi più meridionali; i Noctilionidae non raggiungono il Giappone; i Pteropodidae si trovano in Arabia, India, Indocina, Cina meridionale e Kyū shū; i Nycteridae non vivono che nell'Arabia meridionale, nell'India e nell'Indocina. Le Filippine e le Indie Orientali posseggono tutte queste famiglie.
Fra gl'insettivori i Soricidae sono i più diffusi e non mancano che in alcune fra le isole Filippine. Le talpe popolano tutta la zona centrale dell'Asia e le isole giapponesi, avanzandosi a S. nell'Indocina. Molto diffusi sono anche gli Erinaceidae, i quali invece sono assenti nelle isole giapponesi, nelle Filippine, a Celebes e nelle piccole isole della Sonda. I Tupajidae sono esclusivi dell'India, Indocina, Sumatra, Giava, Borneo, Palauan e Mindanao; i Galeopithecidae sono esclusivi del Siam, della Malacca, Sumatra, Giava, Borneo e Mindanao.
I carnivori abbondano. I Felidae non mancano che a latitudini superiori a 60° lat. N.; mancano anche a Luzon, Samar, Mindanao, Palauan e Celebes. Il leone vive nell'Arabia meridionale, nella Mesopotamia, nella Persia e nel Gugerat; ma la tigre possiede un'amplissima area di distribuzione: si trova a E. e S. del Caspio, nel Turkestān, nella Mongolia, nel bacino del Baikal e dell'Amur fino a 56° lat. N., a Sachalin, in tutta la Cina, nell'India, nell'Indocina a Sumatra e a Giava. I Canidae, eccetto che alle Filippine, a Celebes e nelle piccole isole della Sonda, si ritrovano ovunque e gli sciacalli si estendono nell'Asia meridionale, dall'Asia Minore e dall'Arabia fino alla Birmania. Le iene sono limitate all'Arabia, Siria, Persia, Afghānistān e India. Gli orsi mancano solo nell'Arabia, nella Persia meridionale, nelle Filippine, Giava, Celebes e piccole isole della Sonda; i Mustelidae nelle Filippine, a Celebes e nelle piccole isole della Sonda. I Viverridae sono comuni a tutta l'Asia meridionale, a Formosa, alle Filippine e alle Indie Orientali. I Procyonidae, così abbondanti nelle Americhe, vivono anche in Asia limitatamente all'Assam e a una piccola località del Tibet orientale.
Fra i rosicanti, i topi (Muridae) e gli Sciuridae popolano tutta l'Asia e le isole a questa pertinenti. Le lepri (Leporidae) sono pure estremamente diffuse, e mancano solo nella Penisola di Malacca, nelle Filippine, a Borneo e a Celebes. Gli Ochotonidae si estendono dal Caspio fino all'estremo NE. del continente popolando l'Afghānistān, la Persia settentrionale, l'Asia centrale, il Tibet, la Mongolia e buona parte della Siberia. Gli Hystricidae sono piuttosto meridionali e vivono a S. del Caucaso, dell'Aral, dei K'uen-lun, nell'Indocina e nella Cina meridionale; si trovano anche a Ceylon, Sumatra, Borneo e Giava. Gli Spalacidae esistono in Siria, nell'Asia Minore, nei paesi a S. e ad E. del Caspio e si ritrovano nel Tibet orientale, nella Cina meridionale, nell'Indocina, a Sumatra. Lungo una zona che va dagli Urali al bacino dell'Amur sono stati osservati dei castori. I Iaculidae si estendono dal Mediterraneo e dagli Urali fino alla Mongolia e alla Manciuria. I Myoxidae vivono nell'Asia centrale e di SO. e si ritrovano in aree ristrette nel Malabar, nella Cocincina, a Shikoku e in Cina presso Fu-chow.
Gli elefanti asiatici sono localizzati nell'India, Indocina, Sumatra e Borneo: i Rhinocerontidae nell'Indocina, Sumatra, Giava e Borneo. Solo all'Arabia e alla Siria spettano i Procaviidae. Gli Equidi sono rappresentati da asini e da cavalli selvatici: i primi si estendono dalla Mesopotamia e dalla Persia fino alla Mongolia; i secondi sono localizzati nella Zungaria (Equus Przewalskyi) e nella Mongolia occidentale (E. caballus). I Tapiridi, così diffusi nell'America Meridionale e Centrale, non si trovano in Asia che nel Siam, nella Penisola di Malacca e a Sumatra. I Bovidi sono soprattutto abbondanti nella zona centrale e meridionale, mentre in quella settentrionale occupano aree più o meno limitate e discontinue. I Tragulidae, oltre che nell'Africa occidentale vivono nell'India, a Ceylon, nell'Indocina, a Sumatra, a Giava, a Borneo. I Cervidae, salvo che nell'Arabia e nella Persia meridionale, sono diffusi ovunque. Il Camelus bactrianus è l'unico cammello che viva allo stato selvatico, localizzato nel Turkestān orientale, mentre il dromedario, comune all'Africa, all'Arabia, all'Asia Minore e al SE. dell'Asia si conosce solo allo stato domestico. I Suidae dall'Asia Minore e dalla Transcaspia si estendono fino alla Cina e all'Indocina e si rinvengono anche nelle tre più meridionali isole giapponesi, nelle Filippine, in tutte le isole malesi e anche nella Nuova Guinea.
I Platanistidae, sorta di delfini d'acqua dolce, vivono lungo tutto il corso dell'Indo, del Gange e del Brahmaputra, a simiglianza di quanto avviene nei grandi fiumi dell'America del Sud.
L'Asia non possiede che una sola famiglia di Sdentati, quella dei Manidae, in comune con l'Africa: i pangolini, che la rappresentano, sono distribuiti nell'India, Indocina, Ceylon, Formosa, Sumatra, Giava, Borneo e Celebes.
I Marsupiali, proprî dell'Australia e della Nuova Guinea, non giungono che a Celebes e a Timor coi Phalangeridae.
Parecchie famiglie di uccelli sono estese a tutto il continente e alle isole annesse, mancando talora solo ad alte latitudini. Tali sono tra i passeriformi i Corvidae, gli Sturnidae, gli Oriolidae, i Fringillidae (che però nelle Filippine vivono solo a Luzon, e nell'Arcipelago malese solo a Sumatra, Giava e Borneo), gli Emberizidae (che però mancano nella Penisola di Malacca, nel Cambodge, nelle Filippine fuorché a Luzon, nell'Arcipelago malese, a Ceylon), gli Alaudidae (che mancano nella Penisola di Malacca, a Sumatra e a Celebes), i Motacillidae, i Sittidae (che mancano in Arabia e a Sumatra), i Paridae (che mancano in Arabia e a Celebes), i Laniidae, i Sylviidae, i Turdidae, i Muscicapidae, gli Hirundinidae; fra i piciformi, i Picidae; fra i coccigî i Cuculidae; fra i coraciformi i Coraciidae, gli Alcedinidae, i Caprimulgidae, i Cypselidae; fra gli strigiformi, i Bubonidae; fra gli accipitriformi i Falconidae e i Pandionidae, fra gli anseriformi varî gruppi di Anatidae, fra gli ardeiformi i Ciconiidae, e gli Ardeidae, fra i gruiformi i Gruidae (che però mancano a Ceylon, nell'Arcipelago malese e nelle Filippine fuorché a Luzon); fra i caradriformi i Charadriidae; i podicipediformi; i ralliformi; fra i columbiformi, i Periateridae e i Columbidae; fra i galliformi, i Phasianidae.
Ampie aree di distribuzione posseggono anche le seguenti famiglie di uccelli: i Certhiidae, che abitano la zona centrale dell'Asia, dal Mediterraneo e dagli Urali fino al Pacifico, inoltrandosi alquanto a S. solo nell'India, e le Filippine; i Regulidae, che si estendono da E. a O. comprendendo le isole giapponesi e mancano nell'Asia settentrionale e meridionale; gli Ampelidae, che vivono nella metà settentrionale del continente fino al circolo polare; i Cinclidae, che mancano nelle penisole e nelle isole meridionali e in gran parte della Siberia; i Troglodytidae, estesi dal Mediterraneo e dall'Europa fino all'Amur, al Giappone e alla Cina donde scendono a S. nella Penisola di Malacca, a Sumatra, Giava e Borneo; i Timeliidae, che popolano la metà meridionale del continente, il Giappone e le altre isole; i Pycnonotidae, estesi nelle penisole e nelle isole meridionali, in Persia, in Cina, nella Corea e nel Giappone; gli Jyngidae, che, estesi fino ad alte latitudini, mancano nelle porzioni meridionali dell'Arabia, dell'India, dell'Indocina e nelle isole salvo quelle giapponesi; gli Upupidae, che mancano in Siberia, nella Corea, e nelle isole salvo Hai-nan, Borneo e Ceylon; i Meropidae che, pure assai estesi, vivono nell'Asia centrale, meridionale, a SE., nelle Filippine e nelle Indie Orientali; gli Strigidae, che, sparsi nell'Asia occidentale e meridionale, sono però assenti a Sumatra e Borneo; i Vulturidae, mancanti nella zona settentrionale ed orientale e in tutte le isole; i Plotidae, limitati alla Persia, alle tre penisole meridionali, alle Filippine, Sumatra, Giava, Borneo e Celebes; i Pelecanidae che mancano a N. e a NE. e a Celebes; i Plataleidae esclusi dalla Siberia, da Sachalin, dall'Arabia, dall'Indocina, dalle Filippine, da Sumatra e da Giava; gli Ibididae, diffusi ovunque, salvo che a Luzon, Palauan e altre isole minori, a S. di 47° lat. N.; i Glareolidae, diffusi a S. di 48° lat. N. salvo che nella Manciuria, in Corea e nel Giappone; gli Otididae, esclusi dalla Siberia, da Sachalin, dalla Cina meridionale, dall'Indocina e da tutte le altre isole; gli Oedicnemidae, esclusi dalle regioni settentrionali e orientali compreso il Giappone, ma presenti a Formosa, nelle Filippine e nelle Indie Orientali; i Pteroclididae che abitano l'Asia minore, l'Arabia, la Persia, l'India, il Turkestān, il Tibet e la Mongolia; i Tetraonidae, che vivono nella metà settentrionale del continente e nelle isole giapponesi.
Numerosi gruppi sono un po' meno estesi e si trovano localizzati specialmente nell'India, l'Indocina e l'Arcipelago malese. Tali gli Eulabetidae (Palestina, parte orientale dell'India, Ceylon, Indocina, Filippine, Indie Orientali), i Dicruridae (India, Ceylon, Indocina, Cina, Manciuria, Filippine, Indie Orientali), i Ploceidae (India, Ceylon, Cina meridionale, Indocina, Filippine, Indie Orientali, Arabia meridionale), i Nectariniidae (Siria, Arabia meridionale, Belūcistān, India, Ceylon, Indocina, Indie Orientali), i Dicaeidae (India, Ceylon, Indocina, Cina meridionale, Filippine, Indie Orientali), i Zosteropidae (India, Ceylon, Indocina, Cina, Manciuria, Giappone, Filippine, Indie Orientali, Arabia meridionale), i Prionopidae (Persia, India, Ceylon, Indocina, Indie Orientali), gli Artamidae (India, Ceylon, Indocina, Filippine, Indie Orientali), i Campophagidae (India, Ceylon, Indocina, Indie Orientali, Malesia, Cina, Manciuria, Hon shū, Scikoku, Kyū-shū), i Pittidae (India, Ceylon, Indocina, coste della Cina, Filippine, Indie Orientali), gli Eurylaemidae (esclusivi dell'Himālaya orientale, dell'Indocina, Sumatra, Giava, Borneo, Mindanao e isolette vicine), gli Indicatoridae (Tibet, Malacca, Borneo), i Capitonidae (India, Ceylon, Indocina, Cina meridionale, Formosa, Filippine, Sumatra, Giava, Borneo), i Trogonidae (India, Ceylon, Indocina, Cina meridionale, Filippine, Borneo, Sumatra, Giava), i Bucerotidae (India, Ceylon, Indocina, Filippine, Indie Orientali), i Psittacidae (India, Ceylon, Indocina, Tibet e Cina meridionale, Filippine, Indie Orientali), i Phoenicopteridae (Asia Minore, Siria, Caucaso, Persia, Transcaspia, India, Ceylon), i Parridae (India, Ceylon, Indocina, Cina meridionale, Formosa, Filippine, Indie Orientali), i Cursoriidae (Arabia, India, Persia, Ceylon), gli Heliornithidae (Indocina, Sumatra), i Treronidae (India, Ceylon, Himālaya, Indocina, Giappone, Formosa, Hai-nan, Filippine, Indie Orientali), i Turnicidae (India, Ceylon, Indocina, Cina, Manciuria, Filippine, Indie Orientali eccetto Borneo).
Notiamo ancora che talune famiglie che popolano l'Australia e la Nuova Guinea s'inoltrano ad occidente senza avere però rappresentanti nel continente. Così i Meliphagidae giungono fino a Celebes e a Sumbava, i Loriidae fino a Celebes, Timor e Mindanao; i Cacatuidae fino a Bali, Celebes e alle Filippine, i Megapodiidae fino alle Filippine, a Celebes e Borneo, le piccole isole della Sonda, ritrovandosi anche nelle Andamane e nelle Nicobar.
I galli (Gallus) hanno la loro patria nell'India, Ceylon, l'Indocina, il Tibet e la Cina meridionale, le Filippine, Sumatra, Giava, Celebes e le piccole isole della Sonda. I pavoni (Pavo) sono originarî dell'India, Ceylon, Indocina, Giava.
I rettili presentano speciali caratteristiche nell'India, nell'Indocina e nelle Indie Orientali, e varie famiglie sono esclusive di tali regioni, mentre il resto dell'Asia possiede un numero relativamente scarso di rappresentanti di questo gruppo, e nessuna famiglia vi è esclusiva. Tra gli ofidî gli Elachistodontidae, con una sola specie molto rara, sono esclusivi del Bengala; gli Uropeltidae posseggono più di quaranta specie confinate nel Deccan e a Ceylon; gli Amblycephalidae, oltre che nell'America Centrale e Meridionale e nelle isole Salomone, si trovano nell'Indocina, nella Cina meridionale, Formosa, Filippine, Sumatra, Borneo, Giava, Halmahera (Gilolo); gli Homalopsidae sono rappresentati in India, Ceylon, Cina meridionale, Indocina, Formosa, Filippine, Indie orientali, Nuova Guinea e Australia settentrionale; i Xenopeltidae sono esclusivi della Cina, Indocina, Sumatra, Giava, Borneo, Celebes, piccole isole della Sonda eccetto Timor, e dell'estremo S. dell'India; gli Achrocordidae, salvo una specie localizzata a Panamà, sono esclusivi della costa orientale dell'India, di Ceylon, Indocina, Sumatra, Giava, Borneo, Celebes, Filippine, Molucche, Nuova Guinea; gli Hysiidae, presenti anche nell'America del Sud, vivono a Ceylon, Indocina, Sumatra, Borneo, Giava, Celebes; i Pythonidae vivono nell'India, Ceylon, Indocina, Indie Orientali, Filippine, Formosa; i Glauconiidae, così diffusi in Africa e nelle Americhe, in Asia sono confinati all'Arabia meridionale e al Sind; più estesi sono i Crotalidae che mancano in Siberia, Asia Minore, Siria, Persia, Arabia, Celebes, Sachalin; i Viperidae, che mancano in Siberia e nelle isole, salvo Sachalin, Borneo, Sumatra, Giava, Ceylon; gli Elapidae, presenti nel continente e nelle isole a S. di 40° lat. N. e nel bassopiano turanico, ma assenti nell'Asia Minore; i Dipsadomorphidae, che abitano tutta la zona meridionale del continente e delle isole; i Colubridae, assenti in Siberia, ma presenti nel Camciatca; i Boidae, che vivono nella metà meridionale del continente nonché a Formosa, nelle Filippine, a Celebes, alle Molucche, nella Nuova Guinea; i Typhlopidae, diffusi dall'Asia Minore all'Indocina e nelle isole a S. del Tropico.
Non meno numerosi sono i Sauri, di cui però solo i Lacertidae raggiungono elevate latitudini; essi però mancano a Celebes; e nelle Filippine vivono solo a Luzon. A S. di 45° lat. N., salvo che in Corea e in Manciuria, vivono nel continente e nelle isole gli Scincidae; i Varanidae popolano l'Arabia, la Siria, la Persia, l'India, la Cina meridionale, l'Indocina e le isole a S. del tropico; gli Anguidae abitano l'Asia Minore, la Siria, l'Armenia, la Persia, il Turkestan, il Bengala, la Birmania, i dintorni di Han-kow in Cina e Borneo; i Gekonidae, vivono ovunque a S. del 40° lat. N. e a N. del Caspio; gli Agamidae hanno a un dipresso la medesima diffusione, mancano però in Corea e nelle isole giapponesi; gli Eublepharidae si trovano in Persia, nel Turkestan, nell'India, lungo le coste occidentali dell'Indocina e nella Penisola di Malacca. Aree più ristrette occupano gli Amphisbaenidae, che si ritrovano nell'Asia Minore, in Siria e presso Aden in Arabia; i Dibamidae, esclusivi della Penisola di Malacca, Sumatra, Bali, Lombok, Celebes, Halmahera; i Lanthanotidae, localizzati esclusivameme a ovest di Borneo.
I coccodrilli sono rappresentati da Crocodilidae (India, Ceylon, Cina meridionale, Indocina, Indie orientali), Alligatoridae (bacino del Yang-tze-kiang), Gavialidae (soltanto nell'Indostan, Malacca, Sumatra, Borneo).
Tra i chelonî sono esclusivamente asiatici i Platysternidae, che abitano l'Indocina settentrionale e la Cina meridionale; i Testudinidae mancano solo nel Tibet, nella Mongolia e in Siberia; i Trionychidae sono presenti in Siria, Mesopotamia, Persia occidentale, India, Indocina, Cina, Manciuria, Hon shū, Shikoku, Kyū shū e nelle isole tropicali.
Gli anfibî più diffusi sono i Ranidae e i Bufonidae, che si riscontrano fino al 60° lat. N. Gli Hylidae, i Discoglossidae e i Salamandridae si estendono da O. ad E. escludendo la Siberia e, completamente o quasi le tre penisole meridionali; mentre tutte le isole mancano di Discoglossidae, gli Hylidae si trovano nell'arcipelago giapponese salvo che a Sachalin e i Salamandridae s'incontrano solo a Hon shū, Shikoku e Kyū shū. In India, Indocina, Cina meridionale e nelle isole tropicali vivono alcuni Engystomatidae; nel Tenasserim e a Borneo si trovano i Dyscophidae in comune con Madagascar; l'Indocina, la Cina orientale, le Filippine, Sumatra, Giava, Borneo, Ceylon, l'Asia Minore e la Siria posseggono Pelobatidae; nel Siam, in Cina, nell'Asia centrale e di NE., a Hon shū Shikoku e Kyū shū si ritrovano Amblystomatidae che ricordano quelli dell'America del Nord; la Cina e Hon shū posseggono, in comune col bacino del Mississippi, Amphiumidae. Il Deccan, Ceylon, l'Indocina, Sumatra, Giava e Borneo posseggono anfibî apodi.
Numerose famiglie di pesci si trovano nelle acque dolci; tra queste notiamo i Tetrodontidae, notevolmente abbondanti nel Gange, a Borneo, Sumatra, Giava e Celebes; i Mastacembelidae, che dalla Siria si estendono fino alla Cina meridionale, all'Indocina e alle Indie Orientali; i Cottidae, ben rappresentati nel Baikal; i Gobiidae, presenti soprattutto in India, Indocina e nel Baikal; gli Osphromenidae, esclusivi di Sumatra, Giava, Borneo e di alcune aree limitate dell'Assam, della Cina e dell'Australia; i Cyclidae, presenti in Siria, in India e a Ceylon; gli Scienidae, sparsi a Borneo e presenti nell'Indo, nel Gange, nel Brahmaputra, nel Mekong, nel Si-kiang, nel Yang-tze-kiang; i Serranidae, sparsi in Cina, Manciuria, Amur, Hon shū, Shikoku, Kyū shū; i Percidae, estesi dall'Europa fino al NE. dell'Asia; i Nandidae in comune con l'America del Sud e presenti in India, Indocina, Sumatra, Giava, Borneo; i Centrarchidae, che si rinvengono a Sumatra, Giava, Celebes e in Cina presso I-chow; gli Anabantidae e gli Ophiocephalidae, che abitano l'India, Ceylon, il Tibet meridionale, la Cina, le Filippine e le isole malesi; i Gastrosteidae estesi dall'Europa al Giappone e al Camciatca radendo il Tibet e la Cina; i Cyprinodontidae, che abitano il S. e il SO. del continente, nonché Ceylon, l'Arcipelago malese, Hon shū, Shikoku e Kyū shū; gli Esocidae, diffusi nella zona settentrionale; i Symbranchidae presenti in India, Tibet, Indocina, Cina, Manciuria e nelle isole salvo Sachalin e Mindanao; i Siluridae, presenti fino al 50° lat. N., ma assenti in Arabia e a Sachalin; i Cyprinidae, sparsi ovunque, ma non oltre Giava e Borneo; i Salmonidae, viventi a N. del 35° lat. N. e in Cina fino al Tropico; i Notopteridae, che si trovano in India, Indocina, Sumatra, Giava, Borneo; i Polyodontidae, in comune con l'America del Nord, localizzati nei bacini del Yang-tze-kiang e del Huang-ho; gli Acipenseridae, estesi a N. del 40° lat. N. nonché nei bacini del Yang-tze-kiang e del Huang-ho.
È impossibile riassumere quanto concerne la distribuzione degl'invertebrati nell'Asia; si accenna ad essi negli articoli che riguardano le singole regioni del continente.
Antropologia.
Il continente asiatico può dividersi, antropologicamente, all'ingrosso in due parti, l'una nord-orientale, e l'altra sud-occidentale; la prima, salvo due eccezioni (Ainu, Negritos), abitata da genti di quell'aspetto che è comunemente noto sotto il nome di mongolico (ciò non vuol dire affatto, aggiungiamo subito, che queste genti siano tutte dello stesso tipo); la seconda da genti più o meno prossime di aspetto al nostro tipo europeo o, per lo meno, più prossime delle prime ad esso.
Il limite fra queste due zone è, nella gran parte della sua estensione, piuttosto incerto. Inoltre, il territorio al nord del Caspio, per il quale l'Asia si attacca all'Europa, si può dire che costituisca una larga fascia di transizione antropologica, cioè di miscela etnica.
Il confine fra le due grandi zone asiatiche va dal Caspio, per la catena più settentrionale dell'Irān, il Pamir, il Caracorum, all'Himālaya e al corso inferiore del Brahmaputra; è al massimo marcato in corrispondenza dell'Himālaya e del Pamir, ma anche su questo tratto è tutt'altro che assoluto.
La distinzione fra i due grandi gruppi umani è radicale e profonda, soprattutto per certi caratteri (per es. fisionomia facciale, caratteri della capigliatura, proporzioni corporee), onde si può dire veramente, col Biasutti, che essi sono quasi agli antipodi. Data l'attuale unità continentale dell'Asia, questo fatto deve forse aver riferimento ad antichissimi eventi geologici.
Cominciando con l'esaminare i tipi umani della prima zona, dobbiamo rilevare come, pur avendosi chiaramente l'impressione di differenze fra gli etni di questo vastissimo territorio, appare difficile indicare i caratteri distintivi di tipi diversi ben sicuri.
Il gruppo etnico meglio conosciuto antropologicamente è quello dei Giapponesi, perché, in verità, non solo ne sono ora ben noti i caratteri etnici e antropometrici, ma si può dire che si è sulla strada di possedere un' anatomia dell'uomo giapponese, la quale ha dimostrato di essere abbastanza distinta da quella dell'uomo europeo, che è l'anatomia comunemente studiata nelle scuole. Ma proprio per questa buona conoscenza che ne abbiamo, non si può per es. parlare di un tipo giapponese, in quanto presumibilmente esso rientra completamente nel quadro del tipo mongolico propriamente detto, cioè del tipo in cui si riscontrano al massimo grado i fatti che diciamo proprî del mongolismo.
In complesso, si può dire che questo si presenti con la sua massima intensità in popolazioni dell'Asia centrale e occidentale, o persino dimoranti in territorî geograficamente europei, come alcuni Calmucchi, piuttosto che nei gruppi etnici dell'Asia orientale e soprattutto della Cina orientale e meridionale.
Il quadro di ciò che noi diciamo antropologicamente "mongolismo" risulta soprattutto, per ciò che riguarda i segni più manifesti, dai caratteri che seguono:
1. Occhio mongolico. - Non è un carattere per sé stante, ma strutturalmente legato col seguente; tuttavia, siccome cade per sé più facilmente sotto l'osservazione comune, se ne può parlare indipendentemente. Consiste nella presenza d'una piega cutanea che dalla palpebra superiore va verso l'interno dell'apertura palpebrale e copre più o meno la cosiddetta caruncola (plica mongolica). Accompagnano questa formazione altri fatti: la piccola lunghezza dell'apertura palpebrale, la piccola altezza di questa stessa, l'obliquità della sua direzione.
2. Appiattimento facciale. - La faccia mongolica non presenta quella successione di piani, come l'europea, per es., in cui le parti laterali della faccia, i pomelli, sono più all'indietro delle parti mediane: essa dimostra la tendenza ad esser tutta sopra un piano. Il naso è poco rilevato, tanto alla radice come in basso, ma questo fenomeno è diverso dall'infossamento della radice nasale dei Negri, che consiste in un infossamento trasversale, e fu opportunamente chiamato impressione a colpo di ascia. La regione frontale inferiore mediana non è prominente rispetto alle laterali.
3. Il capello è rigido, grosso, liscio, a sezione rotonda (capello lissotrico), di color nero.
4. Le proporzioni corporee dimostrano tronco lungo e gambe corte (brachischelia). La forma rotondeggiante del capo come la sua scarsa altezza (platicefalia), non sono segni di mongolismo, come ancora da alcuni si ritiene seguendo un vecchio pregiudizio, ma si possono riscontrare nel tipo mongolico tutte le forme del cranio cerebrale.
Per la regione cinese, ciò dipende soprattutto dal fatto, ormai accertato, dell'inquinamento da parte di forme appartenenti ad altri cicli e presumibilmente a due in ispecial modo: ad un tipo umano che del resto è conservato in guisa abbastanza buona nell'arcipelago nipponico, nei cosiddetti Ainu, e ad un altro tipo di cui si parlerà più oltre, il Negrito.
Il tipo Ainu è affatto diverso dal mongolico e si presenta perciò come un'isola umana d'un grandissimo interesse. Senza parlare delle sue caratteristiche, che si troveranno alla voce relativa, basti qui dire che la sua fisionomia è stata ravvicinata a quella di certi Europei o Asiatici meridionali, ed il tipo è caratterizzato da una pelosità maggiore di quella d'ogni altra razza umana. Perciò, così il tipo Ainu come i residui negritici, la cui esistenza è stata affermata se non dimostrata negli ultimi tempi nella zona suddetta, sarebbero le tracce d'un popolamento della regione diverso dall'attuale, ed i cui rappresentanti furono modificati poi più o meno profondamente per l'avvento di altri tipi.
Per la parte però più settentrionale dell'Asia orientale, tale ipotesi della presenza allo stato residuale di elementi di tipi precedenti profondamente diversi, si presenta poco verosimile, e pare autorizzato per lo meno il sospetto della presenza di un tipo a sé, indipendente e alquanto diverso dal mongolico propriamente detto (Tungusi, Coriachi, Jukaghiri, ecc.), sebbene, per ciò che riguarda la fisionomia facciale, ad esso somigliante.
Del pari verso il confine meridionale, nel Tibet, abbiamo un tipo che non si può senz'altro ravvicinare al mongolico propriamente detto, per quanto i sintomi di mongolismo non manchino. Il mongolismo di questo tipo però non è di grado superiore a quello per es. di molti Americani. Vi sono altre ragioni per ritenere che esso debba staccarsi dal mongolico propriamente detto, ma anche a questo proposito non si può dire una parola definitiva per l'insufficienza delle ricerche.
Un tipo, che in passato era quasi generalmente ammesso e che ora invece si tende a sopprimere, è il malese. Esso, oltre la penisola transgangetica, abiterebbe le isole dell'arcipelago cosiddetto malese. Sarebbe caratterizzato da un grado di mongolismo minore: forma subquadratica della faccia, brachicefalia, statura piuttosto piccola, capelli ondulati invece che lisci, colorito in genere più scuro dei Mongoli propriamente detti. Per alcuni autori esso sarebbe un prodotto di miscela resosi fisso relativamente, per altri sarebbe un tipo elementare. Non sono, tuttavia, ancora bene convincenti le ragioni per sopprimere questo tipo umano, qualunque sia la sua origine.
Nella penisola di Malacca abbiamo un resto ben evidente di un tipo affatto amongolico nei cosiddetti Semang, che sono uno dei tre gruppi di Negritos ("piccoli negri") dell'Asia (gli altri due gruppi sono insulari e se ne parlerà altrove). La fisionomia è di Negro, ma attenuata, la depressione della radice nasale non si presenta molto marcata, il naso, non è molto prominente, è basso e largo; piccolo grado di prognatismo, labbra non molto spesse. La forma del cranio è mezzana (mesocefalia), alta; il colore della pelle è nero-cioccolato. I capelli sono corti e fortemente crespi, neri, con tonalità rossiccia. La statura è piccola, ma non pigmea. La proporzione del tronco alla statura è media.
Nella stessa penisola di Malacca, secondo il Martin, sarebbero presenti, nei cosiddetti Senoi, residui d'uno strato umano che presenta affinità con i Vedda dell'India e con gli Australiani. Ciò è contestato, pare con ragione, dal Deniker, il quale reputa i Senoi un prodotto di mescolanza del tipo negritico con elementi più o meno mongoleggianti della penisola di Malacca.
Nella seconda grande zona asiatica si presentano tipi distinguibili abbastanza bene l'uno dall'altro.
Percorrendo dal nord verso il sud e dall'ovest verso l'est la detta zona, noi troviamo in primo luogo un tipo che per la sua diffiusione è stato chiamato armenoide. Esso è diffuso in Asia Minore e regioni adiacenti. Ha il naso assai prominente, ma, tutto sommato, più saliente in basso che alla radice, sebbene questa sia ben formata. E cioè nel profilo è sempre evidente uno scalino, vale a dire un brusco cambiamento di direzione tra la fronte, sub-verticale, e la linea del dorso del naso, che nel primo suo tratto va verso l'innanzi in buona misura. Il dorso ne è ordinariamente ben convesso. L'occhio come in tutta la seconda zona asiatica, è per fettamente di tipo europeo.
Questo tipo è caratterizzato dal cranio rotondo e alto, che talvolta, per l'aggiungersi di deformazioni, assume una forma a pane di zucchero. La pelle è di colorito bruno, i capelli ondulati e scuri, la pelosità discreta, la statura mezzana, la proporzione del tronco alla statura piuttosto forte (brachischelia). Forme spesso tozze e pesanti, con tendenza alla corpulenza.
Il tipo semitico, che si potrebbe dire arabo, ha il naso sempre ben evidente, ma meno pronunciato del tipo precedente; però lo scalino sopra ricordato è forse anche più visibile; il naso è diritto o convesso, a radice ben formata. La faccia ha forma ellittica. Il cranio cerebrale è, nella media, allungato o mezzano. Pelle scura. Capelli, in complesso, che tendono ad essere più arricciati. Pelosità media. La statura nel nord dell'Arabia, la regione abitata da questo tipo, è media o elevata, al sud media. Nel sud si ha anche una tendenza del cranio cerebrale a divenire rotondeggiante. Le proporzioni sono medie.
Il tipo indo-irano-caucasiano è un tipo assai più esteso degli altri e abbraccia diversi sottotipi. La caratteristica più importante che determina il tipo, è una salienza assai forte di tutta la radice nasale, rispetto al piano dei globi oculari, o, per dir meglio, rispetto al punto interno della rima palpebrale (entokanthion). Nel profilo laterale di questo tipo la linea della fronte si continua, senza forti rientranze o cambiamenti di direzione, con la linea del naso, che raramente ha il dorso convesso, ma più spesso diritto. In tal guisa in questo tipo spesso si verificano notevoli approssimazioni a quello che si chiama comunemente profilo greco. La salienza del naso in basso non è mai molto forte. L'occhio è bene aperto e spesso profondo, rispetto al margine sopraccigliare. Questo tipo fisionomico ha una grande estensione, poiché si estende dal Caucaso, per la parte più settentrionale dell'altipiano dell'Irān, fino alla parte settentrionale ed occidentale dell'India, per l'una direzione, e per l'altra, perpendicolare a questa, dal massiccio del Pamir all'Afghānistān.
In esso però abbiamo alcuni sottotipi più o meno ben delimitabili, e che presentano differenze per caratteri di valore secondario. Così un sottotipo indo-afghano, a faccia e testa lunghe, pelle scura, statura piuttosto elevata, slanciato di forme, è ben differenziabile. Anche abbastanza distinto è un sottotipo Pamiriano (Galcia, Tagicchi), caratterizzato da struttura più massiccia, cranio rotondo e basso, pelosità corporea abbondante, colorito cutaneo piuttosto chiaro, occhi castani e spesso chiari. Anche fra i Caucasiani si possono forse distinguere diversi sottotipi, differenti soprattutto per la statura e le proporzioni.
Il tipo dravida-veddaico è limitato praticamente alla parte meridionale dell'India (Deccan, Ceylon). Crediamo di dovere unire il tipo veddaico al dravida, in un unico tipo, non vedendo sostanziali differenze fra essi, contrariamente all'opinione di molti antropologi che ritengono indipendente il tipo veddaico, ma conforme all'opinione del Deniker.
La fisionomia facciale ha un aspetto basso, "selvaggio". La radice nasale è depressa, mentre la regione degli archi sopraccigliari è spesso prominente, il naso largo, basso, poco prominente, talvolta a domo concavo, la faccia bassa.
Il cranio lungo, alto o di media altezza. Il colorito cutaneo è assai scuro. I capelli lunghi, neri, sono fortemente ondulati o arricciati. La pelosità corporea è media, la statura piccola-media; le gambe piuttosto lunghe rispetto al tronco, le forme generali svelte. È innegabile una certa somiglianza col tipo australiano, che ha però un aspetto più selvaggio.
Trattazioni particolari intorno all'antropologia delle singole regioni e dei principali gruppi etnici si troveranno alle voci relative. Le trattazioni delle questioni generali connesse con i tipi umani, si troveranno alle voci generali cranio; fisionomia; paleoantropologia; razze, ecc.
Etnologia.
Popoli e culture. - Le divisioni etnologiche principali dell'Asia appaiono dominate da un insieme di fattori geografici, tra i quali emergono la morfologia e il clima. Prendendo per punto centrale il massiccio del Pamir, vediamo che grandi catene montane si spingono in quattro direzioni. Quella che forma l'ossatura della Persia e prosegue per l'Asia Minore sino all'Egeo; quella che forma l'insuperabile barriera dell'Himālaya, dividendo l'India dal resto dell'Asia e, più ad oriente, il grande arco indo-malese che costituisce da prima una fascia di vallate montane e di delta e poi le isole dell'arcipelago; la terza che dal K'uen-lun degrada fino alla pianura cinese; e infine la catena del T'ien-shan che continua in una serie di monti fino all'estrema Asia nord-orientale. Da questa disposizione del rilievo vengono circoscritte varie caratteristiche aree etnologiche.
Anzitutto, le tre sud-occidentali. Prima l'altipiano dell'Anatolia, dell'Arabia e dell'Irān chiuso ad E. da deserti e montagne, ma strettamente connesso col Mediterraneo e anche col massiccio del Pamir. È la culla d'una delle più antiche se non della più antica civiltà, e ha avuto il più grande influsso sull'Europa, mentre invece, se si eccettui la parte settentrionale dell'India, ben pochi rapporti ha avuto col resto dell'Asia. Vi si possono fare etnologicamente tre suddivisioni: la regione del Mediterraneo e del Mar Nero, la regione arabica, e la regione iranica; queste ultime due sono separate dalla grande valle alluvionale della Mesopotamia.
L'India, recinta a N. da alte catene e ad E. da monti e giungle, forma una seconda provincia etnologica, la quale è divisa in due parti: la pianura settentrionale indo-gangetica e la penisola con l'isola di Ceylon, a S.
L'Asia di sud-est forma una provincia povera di comunicazioni interne, e dai monti, dalle foreste o dal mare frazionata in una serie di minori suddivisioni. Essa conserva alcuni dei popoli più primitivi dell'Asia, i quali, a somiglianza di alcune tribù dell'India meridionale e di Ceylon, hanno sopravvissuto certamente a causa della loro posizione geograficamente isolata. Fra l'altipiano dell'Irān e lo Stretto di Bering giace la vasta distesa pianeggiante del Turkestān e della Siberia. Assume, in questa, importanza speciale la vegetazione, perché parte della regione è coperta da steppe e parte da foreste e da tundre. La tundra e la foresta formano una sola unità etnologica. La steppa e il deserto debbono invece essere riuniti con la regione posta più a S., fra il K'uen-lun e il T'ien-shan, e con la maggior parte dell'altipiano tibetano.
Ad oriente giace il grande bacino della Cina, diviso etnologicamente in due parti dal Ts'in-ling, mentre il Giappone forma una distinta unità etnologica. Vi sono naturalmente fra queste regioni delle zone di transizione e alcune di esse sono fra loro più strettamente connesse: il Giappone del nord, p. es., e il Giappone preistorico, mostrano grande affinità con la Siberia, mentre il Giappone moderno è da collegare all'area cinese. Una particolare provincia di transizione è pure rappresentata dal Caucaso, piuttosto europeo che asiatico nei caratteri generali della cultura: ma contro i suoi fianchi sono venute a depositarsi le ultime spinte di varî movimenti di gruppi nomadi asiatici (Calmucchi, Kirghisi, Nogai, Tatati, ecc.), mentre le vallate centrali e occidentali, nonostante la colonizzazione russa veramente intensa, sono rimaste in possesso di genti che costituiscono una famiglia linguistica assai arcaica ed isolata.
In una rassegna generale non si possono naturalmente segnalare che gli elementi essenziali della cultura. La provincia occidentale, Anatolia-Arabia-Iran, mostra alcuni tratti particolari molto evidenti. La regione mediterranea è notevole per la coltivazione degli alberi da frutta, in specie l'ulivo, che si stende fino al medio Eufrate. È una regione di scarse precipitazioni, ed è perciò in uso l'irrigazione temporanea su colture disposte a terrazze. Gli alberi da frutta sono la caratteristica della coltura, ma i cereali dànno la maggiore raccolta. Nonostante qualche opinione in contrario, non vi è presentemente alcuna ragione di dubitare che questo paese sia stato la culla della coltivazione del grano e dell'orzo, che vi crescono allo stato selvatico. Il villaggio è l'unità dell'organizzazione sociale. Nell'antichità molti di questi villaggi erano indipendenti e anche oggi esistono piccoli gruppi, spesso eretici, che praticano un loro diritto consuetudinario, e formano comunità affatto indipendenti. Il commercio, nelle città, ha un grande sviluppo. Al confine delle sabbie vi sono serie di comunità che formano i "porti del deserto" come le comunità lungo l'acqua formano i "porti di mare". Nella Mesopotamia i principali raccolti sono quelli del grano e dell'orzo: le condizioni idrografiche consentono quivi l'irrigazione perenne, e questa, unitamente alla fertilità del terreno, sin da tempi remoti diede agli abitanti della regione l'agiatezza dalla quale possiamo dire che è alla fine venuta la nostra civiltà. Nella parte meridionale della provincia è coltivata lungo i fiumi e nelle oasi la palma dattilifera. Questa coltura ha grande importanza economica a causa dell'utilità dei datteri come cibo; nelle regioni desertiche e nelle regioni prive di alberi le palme hanno inoltre, per millennî, provveduto la sola legna disponibile. Fuori dai distretti montani tutte le abitazioni, terminanti a terrazze, sono costruite con mattoni cotti al sole, la cui natura plastica ha anche provveduto uno dei primitivi materiali sui quali scrivere.
In contrasto con gli agricoltori delle valli e delle oasi gli abitanti delle steppe e del deserto sono pastori nomadi, i beduini, organizzati in tribù, che hanno rappresentato e rappresentano ancora una perpetua spina nel fianco del coltivatore. La descrizione che di essi fece Aristotele, non potrebbe essere più esatta e perspicua: "Essi coltivano un podere mobile". L'animale da soma è il cammello, che provvede anche il latte e la carne, e il cui pelo viene usato per tessere le tende. Le pecore tuttavia costituiscono il principale animale di allevamento, mentre presso alcune tribù acquista importanza il cavallo.
Dal punto di vista linguistico i popoli di tutta l'area etnologica si spartiscono in tre gruppi, di entità numerica all'incirca uguale: Arabi, nell'Arabia, nella Siria e nella Mesopotamia (12-13 milioni); Indoeuropei (Armeni, Curdi, Luri, Persiani, Beluci, Afghāni) concentrati nell'Irān (circa 15 milioni); Turchi, nell'Anatolia e a gruppi sparsi in tutta la regione iranica (15 milioni). A questi si devono aggiungere i pochi residui dravidici del Belūcistān (Brahui) e le moderne colonie di Circassi ed Ebrei. Tutti professano le religioni superiori, cristianesimo, islamismo, giudaismo, e le loro organizzazioni sociali ne dipendono largamente. I cristiani sono monogami, e le loro donne godono d'una considerevole libertà: mentre i musulmani, teoricamente poligami, le tengono, almeno nei centri sedentarî, in segregazione.
L'India è stata la culla d'un'antica civiltà e, più tardi, della religione e della filosofia buddista. Benché essa sia essenzialmente agricola, alcuni degli abitatori delle sue giungle sono ancora allo stadio della caccia e della raccolta, e gran numero di essi sono ancora animisti, e molti riti animistici ed elementi culturali primitivi persistono nelle credenze e nei costumi degli strati inferiori d'una gran parte dell'intera popolazione. Il carattere etnologico più interessante dell'India è l'esistenza delle caste (v.).
La casta ha assorbito le antiche divisioni delle tribù e financo certi aggruppamenti etnici di maggiore entità. Sovente le caste presentano ben distinti caratteri somatici, e l'origine della stratificazione sociale si deve far risalire al tempo delle conquiste fatte dalle stirpi dalla pelle chiara sulle genti indigene dalla pelle più scura. Il fatto che le caste non possono venire a contatto l'una con l'altra, ha dato poi origine a una serie di riti assai complessi attraverso tutta l'India.
La diffusione dei linguaggi e delle culture ha obbedito invece alle direttive geografiche, ed ha formato regioni etniche assai ben distinte sovrapposte alla stratificazione sociale. Così i linguaggi indoeuropei hanno occupato tutta la pianura indo-gangetica, una parte della penisola e, con una forte colonia (Singalesi), l'isola di Ceylon: sono, attualmente, circa 240 milioni di individui; le lingue dravidiche, la maggior parte del Deccan, con 62 milioni; il Munda è rimasto in possesso del Chota Nagpur e di qualche altro distretto peninsulare (4 milioni), mentre sul versante del Himālaya hanno straripato in varia misura le genti tibetane. Le culture primitive hanno lasciato le tracce maggiori nei gruppi delle giungle (Munda, Santal, Vedda di Ceylon) e della montagna (Paniyan e altre tribù dei Nilghiri).
L'Asia sud-orientale comprende ancor più dell'India culture e popoli assai differenti. I gruppi più primitivi, come gli Andamanesi, i Semang e altre tribù dell'interno della Penisola di Malacca, i Negritos delle Filippine (in tutto forse neppure 100.000 individui) sono ancora allo stadio primitivo della caccia e della raccolta. Fuori di essi s'incontrano due grandi stratificazioni culturali che sono del resto intimamente connesse. La più bassa è quella dei cosiddetti Indonesiani, un nome collettivo nel quale si comprendono tutte le tribù barbariche dell'arcipelago indiano e un certo numero di popolazioni "selvagge" persistenti nelle zone montane o selvose dell'Indocina. Essi praticano largamente l'agricoltura alla zappa e presentano strette affinità con i cicli culturali meno primitivi dell'Oceania. Un secondo strato più recente, con una forte impronta di influssi delle civiltà indiana, cinese, araba (islamismo) è rappresentato dalle popolazioni più progredite dell'Indocina (Birmani, Cambogiani, Annamiti) e dai Malesi dell'arcipelago, questi ultimi stabiliti quasi sempre sulle zone costiere: fra essi è conosciuto l'aratro, l'allevamento ha maggiore importanza, l'organizzazione sociale e politica presenta forme evolute. La coltura del riso, comune all'area sino-giapponese, è caratteristica di tutta la regione. Le popolazioni più incolte coltivano il riso di montagna, che cresce anche senz'acqua, ma la maggioranza pratica largamente l'irrigazione. La produttività di questo cereale ha reso perciò possibile lo stabilirsi di una densa popolazione in tutti i distretti più adatti. Grande sviluppo hanno preso inoltre la vita marinara, la pesca, il commercio marittimo. In varî punti la gente vive, si può dire, nelle barche, scendendo raramente a terra. La classificazione linguistica di tutte queste genti mostra, anch'essa, la presenza di strati successivi e distinti, ma non coincidenti con quelli culturali. Tutto l'arcipelago e la parte meridionale della Penisola di Malacca è il dominio delle lingue indonesiane, ramo della famiglia maleopolinesiaca, che si estendono d'altronde fino a Madagascar e a Formosa: esse contano nell'Asia sud-orientale, 62 milioni d'individui. Gli Andamanesi parlano una lingua peculiare e isolata. Le lingue Mon-Khmer, affini al Munda dell'India, sono parlate da varî gruppi incolti dell'Indocina (e dagli abitanti delle isole Nicobar), ma anche dalle genti assai civili del Cambodge: nel totale forse 4 milioni d'indívidui. I rimanenti 38 milioni rientrano, per il linguaggio, nella grande famiglia sino-tibetana e si accordano con la prevalenza in essi degl'influssi culturali e somatici continentali. Va qui ricordato che, mentre gli elementi etnici stranieri (Cinesi, Europei, Arabi) sono numericamente poco rilevanti, pur avendo una posizione culturale ed economica preminente, nelle isole Filippine lo spagnuolo, è parlato da almeno 100.000 indigeni e meticci, e il cristianesimo ha conquistato la maggioranza della popolazione (circa 8 milioni).
Nell'Asia settentrionale la maggioranza della popolazione è ormai costituita dai coloni russi (circa 7 milioni) e le genti indigene sono rappresentate da nuclei in generale assai esigui. I mongoli Buriati (220.000), i Jakuti (220.000) e i Tungusi (72.000), tutti membri della vasta famiglia linguistica uralo-altaica, sono ancora i gruppi più resistenti al processo di assorbimento. Un gruppo linguisticamente isolato è quello dei Paleoasiatici, o come altri preferisce designarli, Paleosiberiani, nell'estremo NE. (31.000), dove sono giunte dalle rive americane anche colonie costiere di Eschimesi (1600). Invece nell'area di nord-ovest della provincia siberiana sono i più numerosi rappresentanti (43.000) degli Ugrofinni, Samoiedi , Voguli e Ostiachi, insieme con qualche residuo di genti linguisticamente distinte (Jenisseiani). Nella zona dell'Altai e dei Saiani, infine, sono stanziate varie popolazioni turche o turchizzate (Altaici, Teleuti, Sojoti), divise in un gran numero di tribù (85.000).
In questa stessa regione e sul basso Irtyš sono pure i resti delle tribù di Tatari (70.000) dispersi e frazionati dalla colonizzazione russa. Sotto il punto dì vista delle culture indigene la regione presenta alcuni distretti di maggiore resistenza di elementi arcaici, che mostrano affinità spiccata con la cultura artica e sub-artica dell'America Settentrionale, soprattutto nel NE. Alcuni dì tali elementi primitivi, come la tenda conica, che è la forma prevalente di abitazione di tutta la provincia, hanno però una grande diffusione. L'esistenza è basata sulla caccia, la pesca e la raccolta (fatta dalle donne) e sullo sfruttamento di un animale, la renna, che in varî gradi di domesticazione costituisce l'aiuto più prezioso alle popolazioni ed ha consentito ad esse anche di popolare ampio tratto delle squallide tundre. Nelle regioni più meridionali, alla renna subentra il cavallo, e con questo sono penetrati molti tratti proprî alla cultura delle steppe centro-asiatiche.
La regione delle steppe è di nuovo un dominio di prevalenza della popolazione indigena (Russi circa 11/2 milioni). Si. possono distinguere in essa due sotto-sezioni. Una, occidentale, è abitata in prevalenza da popoli di lingua turca: Kirghisi (4.650.000), Kara-Kalpaki (97.000), Usbecchi e Sarti, cioè Turchi sedentarî, (3.760.000), Turcomanni (683.000) e Turchi del Sin-kiang (200.000). Tra essi sul bacino dell'Amu-darja si è stanziato il popolo iranico dei Tagicchi (871.000). La sezione orientale è ancora in possesso dei Mongoli (Dungani, Calmucchi, Khalkha, Uroti, Tanguti), che noverano probabilmente 2 milioni di individui. Nell'una e nell'altra il territorio è spartito fra i coltivatori sedentarî e i pastori nomadi o semi-nomadi, ma mentre l'occidente ha subito fortemente l'influsso delle culture dell'Asia sud-occidentale (islamismo), l'oriente ha ricevuto invece l'impronta della civiltà cinese e indiana (buddismo). Tra gli animali di allevameato, oltre il bue, la pecora e il cammello, ha grande importanza, e presso alcune tribù specie mongole preminenza assoluta, il cavallo, che fornisce col suo latte anche un prodotto essenziale per l'alimentazione. Il cavallo, l'animale più veloce delle steppe, ha dato a questi popoli una grande mobilità e la storia etnica dell'Asia è stata più volte dominata e sconvolta dai grandi spostamenti di tali orde di cavalieri, devastatori delle fiorenti culture sedentarie stabilite alla periferia o nelle oasi delle steppe, fondatori di vasti quanto effimeri imperi. La vita di tutti i nomadi dell'Asia centrale ha conservato qualche elemento culturale comune e tra essi l'abitazione, costituita da una intelaiatura trasportabile di forma cilindrica con tetto a cupola ricoperta di feltro. La grande famiglia patriarcale è la base dell'organizzazione sociale. Sotto l'influsso della colonizzazione russa, tuttavia, una gran parte delle irrequiete genti pastorali ha adottato l'agricoltura ed è divenuta sedentaria. Una particolare varietà etnica si è sviluppata nelle alte valli e sui deserti montani del Tibet. I Tibetani (2 milioni) sono anch'essi divisi in nomadi, per i quali l'animale caratteristico di allevamento è il yak, e sedentarî, rigidamente organizzati in uno stato teocratico dalla chiesa buddista lamaica. La cultura materiale risulta dalla fusione di elementì indiani e cinesi; le case a terrazza dei sedentarî sono però del tipo comune a tutta la regione arida asiatica, mentre la tenda dei nomadi presenta forma piuttosto simile a quella degli Arabi.
L'etnologia della Cina e del Giappone, le due provincie che con l'India presentano nel continente il maggiore sviluppo di una particolare e molto antica civiltà indigena e il più forte agglomero di popolazione, è caratterizzata da alcuni tratti fondamentali assai semplici. La quasi totalità dell'enorme massa della popolazione (Cinesi stimati a circa 330 milioni, Coreani 20 milioni, Giapponesi 60 milioni) vive dell'agricoltura; il grano ha imporianza soltanto nella Cina settentrionale, e nel territorio rimanente la base dell'economia è costituita dal riso. Il bambù viene in prima linea come legname da costruzione. L'animale domestico più importante è il maiale. La civiltà cinese, della quale quella della Corea e quella tradizionale del Giappone (ora molto modificata dalla penetrazione della cultura europea) sono figliazioni relativamente recenti, ha avuto certamente il suo primo lievito dall'Occidente. Ma il lungo isolamento l'ha condotta a una formazione di notevole originalità, nella quale sono d'altronde ancora riconoscibili elementi antichissimi appartenenti al ciclo pastorale della grande famiglia patriarcale, che nella Cina ha sviluppato il culto degli antenati, la vera religione nazionale, ed elementi delle primitive culture agricole matriarcali (agricoltura alla zappa divenuta intensiva, forme dell'abitazione, ecc.). Tanto nella Cina come nell'arcipelago giapponese persistono tuttavia gruppi etnici non assimilati e solo parzialmente toccati da tale civiltà: così, nella prima, i Manciù, ramo dei Tungusi che, per quanto fortemente impregnati della cultura cinese, conservano ancora l'antica organizzazione in clan. Il fenomeno è ancor più evidente nei residui dei "barbari" meridionali Miao-tse, Lolo, Mosso, ecc., nel S. e nel SO., i quali hanno conservato molti elementi culturali che li accostano alle popolazioni dell'area indocinese e indonesiana. Nel Giappone, o meglio, nel dominio della più recente colonizzazione giapponese, gli Ainu (17.000) essenzialmente cacciatori e pescatori nelle isole Hokkaidō, Sachalin e Curili, costituiscono un resto ancor più interessante di un tipo culturale ed etnico assai primitivo; anche il loro linguaggio è isolato.
Bibl.: G. Buschan, Illustrierte Völkerkunde, II, Stoccarda 1923 (trattazioni di A. Byhan per l'Asia settentrionale, centrale e occidentale, W. Volz per la meridionale, M. Haberlandt per la orientale, R. Heine-Geldern per l'arcipelago malese: con carte e bibliografia). Altre carte etnologiche o linguistiche del continente dopo quelle di G. Gerland, Atlas der Völkerkunde (in Berghaus' Physikalischer Atlas, VII, Gotha 1892), ancora assai utili a consultarsi, hanno fornito le opere linguistiche di Meillet e Coen (parziali) e di W. Schmidt. Per la letteratura e le carte relative alle singole regioni, v. le voci corrispondenti a queste. I dati relativi alla ripartizione della popolazione nei gruppi etnici presentano una grande incertezza per tutto il dominio cinese. Per l'Asia russa essi sono attinti al più recente censimento, del quale ha dato un estratto J. H. Reynolds, Nationalities in the U. S. S. R., in Geographical Journal, LXXIII (1929), p. 370 segg.
Missioni.
Da questo particolare punto di vista l'Asia si può dividere in quattro sezioni a) la Russia asiatica, che dai confini della Turchia, della Persia, dell'Afghānistān, del Turkestān cinese, della Mongolia e della Manciuria si estende fino all'Oceano Glaciale Artico, e dai monti Urali s'allarga fino al Pacifico settentrionale; b) l'Asia Occidentale o Anteriore, dai confini occidentali dell'India fino al Mediterraneo e dalla Russia Asiatica fino all'Oceano Indiano comprendendo la Turchia, l'Armenia, la Siria, la Palestina, l'Arabia, la Persia e la Mesopotamia; c) l'India, Ceylon, la Birmania, il Siam, l'Indocina Francese, le Indie Olandesi e le Filippine; e finalmente d) la Cina, la Corea e il Giappone.
Delle missioni cattoliche e della penetrazione del cristianesimo in queste diverse parti dell'Asia, si parla sotto le voci dedicate a ciascuna regione.
Le civiltà dell'Asia.
L'azione del continente asiatico sulla storia della civiltà umana è di primaria e decisiva importanza. L'Europa ha raggiunto senza dubbio vette più sublimi nell'incessante ascesa dello spirito umano, ma quando l'uomo era in Europa ancora allo stato di completa barbarie, nell'Asia anteriore fioriva un'altissima civiltà abbellita da eccelse manifestazioni delle arti e animata da nobili concezioni religiose.
Più tardi l'Asia centrale seppe produrre insuperabili filosofie e religioni che insegnarono un tenore di vita spirituale a molti milioni di uomini, e in Palestina sbocciò dall'antico ceppo israelitico e semitico il cristianesimo, che divenne la religione della civiltà europea e occidentale, la quale sta ora per diventare la civiltà del mondo intero. La superiorità della civiltà europea su quella asiatica non può d'altra parte esser ricondotta soltanto a ciò che alla stessa apportarono col loro carattere speciale e il loro spirito, diverso in gran parte da quello dei popoli asiatici, gli Europei, perché la nostra civiltà è profondamente imbevuta di importantissimi elementi asiatici, elaborati però e svolti oltre quel segno cui era pervenuto lo spirito dell'Asia. Buona parte della civiltà europea è d'origine orientale, asiatica, ed ebbe la prima spinta alla sua trionfale ascesa proprio dall'antica civilta dell'Asia anteriore, con la quale fu in contatto già dai tempi più antichi. È doveroso dunque ammettere che l'Asia da una parte diede molto all'Europa, sia quando fioriva la grande civiltà mesopotamica e quella dei popoli circonvicini che a questa andarono debitori del meglio della loro stessa vita, sia anche più tardi nell'evo medio, nei primi secoli dell'Islām, ma subì anche in varie riprese dall'Europa multiformi e profonde influenze. Buona parte di quel vasto movimento d'idee e di cultura che l'Islām rappresenta non soltanto nell'Asia anteriore ma anche in quella centrale e persino nell'Estremo Oriente, è d'origine europea e non fece che continuare quella corrente di pensiero nota col nome di ellenismo che dal continente europeo si diffuse nell'Asia occidentale dopo la conquista di Alessandro.
Molto minori furono invece i contatti della civiltà asiatica con quella dell'Africa. In tempi antichissimi, ancora preistorici, in tutta l'Asia anteriore e sulle sponde del Nilo deve essersi diffusa una civiltà che ebbe il suo punto di partenza in Asia. Non c'è dubbio che la civiltà sumera esercitò qualche azione su quella preistorica egiziana. Ma col tempo quest'azione andò sempre più affievolendosi, quantunque i rapporti di commercio non fossero pochi tra le sponde dei Due Fiumi e quelle del Nilo: sia i commerci, sia le incessanti lotte dei dominatori della Mesopotamia coi faraoni d'Egitto per il possesso della Siria, dovettero stabilire frequenti rapporti tra le civiltà dei due paesi. Eppure la civiltà mesopotamica e quella egiziana ebbero uno sviluppo autonomo senza aver esercitato che scarsissima azione l'una sull'altra. Solamente quando sorge in Arabia l'Islām e di là si propaga su vastissimi territorî dell'Asia, dell'Africa e anche dell'Europa, l'Asia riesce a esercitare nel campo della cultura una forte azione sull'Africa, segnatamente su quella settentrionale, azione alquanto superiore e più vasta di quella che aveva lasciato soltanto poche tracce al tempo delle conquiste assira e persiana della valle del Nilo. La conquista turca dell'Africa settentrionale nell'Evo moderno ha introdotto qualche elemento asiatico soltanto nella vita pubblica, nell'amministrazione dello stato, senza influire sensibilmente sulla vita spirituale. Lo stabilirsi di commercianti musulmani, arabi e indiani, sulla costa dell'Africa orientale ha dato un certo impulso al propagarsi della lingua araba nei rapporti del commercio. In alcuni punti però gli Arabi riuscirono a penetrare nell'interno del paese ed esercitarono un'azione profonda sulle civiltà degli aborigeni.
Quale azione abbia esercitato l'Asia sulla civiltà precolombiana dell'America è invece difficilissimo stabilire. È certo che, per quanto riguarda la razza, nel continente americano abitavano popolazioni con forme somatiche modificate dal tipo mongolo e che non poche manifestazioni della civiltà di quel tempo presentano sorprendenti analogie con corrispondenti manifestazioni non soltanto della cultura dell'Estremo Oriente e dell'Asia nordorientale, ma persino della civiltà dell'Asia anteriore antica.
I centri di civiltà dell'Asia più antica sono tre: nell'Asia anteriore la bassa Mesopotamia, cioè quella parte della Valle dei Due Fiumi che si stende in prossimità del golfo Persico; nell'Asia centrale la valle dell'Indo e quella del Gange; nell'Estremo Oriente la Cina. Questi sono tre centri di civiltà asiatica, probabilmente indipendenti l'uno dall'altro, quantunque i primitivi Arî che penetrarono nell'India settentrionale portassero con loro un patrimonio di cultura che deve certamente aver risentito l'azione della civiltà sumera, la quale non si limitò nella sua area d'espansione all'Asia anteriore, ma penetrò profondamente anche nei territorî situati a oriente della Mesopotamia. Non è escluso che anche gli antichi Cinesi dipendano per qualche aspetto della loro civiltà, allora alquanto rozza, da quella della Babilonia, ma non si può addurre a prova di questi antichissimi contatti la scrittura cinese, sorta senza dubbio spontaneamente senza dover nulla a quella sumera, sebbene anche questa sia a caratteri pittografici.
I. L'Asia anteriore. - In Mesopotamia la civiltà più antica, del tutto preistorica, sorse nella parte meridionale della Babilonide. Una civiltà ancora più bassa però e anteriore alla più remota età sumera, comprendeva tutta la vasta regione che dall'interno dell'Asia Minore si stende attraverso l'Assiria fino al Golfo Persico. Questa ancor rozza civiltà sta in qualche rapporto, non meglio precisabile, con quella più antica di Susa nella Media. Essa divenne però vera cultura soltanto in Sumeria, in quel tratto cioè della Babilonide che più tardi, quando vi si erano già stanziati i Sumeri (v.), fu chiamato con questo nome. Donde venissero i Sumeri non sappiamo con certezza: probabilmente provennero dall'altipiano iranico e indirettamente dall'Asia centrale, se le scoperte fatte ad Anau nel Turkestān possono interpretarsi nel senso della comune origine della civiltà sumera e di quella preistorica dell'Asia centrale e settentrionale. I Sumeri parlavano una lingua agglutinante, la quale non sembra rientrare in nessuno dei ceppi linguistici conosciuti e differisce del tutto dalle lingue semitiche come da quelle indoeuropee.
I Sumeri erano agricoltori, allevatori di bestiame e commercianti. La loro religione era molto sviluppata e crassamente politeistica, con un pantheon nel quale predominavano le divinità agricole e della fertilità. Le loro pratiche religiose erano basate sugli scongiuri e sulla magia e dinotavano uno stato prettamente sciamanistico dei riti e delle cerimonie. La loro letteratura religiosa era molto ricca e si mantenne nelle scuole sacerdotali per alcuni millennî, anche quando la civiltà sumera era già estinta da parecchio tempo. Essi vivevano secondo un diritto già alquanto elaborato e del quale ci sono state conservate anche raccolte di leggi. Per i loro negozî giuridici solevano formare dei documenti scritti nella loro scrittura su tavolette di argilla cotte al forno e sulle quali i segni s'incidevano con uno stilo di canna o di metallo. I Sumeri facevano uso di una scrittura pittografica, nella quale i singoli segni rappresentavano in origine immagini più o meno schematiche di oggetti (v. scrittura). Più tardi però essi riuscirono a evolvere da questa più antica scrittura pittografica una sillabica, nella quale le singole parole sono composte di solito di sillabe - ogni segno indica una sillaba - ma permangono però ancora segni dinotanti concetti, i cosiddetti ideogrammi. L'antica scrittura sumera ebbe grandissima importanza nella cultura dell'Asia anteriore, perché quasi tutti i popoli di questa parte del continente presero a prestito la scrittura a caratteri cuneiformi, dopo che questa, da pittografica che era stata, era divenuta, per il cambiamento del mezzo scrittorio dalla pietra all'argilla molle, scrittura a segni cuneiformi. La scrittura cuneiforme penetrò nell'Elam, il quale aveva però anche una scrittura nazionale lineare, derivata assieme a quella pittografica sumera probabilmente da qualche altra scrittura ancora più primitiva dell'Iran o dell'Asia centrale, nella Persia, che la semplificò di parecchio, nell'Assiria, presso i Mitanni, in Siria e Palestina, in Asia Minore, dove tanto gli Hittiti quanto anche altre popolazioni anatoliche si servirono di questa scrittura per le loro rispettive lingue, come pure la vasta colonia di Babilonesi e Assiri stanziata nel cuore della penisola, e persino in Egitto. Nell'Asia anteriore antica la scrittura cuneiforme era la scrittura internazionale, e veniva adoperata anche per la corrispondenza diplomatica.
La civilta sumera diviene storica (a quanto può affermarsi allo stato presente delle ricerche) col principe Aanni-padda di Ur, che si fa risalire circa al 3600 a. C. Già in questo periodo i Sumeri non erano più i padroni incontrastati del paese, e la loro cultura si trovava in uno stato di decadenza dopo aver superato l'apice della sua espansione e potenza in tempi ancora preistorici. Dagli scavi fatti nella Mesopotamia settentrionale, nella Siria e altrove risulta che il popolo sumero aveva diffuso la sua civiltà in Siria, in parte dell'Asia Minore e sull'altipiano iranico. Molto stretti devono essere stati anche i rapporti con la valle dell'Indo; infatti sebbene di carattere indiano, la civiltà preistorica della valle di questo fiume e di buona parte dell'India settentrionale ha risentito certamente, come dimostrano gli scavi fatti recentemente a Mohenjo-Daro e Harappa, l'azione della Sumeria. Il popolo sumero ha pure agito colla sua cultura su quella predinastica della valle del Nilo. Siccome tutte le civiltà che si susseguirono nell'Asia anteriore derivano in buona parte da quella sumera ed elaborarono idee sorte primieramente in Sumeria, e il pensiero di questa parte dell'Asia agì fortemente su quello europeo, possiamo dire che la civiltà sumera sta alla base di ciò che l'umanità ha prodotto di più alto nel campo dello spirito e che senza questa civilta la storia del mondo avrebbe preso un corso diverso. La storia politica della Sumeria dimostra nel suo periodo storico varî tentativi di fondare vasti imperi, abbraccianti buona parte dell'Asia anteriore. La tendenza al livellamento delle condizioni culturali di sì grande tratto di territorio, e che doveva culminare, dopo il diffondersi dell'ellenismo, nella susseguente incorporazione di buona parte di queste terre nell'Impero romano, comincia già molto presto. Questa caratteristica della civiltà del prossimo Oriente che imprime specialmente alle grandi città carattere spiccatamente cosmopolitico risale dunque già ai tempi sumeri. Il territorio era diviso in piccoli regni, formati di solito da qualche città importante, centro del culto religioso. Le città-stato si combattevano incessantemente per ottenere la supremazia nel paese o per poter conquistare territorî stranieri. Ma i nemici che fecero sparire la nazione sumera dal novero di quelle potenti, sebbene la civiltà stessa perdurasse ancora per molti secoli e per alcuni suoi aspetti viva ancora nella nostra civiltà mediterranea, erano quelle schiatte semitiche che, provenienti originariamente forse dall'Arabia, si erano formate nella Siria e penetrarono sempre più, sia pacificamente sia a mano armata, in territorio sumero. Lentamente questi Semiti, che dal nome della capitale del primo regno che fondarono in Mesopotamia si sogliono chiamare Accadi, conquistarono il paese e riuscirono a sottomettere i Sumeri. La civiltà che portarono con loro non poteva essere molto alta, giacché essi erano nomadi, ma ben presto adottarono la civiltà sumera e anzi la svilupparono ancor maggiormente secondo la mentalità loro propria, cioè quella semitica. Questo tipo di civiltà in parte nuovo fu la civiltà babilonese, sorta dalla fusione di quella sumera e di quella, più primitiva, semitica. La civiltà babilonese, che per tanti secoli irraggiò su tutta l'Asia anteriore e al di là dei confini di questa regione, è quindi civiltà sumera rielaborata secondo modi di pensare e idee semitiche. La stessa fu adottata anche dalle schiatte semitiche che abitavano più a nord in Assiria. In questo paese abitavano in origine popolazioni asiane, i cui rapporti culturali coi popoli anatolici erano molto stretti. Ma anche esse, dopo aver accettata la civiltà sumera, ebbero a subire l'invasione di tribù semitiche e la conquista del paese. Così sorse la nazione assira con una civiltà non molto differente da quella dei Semiti babilonesi o Accadi. La lingua parlata dagli Assiri appartiene come l'accado al ramo orientale delle lingue semitiche e non si distingue dall'accado che per alcune differenze e peculiarità soltanto dialettali. Gli Assiri ebbero a subire altresì l'azione delle popolazioni in parte ariane e parlanti linguaggi indoeuropei dell'altipiano iranico, come per esempio, i Gutei, e dei Mitanni nella Mesopotamia settentrionale attorno a Ḥarrān. Questi ultimi avevano anzi fondato, quando l'Assiria era appena in via di formazione, uno stato potente nella Mesopotamia settentrionale, il quale era governato forse da uno strato di popolazione di lingua aria, e precisamente indiana. La popolazione sottomessa, di tipo asiano, parlava una lingua affine alle parlate dell'Asia Minore antica. La civiltà dei Mitanni (Horriti) non è ancora nota, ma sembra esser stata profondamente imbevuta di caratteri sumeri. Ma l'Assiria riuscì a conquistare ben presto tutta la Mesopotamia, una parte dell'altipiano iranico e la Siria e ad imprimere così a questa grande estensione di territorî alcuni tratti della propria civiltà. La sua conquista dell'Egitto sotto Assarhaddon e Assurbanipal fu soltanto di breve durata e non poté aver quindi molta efficacia sulla cultura di quell'antico paese. Sull'altipiano iranico abitavano a sud gli Elamiti colla capitale Susa, uno dei più antichi centri di civiltà dell'Asia occidentale. Mentre in origine gli Elamiti negli scambî culturali con la Babilonia sembrano aver rappresentato la parte che dà, più tardi, quando questo paese toccò l'apice della sua espansione e della potenza, presero dai Babilonesi la scrittura e parecchi altri elementi della loro civiltà. L'Elam diventa un paese di penetrazione culturale babilonese, ma sa mantenere tuttavia una propria civiltà, facilmente distinguibile da quella della valle dei Due Fiumi. La lingua elamita si mantenne a lungo e fu scritta con caratteri cuneiformi ancora ai tempi dei re persiani achemenidi. Essa sembra appartenere al ceppo dei linguaggi caucasici. Parecchi monumenti elamiti sono scritti però in accado. Anche parecchie divinità sumere e accade penetrarono nell'Elam. Pochissimo si conosce della civiltà dei Gutei e dei Cassiti, barbari abitatori dell'altipiano iranico, parlanti lingue forse indoeuropee, i quali varie volte scesero nella pianura dell'Eufrate e del Tigri e riuscirono anche a tener soggiogato il paese per parecchi secoli. Nell'Armenia antica abitavano gli Urartei, i quali parlavano una propria lingua, ma adottarono la scrittura cuneiforme. Anche la loro civiltà, di fondo non semitico, ha attinto abbondantemente a quella dell'Assiria. In Siria sull'antichissima civiltà preistorica è venuta a sovrapporsi quella sumera, cui succedette quella dei Cananei o Amoriti, di lingua e di cultura semitiche ed emigrati dall'Arabia in Siria. Nella parte meridionale del paese, però, si fece sentire alquanto fortemente la civiltà egizia. I Palestinesi hanno sempre risentito per la loro vicinanza con l'Egitto l'azione non soltanto politica di quest'ultimo paese. Se sul pensiero di questo popolo influì la Mesopotamia, per la sua superiorità anche religiosa nel periodo cananeo, maggior azione esercitò sempre l'Egitto e una notevole influenza v'ebbe anche la civiltà egea, i cui elementi furono portati per la via del mare. Il paese fu sempre esposto alle azioni dei popoli finitimi e non produsse quindi una propria civiltà con caratteri nettamente distinti da quella dei vicini. I Fenici, al nord, propagarono nel Mediterraneo quegli elementi culturali che, abili come erano ad assimilare i prodotti materiali e spirituali degli altri popoli, presero dall'Egitto, dall'Assiria e dalla Babilonia, nonché dall'Asia Minore. Come geograficamente la Siria è un territorio di passaggio tra l'Asia occidentale e l'Africa, così anche la sua civiltà è un miscuglio di elementi culturali di diversa provenienza. Nel paese di Canaan, imbevuto di alta civiltà, penetrarono nel secondo millennio avanti Cristo beduini semitici di provenienza arabo-siriana, parlanti un dialetto semitico, l'ebraico, con un loro dio tribale diverso per alcuni riguardi da quello degli altri dei semitici.
Gli Ebrei conquistarono dopo lunghe lotte il paese e ne assunsero il controllo, dimenticando in parte ben presto i loro costumi del deserto e assumendo l'alta civiltà che avevano trovata nel paese. Ai tempi di David e Salomone, attorno al 1000 a. C., riescono, mentre la Babilonia e l'Egitto passano un periodo di crisi, a fondare uno stato comprendente buona parte della Siria e a godere un breve periodo d'indipendenza politica per ricadere però poco tempo dopo sotto l'influsso politico dell'Egitto da una parte, e della Babilonia e dell'Assiria dall'altra. Gli Ebrei non svilupparono una propria civiltà, ma si distinsero da tutti i popoli circonvicini per la loro religione a tendenza monoteistica, che attraverso lotte interne e frequenti ricadute nel politeismo si avvia al monoteismo puro, con enorme influsso sulla civiltà umana. Ma la loro religione non ha esercitato nessuna azione su quelle dell'Asia anteriore antica. Infatti nessuna delle grandi potenze dell'Asia d'allora ha risentito influsso alcuno della religione d'Israele. Gl'Israeliti erano una piccola nazione senza importanza alcuna tra i grandi colossi politici e civili della Babilonia e Assiria, dell'Egitto e degli Hittiti.
L'Asia Minore. - L'Asia Minore partecipa, nel tempo più antico, a quella stessa civiltà preistorica che troviamo in tutta la Mesopotamia e in Siria. Essa viene presto occupata da popolazioni arie che si sovrappongono alle popolazioni indigene e introducono in paese parlate indoeuropee. Nel centro dell'Asia Minore si erano stabiliti dai tempi della dinastia di Ur (2294-2187 a. C.) coloni assiri, i quali parlavano un dialetto semitico, ma rappresentavano in parte anche le estreme propaggini della nazione assira del grande impero paleoassiro. Il diritto ha lo stesso carattere, ma la popolazione autoctona continua a parlare la propria lingua o meglio le proprie lingue, poiché già allora, come anche più tardi, la penisola anatolica resta la terra dalle molte lingue. Gli Arî che conquistano dall'occidente il paese, chiamati Khatti (Hittiti), introducono parecchi elementi della loro civiltà e fondano un vasto impero su quasi tutta la penisola, il quale però oltrepassa il confine meridionale verso la Siria e si espande anche nella Mesopotamia e nella Siria, fino in Palestina. In Siria si formarono piccoli stati, specialmente nella parte settentrionale, i quali pur essendo sotto l'azione della cultura hittita, scrivevano le iscrizioni dei monumenti in lingua aramea, essendo tale la massa della loro popolazione, mentre le dinastie regnanti erano probabilmente di origine hittita (v. aramei). Mentre le leggi, gli annali, i documenti sono scritti in caratteri cuneiformi, quelli monumentali sono in scrittura geroglifica nazionale. La religione hittita è anatolica, ma nel suo pantheon ha accolto anche divinità babilonesi e indiane. Per la letteratura gli Hittiti dipendono molto dalla Mesopotamia, così pure per l'arte, come attestano i monumenti che si trovano un po' dappertutto in Asia Minore e anche nella Siria settentrionale. Nella civiltà hittita è nettamente discernibile anche un filone che va ricondotto alla valle del Nilo, poiché i rapporti tra i due paesi furono molto intimi quando tutti e due esercitarono un'azione politica preponderante in Siria. Quantunque la civiltà degli Hittiti risulti all'esame di carattere molto composito, non si può negare ch'essa possiede aspetti suoi proprî che la distinguono nettamente da quella di altre nazioni. Grande importanza ebbe nel passaggio della civiltà dal prossimo Oriente in Europa, perché diffuse in Asia Minore parecchi elementi culturali mesopotamici che i Greci ebbero occasione di conoscere nella penisola quando cominciarono a colonizzare il paese. Un cambiamento segnatamente linguistico, e in un certo senso anche di civiltà, apportarono le invasioni in Mesopotamia e in Siria di nuove schiatte semitiche che emigrarono dall'Arabia in cerca di terre migliori. Gli Aramei invasero e conquistarono quasi tutta la Siria e vi fondarono piccoli stati, controllati o dall'Assiria o dall'Egitto, con civiltà prevalentemente siro-assira, ma di lingua aramea. Questo dialetto semitico si diffuse in buona parte dell'Asia occidentale e divenne una specie di lingua franca o internazionale. In Babilonia e Assiria esso cominciò a sostituire lentamente già alcuni secoli a. C. i dialetti accado e assiro. L'alfabeto con cui lo si scrisse deriva nelle varie sue forme dall'alfabeto antico cananeo (v. alfabeto).
Al tempo della caduta di Ninive (612 a. C.) e di Babele (539 a. C.) l'Asia anteriore era nella maggior parte dei suoi territorî di civiltà semitica. La lingua più diffusa erano i varî dialetti aramei. Con la caduta di Ninive e Babele s'inizia nella storia dell'incivilimento dell'Asia anteriore un nuovo periodo: una stirpe nuova riesce per la prima volta ad ottenervi la supremazia incontrastata creando un vasto impero, più grande di tutti quelli precedenti, poiché si estese dalle sponde dell'Egeo all'India. L'impero persiano è la manifestazione politica del predominio della stirpe-aria, proveniente dall'altipiano iranico, con una civiltà che rappresenta bensì una base aria, ma è compenetrata anch'essa di tutta l'eredità lasciatale dalle civiltà della Mesopotamia. La lingua della razza dominante è il paleopersiano; per amministrare però il vasto impero la corte e la burocrazia devono servirsi delle lingue locali. La religione degli Achemenidi, persiana, era iranica, forse già la religione del riformatore religioso Zarathustra, la quale adora accanto agli elementi naturali un dio buono e potente, elargitore di benefici agli uomini. Ma lo stato persiano concede ai suoi sudditi dalle cento favelle e religioni ampia libertà di culto e coscienza. Lo stato persiano, mirabile esempio di severa e ben ordinata amministrazione, prosegue quell'opera di livellamento della civiltà dell'Asia anteriore che era già cominciata al tempo dei re sumeri. In Asia Minore la Persia venne in contatto immediato col mondo greco. Già ora comincia a farsi sentire l'azione dello spirito greco sull'Asia occidentale. L'arte persiana risente fortemente l'influsso di quella greca, come anche quello dell'arte assira ed egiziana. I re persiani riescono a conquistare l'Egitto e si accingono a ridurre anche la Grecia a satrapia del loro vasto dominio. Essi falliscono però nell'impresa. Lo scacco subito dall'Asia anteriore sul suolo europeo indica che al di là del mare era sorta una nuova nazione che doveva lasciare orme indelebili, non meno profonde e nobili di quelle lasciate dalle antiche nazioni della Mesopotamia, nella vita materiale e segnatamente in quella spirituale della civiltà asiatica.
I Greci con la conquista dell'Asia anteriore sotto la guida di Alessandro il Macedone, conquista che culminando nello sfacelo dell'immenso Impero persiano si estese fino all'India, aprirono alla penetrazione della cultura greca tutto quel vasto territorio che dalle sponde egee dell'Asia Minore giunge attraverso la Siria, la Mesopotamia e la Persia fino alle sponde dell'Indo. Dappertutto, persino quasi nel cuore dell'Asia, si stabilirono colonie greche, che diffusero la civiltà e il pensiero della madre patria. Dalla fusione principalmente dell'antica civiltà a base semitica con la civiltà greca occidentale si formò quella nuova mentalità, simile su vastissimi tratti di territorio, che si suol chiamare civiltà ellenistica.
L'aspetto tipico dello spirito ellenistico è dato dalla reciproca compenetrazione degli elementi delle due civiltà, l'orientale e la greca. Il tentativo d'introdurre integralmente la civiltà greca in Oriente fallì, poiché la tradizione della grandiosa civiltà d'origine semitica era troppo profondamente radicata in tutta l'Asia anteriore e le colonie macedoniche impiantate in Mesopotamia e ancora più a oriente rimasero isolate in un ambiente estraneo e ostile. La stessa dinastia dominante in Siria e Mesopotamia, i Seleucidi, fu costretta ad adottare alcune delle usanze e dei sistemi politici e amministrativi che da millennî vigevano in Oriente. Ma la convivenza delle due civiltà non poteva conservare indefinitamente carattere di opposizione, benché il contrasto spirituale tra Ellenismo e Oriente sia stato sempre sentito come attuale sia nel mondo greco sia in quello orientale; e come la lingua greca influì sui linguaggi semitici, lasciando tracce profonde nei loro lessici, così l'arte, le istituzioni e soprattutto il pensiero filosofico e scientifico greci reagirono in maniera indelebile sull'immenso e venerabile patrimonio della civiltà dell'Asia occidentale. Questa d'altra parte, col fascino della sua grandiosità e della sua antichità non solo suscitò la curiosità e l'interesse dello spirito greco, assetato d'indagine, ma offrì a esso il modo di allargare e approfondire la propria visione dell'universo, suscitando, o almeno favorendo, il sorgere di nuovi indirizzi filosofici e religiosi; né minore fu l'influsso che la concezione politica dell'Oriente, assommantesi nell'ideale della monarchia universale d'origine divina, esercitò sulla concezione politica greca, orientata verso l'autonomia degli stati-città. La profonda e radicale azione che la civiltà asiatica esercitò sull'Occidente, benché debba la sua spinta iniziale alla conquista di Alessandro, si manifestò tuttavia soltanto alcuni secoli più tardi, culminando col trionfo in Occidente di quei concetti e di quei sentimenti che stanno a fondamento dei due massimi fenomeni storici con cui si chiude il mondo antico: l'Impero romano e il cristianesimo.
Il popolo basso però non risentì allora nell'Asia anteriore grande influsso dalla nuova ondata di civiltà che era venuta dall'Occidente. Comunque, l'ellenizzazione ha impresso all'Asia occidentale un'impronta indelebile che rimase per lungo tempo e rimane tuttora. Dappertutto si scorgono ancora al giorno d'oggi le sue tracce e si sente la profonda azione esercitata dalla civiltà materiale e dal pensiero dei Greci: l'Islām stesso ne risentì l'azione e assorbì anche buona parte del pensiero greco, col quale venne in contatto nei paesi di sua espansione. In questo periodo cade il primo contatto duraturo tra il mondo greco e l'India. Morto Alessandro, sorsero nella valle dell'Indo e sul confine verso l'occidente della penisola regni di civiltà indo-greca. Specialmente l'arte dei Greci poté esercitare una benefica azione su quella degl'indiani, come dimostra chiaramente l'arte del Gandhāra. Le colonie greche trapiantate nell'estremo nord della Persia, nella Sogdiana, furono le intermediarie tra il mondo occidentale, l'interno del continente asiatico e la Cina. In questo loro compito furono poi sostituite più tardi dalla rinascente civiltà persiana, che trasmise i prodotti dell'Occidente all'Estremo Oriente.
L'ellenizzazione fu il terzo grande atto di livellamento delle condizioni culturali dell'Asia occidemale, dopo quello babilonese e assiro e quello persiano. Il quarto fu quello romano e latino. I Romani riuscirono a sottomettere al proprio controllo sia con la forza delle armi sia con una ben diretta diplomazia buona parte del continente asiatico confinante col Mediterraneo e a organizzarlo secondo le loro leggi, senza però compenetrare profondamente il paese della loro civiltà, la quale d'altronde non era più, allora, l'antica civiltà del Lazio e neppure quella più vasta e complessa dell'Italia, ma una civiltà profondamente imbevuta di elementi greci ed elleniseci. Roma e l'Impero romano ebbero a subire, in conseguenza del controllo politico che la prima esercitava sul prossimo Oriente e segnatamente su quello semitico, l'azione, durata alcuni secoli, della mentalità orientale. Si disse allora che l'Oronte versava le sue acque nel Tevere: sì profondamente non pochi elementi della cultura della Siria e attraverso questa anche di quella degli altri territorî del prossimo Oriente agirono sullo spirito dei dominatori del mondo. Dappertutto sulle sponde orientali del Mediterraneo e nelle regioni del retroterra innumerevoli monumenti attestano l'azione benefica, stimolatrice e pacificatrice del grande impero dei Romani. In questo periodo l'Asia anteriore e l'Italia formarono per quanto riguarda la cultura quasi una perfetta unità, la quale fu spezzata soltanto con l'invasione delle schiere islamiche nella Siria e in Egitto.
Se tale unità favorì il diffondersi sempre maggiore della cultura greca in Oriente (di specificamente romano non vi s'introdussero se non elementi relativi all'amministrazione, all'esercito, al diritto), molto più intensa fu la sua azione per la propagazione di principi spirituali orientali nel mondo romano. Specialmente nell'ambito della religione può dirsi che, pur rimanendo inalterato l'aspetto esterno del culto ufficiale romano, la società occidentale adottò quasi per intero credenze e pratiche venute dall'Oriente. Ciò si manifesta in modo particolare nelle religioni dei misteri, larghissimamente diffuse, in ispecie tra le classi inferiori; nelle dottrine astrali e astrologiche che, originarie della Babilonia e colà in gran parte elaborate, compenetrarono interamente il mondo classico nell'età imperiale e durante un certo periodo, sotto i Severi, giunsero perfino a essere, nella forma del culto solare siriaco, la religione ufficiale dell'Impero; finalmente nell'espansione delle idee religiose giudaiche, che si sparsero dovunque, portate dagli Ebrei che, emigrati dalla Palestina (v. diaspora), si stabilirono in tutti i centri cittadini dell'Impero romano.
Alle molte idee che allora si esportarono dalla Siria in Italia appartiene anche la nuova religione, sorta bensì in Palestina, ma che ebbe il suo più fecondo sviluppo in Occidente, e fu dotata di una teologia nel mondo greco e in parie anche in quello latino. L'azione che attraverso il cristianesimo l'Asia anteriore esercitò su tutto l'Occidente, e si può ben dire su tutto il mondo, è stata enorme e rappresenta l'influsso più forte e duraturo che l'Asia abbia esercitato sull'Europa e sulla civiltà occidentale. Minore è invece, in confronto al cristianesimo, l'azione che dal canto loro l'Europa e l'Occidente hanno, finora almeno, esercitato sulla mentalità del continente asiatico. Il cristianesimo rappresenta l'ultimo grande contributo che l'Oriente prossimo diede al pensiero dell'Occidente. Più tardi si alleò strettamente all'idea cristiana una concezione del potere statale che, penetrata allora in Occidente dall'Oriente - essa risale ancora ai Sumeri - influì profondamente sul diritto pubblico di tutta l'Europa. Questa fu l'idea dell'impero e dell'impero universale.
L'Impero romano non penetrò sì profondamente in Oriente com'era penetrato l'ellenismo. Esso arrivò fino all'Eufrate ma non oltrepassò la Mesopotamia. La Persia restò libera dall'azione politica romana e poté quindi risorgere a nuova vita sotto gli Arsacidi e poi sotto i Sāsānidi. La sua civiltà fu quella non mai spentasi dell'altopiano iranico, con lingua propria, il mediopersiano o pahlavico, e con una sua propria religione, sviluppatasi dall'antica religione iranica dopo la riforma e predicazione di Zarathustra, il mazdeismo. La Persia divenne in quel tempo una grande potenza, che poté combattere efficacemente l'Impero romano d'Oriente. Le lotte tra i due stati hanno particolare importanza nel periodo che va da Giustiniano a Eraclio, e cioè dalla prima metà del secolo VI alla prima metà del sec. VII d. C. Fu questo il periodo nel quale in Persia la dinastia dei Sāsānidi, continuando l'opera della dinastia degli Arsacidi, portò a grande sviluppo e potenza il regno che si estendeva dalle rive del Caspio sino a quelle del Golfo Persico e dalla Mesopotamia sino all'Indo, mentre l'Impero bizantino dominava l'Asia Minore, la Palestina, la Siria e una parte della Mesopotamia.
Nell'urto tra i due stati l'Impero bizantino, che sotto la guida di Giustiniano logorava la sua forza nell'espansione in Occidente e nella sottomissione dei regni romano-barbarici nell'Africa e nell'Europa mediterranee, si limitò alla difensiva, pago di conservare i vecchi confini pur col pagamento di un tributo annuo (pace tra Giustiniano e Cosroe I, nel 561). Ma nel secolo successivo, quando Cosroe II ruppe la pace cinquantennale e iniziò una vasta opera di conquista in Asia Minore e in Siria, l'azione bizantina, sotto la guida dell'imperatore Eraclio, non fu di semplice difesa, ma portò anche a una controffensiva vittoriosa, che costrinse il regno di Persia ad una pace dura ed umiliante (628).
I contatti tra l'Impero d'Oriente e la Persia non furono però soltanto bellicosi, giacché in mezzo alle lotte si svilupparono anche molteplici relazioni culturali ed economiche, tanto che la Persia poté fungere da intermediaria tra l'Occidente e la lontana Cina. Fu in questo periodo che cominciarono e s'intensificarono quegli stretti rapporti commerciali, e non soltanto commerciali, tra l'Occidente e la Cina attraverso la Persia e i deserti dell'Asia centrale, che durarono attivissimi fino alla scoperta della via marittima dall'Europa alla penisola indiana, per quei mari che tanti commercianti italiani erano destinati a solcare, e tra questi principalissimo Marco Polo. La Persia occupa in questo periodo immediatamente anteriore all'espansione dell'Islām una posizione di grande importanza negli scambi culturali tra l'Asia anteriore e l'Occidente da un lato e l'India e la Cina dall'altro.
Intanto l'Impero bizantino con la sua lenta, ma tenace attività poté continuare a far penetrare nei suoi territorî asiatici la civiltà greca, e condurre a compimento l'opera d'ellenizzazione principiata parecchi secoli prima. In questa sua azione esso fu potentemente coadiuvato dal cristianesimo, il quale fu il diffonditore del pensiero greco anche in regioni dove prima d'allora non era penetrato il nome dei paesi d'Occidente. Il cristianesimo, imbevuto di pensiero greco e diffuso in Asia da un clero educato in scuole greche o che comunque ebbe sempre una certa conoscenza, sebbene indiretta, della cultura greco-bizantina, penetrò nell'impero sāsānide nell'Asia centrale, dove esercitò una certa azione sui riti buddhistici, e persino nella costa occidentale dell'India e nella Cina. Nelle chiese nestoriane che alquanti secoli più tardi Marco Polo troverà in Cina risonava ancora una debole eco di pensiero occidentale.
Nello stesso torno di tempo nel quale la civiltà europea subisce quella profonda trasformazione che caratterizza il Medioevo, anche nella storia dell'Asia anteriore si apre un nuovo periodo, contrassegnato, come in Europa, dalla comparsa di una stirpe barbarica in qualità di dominatrice politica di popoli di antica e matura civiltà. L'analogia tra le invasioni arabe del sec. VII e quelle germaniche dei secoli IV-VI non si ferma a una generica somiglianza esterna, ma si manifesta anche in altro modo: anche in Asia, come nell'Europa medievale, la civiltà che sorge sulle rovine del mondo antico è in gran parte la continuatrice di esso, e i rozzi e incolti conquistatori subiscono l'influsso dei popoli conquistati molto più che questi non subiscano quello dei loro nuovi signori. Ma agli Arabi riuscì quello che i Germani non seppero né poterono compiere: essi fecero assumere alle nazioni assoggettate la propria lingua e la propria religione e, per quanto numerosi e importanti siano stati gli elementi della civiltà orientale-ellenistica che si sono trasfusi e conservati nella nuova civiltà musulmana, essi si sono così fortemente impregnati di arabismo da apparire a prima vista non già, quali sono, gli avanzi imperituri di un passato millenario, ma la creazione originale dello spirito arabo. Sicché, se è pur vero che l'Islām è il continuatore, in Asia, della civiltà orientale e classica, occorre non dimenticare che tale continuità è sostanziale, e non formale; che anzi, per quanto riguarda l'aspetto esterno, l'avvento dell'Islām segna, per la durata di molti secoli, il brusco distacco culturale dell'Oriente e accentua il contrasto, già rilevato da Erodoto al principio della sua storia, tra Asia ed Europa.
Subito dopo la morte di Maometto (632 d. C.) le tribù arabe ch'egli aveva unificate nel nome della nuova religione, imprimendo loro un sentimento di solidarietà nazionale sconosciuto fino allora, muovono alla conquista delle terre appartenenti all'Impero romano d'Oriente e all'Impero persiano dei Sāsānidi, e in breve volgere d'anni riescono a espellere i Bizantini dalla Siria e a distruggere completamente la dinastia sāsānide, occupandone il territorio. I califfi omayyadi (661-750) compiono ed estendono le conquiste dei primi califfi, portando gli Arabi nel cuore dell'Asia centrale, dove lo stesso Impero persiano non era riuscito a penetrare e, sia mediante il loro dominio diretto, sia per mezzo di piccoli stati vassalli di stirpe iranica e turca, la signoreggiano per intero, venendo a confinare con la Cina e con l'India (v. arabi: Storia). L'unità dell'Impero arabo si mantiene ancora sotto i primi sovrani della dinastia degli ‛Abbāsidi, finché essa si frantuma in una moltitudine di sultanati, taluni dei quali, vastissimi per estensione, potenti per forza militare, gagliardi per fresca energia conquistatrice, allargano sempre più la cerchia del dominio musulmano. Ma in questi sultanati, carattere comune dei quali è la tirannide militare e, per ovvia conseguenza, la rapidità del costituirsi e del disfarsi, all'egemonia degli Arabi si sostituisce quella dei Persiani e dei Turchi, sicché la civiltà musulmana, che mantiene saldamente l'unità culturale nel musaico politico degli stati successori del califfato, cessa dall'identificarsi con l'arabismo e assume carattere sopranazionale. Non tanto, tuttavia, da sopprimere completamente l'elemento arabo, il quale, conquistate anche linguisticamente le regioni a occidente del Tigri e costituita, sovrapponendosi all'antica civiltà aramaica, un'imponente letteratura (v. arabi: Letteratura), seguita a far sentire la sua influenza, specialmente per il tramite della religione, anche su quei popoli che hanno conservato, insieme con la lingua, la loro fisionomia nazionale.
Alla fine del sec. X la civiltà musulmana dell'Asia ha raggiunto il suo pieno sviluppo, e presenta, accanto all'aspetto arabo che, come si è visto, predomina nell'Asia anteriore propriamente detta, quello persiano, il quale, attraverso il rifiorire della lingua e della letteratura neopersiane (v. persia: Lingua e Letteratura), si estende sempre più nell'Asia centrale, comprendendo nel suo ambito le tribù turche che si vanno gradatamente islamizzando. La divisione linguistica non infrange tuttavia la sostanziale unità della civiltà islamica, nella quale si riconoscono, sia pure profondamente trasformati nella formulazione esterna, gli aspetti tipici della civiltà dell'Asia anteriore quale l'aveva foggiata il concorso dell'eredità sumero-accada, trasfusa nell'iranismo e arricchita da esso di nuovi elementi, dell'ebraismo e dell'ellenismo combinati nel cristianesimo, dell'universalismo della dominazione romana.
A questa salda unità culturale è dovuta la forza d'espansione e d'assimilazione che l'Islām continua a esplicare in Asia anche nel secondo millennio d. C., nonostante l'intervento di nuovi fattori etnici che modificano e complicano le vicende politiche del continente asiatico. Il susseguirsi periodico di ondate migratorie dalle steppe dell'Asia centrale verso l'occidente conduce i Turchi ad affermare sempre più vigorosamente il loro predominio militare e politico, e a una delle stirpi turche, quella dei Selgiuchidi (v.), riesce di compiere nel sec. XI quanto avevano tentato inutilmente i califfi: la conquista dell'Asia Minore, in seguito alla quale vien meno l'ultimo avanzo di dominio europeo sul suolo asiatico. Né le Crociate, che appunto dall'avanzarsi dei Selgiuchidi ricevettero l'impulso a reagire contro la minaccia di un'invasione asiatica nell'Europa, ebbero effetti durevoli sull'andamento generale della storia dell'Asia. Contemporaneo (o di poco anteriore o posteriore) è l'ingresso dell'Islām nell'India settentrionale (col sultano Maḥmūd di Ghaznah, di razza turca), nella Cina, nell'Indonesia: anche queste lontane regioni vengono così a essere congiunte con un vincolo di comune civiltà alla grande unità culturale costituita dall'Islām; e se pure in Cina e in India, e soprattutto nella prima, i musulmani rimangono in minoranza rispetto alle altre religioni, se pure l'islamismo indiano, quello cinese e quello malese hanno risentito l'influsso dell'ambiente circostante in maniera da presentare sensibili differenze dal tipo unitario di civiltà che si riscontra nelle altre regioni musulmane, tuttavia anche colà la singolare vitalità dell'Islām è riuscita a imprimere tratti inconfondibili nei costumi e nella mentalità dei suoi seguaci.
La crisi più difficile che l'Islām asiatico abbia mai sopportata è quella dell'invasione mongola del sec. XIII. Distrutti i sultanati persiani e turchi dell'Asia centrale, la marea mongola sommerge anche gran parte delle regioni di lingua araba, portando la rovina nella metropoli stessa del mondo musulmano, Baghdād (1258), e arrestandosi soltanto alle soglie della Siria, fermata dalla valida resistenza dei sultanati mamelucchi d'Egitto. Parve che fosse sonata l'ora della scomparsa definitiva della civiltà islamica e che l'Asia unificata nella barbarie mongola, dovesse andar incontro a una lunga era di decadenza culturale. E, certo, rovine irreparabili furono compiute; ma al tempo stesso la civiltà musulmana celebrò il massimo dei suoi trionfi, riuscendo ad attrarre nella propria orbita i selvaggi conquistatori e a trasformarli in sovrani civili, educati nelle raffinatezze d'una vita materialmente e intellettualmente evoluta, amici e protettori delle arti e delle scienze. Queste rifiorirono infatti così nei numerosi khānati nei quali si spezzò l'immenso impero mongolo (il breve periodo, tra la fine del sec. XIV e il principio del XV, in cui Tamerlano rinnovò le gesta dei primi sovrani mongoli non fu che una parentesi nel processo di disgregazione), come nell'India, dove appunto i Mongoli, che vi costituiscono un forte stato estendentesi su gran parte della vasta penisola, diffusero la civiltà islamica, mantenutasi fino ai giorni nostri, e ne rivelarono la non estinta capacità di nuove geniali creazioni spirituali. Profondamente impregnato di elementi persiani, l'Islām mongolo ha promosso nuove letterature autonome, quella turca orientale (ciaghatāi) e quella indostana (urdù), le quali dànno (insieme con la malese) nuova prova della capacità propria dell'islām di serbare un'unità fondamentale della cultura pur attraverso il differenziarsi delle singole manifestazioni nazionali.
Connesso con l'invasione mongola è l'inizio della potenza di una tribù turca, quella degli Othmānlī (Ottomani), la quale, stanziatasi nell'Asia Minore, finì col sottomettere i piccoli sultanati selgiuchidi formatisi in gran numero in quel territorio dopo il periodo delle Crociate, e di lì, varcati i Dardanelli che fin'allora erano rimasti vietati alle armi musulmane, mosse alla conquista dei Balcani. Agli Ottomani era serbata la sorte di costituire l'ultimo grande impero musulmano della storia, il quale all'inizio del secolo XVI si aggregò per intero l'Asia anteriore - Siria, Mesopotamia, Arabia - riunendo in un'unità politica quelle regioni che si erano separate fin dai primi tempi del califfato ‛abbāside. Mentre fino allora le varie tribù turche islamizzate avevano assunto integralmente la civiltà degli Arabi o dei Persiani, gli Ottomani seppero mantenere una propria fisionomia culturale, così nella lingua come nella letteratura (v. turchi: Lingua e Letteratura), che costituisce un'altra varietà in seno all'indistruttibile unità islamica; essi non furono tuttavia capaci d'imporre, insieme con la supremazia politica, la propria civiltà agli Arabi e ai Persiani, di tanto superiori ai Turchi nel campo dello spirito quanto inferiori a essi in quello della forza materiale, e dominarono senza contrasto soltanto nell'Asia Minore e nelle regioni limitrofe ad essa.
All'inizio della storia contemporanea l'Asia anteriore e quella centrale sono comprese quasi per intero nell'orbita della civiltà musulmana, che si manifesta in forma araba nell'Asia anteriore propriamente detta, in forma turca nell'Asia Minore, in forma persiana o nelle forme derivate da questa nelle regioni orientali fino all'India e al Turkestān, con propaggini in Cina e nell'Indonesia. Arabi e Persiani soprattutto, ma in una qualche misura anche Turchi, Mongoli, Indiani, Malesi hanno dato il loro contributo al formarsi e al differenziarsi di questa grandiosa civiltà, la cui azione si è fatta sentire potentemente non solo su coloro che hanno abbracciato formalmente la religione dell'Islām, ma anche su altre genti; ancora ai giorni nostri, di contro alla sempre crescente penetrazione europea e al vigoroso affermarsi delle altre civiltà asiatiche (l'indiana, la cinese, la giapponese), l'islamismo rimane uno dei più importanti fattori della vita spirituale dell'Asia, non meno che di quella politica ed economica.
II. L'Innia. - Procedendo dall'Asia anteriore verso oriente il prossimo centro di civiltà si riscontra in India (v.). I più antichi monumenti dell'incivilimento di questo paese, che per la grande estensione del territorio e per il grande numero dei popoli di razza, lingua e gradi di cultura diversissimi è veramente un continente, risalgono circa al 3500 a. C. Allora fioriva, come attestano i recenti scavi di Mohenjo-Daro e di Harappa nella valle dell'Indo, una civiltà alquanto elevata, che si suol chiamare la civiltà dell'Indo. Questa abbracciava pure il Belūcistān, il Wazīristān e il Panjab. Gli abitanti del paese erano dolicocefali e appartenevano alla razza mediterranea. La scrittura di cui essi si servivano era pittografica (v. scrittura). Tra questa civiltà e quella di Sumer i rapporti erano strettissimi: le figurine in terracotta della dea madre e quelle simili all'eroe babilonese Enkidu dimostrano che i rapporti commerciali tra le due nazioni erano attivi, sebbene non si possa parlare d'identità o ańìnità delle due civiltà. L'India antichissima ebbe pure rapporti con l'Egitto predinastico. In alcune manifestazioni del genio artistico riscontriamo un'incontrastata superiorità dell'India sull'arte contemporanea della Babilonia e dell'Egitto. Questo è il caso specialmente della glittica. Alcuni aspetti caratteristici della civiltà indiana si trovano già in quella dell'Indo. Questa era la stessa civiltà preistorica che in quel tempo era già entrata nella Valle dei Due Fiumi. Quali fossero precisamente le condizioni del paese immediatamente prima dell'invasione degli Arî dal nord-ovest, non sappiamo con precisione. Vi fioriva certamente una civiltà già alquanto sviluppata e parecchio superiore a quella dei barbari invasori i quali si trovavano ancora allo stato nomadico. La popolazione dravidica, che ha dato la sua impronta caratteristica alla civiltà della penisola, è penetrata anche essa dal nord e trovò una popolazione più antica, la quale abita ancora al giorno d'oggi dispersa e a uno stadio molto oasso d'incivilimento accanto ai popoli dravidici. Accanto ai Dravida, agli Arî e agli aborigeni vennero a stanziarsi nel nord della penisola schiatte mongoliche, specialmente nel Bengala e in quella parte che confina con l'India ulteriore, la quale d'altronde dipende per la sua cultura in massima parte da quella della penisola indiana. Gli Arî e i loro discendenti si stabilirono in generale nel nord, mentre i Dravida e gli aborigeni dovettero retrocedere davanti all'invasione aria nella parte meridionale. Donde provenissero veramente gli Arî prima della loro divisione in Indiani e Irani non è certo. È stabilito però che immigrarono nella penisola passando per il Hindukush e penetrarono anzitutto nel Panjāb, nella valle superiore dell'Indo. Qui essi s'imbatterono nella popolazione aborigena, la quale non avrà avuto affatto una civiltà inferiore a quella che potevano recare con loro i poveri nomadi arî, ma dovette cedere il passo davanti alla baldanza guerresca delle stirpi giovani e forti. L'immigrazione ariana in India dovrebbe cadere tra il 2000 e il 1500 a. C. Quasi tutti i tratti più salienti della civiltà indiana si trovano già nell'epoca più antica, detta epoca aria. Gli Arî invasori parlavano non più una lingua unica, ma diversi dialetti, dai quali si svilupparono differenti e numerose lingue indiane arie. Il più antico monumento della lingua degli Arî è il Ṛgveda. La lingua di questo libro è già letteraria ed era coltivata negli ambienti sacerdotali.
La storia della civilta della penisola indiana può esser divisa in tre periodi: antico, che va dall'invasione degli Arî alla comparsa del Buddha (dall'anno 2000 circa o 1500 fino al 560 a. C.; medievale (fino circa al 1500 d. C., quando comincia la colonizzazione da parte degli Europei) e moderno. Il Medioevo indiano è suddiviso in due periodi, il primo dei quali, del tutto indiano è l'età del buddhismo e del rinnovamento del brahmanesimo (fino al 1000 d. C.), il secondo invece islamico.
L'antichità indiana è caratterizzata dai Veda, raccolta di inni e di formule uscita dalle scuole dei sacerdoti e poeti, mirabile documento della fede religiosa e del culto dell'India antica. Tutta la vita e la civiltà indiana è stata profondamente determinata dai Veda, civiltà che negli strati più profondi è di carattere animistico e spiritico. Tutto proviene dagli dei o da spiriti che si possono però costringere a fare qualcosa o ad astenersi da qualche atto mediante la magia. Il numero degli dei è stragrande, ma quelli venerati veramente dal popolo sono in numero molto minore. Negli inni del Ṛgveda Indra è esaltato come più potente tra gli dei. Le figure divine sono del tutto antropomorfe, gli dei sono come gli uomini, essi si nutrono sentono e soffrono come gli uomini, quantunque siano onnipotenti, immortali, onniscienti. Per renderseli benevoli l'uomo ricorre a sacrifici, libazioni e preghiere. Il valore etico della religione vedica non è alto. Le figure divine degl'Indiani sono personificazioni e manifestazioni di fenomeni naturali, come sarebbero il fuoco, l'aurora, il sole e la tempesta, cioè Indra che è il dio più popolare dell'India, colui che largisce la fertilità, l'eroe che combatte per i suoi amici. Un dio di carattere nobilmente etico è Varuna, forse un antico dio lunare, colui che conosce i pensieri degli uomini, la figura più pura e nobile del pantheon degl'Indiani. Il sacerdozio era molto numeroso già nell'epoca più antica ed era professionale. Il sacerdote sacrificava anzitutto, ma adempieva ancora altre mansioni non meno importanti del culto. Si distingueva nella casta sacerdotale colui che accendeva il fuoco del sacrificio dal cantore, il quale canta gl'inni liturgici e recita le invocazioni sacre. Il sacerdote, vale a dire la classe brahmanica, godette sempre in India di grandissima reputazione. Esente dall'obbligo d'esercitare una professione, essa poté dedicarsi liberamente al culto e alla propria elevazione spirituale, ma degenerò presto in una casta distinta da un superbo e altero esclusivismo, innalzata ai fastigi del supremo potere spirituale della nazione, accanto alla quale casta quelle subordinate erano riguardate come di esseri del tutto inferiori, piu vicini agli animali che agli uomini. Il brahmano deve dedicarsi alla vita meditativa e contemplativa, ritirarsi assieme ai suoi discepoli nella foresta e là condurre vita eremitica, abbandonandosi alla meditazione filosofica. Questa è rimasta sempre l'idea centrale di tutto il pensiero indiano: il mondo, l'azione, la vita, sono un male dal quale bisogna fuggire a ogni costo; concezione, questa, diametralmente opposta a quélla prevalente quasi in tutti i tempi in Europa, dove la vita è concepita come lotta, alla quale l'uomo non deve sottrarsi ma che deve combattere attraverso sconfitte e vittorie. La dottrina dei brahmani divide la società in quattro caste: la prima è costituita dai brahmani, la seconda dai guerrieri, la terza dai commercianti e agricoltori, la quarta dai Sudra (Sūdras) che fanno i servizî inferiori. Sotto queste caste stanno i paria, disprezzati da tutti e specialmente dai brahmani. Inoltre si hanno caste miste, in serie quasi infinita, riproducenti le varie condizioni delle professioni, dei mestieri e dei diversi ceti sociali. La casta sacerdotale dei brahmani ha esercitato profonda azione sulla religione e segnatamente sulla teologia. Un prodotto della speculazione brahmanica è il Brahman, che in origine niente altro è se non la formula magica che il mago pronuncia per eseguire le sue magie. Anche gli dei hanno il loro sacerdote Bṛhaspati, cui devono sacrificare e cui devono rivolgere le loro preghiere come gli uomini fanno con gli dei. La speculazione filosofica indiana è molto antica e risale ancora ai tempi del Ṛgveda, nel quale troviamo già accenni a dottrine scettiche. Questo pensiero si esplica poi e si approfondisce sempre più nelle Upaniṣad, finché, attorno al sesto secolo a. C., si creano sei sistemi di filosofia scientifica, i quali sono riguardati come ortodossi, poiché tutti e sei si richiamano al Veda e lo riconoscono come verità rivelata. Accanto ai sistemi ortodossi si sviluppano correnti di pensiero materialistiche e scettiche. Il pensiero indiano però può essere sempre ricondotto, nella grande varietà delle sue molte manifestazioni, a un'unica idea fondamentale, antichissima e diffusa tra il popolo: il mondo delle nascite e delle morti è apparenza e dolore, soltanto mediante la conoscenza filosofica e la meditazione si può spezzare il cerchio inesorabile, ferreo ed eterno della vita. Presupposto indispensabile di questa visione della vita è la credenza tipicamente indiana della metempsicosi, della circolazione delle anime negli esseri. L'origine di ogni esistenza sta nel desiderio. Se quindi l'uomo riesce a togliersi di dosso il desiderio e tutto ciò che ha rapporto con questo, potrà liberarsi dal dolore. Tutti i fenomeni del mondo non sono d'altro canto che la manifestazione d'un essere unico, dell'Eterno e dell'Uno. Qui cominciano le speculazioni delle Upaniṣad, una delle più alte manifestazioni dello spirito filosofico della razza umana, così caratteristica della mentalita indiana dedita alla speculazione sbrigliata, sorta dall'intimo connubio della speculazione filosofica con la religione. L'essenza del mondo, l'Io e l'anima, sono la stessa cosa, per la quale e nella quale tutto esiste. Questo essere è infinito, non cambia, non possiede qualità alcuna. L'uomo e il mondo universo sono i dentici.
Con l'avvento dell'era buddhistica comincia il periodo veramente storico dell'India, poiché tutto ciò che precede questo periodo è come se fosse sospeso in un fluire senza tempo. S'introduce nel paese l'alfabeto, che deriva da un alfabeto arameo, si cominciano ad avviare rapporti più intimi con l'Asia occidentale e si formano, almeno per quanto si può stabilire per ora, i primi stati storici nell'India settentrionale, segnatamente nella valle del Gange, monarchie assolute dominate dai brahmani. L'invasione della penisola da parte di Alessandro il Macedone (nel 326 a. C.) segna una pietra miliare nella storia dell'India, la quale si apre largamente all'influsso dell'Occidente. Alessandro conquistò il Panjab, ma subito dopo la sua morte Candragupta poté liberare l'India dal dominio greco e fondare una nuova dinastia, detta dei Maurya. Aśoka (272-232 a. C.) è il primo grande re indiano di spiccata individualità che da noi possa essere storicamente determinato. Egli protesse il buddhismo e mandò missionarî della nuova religione anche in Siria, in Egitto e in Macedonia. Sotto questo re il buddhismo si diffuse per tutta l'India, nell'isola di Ceylon, in Birmania e nel Tibet. Il buddhismo, una delle grandi religioni del mondo e quella che ancora al giorno d'oggi dà la caratteristica a buona parte dell'Asia, vale a dire alla Cina, al Giappone, alla Corea, alla Manciuria, alla Mongolia, al Tibet, all'India ulteriore e alle isole malesi, rientra come dottrina e pratica perfettamente nella mentalità essenzialmente indiana. Dalla scuola del Mahāyāna si sviluppò il buddhismo dei lama del Tibet e quello dei Mongoli, nel quale la speculazione religiosa creò molte figure divine e altre creature metafisiche, facendo decadere la dottrina dalla sua primitiva purezza. Quando il brahmanismo si riscosse dal torpore in cui era caduto e prese il sopravvento sul buddhismo, quest'ultimo indietreggiò sempre più davanti a esso, finché scomparve del tutto dall'India, tranne che dall'isola di Ceylon. Ma si diffuse nell'Asia centrale, nella Cina, nel Tibet e nel Giappone, dove creò una ricca letteratura formata per la maggior parte di versioni e rifacimenti di testi indiani. Quasi contemporanea al buddhismo fu la setta dei Jaina, la quale pure cerca di redimere l'uomo dalla cerchia delle nascite e delle morti. Anche i Jaina proclamano che per raggiungere questa meta sono necessarî la retta fede, la retta conoscenza e la retta via.
Dopo la caduta del regno del re buddhista Aśoka si stabilirono nella parte nord-occidentale della penisola regni di civiltà mista, greco-indiana. Attorno al 175 Demetrio passa dalla Battriana in India e pone la sua residenza a Sākala. Questo regno greco-indiano che fu retto per un certo tempo anche dal re Menandro, diffuse in India la civiltà greca d'Occidente, come è attestato specialmente dall'arte ellenistica del Gandhāra, che risente fortemente l'azione di motivi greci. Il regno greco-indiano fu distrutto dagli Sciti, i quali dopo che ebbero invasa l'India accettarono il buddhismo e diffusero nel paese la civiltà greco-iranica. Il regno di Kaniṣka di questa dinastia (dal 78 d. C.) comprendeva un vastissimo territorio, che dal Panjab andava fino a Khotan. Nel 319 Candragupta fonda una dinastia nazionale, quella dei Gupta. Ai tempi di questa dinastia fiorisce la letteratura sanscrita e si rialza la religione popolare. Circa nell'anno 500 penetrano in India gli Unni, che distruggono il regno dei Gupta e conquistano, oltre il Panjab, tutta l'India centrale. Abbattuto il regno degli Unni tanto in India quanto nell'Asia centrale, un nuovo regno, nazionale indiano, sorto sulle rovine del dominio degli Unni, abbracciò la maggior parte della penisola. Nel settimo secolo abbiamo in India due grandi stati, quello di Harṣa (606-648) e la dinastia dei Calukya. Fino alla conquista islamica del paese non si formarono più grandi stati nella penisola.
Per la prima volta l'Islām appare durevolmente nella storia dell'India nel 1001, quando il sultano Maḥmüd di Ghaznah a capo di un'armata turco-afghāna riuscì a penetrare nella parte settentrionale della grande penisola e a conquistarla attraverso una serie di imprese audacissime. Ma circa un secolo dopo doveva uscire, pure dalle montagne afghāne, un altro e ancor più straordinario campione dell'Islām: Moḥammed di Ghōr, che, dopo aver abbattuto i discendenti di Maḥmūd (1186) attaccò tutto il territorio nel bacino del Gange, ed estese la conquista musulmana verso sud. La fondazione di Delhi all'inizio del sec. XIII per opera sua sanzionò la creazione dell'impero musulmano dell'India, del quale la nuova città fu la fastosa capitale. I discendenti e successori del grande conquistatore non seppero conservarne integra l'opera per lungo tempo: alla metà del sec. XIV una ribellione di governatori di province ridusse l'impero di Delhi alle regioni del Duāb e del Panjab, mentre il resto si frazionava in varî stati. Alla fine dello stesso secolo il colpo finale alla potenza dei sultani di Delhi venne portato dall'invȧsione di Tamerlano. Dopo di che l'India musulmana si trovò divisa in sei stati indipendenti e spesso in lotta fra di loro; e in queste condizioni la trovarono gli Europei che primi vi giunsero per mare dopo la scoperta della via marittima per le Indie.
Siamo all'inizio del sec. XVI e siamo in un'epoca decisiva per la storia dell'India, in quanto i contatti con gli Europei giunti per mare e i primi insediamenti di questi sulle coste indiane segnarono il principio della penetrazione europea che nel sec. XIX doveva sboccare in una completa dominazione britannica. Così l'Europa, esclusa dall'Asia Minore per opera dell'islamismo guidato dai Turchi, e costretta a subire l'insediamento degli Asiatici nella penisola balcanica, trovava nuove vie di contatto e di preparazione di dominio in Asia attraverso la grande penisola meridionale. Primi si affermarono in India i Portoghesi, che seppero profittare della scoperta di Vasco da Gama, inviando subito forze nelle acque dell'India per assicurarsene il dominio. La vittoria navale riportata dal portoghese Almeida a Diu, nel 1509, aprì la via a quelle conquiste territoriali che ebbero il loro centro principale a Goa e che diedero ai Portoghesi la possibilita di monopolizzare a loro favore i commerci con l'India.
Intanto in India si attuava la fondazione di un altro impero: quello del Gran Mogol, per opera di un discendente di Tamerlano, Bābēr. Questi dall'Afghānistān di cui si rese padrone nei primi anni del sec. XVI discese, come già il suo avo poco più di un secolo prima, nell'India, ma non per una fugace incursione, bensì per costituirvi un solido dominio che ebbe durata plurisecolare e che s'illustrò anche per il grande movimento di civiltà di cui fu centro. Fu durante l'impero del Gran Mogol, e precisamente nel XVII secolo, che si intensificarono i contatti e gl'insediamenti europei in India. Ai Portoghesi tennero dietro gl'Inglesi e poi i Francesi, con le Compagnie commerciali che occuparono rispettivamente, la prima Calcutta e Madras, la seconda Pondichéry e Chandernagor. E quando alla fine del sec. XVII, alla morte di Awrangzēb, l'impero del Gran Mogol, dopo circa due secoli di splendore, si disciolse in una serie di stati rivali e guerreggianti fra loro, cominciò per opera dei dirigenti delle Compagnie francese e inglese la politica d'intervento in quelle rivalità e in quelle lotte, dalla quale uscirono gli acquisti territoriali che assicurarono all'una e all'altra Compagnia vasti dominî. Alla metà del sec. XVII i territorî indiani posseduti direttamente dalla Compagnia francese o posti sotto la sua influenza si estendevano attraverso l'India dal golfo del Bengala al golfo di ‛Omān, con una superficie pari a due volte quella della Francia e con 30 milioni di abitanti. I possessi della Compagnia inglese erano minori. Le ripercussioni coloniali della guerra dei Sette Anni in cui Francia e Inghilterra si trovarono di fronte, determinarono un radicale cambiamento nei rapporti di forze e di conquiste delle due Compagnie in India: i possessi francesi venivano ridotti a poche località e privati d'ogni efficienza militare, mentre la Compagnia inglese prendeva a esplicare quell'attività conquistatrice che con le gesta di lord Clive, Warren Hastings, Mornington, Dalhousie le assicurava in poco più di mezzo secolo un vastissimo impero. Così al predominio islamico si sostituiva in India il predominio britannico. Ma la lunga dominazione islamica non restava senza tracce profonde.
Con l'introduzione dell'Islām nella penisola fu immesso nella cultura indiana un fattore nuovo, di profonda importanza, che sconvolse del tutto lo sviluppo del paese, reagi fortemente sulla mentalità indiana e determinò in modo decisivo il destino della penisola. L'Islām portò con sé oltre che una religione del tutto diversa da quella degl'Indiani e per alcuni aspetti incompatibile con le loro idee, la civiltà persiana, poiché la classe dominante tanto dei Turchi quanto anche più tardi dei Mongoli era imbevuta di cultura persiana. Perciò l'Islām riuscì ad interrompere lo sviluppo rettilineo della civiltà e del pensiero indiani.
Questo si era gagliardamente rialzato dopo la sparizione del buddhismo e risalì a galla l'antica e, a onta della conquista, indistruttibile mentalità aria dravidica, il vero fondo della civiltà della penisola. Dalla fusione dell'antico brahmanesimo con le religioni popolari, dravidiche, era sorta una nuova religione e mentalità, o meglio era riaffiorata l'antica mentalità dei Dravidi. Questa nuova religione si chiama induismo. Il brahmanesimo non era mai scomparso dall'India, neppure quando il buddhismo era stato all'apogeo della sua fioritura nei secoli IV e III a. C., poiché non bisogna dimenticare che la cultura indiana ebbe sempre per sua base il brahmanesimo e per sua lingua culturale la lingua di quest'ultimo, il sanscrito. Anzi persino il buddhismo, che per i suoi scritti si era servito dai dialetti pracriti, dal I secolo comìnciò a scrivere in sanscrito. Il brahmanesimo ebbe la sua rinascita per opera del teologo Śahkara (788-820). L'induismo non è altro che quello spirito religioso che era stato sempre il retaggio delle classi popolari e che non poteva trovare pieno soddisfacimento nelle dottrine del buddhismo e neppure poteva attingere alle vette della speculazione brahmanica. La religione induistica elevò a divinità le figure demoniache dell'antica religione popolare e incorporò nel suo pantheon non poche figure divine e concetti religiosi delle religioni primitive degli aborigeni e delle schiatte dravidiche, figure divine selvagge, ripugnanti alla mentalità occidentale, ma che esprimono molto bene il fondo barbaro e sregolato dell'autentica mentalità indiana. I due grandi dei dell'induismo sono Viṣṇu e Śiva. Quest'ultimo è il dio distruttore che si adora nel Lingam. La terza divinità è Brāhma. Accanto a queste tre figure divine principali riscontriamo altre minori in grandissimo numero. Accanto a tratti di carattere filosofico e speculativo troviamo in questa religione molte superstizioni, feticismi ripugnanti, riti dissoluti e crudeli. Eppure alla base di questo repellente prodotto schiettamente nazionale dello spirito religioso indiano sta la credenza che tutti gli dei non sono che la manifestazione d'una sola grande forza universale, adorando e venerando la quale l'uomo può sottrarsi al dolore. Il dolore e la sua soppressione, ecco l'idea fondamentale di tutto il pensiero indiano, per il quale la vita è dolore e illusione.
La civiltà indiana esercitò grande azione su altre parti dell'Asia. D'origine indiana è la civiltà di Ceylon dove vi fu una forte immigrazione ariana e si diffuse e mantenne il buddhismo. Alla stessa origine va ricondotta la civiltà dell'India al di là del Gange e di quella ulteriore. Già le popolazioni anteriori a quelle che ora abitano queste contrade erano profondamente imbevute di cultura indiana. Nella Birmania l'influsso della religione buddhistica si fa sentire fin dal V secolo. Numerose colonie indiane si stabilirono sulla costa e introdussero più tardi anche nell'interno l'induismo. La scrittura cambogiana deriva da alfabeti dell'India meridionale e le antiche iscrizioni sono in lingua sanscrita. In questo paese conquistato dalla nobiltà guerresca dell'India si studiava la letteratura sanscrita, s'introducevano leggi indiane e si seguivano i precetti del brahmanesimo. L'azione profonda dell'arte indiana si palesa specialmente nelle grandiose rovine di Angkor-Vat. Anche nel Siam penetrarono tanto il brahmanesimo quanto il buddhismo. L'azione della cultura indiana è molto profonda altresì nelle isole della Malesia. La letteratura giavanese fiorì per impulso venutole da quella indiana, che lasciò traccia anche nel linguaggio nazionale, poiché nel vocabolario giavanese penetrarono moltissime parole indiane. La religione dell'isola di Giava risentì gli influssi dell'induismo e del buddhismo settentrionale, ma anche colà l'islamismo, venutovi anch'esso dall'India, finì col diventare la religione dominante, così come nelle altre isole malesi. Anche nell'isola di Sumatra penetrarono l'induismo, usi e costumi dell'India. Persino sulla costa orientale di Borneo si è trovata un'iscrizione indiana. Al nord la cultura dell'India varcò i confini geografici del paese. Dall'altipiano del Neepal, affiancato alla catena del Himālaya, la civiltà della penisola penetrò nel Tibet, dove il buddhismo si sviluppò ulteriormente creando la chiesa lamaica, organizzata in uno stato completamente teocratico.
III. La Cina. - Il terzo centro di antica civiltà asiatica è in Cina, nelle valli del Huang-ho e dell'Yang-tze-kiang. Ma questa civiltà è certamente più recente di quella delle valli dell'Indo e del Tigri ed Eufrate.
La Cina ha subito influssi stranieri, e alcuni persino di decisiva importanza, quasi in ogni periodo della sua lunga storia. Essa sta in rapporto intimo con tutte e due le grandi civiltà dell'Asia a Occidente, con quelle cioè dell'India e dell'Asia anteriore. Come ha ricevuto non pochi elementi dall'Occidente, così anche ha agito in misura non trascurabile sulla cultura occidentale.
Già nel periodo più antico la civiltà della Cina si rivela come figlia del paese. L'ordinamento sociale si basava sul matriarcato e sul totemismo. Grande importanza ebbero nella vita sociale le associazioni di giovani, di guerrieri e di compagni di lavoro. Nella famiglia il più anziano era il capo. Una posizione speciale occupava l'ordine dei sacerdoti, superiore a quella delle altre caste sociali. Il potere del principe era ancora assoluto e la base dello stato era il feudalismo. Tali principî dello sviluppo politico della Cina si trovano già in questo tempo antichissimo, al quale sembrano risalire anche i primi rapporti tra la Cina e l'Occidente. Si sviluppa già la scrittura, la quale va considerata come un prodotto spirituale prettamente cinese, non importato dal di fuori. La religione è a base schiettamente animistica. Si adora la natura, ma non si rifugge neppure dal feticismo. Però i Cinesi primitivi sembrano aver avuto un concetto di un dio altissimo, identificato con il cielo. Dall'animismo deriva il totemismo o animalismo, nel quale si adorano alcuni animali da cui si crede discenda la tribù. Abbiamo anche alcune forme di manismo che alla discendenza soprannaturale sostituisce quella da antenati umani. Il culto era del tutto sciamanistico, in singolare coincidenza con l'antica religione dei Sumeri. Al culto della terra presiedevano sacerdotesse. I sacrifici cruenti e molto spesso umani attestano che nei tempi ancora più antichi prevaleva il cannibalismo. A questo periodo risalgono anche i primi albori della scienza. I Cinesi cominciarono già allora a dedicarsi allo studio degli astri, alla cartografia, alla medicina, che si basa del tutto sul concetto animistico del mondo e attribuisce la malattia alla penetrazione di qualche cattivo demone nel corpo dell'uomo, come affermava anche la medicina della Mesopotamia antica.
Alla prima dinastia leggendaria dei Hsia, segue una seconda dinastia dei Shang di cui si hanno soltanto pochissimi documenti sicuri. Della terza dinastia dei Chou (1122 a. C.) si cominciano ad avere notizie meno incerte. Siamo abbastanza bene informati della religione e dei riti di questo periodo. Tutto il sistema rituale risale all'antico animismo, al timore degli spiriti che dovunque circondano l'uomo in grande numero. Occorre rappacificare questi in tutti i modi adempiendo scrupolosamente a tutto ciò che agli spiriti è dovuto da parte dell'uomo. La base di tutta la società e quindi anche dello stato è la famiglia che ha per capo il padre. Nei rapporti tra i membri della famiglia deve vigere la pietà, il hiao, la riverenza e la subordinazione dei figli al padre e anche alla madre, nonché ai fratelli maggiori. Il padre deve dal canto suo proteggere i membri della sua famiglia e mostrare sollecitudine per il loro benessere. In casa comanda la moglie. Lo stato si riguarda come una famiglia più vasta, allargata, ma anche per questo valgono le stesse prescrizioni morali che vigono per la famiglia: il principe è il padre, i funzionarî sono i fratelli maggiori del suddito. Il popolo pratica il culto degli antenati, mentre il re venera il cielo, dal quale egli discende, ed è per questo chiamato "figlio del cielo". L'uomo è creato da Dio ed è buono per sua natura. Questa innata e indistruttibile bontà dell'uomo può però essere offuscata e piegata da circostanze avverse e dall'ignoranza. Perciò cura principale del principe dev'essere quella di provvedere al nutrimento del popolo, preservando con ciò la sua natura dalla possibilità di aberrare dal sentiero retto della bontà, e d'istruirlo. Quanto fa di male il popolo va imputato al suo re. Lo stato era minutamente organizzato fino nei suoi più piccoli particolari e servito da una fitta schiera di funzionarî. Lo stato è assolutistico, il re ha sei ministri, sopra i quali stanno i tre consiglieri della corona. Il principe è il proprietario dello stato che egli governa come un suo possedimento. Egli è in pari tempo il sommo sacerdote e fa i sacrifici di stato. Ogni funzionario funge da sacerdote e similmente fa ogni padre di famiglia nell'ambito delle sue funzioni. Come il culto è in parte pubblico, si hanno anche feste e giuochi di stato, per esempio il tiro a segno. Lo stato era governato sul serio, ma con mitezza. Le imposte non erano eccessive e le pubbliche corvées non erano oppressive. Il popolo doveva concorrere con le proprie braccia alla costruzione delle strade e prestare in guerra servizio militare. Questa era, a grandi tratti, la civiltà della Cina del tempo dei Chou.
Al tempo dei Chou segue un periodo di prepotenza da parte dei feudatarî, i quali usurpano sempre più il potere centrale e in qualche caso si rendono indipendenti assumendo il titolo di re. Succedono lunghe lotte tra i principi stessi, dal sec. VI al III. Fu questo un periodo molto calamitoso per il paese, la guerra di tutti contro tutti, la decadenza della morale e del costume, il periodo delle depredazioni sistematiche, di grandi inondazioni, di spaventose carestie. Sorsero però, durante questo periodo di lotte, numerosi pensatori, tra cui emergono Confucio e Lao tse (v.).
Crollato lo stato feudale e riorganizzatasi su nuove basi, la Cina entra nella civiltà mondiale per gli scambi che cominciano a legarla all'Occidente. Lo stato diviene per opera del fondatore della dinastia Ts'in (221 a. C.) uno stato unitario centralizzato, diviso in provincie, dipendenti dal potere centrale, laddove prima esso si componeva di principati tenuti assieme molto leggermente dal vincolo feudale. Per reazione alle idee del passato, nel 214 fu bruciata tutta la letteratura confuciana. Fu compiuta la costruzione della Grande Muraglia e con ciò si riuscì a contenere le invasioni dei nomadi turchi e mongoli che infestavano continuamente le province del nord e a far defluire le loro scorrerie verso l'occidente. Nel 202 a. C. sorse la dinastia brillante e gloriosa dei Han e comincia un periodo di grande splendore e progresso della Cina. Nel 57 il confucianesimo fu elevato a religione di stato. A base della promozione dei funzionarî di stato fu posto l'esame. La tendenza sociale dei Han fu piuttosto democratica; essi sostituirono la burocrazia all'aristocrazia nell'amministrazione dello stato. Con imprese guerresche fortunate riuscirono ad allargare i confini dell'Impero conquistando il bacino del Tarim e raggiunsero persino il Mar Caspio. Così essi entrarono in rapporti diretti con l'impero macedonico che in quel tempo aveva allargato immensamente l'ambito delle proprie frontiere fino a toccare quelle dell'impero cinese. Dalla parte del mare i rapporti si fecero molto intensi col Tonchino e con l'India e persino con l'Occidente, poiché la conquista greca dell'Egitto facilitava gli scambi con l'Estremo Oriente. La conquista greca dell'Asia anteriore si fa sentire ben presto anche in Cina. L'arte ne subisce un'azione profonda, segnatamente attraverso le creazioni artistiche dei regni greco-battriani. Rappresentazioni di figure greche trovarono allora la via della Cina, specie per opera del buddhismo, che in quel torno di tempo, nel 67, poté stabilirsi ufficialmente nel paese e fece non pochi adepti, trovando nel taoismo una dottrina che presentava con esso alcuni punti di contatto. Seguono, attraverso molte vicende (v. cina: Storia), numerose dinastie minori, talvolta in lotta tra loro, finché nel 618 d. C. la dinastia dei T'ang riesce a ridonare l'unità allo stato cinese. Essa allargò i confini dell'Impero verso occidente fino a raggiungere i confini dell'impero islamico dei Califfi. Così fu spianata la via alla penetrazione di due nuove religioni nella Cina, di due religioni dell'Occidente, il cristianesimo e l'Islām, e anche del mazdaismo. Il primo missionario cristiano, di fede nestoriana, giunse nella capitale nell'anno 636 e già verso la metà del secolo erano sorte chiese cristiane in tutto l'Impero. Nell'819 giunge in Cina anche il manicheismo e nello stesso secolo l'Islām si estende anche nella parte settentrionale, poiché in quella meridionale era arrivato già prima per via di mare. Con i paesi islamici d'Occidente si sviluppò un rigoglioso traffico commerciale, accresciuto e fomentato anche dal continuo scambio di ambasciate, artieri e sacerdoti di varie religioni. L'Asia formava allora nella sua interezza un'unità commerciale ed economica come non era stata mai nel passato. Sotto la dinastia dei T'ang fiorirono le arti e la letteratura: è questa l'epoca dei grandi scrittori cinesi, prosatori e poeti; ed è anche sotto questa dinastia che appare l'arte della stampa, uno degli elementi che conducono a quella rinascenza della cultura e a quella diffusione del sapere caratteristica della dinastia Sung (960-1268).
Nel sec. XIII i Mongoli sotto Genghīz Khan si conquistano il più grande impero che abbia visto mai l'Asia, dal Mar Nero al Mar Giallo. Nel 1279, scomparsa la dinastia del Sung, tutta la Cina era in potere del Mongolo. Un grande italiano, Marco Polo, accompagnava il conquistatore della Cina, Qūbilāy.
La conquista mongola diede un enorme impulso ai traffici e ai rapporti culturali tra Occidente e Oriente. In prima fila degli intermediarî tra i due mondi stanno allora gl'Italiani. I Veneziani avevano pioprî banchi in varie città cinesi, in altre avevano i loro fondachi i Genovesi. Gli Arabi commerciavano anche per mare e s'erano stabiliti segnatamente a Canton. Artieri, medici e ingegneri cinesi erano trasmigrati in Persia e Mesopotamia. La conoscenza della polvere pirica passò per il tramite degli Arabi in Occidente, come pure quella della stampa per mezzo di lastre incise. Nel 1293 Giovanni di Montecorvino portò per il primo il cattolicismo in Cina. In questo tempo poté stabilirsi nel paese anche l'Islām. Nell'anno 1368 sorge la nuova dinastia nazionale dei Ming. Nel periodo seguente di concentrazione nazionale cessano o almeno si affievoliscono di molto i rapporti con gli stranieri. Ma la concentrazione ha nonostante per conseguenza una grande floridezza del paese. L'arte splende e rifulge, i poeti sono molto attivi, ma non sanno dire più nulla di nuovo. Si propende all'osservazione dei particolari, alla miniatura, all'erudizione pura, all'enciclopedismo, alla compilazione. Nel 1514 approda il primo bastimento europeo in Cina. Nel 1601 Matteo Ricci, gesuita italiano, è accolto molto benevolmente alla corte di Pechino.
L'influsso europeo va d'allora in poi gradatamente aumentando e comincia quell'opera di continua penetrazione di idee e pensieri europei che si svolge in misura diversa e in varie forme anche in tutte le altre regioni del continente asiatico e che dappertutto ha trasformato ed anche in Cina sta trasformando dalle fondamenta l'antica civiltà.
Le civiltà della Corea e del Giappone dipendono in tutto da quella cinese. La lingua e la scrittura classiche di questi paesi sono state sempre quelle cinesi, accanto alle quali però si sviluppò anche una scrittura nazionale e per gli usi comuni della vita si adoperarono le lingue nazionali. L'alfabeto coreano è di origine indiana mentre quello nazionale giapponese deriva da segni cinesi. La penisola coreana fu per lungo tempo formalmente tributaria dell'impero cinese; di fatto però era indipendente e si divise in varî regni, i quali hanno avuto nell'incivilimento dell'Asia una parte non trascurabile, giacché furono essi a trasmettere per i primi la civiltà della Cina al Giappone. Gli abitanti autoctoni di quest'ultimo paese sono gli Ainu, di discendenza caucasoide, abitatori in tempi preistorici di tutte le isole giapponesi. A questi si sovrapposero due razze di invasori: una mongolo-malese e una manciù-coreana, tutte e due provenienti dal continente asiatico. Lo stato di civiltà di queste schiatte era molto basso. La fondazione dell'impero sarebbe avvenuta, secondo quanto narrano le leggendarie cronache, nel 660 a. C. da parte di Gimmu, il quale fu il primo principe terrestre, figlio della dea del sole. La religione di quel tempo consisteva nell'adorazione delle forze e dei fenomeni della natura e nel culto degli antenati, ed è chiamata shintō. I primi rapporti con popoli stranieri si ebbero coi Coreani, in ispecie col regno di Pekce i cui messaggeri trasmisero ai Giapponesi i rudimenti della civiltà della Cina. Ma poi le relazioni con l'Impero di Mezzo divennero anche dirette, anzi s'intensificarono tanto che la Cina riguardò l'impero giapponese come suo stato vassallo. Il periodo storico comincia col sec. V d. C. Allora cominciò ad esser introdotta la civiltà cinese e poi subito dopo anche il buddhismo, il quale vi ebbe larga diffusione, anzi vi prese sì profondamente piede da far diventare il Giappone una delle grandi nazioni buddhistiche dell'Asia, sebbene accanto allo stesso rimanesse tanto come religione popolare quanto anche come culto di stato lo shintoismo.Il governo autocratico originario subì una profonda mutazione quando potenti famiglie riuscirono ad acquistare controllo completo sullo stato. Nel 1192 fu introdotta un'organizzazione dualistica dello stato: l'imperatore non era più che un'ombra mentre il potere effettivo riposava nelle mani dello shogun, il capo militare dello stato. I progressi e regressi nella storia giapponese vanno quindi ricondotti per la maggior parte alle qualità personali dello shogun, tanto più che la storia del paese non ebbe a subire gli effetti disturbatori d'invasioni nemiche o di ingerenze di potenze straniere. Con Ieyasu comincia un lungo periodo d'isolamento che durò dal 1603 fino al 1868. Non avendo potuto sviluppare una civiltà propria e autoctona il Giappone non esercitò che pochissima azione sulla vita spirituale dell'Asia e poté facilmente accogliere pensieri e costumi stranieri.
La parte settentrionale dell'Asia centrale è stata sempre la patria di numerose tribù nomadi, mongolo-turche, che a causa della vita errabonda cui sono costrette non poterono mai raggiungere un grado molto elevato di civiltà. Esse seppero però accogliere con grande profitto la cultura di altri popoli e propagarla presso altre nazioni. La loro vita nomade non permise si formassero stati saldi e bene organizzati, ma soltanto larghi complessi di regioni, tenuti insieme per brevissimo tempo. I sommovimenti di popoli dell'Asia centrale furono la causa determinante di quelle grandi trasmigrazioni che portarono verso l'Europa centrale e occidentale le schiatte germaniche e dietro a queste quelle slave. Gli Unni penetrarono profondamente in Europa e in India, senza produrre però una propria civiltà. I Mongoli dell'Asia centrale seppero conquistare più tardi sotto fortunati principi, come Genghīz Khān, quasi tutta l'Asia, sottomisero la Cina, penetrarono in Europa, fondarono varî regni nell'India, devastarono l'Asia anteriore, ma vera civiltà non crearono mai. Distrussero molto, impedirono o ritardarono lo sviluppo di altre nazioni, ma dal regno dello spirito, cioè da quello della vera storia, sono assenti. Lo stesso va detto anche dei Turchi. Questi conquistarono buona parte dell'Asia anteriore, tutta la penisola balcanica, l'Ungheria, l'Egitto e l'Africa settentrionale. Ma la civiltà non risentì nessun benefico effetto del dominio politico turco. La loro azione fu del tutto negativa: essi ritardarono cioè lo sviluppo civile e politico di popolazioni a loro superiori per intelligenza, attività e attitudini. Nella civiltà dell'Asia il loro posto è quindi in ragione inversa a quella del territorio dei loro varî stati. Nel Turkestān orientale si sviluppò nell'oasi di Turfān per alcuni secoli una civiltà che in breve ci dà, come in un mosaico, un quadro di quasi tutte le culture dell'Asia. I popoli che l'abitarono erano indoeuropei, i Sogdi iranici, i Saci pure iranici, al sud inoltre una schiatta indiana, e poi i Tocarî. La cultura di queste popolazioni era quella indo-iranica con forte inserzione di elementi ellenistici. La loro religione era però il buddhismo, accanto a cui alcuni elementi della popolazione praticavano lo zoroastrismo e il manicheismo. V'erano anche nestoriani cristiani. La scultura e pittura si basavano sull'arte dell'antichità classica, l'architettura seguiva modelli iranici, qualche volta anche indiani. Il paese era però, all'epoca della dinastia dei Han e Tang, sotto dominio cinese. Con la conquista della regione da parte degli Uiguri turchi nel 760 d. C., le lingue ariane dovettero cedere a quella turca. La famiglia regnante abbracciò il manicheismo, mentre gli altri ceti della popolazione conquistatrice si convertirono al buddhismo. Gli alfabeti in cui scrissero la loro lingua sono molto varî: il brahmi indo-asiatico centrale, il tibetano, quello runico paleoturco, la scrittura manichea e sogdiana. Infine crearono dalla scrittura sogdiana quella uigurica nazionale. I Mongoli che più tardi conquistarono il paese soggiacquero a questa civiltà elaboratissima e composita, della quale accolsero tra l'altro la scrittura, modificandola leggermente. Così una scrittura semitica originaria della Siria poté penetrare fino alle sponde dell'Oceano Pacifico.
Sebbene i rapporti dei tre grandi centri di cultura asiatica tra loro fossero intimi e duraturi, le tre civiltà si svilupparono indipendentemente. L'Asia anteriore, l'India e la Cina non ebbero una storia comune. I primi tratti di una storia comune a tutte e tre le grandi parti geografiche e culturali dell'Asia cominciano a delinearsi appena nell'evo moderno, e diventano sempre più spiccati nell'ultimo decennio: l'Asia si occidentalizza sempre più. Nell'ultimo cinquantennio specialmente è cominciata per l'Asia una nuova storia, che investe in grado maggiore o minore quasi tutto il continente. Una leggiera penetrazione europea sulle coste mediterranee dell'Asia s'era verificata già nel Medioevo ed è proseguita per tutto l'evo moderno: furono specialmente le repubbliche marinare italiane che stabilirono i loro fondachi nella Siria e lungo la costa del Mar Nero. Il traffico marittimo italiano nel Levante fu sì importante da far diventare la lingua italiana una specie di lingua franca nel bacino orientale del Mediterraneo. Furono segnatamente Venezia e dopo la decadenza di quest'ultima Trieste a mantenere le relazioni commerciali marittime e anche quelle culturali col vicino Oriente. Ma l'azione esercitata non fu profonda. D'altro canto la classe dirigente turca si rivolse nell'ultimo secolo sempre più verso l'Occidente e ambì di farsi un'educazione europea. L'esito disastroso della guerra mondiale e l'antica tendenza verso l'Occidente fece maturare negli uomini più rappresentativi della Turchia il proposito d'introdurre nel loro paese in tutti i rami e in tutte le attività della nazione la civiltà occidentale, staecandosi anche, almeno in teoria, dalla religione islamica, e ripudiando perciò l'istituto del califfato.
Nell'India e nell'Estremo Oriente gli albori del nuovo orientamento dell'Asia risalgono al sec. XVI, al tempo della scoperta della via marittima per le Indie. Prima i Portoghesi e gli Spagnuoli, poi gli Olandesi, i Francesi e gl'Inglesi cercarono di stabilirsi commercialmente e poi anche politicamente nella penisola indiana, sulle coste della Cina e nelle isole della Malesia. Gli Olandesi si stabilirono a Giava e Sumatra, i Portoghesi sulle coste dell'India e della Cina, ma questi perdettero presto i loro possessi, ora ridotti a poche città di scarsa importanza. I Francesi contrastarono tra il 1740 e il 1783 agl'Inglesi con poca fortuna il controllo politico sull'India citeriore; poterono però più tardi assumere il dominio di buona parte dell'India ulteriore. Gl'Inglesi più fortunati riuscirono a sottomettere, mediante il dominio diietto o il controllo politico, tutta l'India, l'isola di Ceylon, la parte militarmente più importante dell'India ulteriore, le città di Hong-Kong e Shanghai in Cina. Per effetto della guerra recente hanno inoltre ottenuto il mandato sulla Palestina, eretta in stato formalmente indipendente, e sul regno dell'‛Irāq, comprendente la Babilonia e la parte meridionale e orientale della Mesopotamia. I Francesi hanno ottenuto il mandato sulla Siria. L'impero russo penetrava intanto sempre più nella parte settentrionale dell'Asia fino ad arrivare alla costa dell'Oceano Pacifico e a minacciare l'espansione del Giappone. La penetrazione russa nell'Asia ebbe carattere diverso da quella degli stati europei in India e in Cina. Mentre questi si limitarono ad esercitare il commercio nei territorî controllati o a dominarli anche politicamente con una scarsissima forza armata di occupazione, la Russia colonizzò i vasti territorî della Siberia con contadini russi e fece quindi penetrare in quei paesi la propria civiltà. La parte settentrionale dell'Asia si è europeizzata per immigrazione di Europei. L'India invece e la Cina, ed ancor più il Giappone, si europeizzano perché quei popoli riconoscono di fatto, se non anche sempre a parole, la superiorità della civiltà occidentale, di quella europea gl'Indiani e di quella americana i Cinesi, e vogliono raggiungere al più presto possibile il livello culturale dell'Europa e dell'America. La diffusione della civiltà occidentale ha ridato agli Asiatici la coscienza della propria nazionalità e l'aspirazione, innata in ogni nazione, alla libertà politica. L'Asia aspira quindi alla libertà politica degli stati colonizzatori europei e alla sua completa europeizzazione culturale.
Storia (dal 1850).
L'Asia, una come entità geografica, deve tripartirsi come entità storica e politica soprattutto nel periodo più recente, dalla metà del secolo scorso ai nostri giorni. La prima di queste divisioni è l'Estremo Oriente, che la catena dell'Himālaya separa dall'India, il Pacifico dalla Polinesia e dal continente americano, le terre semidesertiche del nord e la Manciuria dalla Siberia, e gli stati dell'Asia centrale dall'occidente asiatico; essa comprende Cina, Corea, Giappone, Tibet e Indocina. La Cina, protetta da questi ostacoli geografici, era stata il centro dominatore di varî altri stati e vi aveva diffuso la propria influenza civile e politica; la prima anche nel Giappone, che politicamente fu preservato dall'imperialismo cinese per la sua insularità, come, per la stessa ragione, da altri imperialismi l'Inghilterra in Europa. Il facile accesso dall'una all'altra regione cinese e la netta delimitazione dell'intero territorio, determinata in parte da ostacoli naturali e in parte conseguita mediante barriere od ostacoli artificiali dalle regioni circostanti, vi hanno favorito, con la graduale assimilazione cinese delle provincie conquistate, lo sviluppo d'una civiltà uniforme e d'un solo dominio o predominio politico, determinando il formarsi della più numerosa fra tutte le entità nazionali. Nel periodo più recente fu perduta dalla Cina l'alta sovranità sulla Corea, la sovranità sull'isola Formosa e il predominio sui territorî meridionali, fra il suo territorio e quello dell'India.
Così al nord, nelle regioni lontane e di minore resistenza, quello che alla Russia non era riuscito contro l'imperatore Kangshi, che aveva potuto stipulare con i Moscoviti il trattato di Charbin del 1688, le riuscì invece nella seconda metà del secolo decimonono, quando, dopo essersi appropriata (1858) una parte notevole della Manciuria fino alla sponda dell'Amur, essa iniziò la sua penetrazione in Mongolia. Questa, infatti, dopo aver costituito come un avamposto settentrionale dell'imperialismo cinese, si trasformò in avamposto dell'imperialismo russo ai danni della Cina, il quale si giovava dell'insufficienza dei mezzi di difesa (muraglia, zone desertiche, ecc.) che un tempo la Cina aveva potuto opporre con efficacia.
Cosi al sud il predominio britannico ha potuto sostituirsi a quello cinese negli stati indigeni della zona dell'Himālaya e nella Birmania, passata a poco a poco sotto il diretto dominio dell'Impero angloindiano; mentre il Tonchino e l'Annam passarono sotto il protettorato della Francia. La Gran Brettagna ha conseguito lo stesso fine anche in altre parti, nei paesi per es. a sud della Cina che a questa erano stati soggetti o subordinati. Nel Tibet e nel Turkestān venivano in contrasto i due imperialismi russo e britannico.
Il più dannoso perturbamento politico derivò alla Cina dai privilegi che l'impero dovette concedere ai residenti europei, creando nel suo territorio gruppi d'interessi stranieri, in contrasto fra loro, ma concordi nel ledere sempre più i diritti dello stato cinese, direttamente, con la difesa solidale degli interessi proprî, e indirettamente ostacolando o impedendo, dalla repressione dei Taiping (1860) a quella dei Boxers (1900), il riprodursi di quelle rivoluzioni risanatrici, che nel passato erano divampate in Cina al culminare di ogni periodo di decadenza ed erano riuscite a risanare e a rinvigorire lo stato. Invece, sostenendosi gli elementi più corrotti e malsani, che erano i più proclivi a subordinare la loro azione agl'interessi stranieri nel governo dello stato, questo fu sospinto sempre più verso la sua involuzione.
Dal punto di vista statistico, gl'interessi stranieri in Cina. anche dopo il loro più recente sviluppo, non sono rappresentati che da 336.841 persone sopra una popolazione totale di 485.508.838 (computo delle dogane marittime cinesi). Ma l'azione delle potenze in Cina, oltre che dal bisogno di proteggere i residenti europei ed americani, è stata ispirata dalla preoccupazione della tutela degli interessi commerciali e più tardi anche da aspirazioni coloniali. Nel 1847 il conte Muravev, governatore della Siberia, fece occupare tutto quel territorio posto al N. del fiume Amur che ha come porto meridionale Vladivostok. Questa regione, che era parte integrante della Manciuria cinese, fu fatta occupare con il pretesto dell'esplorazione geografica e commerciale; poi il Muravev, corrompendo il comandante delle truppe cinesi, riuscì a stipulare con questo una convenzione che cedeva tutto quel vastissimo territorio all'impero russo.
Quella convenzione era evidentemente nulla; ma la Russia, malgrado le proteste del governo cinese, mantenne l'occupazione fino a che la Cina si piegò a riconoscere il fatto compiuto nei negoziati del 1855, dai quali derivò il trattato di T'ien-tsin (1858). In questo trattato la Cina riconosceva la sovranità russa nelle provincie situate al N. dell'Amur, mentre per tutto il territorio costiero, situato fra l'Amur e il corso dell'Ussuri, era mantenuto il condominio dei due stati; una futura convenzione avrebbe dovuto determinarne la condizione definitiva. Ma il condominio finì, com'è destino di tutti i condominî, con l'esclusiva sovranità attribuita al più forte dei due stati associati, per effetto del trattato supplementare negoziato col governo di Pechino dall'ambasciatore straordinario conte Ignatev; esso riservava ancora ad una futura convenzione la determinazione del confine lungo il corso dell'Ussuri e, ad occidente, abbandonava temporaneamente alla Russia una fertile regione del Turkestān. Anche questo confine fu definito due anni più tardi, in modo che la Russia, come fin dalle prime origini del negoziato il suo governo aveva voluto, divenne confinante con la Corea. Allora si restituì alla Cina il territorio che questa aveva ceduto temporaneamente alla Russia nel Turkestān; ma, insorti contro la Cina i musulmani ivi organizzati a stato da essa dipendente, la Russia ne approfittò per occupare il territorio di Kulgia, detto dai Cinesi provincia dell'Ili, col risultato finale che nel 1871 la sovranità di quel territorio fu ripartita fra i due stati.
La Russia, sempre proseguendo con logica tenacia nella sua politica di predominio nell'Asia centrale e nell'Estremo Oriente, costrinse, dopo la guerra cino-giapponese, il Giappone a rinunciare all'annessione di Port-Arthur e della penisola di Liao-tung; e poi nel 1896 ottenne concessioni minerarie in Mongolia e ferroviarie in Manciuria, con facoltà di mantenere una guardia russa per la sorveglianza e la difesa della linea ferroviaria. Successivamente, con la convenzione del 27 marzo 1898, la Russia riusciva a stabilirsi colà donde aveva due anni prima escluso il Giappone, ottenendo la facoltà dell'occupazione temporanea (per un termine di 25 anni rinnovabile alla scadenza) e l'amministrazione di Port-Arthur e di Ta-lien-wan. Dopo la spedizione punitiva internazionale del 1900, altri vantaggi esclusivi conseguiva la Russia con un accordo per l'effettivo condominio in Manciuria. L'accordo non era ratificato, in seguito all'opposizione britannica e giapponese; ma, nonostante ciò, la Russia rifiutava di ritirare le sue truppe dal territorio occupato; e continuava a sviluppare la sua politica di espansione verso la Corea, ottenendo di prolungare la sua ferrovia della Manciuria con testa di linea al porto di Gensan, libero dai ghiacci per tutto il corso dell'anno. Allora si acuì il conflitto di interessi fra la Russia ed il Giappone, che insisteva per la determinazione del momento dell'evacuazione militare russa dalla Manciuria. L'affermazione della preponderanza russa in Corea (che costituì per il Giappone un pericolo equivalente a quello che poteva derivare per la Gran Bretagna da una preponderanza tedesca o francese nel Belgio) fu, tre anni dopo, la principale determinante della guerra russo-giapponese.
Quando lo sviluppo dell'espansione russa in Estremo Oriente venne a costituire una minaccia non meno per la Gran Bretagna che per il Giappone, fu stipulata (30 gennaio 1902) l'alleanza anglo-giapponese con clausole esclusivamente difensive ed obbligo reciproco di neutralità in caso di guerra di uno degli alleati contro una sola potenza, e di partecipazione alla guerra di ciascuno dei due alleati nel caso che una o più potenze si unissero al nemico dell'altro alleato (art. 2 e 3). Due mesi prima della stipulazione del trattato di pace fra la Russia e il Giappone, era stipulato il 12 agosto 1905 un nuovo accordo nippo-britannico destinato a sostituire quello del 1902; esso nell'articolo 11 stabiliva l'obbligo dell'attiva assistenza dell'uno all'altro alleato, anche se questo fosse stato aggredito da un solo stato. Il 13 luglio 1911 il trattato di alleanza era rinnovato per altri dieci anni, aggiungendo l'obbiettivo anti-germanico a quello anti-russo ed estendendo a quello l'obbligazione della cooperazione giapponese. Trascorso il decennio dalla stipulazione dell'alleanza, e venuta a mancare la solidarietà determinata dal comune pericolo (avendo momentaneamente cessato Germania e Russia di essere potenze militarmente minacciose nell'Estremo Oriente), l'alleanza non fu rinnovata, ma sostituita col quadruplice trattato di Washington del 13 dicembre 1921, relativo al Pacifico, fra Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti e Francia. Tale trattato formalmente dava soddisfazione al Giappone, ma sostanzialmente importava l'abbandono, col non rinnovamento dell'alleanza e con il diverso obbiettivo territoriale dell'accordo, dell'alleato giapponese da parte della Gran Bretagna.
Mentre l'Inghilterra nel N. era stata tutrice dei diritti della Cina contro la Russia, al S. non aveva applicato verso la Cina durante lo stesso periodo di tempo una politica diversa dalla politica russa. Il più importante fra gli stati meridionali vassalli della Cina, la Birmania, fu a poco a poco attratto nella sfera indo-britannica, dalle prime conquiste dell'Arakan e del Tenasserim nel 1826 sino al divieto fatto al sovrano della Birmania d'inviare ambasciate di vassallaggio a Pechino, e in ultimo (1° gennaio 1886) si finì con l'annetterlo completamente. Di là si completò sempre più l'espansione della potenza britannica nella penisola di Malacca, presso la quale già la Compagnia delle Indie Orientali avea posseduto l'isola di Penang fino dal 1786, e dove la località che diede il nome alla penisola, occupata dai Portoghesi nel 1501 e passata agli Olandesi nel 1641, era venuta sotto il dominio britannico nel 1824. Estesa a poco a poco a tutta la penisola e all'isola di Singapore l'alta sovranità o la sovranità diretta dell'Inghilterra, quel possedimento era destinato a diventare, con la base navale di Singapore, ora in corso di preparazione, un fattore potente di predominio britannico nei mari dell'Estremo Oriente.
Con altro interesse, non territoriale ma economico, la Gran Bretagna, si espandeva nella Cina, dove tre quarti del commercio estero erano esercitati da sudditi britannici, e specialmente nella valle del Yang-tze-kiang con sei provincie cinesi costituenti insieme un territorio tre volte più vasto di quello della Gran Bretagna, e con più di 80 milioni di abitanti. L'interesse economico in verità è duplice: anglo-cinese e indo-cinese. A questo deve aggiungersi l'esistenza di una serie di gruppi britannici, costituitisi dopo il 1842, nelle municipalità internazionali sviluppatesi con autonomia amministrativa nei porti cinesi aperti al commercio straniero. Ne derivò una rete di interessi britannici e di punti d'irradiazione della espansione economica britannica lungo tutto l'immenso sviluppo costiero, marittimo e fluviale, dell'impero cinese.
Il trattato Mackay del 5 settembre 1902 prometteva alla Cina l'adesione inglese a una revisione dei privilegi consolari e delle autonomie comunali straniere, ma subordinando la rinuncia all'apprezzamento britannico (art. 12) della bontà delle future riforme legislative e giudiziarie cinesi, e della sufficienza delle misure adottate dal governo cinese per applicarle, e ad altre considerazioni (when other considerations warrant her in so doing).
Fra gli altri paesi di civiltà europea, il Portogallo ha sulle coste cinesi il possedimento più antico, occupato di fatto nel 1557, considerato di assoluto dominio proprio dal Portogallo fin dal 1849 e come tale riconosciuto anche dalla Cina con la convenzione del 1887. Così il Portogallo, cui restava degli antichi possedimenti nell'arcipelago malese la metà dell'isola di Timor, divisa con l'Olanda nel 1859, con delimitazione del confine completata dalla convenzione del 1° ottobre 1904, e che in India conservava i piccoli possedimenti di Goa, Damão e Diu, possedeva di fatto un porto sulla costa cinese molto tempo prima delle várie cessioni mascherate da concessione in affitto di porti cinesi che si sono susseguite dopo la guerra cino-giapponese.
Gli Stati Uniti che, dopo la guerra anglo-cinese cosiddetta dell'oppio, s'erano assicurati col trattato dell'8 luglio 1844 gli stessi vantaggi ottenuti dall'Inghilterra col trattato di Nanchino del 1842, si accontentarono di tali vantaggi e dell'espansione economica e commerciale nell'Estremo Oriente, fino alla guerra con la Spagna, al termine della quale ottennero da quella la cessione dell'arcipelago delle Filippine, che, quantunque abbiano una popolazione di 10.580.000 abitanti, anelante all'indipendenza, sono state governate finora come colonie, dotate di istituzioní rappresentative, ma prive di governo responsabile.
La potenza che in Estremo Oriente ha esplicato nella seconda metà del sec. XIX la più attiva espansione politica, è stata la Francia. Un patto, stipulato a Versailles il 28 novembre 1787 fra il conte di Montmorin e il vescovo di Adran munito di credenziali del sovrano dell'Annam, concedeva alla Francia il porto principale della Cocincina. Il trattato non ebbe esecuzione, ma fu invocato nel 1858 dal secondo Impero con argomenti giuridici non diversi da quelli con i quali nel Madagascar, un quarto di secolo dopo, la Francia invocherà, per affermare la propria sovranità, un atto di occupazione compiuto in una località dell'isola sotto il regno di Luigi XV. Una spedizione francese, intrapresa prima e condotta a termine dopo la campagna di Lombardia, ebbe per risultato, nel 1861, la conquista di Saigon e della sua provincia. Nel 1884 era effettuata la conquista del Tonchino e nel 1884 l'Annam riconosceva l'alta sovranità francese. Seguiva nel 1884-85 una guerra con la Cina per la delimitazione fra il territorio conquistato e le provincie meridionali della Cina orientale. La convenzione del 1886 dava soddisfazione alla Francia e le accordava privilegi di penetrazione economica in quelle provincie cinesi, che erano ormai considerate dalla Francia come sfera della propria influenza economica ed eventualmente in futuro anche della propria espansione politica.
Fra l'Annam e il Cambodge francesi, e la Birmania e la penisola di Malacca britanniche, restava indipendente il regno del Siam, che però riusciva a conservare la propria indipendenza di stato con gravi sacrifici dell'integrità territoriale. Per effetto dell'accordo franco-britannico del 1896, confermato e completato da una convenzione dell'aprile 1904, i territorî ad O. del fiume Menam e del golfo di Siam furono dichiarati sfera d'influenza inglese, e quelli ad oriente sfera di influenza francese. Di fronte a questo accordo che lo riguardava, il Siam, stretto dai due suoi potenti vicini, dovette rassegnarsi ad accondiscendere nello stesso anno a riconoscere come francesi il territorio di Luang Prabang e le provincie di Maluprey e Borsak ad O. del Mekong, e nel 1908 un'altra linea di frontiera fu imposta al Siam, per effetto della quale altre tre provincie erano cedute alla Francia, restando l'indipendenza dello stato, così impoverito di territorio, garantita soltanto dalla difficoltà di un accordo fra i suoi potenti vicini per la partizione di quanto gli restava, e dall'impossibilità che uno di questi si adattasse a consentire l'annessione di tutto il territorio siamese da parte dell'altro.
Dopo la guerra cino-giapponese, la Francia sviluppò maggiormente la sua azione espansionista in Cina: fu ingrandito il settlement francese di Shang-hai, e nel 1898 fu ottenuta la concessione in affitto per 99 anni del porto di Kwang-chow (Kouang-tchéou), nella provincia di Kwang-si, del quale la Francia prese possesso nel dicembre 1899, ottenendo anche nelle provincie meridionali cinesi privilegi minerarî e ferroviarî.
La Francia aveva esercitato da lungo tempo in Estremo Oriente un'influenza predominante, attraverso la protezione dei missionarî cattolici. L'entità del commercio francese in Cina non corrispondeva però che a una ventesima parte di quello inglese. Era naturale che si manifestasse un dissidio di interessi fra gli stati che, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, aveano potuto sviluppare in Cina un'intensa espansione economica, e quelli che, come la Russia e la Francia, preparavano rispettivamente al N. e al S. i punti di appoggio per una partizione del territorio cinese in sfere d'influenza politica. Perciò si era costituita spontaneamente una solidarietà anglo-americana da una parte, mentre si sviluppava una solidarietà franco-russa dall'altra; inoltre cominciavano a delinearsi gl'interessi asiatici della Germania che, con lo sviluppo del porto di Kiao-chow, ottenuto in affitto nel 1898, e con la penetrazione del commercio, delle istituzioni culturali e delle costruzioni ferroviarie nella provincia di Shan-tung, si era ivi venuta preparando una base importante di immediata influenza economica e di eventuale influenza politica.
Da questa gara era minacciato e a questa gara aveva partecipato il Giappone, che per la sua insularità era preservato dall'imminenza del pericolo sperimentato in varia guisa dagli altri stati dell'Estremo Oriente. Il Giappone, che già si era salvato dalla prima ondata coloniale europea nel 1500, e, con la totale espulsione degli stranieri nel 1640, aveva saputo preservarsi anche dai pericoli mediati che da quella espansione potevano derivargli, seppe difendere la sua integrità anche di fronte alla più recente attività coloniale europea del sec. XIX, e con la sua storia contemporanea ha potuto smentire due affermazioni già correnti in Europa, il manifesto destino della conquista e del dominio del mondo riservati agli Europei, e l'impossibilità di sviluppo d'una civiltà superiore e duratura fuori del gruppo etnico prevalente in Europa e nei paesi già colonizzati da Europei.
Il Giappone che, come la Cina, era entrato volentieri in rapporti con gli Europei, e nel 1542 avea stipulato un trattato di commercio col Portogallo, si era poi chiuso agli stranieri per preservarsi dalla loro attività conquistatrice e colonizzatrice. Undici anni dopo la riapertura forzata del territorio cinese agli stranieri per effetto del trattato di Nanchino, alla stessa modificazione di regime degli stranieri era obbligato il Giappone (1854) per effetto della missione del contrammiraglio americano Perry, che v'avea già fatto l'anno prima una visita con la sua squadra. Per effetto del trattato da quello stipulato, gli stranieri e il commercio straniero furono ammessi in cinque porti, e agli stranieri fu riconosciuto il beneficio di privilegi d'immunità e di giurisdizione molto più larghi di quelli goduti dagli Europei negli stati maomettani. Però questo che pareva l'inizio della capitolazione giapponese di fronte alla preponderanza europea ed americana, fu invece il principio di un rinascimento della potenza giapponese e di un movimento che doveva generalizzarsi in tutto l'Oriente per l'abolizione della giurisdizione consolare e dei cosiddetti privilegi delle capitolazioni. Il mutamento venne effettuandosi in Giappone attraverso diversi stadî. Nel 1854 il Giappone ammise, come si è detto, l'approdo delle navi straniere in alcuni dei suoi porti e riconobbe l'obbligo del soccorso da recarsi ai naufraghi europei, ma non ammise per gli stranieri l'assoluta libertà di commercio. Questa era riconosciuta nel 1858; i commercianti stranieri erano ammessi in cinque porti giapponesi col godimento dei privilegi consolari. Frattanto lo stato giapponese passava lentamente dalla diarchia, che vi durava dal 1192, all'esclusiva sovranità del mikado ripristinata nel 1868. La riforma costituzionale e legislativa, che il mikado nel 1869 giurava di compiere, a poco a poco si effettuava, rendendo simili le forme dello stato giapponese a quelle degli stati costituzionali europei. Dal 1875 al 1878 fungevano le assemblee provinciali elettive. Nel 1881 era promessa per il 1890 la convocazione dell'assemblea nazional elettiva. Nel 1881 era convocata la commissione incaricata di preparare il progetto di costituzione dell'impero; e questo fu ordinato a stato costituzionale, ma non parlamentare; a tale ultimo stadio era destinato ad avviarsi il Giappone soltanto dopo otto lustri di vita costituzionale.
La costituzione fu promulgata nel 1890; le elezioni ebbero luogo il 4 luglio, e la Camera dei rappresentanti fu convocata il 14 ottobre 1890; la Camera dei pari era ordinata analogamente alla Camera dei lord nella Gran Bretagna. L'eguaglianza dei cittadini e la tolleranza religiosa furono riconosciute; l'istruzione pubblica fu riformata e, senza rinnegare le tradizioni nazionali, si seppe assimilare quanto di scientifico e di tecnico era considerato preferibile nella cultura europea. La riforma delle leggi civili, penali e amministrative fu effettuata senza copiare pedissequamente le leggi europee, ma con la cooperazione di giureconsulti europei, così da ispirare la massima fiducia a quegli stati nella società dei quali il Giappone aspirava ad essere ammesso in condizioni di eguaglianza. Nel tempo stesso erano riorganizzati sul modello europeo l'esercito e la marina per mettere lo stato in condizione non solo di poter difendersi, ma anche di appoggiare eventualmente con la forza le sue giuste aspirazioni. Appena iniziata la riforma delle leggi e dei tribunali, il governo giapponese cercò di avviare pratiche per l'abolizione dei privilegi degli stranieri e delle giurisdizioni consolari, ma abbandonava l'iniziativa dopo essersi persuaso di non poter allora conseguire il proprio intento; e invece intensificava le riforme, aumentando la cooperazione dei giuristi e dei tecnici europei. Nel 1884 il tentativo fu rinnovato dal governo giapponese; ma avendo avuto da parte europea la controproposta di istituire i tribunali misti come in Egitto, abbandonò una seconda volta il negoziato, considerando il sistema delle giurisdizioni miste e della legislazione speciale per gli stranieri incompatibile con l'indipendenza e la dignità dello stato. Dopo che il Giappone ebbe condotto a termine vittoriosamente la guerra contro la Cina, la Gran Bretagna prima, e successivamente le altre potenze, aderirono a fissare un termine per la cessazione dei privilegi degli stranieri e delle giurisdizioni consolari; e, in seguito a tali convenzioni, a partire dal 1899, il Giappone ha conseguito, in quanto si riferisce alla condizione degli stranieri residenti nel suo territorio e all'esclusività del suo diritto di giurisdizione, la completa eguaglianza con gli stati di civiltà europea.
La guerra con la Cina aveva dato al Giappone nel 1895 la sovranità sull'isola di Formosa, e l'alta sovranità sulla Corea, che poi fu annessa all'impero il 22 agosto 1910. La guerra con la Russia aumentava la potenza giapponese sul continente asiatico, trasferendo all'impero i diritti russi sul territorio cinese dello Sham-tung al S. della penisola di Liao-tung. In seguito al trattato di Versailles, il Giappone otteneva il mandato sulle isole Caroline, sulle isole Marshall e sulle isole Mariane, eccettuata la più vasta, quella di Guam, che apparteneva fin dal 1898 agli Stati Uniti. Così il Giappone, come anche la Cina piu̇ recentemente, per effetto del movimento nazionalista, diventava un elemento sempre più importante nel giuoco della politica mondiale.
Non mancano però nell'Estremo Oriente elementi di contrasto. Pur senza tener conto dei porti cinesi dati in temporanea concessione ad altri stati e cîrca la restituzione dei quali pendono negoziati, e dei quartieri di alcune città concessi in amministrazione municipale internazionale o nazionale a gruppi stranieri di civiltà europea, per i quali la Cina insiste a volere la completa reintegrazione dell'esercizio della sua sovranità territoriale, quattro territorî vi restano sotto l'effettivo dominio europeo, e sono importantissimi elementi dell'equil-brio politico dell'Estremo Oriente: Hong-Kong; parte della penisola di Malacca e particolarmente Singapore; l'arcipelago delle Filippine; e le Indie olandesi.
Hong-Kong, non solo per la sua importanza economica, ma più ancora per quella commerciale e militare, è uno dei punti più importanti di collegamento del sistema imperiale britannico. La parte meridionale della penisola di Malacca sta acquistando, in quel sistema, per effetto della costituzione della base navale di Singapore, un'importanza destinata a superare quella che hanno Gibilterra e Malta insieme nel Mediterraneo.
Le Filippine, comunque si risolva la loro lotta per la completa indipenderiza politica, resteranno ancora per molto tempo una base militare di gran valore per gli Stati Uniti nell'eventualità di una lotta col Giappone.
Le Indie Olandesi, non solo perché costituiscono al S. del continente asiatico un territorio insulare da più di tre secoli soggetto alla stessa dominazione europea, ma anche per il fermento di idee politiche e sociali sviluppatosi di recente fra le popolazioni, assumono nel sistema politico dell'Estremo Oriente un valore che supera la loro importanza etnica e territoriale.
Fino al 1916 continuarono ad essere dominate con un sistema indiretto e decentrato di governo, ma senza autonomie costituzionali. Molti erano i capi locali indigeni che governavano le varie parti del territorio con diritto di successione. Nell'isola di Giava v'erano quattro principati, nelle altie regioni 299 territorî di varia estensione erano soggetti a questa forma di governo decentrato e subordinato. Nel 1916 era costituito il Volksraad, assemblea che entrava in funzione nel 1917 con competenza a discutere e approvare il bilancio e con facoltà puramente consultiva quanto alle materie più importanti di politica e di amministrazione.
Nel 1925 si ebbe la concessione di una vera costituzione che aggiunse ai vantaggi del governo decentrato alcune delle guarentigie costituzionali godute dalle colonie inglesi con istituzioni rappresentative, ma senza governo responsabile. La competenza legislativa restava ripartita fra il Volksraad composto di 61 membri, dei quali 38 eletti e 22 nominati, e il governatore generale (articoli 60-62 della costituzione olandese ed emendamento all'ordinamento indiano, Indische Staatsregeling, del 1925).
Caratteristica dell'amministrazione coloniale olandese è la poca importanza del pregiudizio del colore, e l'ammissione a partecipare alle funzioni legislative e amministrative, di indigeni ed Europei, con prevalenza numerica degli ultimi, ma considerando come tali anche gli Eurasiani, cioè i figli di padre europeo e di madre asiatica.
Le Indie olandesi in confronto agli altri possedimenti europei avrebbero, nell'eventualità di un conflitto con una grande potenza marittima, una scarsa potenza difensiva a causa della loro lontananza dalla madre-patria, le cui forze navali inoltre sono di modesta entità.
La superficie dell'intero dominio equivale a cinquanta volte quello della madre patria; la popolazione corrisponde a quasi sette volte la totalità della popolazione olandese, cioè cinquanta milioni di abitanti tra i quali solo 210.000 Europei e 700.000 Cinesi. Fra questi, soprattutto, il movimento di propaganda sovietica ha avuto di recente un successo che ha allarmato il governo olandese e non poco anche i governi dei territorî vicini, intravvedendosi in quelle manifestazioni l'opera di un centro di preparazione e di diffusione del contagio rivoluzionario politico e sociale in tutto l'Estremo Oriente.
Al Medio Oriente possono ascriversi, per la situazione geografica rispetto all'Europa, tutti i territorî asiatici che stanno a occidente della Cina e delle sue dipendenze, e ad oriente della Turchia d'Asia e della regione al S. di questa, bagnata dal Mediterraneo, e che sono delimitati dai territorî centrali della Siberia al N., e al S. dall'Impero anglo-indiano. Tutta questa regione centrale dell'Asia non è soltanto un'entità geografica, ma rappresenta, per l'interdipendenza etnica, politica ed economica delle sue parti, anche una entità storica. Dal N. grandi corsi d'acqua che scendono verso il S., il Volga nel Mar Caspio e l'Eufrate e il Tigri nel Golfo Persico, hanno tracciata e facilitata la via della migrazione verso S. di popoli originariamente viventi o successivamente stabilitisi nelle regioni settentrionali. Mentre tali migrazioni potevano procedere di là facilmente verso il Golfo Persico e l'Oceano Indiano, le steppe e i deserti a oriente, le alte catene di montagne e le steppe arabiche a occidente costituivano tanti ostacoli che bastavano a ridurre il Medio Oriente ad un quadrilatero irregolare di territorî segregati dalle regioni circostanti e collegati fra loro. Al fenomeno geografico ha corrisposto quello storico. A questa zona si rivolsero i tentativi di conquista indiana al N., e in essa si svolsero verso il S. le migrazioni conquistatrici degli Afghāni e dei Tartari, dirette verso l'India. Invece né l'India è stata mai conquistata dalla Cina, né questa da quella; e, fatta eccezione per l'invasione ellenica e la piccola propaggine greca della Battriana e della parte nord-occidentale dell'India, che fu sporadica, non si ebbe dall'Occidente una conquista estesa e durevole dell'India fino a quando il dominio del mare non rese possibili successivamente l'impresa portoghese, l'olandese, la francese e l'inglese, venute tutte, non dalle regioni vicine al Medio Oriente, ma da quelle del lontano Occidente.
Nel periodo a noi più vicino, la storia del Medio Oriente fu contraddistinta soprattutto dalla lotta d'influenza fra la Gran Bretagna e la Russia. Questa, che nel primo periodo della sua espansione asiatica si era mossa verso l'Oriente nelle regioni settentrionali dell'Asia, e che, soprattutto a partire dal sec. XVIII, aveva esplicata la propria azione in Mongolia e in Manciuria sempre più in direzione orientale fino alla guerra col Giappone, nel sec. XIX intensificava la propria attività nell'Oriente vicino e nel Medio Oriente sempre più verso il S.: là verso il Mediterraneo, e qui verso il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. L'espansione russa nel Medio Oriente fu intensificata dopo il 1856; cioè dopo che dalla guerra di Crimea e dal trattato di Parigi era stato impedito alla Russia di realizzare l'assoggettamento dell'impero ottomano. Ciò la decise a rivolgere le sue energie, compresse nell'Oriente vicino, verso il Medio Oriente, come linea di minore resistenza. Nella seconda metà del secolo XIX tutta la Transcaucasia era assoggettata ed organizzata come le regioni dell'impero. Nel 1854 era già apparso minaccioso il contatto russo coi khanati tartari dell'Asia centrale: nel 1868 l'impero russo imponeva la sua alta sovranità al khanato di Buchara e otteneva la cessione di quello di Samarcanda; nel 1873 di quello di Chiva; nel 1875 del Turkestān; e nel 1883 s'impossessava dell'oasi di Merv. L'avanzata nell'Asia centrale metteva la Russia a contatto con la Persia, con l'Afghānistān, e coi territorî già sotto influenza inglese al N. del Kashmīr. La Persia, già subordinata all'influenza politica della Russia col trattato di Turkmančai del 1828, diventava sempre più soggetta alla supremazia militare e finanziaria di Pietroburgo. La Gran Bretagna sentiva svilupparsi la minaccia che da quell'avanzata russa verso il S. derivava al suo impero indiano; e il conflitto fra i due imperialismi, l'uno superiore per il fattore etnografico, l'altro per il fattore economico e culturale, sì acuiva nel 1883 dopo l'occupazione russa dell'oasi di Merv. Seguirono varî negoziati per determinare le rispettive sfere d'influenza, nel 1885 e nel 1895; e l'Afghānistān fu considerato dai due rivali come uno stato-cuscinetto. Ma i rapporti fra i due stati mutarono radicalmente con l'accordo anglo-russo del 1907. Il comune sospetto della Germania, della sua penetrazione economica in Persia e della sua ferrovia di Baghdād, indussero i due rivali ad accordarsi, assicurando l'integrità della Persia, ma dividendone, dal punto di vista della penetrazione economica, il territorio in tre zone: quella settentrionale riservata alla Russia, quella meridionale all'Inghilterra, e quella intermedia considerata comune ai due stati. Dopo l'ultima guerra, il mutamento della dinastia persiana e il tentativo di ricostruzione politica e militare del paese resero più indipendente la politica della Persia, tanto da render possibile che nel 1927 il suo governo denunciasse le clausole dei trattati con gli stati europei relative ai privilegi degli stranieri e alle giurisdizioni consolari. Ma la gara tradizionale fra i due imperialismi fu ripresa fra la Gran Bretagna e la Russia sovietica appoggiata dalle repubbliche che, ad essa collegate, si son costituite nell'Asia centrale, dimostrando una volta ancora la legge di continuità della politica estera dei singoli stati, nonostante ogni mutamento della rispettiva costituzione interna, politica e sociale.
Al S., mutarono notevolmente le condizioni dell'Afghānistān e del Belūcistān. Questo, che un tempo dipendeva dall'Afghānistān, è passato gradualmente dal 1878 al 1903 sotto la sovranità anglo-indiana, con un territorio più vasto di quello dell'Italia, ma con una popolazione inferiore al milione di abitanti. Quello, rafforzato piuttosto che indebolito dalla perdita del contatto anche indiretto col mare, e dal conseguente carattere di stato in tutto continentale, si venne trasformando da campo delle competizioni coloniali anglo-russe che era stato prima, in stato indipendente e capace di provvedere efficacemente alla propria difesa. L'Afghānistān, con una superficie territoriale doppia di quella dell'Italia, e una popolazione, meno omogenea di quella della Persia, di circa sette milioni di abitanti, era stato considerato dalla Gran Bretagna come pertinente alla sua sfera di influenza; ma non si era mai adattato ad essere considerato come stato non indipendente; tanto che non volle mai concedere al governo anglo-indiano nemmeno il controllo del sussidio annuo di tre milioni di lire che gli era dato da quello per aiutarlo a provvedere alla propria difesa. Nella convenzione anglo-russa del 31 agosto 1907 la Russia aveva ammesso che l'Afghānistān dovesse considerarsi fuori della sua sfera d'influenza; ma la seconda parte di quel trattato rendeva più difficile di prima per la Gran Bretagna di farvi valere la sua alta sovranità, perché nell'articolo 5° implicitamente riconosceva l'indipendenza di quello stato; infatti il 20 agosto 1919 essa doveva adattarsi a stipulare un trattato col quale l'Afghānistān era esplicitamente riconosciuto come stato del tutto libero e indipendente. E tanto più completa risultava immediatamente tale indipendenza, in quanto nell'Afghānistān non erano mai state in vigore convenzioni attribuenti privilegi particolari ai sudditi della Gran Bretagna o di altri stati europei, né giurisdizione su quelli ai consoli rispettivi. Tale condizione di piena indipendenza era confermata all'Afghānistān col trattato del 22 novembre 1921, col quale i due stati si impegnavano a rispettare reciprocamente la propria autonomia interna ed esterna; a riconoscere l'intangibilità delle rispettive frontiere, salvo una lieve rettifica; a ricevere reciprocamente le legazioni rispettive a Londra, a Calcutta e a Kābul, e ad ammettere uffici consolari afghāni a Delhi, Calcutta, Karachi e Bombay, e uffici consolari anglo-indiani a Qandahār e a Jelalabad. Contemporaneamente era stipulato un trattato di commercio, ed erano avviati negoziati per una convenzione postale. Il titolo di re fu assunto nel 1926 dall'emiro dell'Afghānistān, che nel 1922 aveva trasformato il suo stato in una monarchia costituzionale con due camere e un gabinetto presieduto dallo stesso sovrano. Né la rivoluzione che obbligò il re Aman Ullah a rinunciare al trono, sembra aver fatto rinascere le antiche aspirazioni britanniche al predominio.
Altri due elementi importanti del Medio Oriente sono il Tibet e l'Arabia. La convenzione anglo-russa del 1907 impegnava le due parti contraenti a non iniziare negoziati col Tibet se non per il tramite del governo cinese. Ma dopo la rivoluzione, la Russia non si attenne più agli accordi del 1907 e si adoperò per estendere la sua azione nell'O. della Mongolia, dando così per il Tibet mano libera alla Gran Bretagna, che però si è limitata all'esercizio di una mediazione fra il Tibet e la Cina per deteminare i rispettivi territorî e i rispettivi poteri sovrani.
L'Arabia prima della guerra, eccettuato il dominio e protettorato britannico di ‛Aden al SO. e il sultanato di ‛Omān al SE., stato indipendente ma soggetto all'influenza britannica, formava nominalmente parte dell'impero ottomano; ma questo esercitava il suo effettivo dominio soltanto sui territorî costieri d'occidente bagnati dal Mar Rosso e su quelli d'oriente lungo il Golfo Persico, fino alle frontiere settentrionali del territorio di ‛Aden e del sultanato di ‛Omān. Tutta la vastissima zona interna dal deserto Siro al N., al golfo di ‛Aden e all'Oceano Indiano al S., era effettivamente indipendente. Nei territorî soggetti alla Turchia, l'emiro della Mecca, in seguito ad accordi presi nel 1915 colla Gran Bretagna, si ribellava l'anno dopo all'impero ottomano. In seguito alla cacciata dei Turchi ed alla lotta fra i principi indigeni, quei territorî centrali ed orientali dell'Arabia perdettero qualche parte, al NO. in favore della Transgiordania, ed al NE. in favore dell'Irāq; e risultarono divisi fra il sultanato del Neǵd, che si è annesso il regno del Ḥigiāz, formando un vastissimo stato con circa tre milioni d'abitanti; il protettorato inglese di ‛Aden; il Yemen (a cui apparterrebbe geograficamente ‛Aden e il suo territorio) che costituisce un imamato indipendente, con una superficie equivalente a più della metà di quella dell'Italia e una popolazione di quasi due milioni; e i sultanati di ‛Omān e di el-Kuweit: il primo, protettorato britannico di fatto, il secondo, di fatto e di nome. Anche con lo stato del Yemen, che gl'Inglesi designano come imamato di Ṣan‛ā dal nome della capitale, si è acuito nel 1926 un conflitto con gl'Inglesi per alcuni territorî contestati. Il sovrano di quello stato che si designa imām Yaḥyà, amīr al-mu'minīn, re del Yemen, e che come tale ha stipulato il 2 settembre 1926 un trattato di amicizia e di relazioni economiche con l'italia, nel quale era riconosciuta "la sua piena ed assoluta indipendenza", occupava da qualche anno alcuni territorî finitimi che l'Inghilterra rivendicava come pertinenti al suo protettorato di ‛Aden. Nel 1926 una missione inglese era inviata a Ṣan‛ā per far valere questa rivendicazione, ma non riusciva nel suo intento; e il governo britannico protestava minacciando di ricorrere alla forza. Nel settembre 1927 le truppe yemenite allargarono la loro zona di occupazione; e si ritirarono dai territorî nuovamente occupati soltanto sotto la minaccia di ostilità aeree. Il 9 febbraio 1928 gli yemeniti catturarono due capi arabi protetti britannici e, due giorni dopo una nuova intimazione, le forze anglo-indiane ricorsero alle già minacciate ostilità aeree contro Qataba nel territorio del Yemen. Comunque sia per risolversi tale conflitto (e la vittoria da parte inglese non può essere dubbia), esso è notevole soprattutto come una nuova manifestazione del contrasto che sempre più si va sviluppando nell'Asia in generale, e particolarmente in Arabia, fra il presupposto coloniale degli stati europei, e quello nazionale dei popoli indigeni e degli stati asiatici tuttora più o meno indipendenti.
La potenza attuale di ‛Abd al-‛Aziz ibn Sa‛ūd, che ora regna alla Mecca col titolo di re del Ḥigiāz e sultano del Neǵd e delle sue dipendenze, fu l'ultimo risultato della lotta di predominio fra i principi indigeni nella parte centrale dell'Arabia, che solo nominalmente apparteneva alla Turchia. Gia nel 1901 Ibn Sa‛ūd, allora ventenne, movendo da el-Kuweit dove la sua famiglia era vissuta in esilio, riconquistava er-Riyāḍ, capitale dello stato wahhābita che era appartenuto ai suoi antenati; e nel 1908 con altre vittorie ristabiliva completamente il proprio dominio sugli antichi territorî della sua dinastia. Nel 1914 toglieva la provincia di el-Ḥasā alla Turchia; poi si alleava alla Gran Bretagna. Nel 1919 un conflitto col Ḥigiāz per il dominio dell'oasi di Khurma precipitava la guerra fra Ibn Sa‛ūd e Ḥusein sovrano del Higiāz. Le vittorie riportate da Ibn Sa‛ūd su Ḥusein e i suoi alleati estesero dal 1920 al 1924 i dominî del primo: le sue truppe il 13 ottobre 1924 occupavano la Mecca, di cui egli prendeva personalmente possesso il 5 dicembre. Nel 1925, mediante un accordo colla Gran Bretagna, egli procedeva alla delimitazione della frontiera fra i suoi possedimenti e quelli dell'‛Irāq e nel gennaio del 1926 entrava in Gedda e vi era proclamato re, rendendo cosi il suo stato predominante fra tutti gli stati arabi e conseguendo una continuità di dominio territoriale fra il Mar Rosso e il Golfo Persico.
Gli sconfinamenti armati di alcune tribù wahhābite nell'‛Irāq e nella Transgiordania hanno nel 1928 destato qualche allarme nel governo britannico che tutela quei paesi in virtù del mandato. Ma il governo di Londra giudicò che si trattasse di moti impulsivi dei gruppi razziatori, piuttosto che dei primi accenni di un ritorno dello stato wahhābita al tentativo, già fatto al principio del sec. XIX, di conquistare quei due paesi, e all'ideale della piena indipendenza di un grande stato arabo.
Lo stato wahhābita che, come alleato della Gran Bretagna, ebbe da questa sussidî per 542.000 sterline dal 1917 al 1923 sotto la condizione di non attentare all'integrità degli stati vicini e di ricorrere ai consigli britannici nella sua politica estera, non aveva destato dopo il 1923 nel governo britannico sospetti di un mutamento così radicale della sua politica.
I mandati francesi della Siria e del Libano hanno completata in quella regione la disgregazione territoriale ottomana, che si era iniziata colla costituzione del Libano in provincia autonoma. Nel 1842, in seguito alle lotte armate fra Maroniti e Drusi, i consoli delle grandi potenze avevano proposto per la Siria un regime particolare; regime che, rinnovato e modificato nel 1844 in tutta la regione costiera, diede buoni risultati per sedici anni. Ma nel 1860 i torbidi si rinnovarono, e le grandi potenze affidarono a Napoleone III il mandato di pacificare quella regione e d'imporre alla Porta ottomana una modificazione del suo regime. L'agitazione era stata già sanguinosamente repressa dal governo turco mentre l'intervento francese si preparava; e quando questo si effettuò, i consoli compilarono due progetti di governo autonomo che furono presi in esame dagli ambasciatori accreditati a Costantinopoli, i quali ne prescelsero uno che ebbe la sanzione del governo ottomano e che portò alla costituzione in provincia autonoma, non già di tutta la Siria, ma soltanto del Libano, che ne costituiva un ottavo della superficie con un decimo della popolazione. La provincia fu affidata ad un governatore cristiano da nominarsi dal sultano con l'approvazione delle grandi potenze, e che, secondo lo statuto del 1861, doveva restare in carica un quinquennio, ma il cui periodo di governo fu prolungato dal 1864 a dieci anni. Le sue funzioni, limitate nel tempo, erano analoghe a quelle di un sovrano costituzionale assistito da un'assemblea elettiva costituita dai rappresentanti di tutti gli elementi etnici e confessionali della popolazione.
L'intervento francese del 1860 e la tradizione di più antiche ingerenze politiche e militari, hanno potuto essere invocati dalla Francia dopo l'ultima guerra per ottenere sulla Siria un mandato apparteneme alla categoria dei mandati A, che hanno lo scopo di preparare nel paese gli organi di uno stato autonomo, esercitandovi intanto temporaneamente, ma senza termine fisso, il protettorato.
Nella Palestina, durante l'ultimo periodo di dominio ottomano si era fatto qualche passo verso la trasformazione in provincia autonoma, costituendovi il distretto di Gerusalemme come provincia distinta da tutti gli altri territori turchi della Siria e della Palestina, alla diretta dipendenza del Ministero dell'interno di Costantinopoli. A questo regime, dopo la conquista della Palestina e i trattati di Sèvres e di Losanna, furono sostituiti due mandati A conferiti alla Gran Bretagna: uno per la Transgiordania ed uno per la Palestina. Essi devono portare allo sviluppo, sotto protettorato britannico temporaneo ma indeterminato nel tempo, di due altri stati, nel secondo dei quali si rende necessario un più lungo periodo di preparazione e di esercizio di suprema autorità da parte dello stato mandatario, per la difficoltà di eliminare gli attriti fra l'elemento arabo e l'elemento ebraico, e di conciliare l'esistenza di uno stato palestinese con quella della sede nazionale ebraica.
Il nuovo stato dell'‛Irāq, costituito dei vilāyet già ottomani di Baghdād, di Bassora e di Mossul, ha potuto soltanto nel 1926 definire l'assetto dei proprî confini. Ad occidente non sorsero contestazioni né col mandato francese della Siria, né con quello inglese della Transgiordania. Con la Persia si ebbero dissidî, non circa la frontiera, conservata secondo la delimitazione turco-persiana del 1914, ma circa la condizione dei sudditi dell'‛Irāq musulmani di rito sciita e circa la condotta del loro clero e la tutela di questo e dei luoghi santi sciiti di Karbalā, Negef, Sāmarrā e Kāẓimayn. Tali contese finirono coll'accordo del novembte 1923 applicato il 22 aprile 1924.
Più lenta e laboriosa fu la composizione delle controversie territoriali colla Turchia. Questa voleva estendere la sua sovranità territoriale fino al vecchio confine meridionale del vilāyet di Mossul, mentre l'‛Irāq e la Gran Bretagna pretendevano estendersi anche oltre la vecchia linea settentrionale di partizione amministrativa del vilāyet da quelli di Diyarbekir e di Van. Nel Trattato di Losanna s'era stabilito che la delimitazione sarebbe stata negoziata fra Turchia e Gran Bretagna e, nel caso di disaccordo, riferita al consiglio della Società delle Nazioni. Ma, sulla base della linea segnata dal consiglio, non fu possibile raggiungere l'accordo; e si ripresero i negoziati che approdarono il 5 giugno 1926 a una transazione che soddisfaceva in gran parte le pretese iraco-inglesi. Motivo precipuo di queste pretese era stata l'aspirazione al possesso dei bacini petroliferi. Alla Turchia restò una piccola parte del vecchio vilāyet di Mossul al S. dell'antica linea del suo confine settentrionale. Così, con poche modificazioni in favore della Turchia, diventò definitiva la cosiddetta linea di Bruxelles, che era stata proposta dal consiglio della Società delle Nazioni il 29 ottobre 1924 nella sessione straordinaria tenuta in quella città dal 27 al 31 ottobre (V. Toynbee, Survey of International Affairs, 1925, l; The Islamic World, pag. 471-531 e carta numero 3, Mossul).
Un ordinamento simile a quello iniziale del Libano si era tentato di dare all'Armenia per effetto del trattato di Berlino del 1878; ma le difficoltà di tale ordinamento erano state riconosciute implicitamente già dall'art. 61 di quel trattato che non parlava di Armenia, ma di "provincie abitate dagli Armeni"; infatti questi nell'Armenia turca non arrivavano a costituire la metà della popolazione totale. Nel 1880 il governo inglese ricordava al governo turco l'obbligazione, non ancora da quello adempiuta, delle riforme armene; in seguito a ciò si iniziarono inchieste e si avviarono studî; ma le riforme non furono decise ed applicate; e così si arrivò ai massacri armeni del 1905. Le riforme furono poi abbandonate come ormai inutili, dopo la promulgazione nell'impero ottomano della costituzione del 1908; ritenendosi non più necessaria l'adozione in Armenia, come non era necessaria la conservazione in Macedonia, di ordinamenti costituzionali di carattere locale, dal momento che tutto lo stato ottomano s'era trasformato in stato costituzionale. Con l'art. 88 del trattato di Sèvres la Turchia, uniformandosi all'azione già esplicata dalle potenze alleate, riconosceva l'Armenia come uno stato libero e indipendente. Ma nel trattato di Losanna del 24 luglio 1923, tali disposizioni del non ratificato trattato di Sèvres del 10 agosto 1920 non furono riprodotte; e l'Armenia restò in gran parte, come era stata prima della guerra, una irredenta dell'Asia. Una parte dell'Armenia, con una superficie eguale ad un ottavo di quella dell'Italia, e una popolazione di circa un milione e mezzo di abitanti e corrispondente ad un quarto del territorio designato come Armenia prima della guerra (la quale Armenia, prima della guerra, apparteneva per oltre metà alla Turchia, per oltre un terzo alla Russia e per il resto alla Persia), è ora una delle repubbliche sovietiche della Trascaucasia, federate all'Unione sovietica e con capitale Erivan. Alla Turchia restarono gli antichi distretti turco-a meni, e la nuova repubblica armena fu limitata nel possesso territoriale all'Armenia russa, meno il territorio già russo dipendente dal governo di Kars e il distretto di Surmali del territorio russo di Erivan, ociupati dalla Turchia nel dicembre 1920 e riconosciuti come territorio turco anche dalla Russia col trattato di Kars del marzo 1921.
I mandati francesi della Siria e del Libano e i mandati britannici dell'‛Irāq, della Transgiordania e della Palestina, insieme con le nuove condizioni dell'Asia Minore, nella quale si rafforzò per indipendenza di governo e per omogeneità di popolazione il dominio ottomano tanto ridotto di superficie, hanno completato il mutamento delle condizioni politiche dell'Asia nel Medio e nel vicino Oriente.
In sintesi, il più notevole mutamento nello sviluppo storico dell'Asia dalla metà del sec. XIX, può formularsi così. Allora l'Asia pareva ridotta a null'altro che ad un oggetto di dominio altrui e ad un campo di lotta fra i maggiori stati europei. Ora questa gara non è eliminata, perché, corrispondendo ad un determinismo che tutta la storia conferma, ciascuno stato europeo, pur sotto mutate forme costituzionali, vi continua, con logica e quasi fatale continuità, la propria politica estera. Ma questa gara è ora complicata dalle reazioni dell'elemento indigeno, così che il continente asiatico non può considerarsi più soltanto come un oggetto, ma va diventando sempre più un soggetto della politica mondiale.
Nell'Estremo Oriente, il Giappone, che ottant'anni or sono stava appena per schiudersi alla penetrazione europea, è un grande stato, entrato ormai con parità di diritti nella società internazionale, e per energie di cultura, per forze terrestri e marittime, fattore importantissimo della politica internazionale. La Cina, che alla metà del secolo scorso pareva precipitare nella decadenza politica e suscitava già nei grandi stati europei concorrenti e contrastanti velleità di dominio coloniale, è ora agitata da un fermento nazionalistico che rende molto più sicura che non fosse trent'anni or sono la conservazione della sua indipendenza. Nel N. del continente asiatico la formazione delle repubbliche sovietiche federate con quelle della Russia europea, rende quelle repubbliche, molto più che non fossero i dominî della Russia zarista, un elemento di indipendenza asiatica. Al S. la prosperità diffusa e la cultura, intensificate dal dominio britannico in India, vi hanno determinato un fermento di aspirazioni nazionali, che non ha potuto dare tutti i suoi risultati per effetto della divisione delle caste e della inimicizia fra indù e maomettani, ma che ha temperato già quei due elementi con un sentimento di solidarietà contro il sistema coloniale di governo, e, soprattutto dopo la partecipazione alla guerra, ha reso sempre più imperiosa per l'India l'aspirazione al conseguimento della dignità di dominion.
Ad occidente i territorî soggetti ai mandati inglesi e francesi, che appartengono al tipo A, sono già altrettanti stati che Francia e Inghilterra hanno il mandato di proteggere temporaneamente anziché di permanentemente governare. E l'Asia Minore, che pur durante la guerra le potenze alleate si dividevano in zone d'influenza e che, dopo la guerra, la Grecia credeva d'aver conquistata come elemento precipuo di risurrezione dell'Impero d'Oriente, è ora territorio omogeneo d'una Turchia nazionalista che ha dimostrato di avere armi ed armati sufficienti per difendervi la propria piena sovranità.
Fra tutti questi mutamenti, più notevoli e storicamente più fecondi sono quelli effettuatisi nell'estremo oriente e nell'estremo occidente del continente asiatico. Ad oriente il Giappone, diventato grande potenza, pur se non basta a realizzare l'imperialismo proprio, è forte abbastanza per potere - Gran Bretagna del Pacifico - contrastare gl'imperialismi altrui. Ad occidente la Russia comunista, succeduta alla Russia colonizzatrice degli zar, ha cessato di essere una barriera fra l'Asia e l'Europa ed un elemento di dominio di questa su quella; e, fornendo armi e munizioni e tecnica militare alle popolazioni vicine dell'Asia, vi ha prodotto un fattore senza precedenti di quel mutamento che tende a far corrispondere i fatti alle aspirazioni delle genti asiatiche all'indipendenza.
Questo contributo nuovo, e imprevisto prima della guerra, ha fornito ai popoli asiatici forze di resistenza e d'iniziativa che prima non possedevano. In un primo periodo prevalse fra quei popoli l'elemento negativo della reazione all'influenza europea, con la tendenza al fine ultimo della sua eliminazione. Successivamente si è manifestata, anche fra i popoli asiatici che a quella parevano refrattarî, la tendenza verso un fine positivo: quello della collaborazione coi popoli di civiltà europea, subordinata alla condizione della concessione alle popolazioni dei territorî soggetti a stati europei o agli Stati Uniti d'America, di tutte le garanzie costituzionali godute dai popoli di razza europea dei dominî britannici, e della ammissione di tutti gli stati asiatici indipendenti con piena parità di diritti nella mondiale società degli stati. A questo finiranno per tendere gli stati e i popoli asiatici sotto la guida dei gruppi più forti e più civili.
Altre tendenze più radicali e più catastrofiche si sono delineate o vanno delineandosi; ma difficilmente potranno prevalere. Il risentimento cinese per lo sfruttamento straniero e quello giapponese per il divieto d'immigrazione negli Stati Uniti d'America, per la crescente ripugnanza contro l'immigrazione nei dominions britannici e per il pregiudizio del colore, prevalente particolarmente tra gli Anglo-sassoni, hanno provocato nell'Asia orientale una forte reazione. Da tale movimento di reazione è derivato un movimento di concentrazione, il panasiatismo: "l'Asia degli Asiatici"; una nuova dottrina di Monroe vagheggiata dal mondo più vecchio per opporla soprattutto al mondo più nuovo.
Ma se si pensa all'orrore cinese per l'imperialismo giapponese e alle antinomie etniche e culturali fra questi due gruppi e i popoli dell'India e quelli dell'Asia centrale ed occidentale, si comprende quanto debba esser difficile che all'Asia entità geografica possa corrispondere un'Asia entità politica e sociale.
Lo stesso può dirsi del panturanismo, affermatosi fin dal secolo scorso nell'Asia settentrionale, centrale ed occidentale ed in parte dell'Europa orientale e centrale. Anche qui le diversità di religione, di favella, di civiltà, di tradizioni secolari e di psicologia collettiva, sia pure acquisita, rendono difficile l'effettuazione di questa sintesi politica e spirituale. Sono fenomeni (come l'etiopismo, cioè la lega dei neri di tutto il mondo sotto la guida dei neri intellettuali d'America e col motto "l'Africa degli Africani" assunto quale segnacolo in vessillo) che costituiscono maniiestazioni importanti di reazione collettiva, ma che hanno un significato prevalentemente negativo, e non riusciranno, per le antinomie dei fattori stessi che li producono, a costituire un piano positivamente efficace di realizzazione.
Difficile impresa fra tutte è la profezia; ma lo sviluppo storico del passato indica piultosto la tendenza a disegnare circoli concentrici a diametro sempre più ampio, fino a comprendere in un'unica cerchia di vita e di solidarietà sociale tutti i paesi del mondo. (V. Tavv. CLVII-CLXXX).
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Per le opere su argomenti particolari, v. la bibliografia delle voci dei singoli paesi e, inoltre, colonizzazione. Tuttavia, si indicano qui alcune opere che giovano a chiarire la tradizione e l'indirizzo politico dei principali paesi e il conflitto dei più importanti interessi in Asia. Per la politica di penetrazione ed espansione russa: F. H. Skrine e E. D. Ross, The Heart of Asia, Philadelphia 1899; A. R. Colquhoun, Russia gainst India. The struggle for Asia, Londra 1900; F. H. Skrine, Expansion of Russia, Philadelphia 1903; O. Hoetsch, Die Ausserpolitik Sovjetrusslands, Lipsia 1925. Per la politica inglese in Asia: A. R. Colquhoun, English Policy in the Far East, Londra 1885; J. Adye, Indian Frontier Policy, Londra 1897; H. J. S. Cotton, New India or India in transition, Oxford 1907; A. C. Lyall, The rise and expansion of the British Dominion in India, Londra 1907; F. A. Swettenham, British Malaya. An Account of the origin and progress of British influences in Malaya, Penang 1907; V. A. Smith, The Oxford history of India, Oxford 1923. Per la politica francese: C. B. Norman, Tong-Kin or France in the Far East, Londra 1884; Les colonies françaises, enciclopedia diretta da M. Petit, voll. 2, Parigi 1903 (con ampia bibliografia); H. Lorin, La France puissance coloniale, Parigi 1906; L'empire colonial français, opera pubbl. sotto il patronato del comitato France-Amérique, Parigi 1929. Per la politica coloniale olandese: H. Colyn, Nederlandsch Indië. Land en Volk, Amsterdam 1885; A. Cabaton, Java, Sumatra, and the other lands of the Dutch East Indies, Londra 1911; Ph. Kleintjes, Het Staats-recht van Nederland. Indië, Amsterdam 1911; Encyclopaedie van Nederlandsch-Indië, 2ª ed., L'Aia-Leida 1917-21. Per il Portogallo: C. F. Danvers, The Portuguese in India, Londra 1894; A. Marvand, Le Portugal et ses colonies, Parigi 1912. Per la politica degli Stati Uniti in Asia: F. C. Chamberlain, The Philippines Problem, Boston 1898; H. C. Potter, The East of to-day and to-morrow, New York 1902; C. Crow, America and the Philippines, New York 1914: J. S. Reyes, legislative History of America's Economic Policy towards the Philippines, New York 1923. Per la Cina e i suoi rapporti con le potenze europee, col Giappone e gli Stati Uniti, fra la copiosissima lettratura: H. Cordier, Histoire des relations de la Chine avec les Puissances occidentales, voll. 2, Parigi 1901-02; A. Galassi, I settlements europei... nella Cina, Firenze 1910; G. De Luigi, La Cina contemporanea, Milano 1912; H. B. Morse, The international relations of the Chinese Empire, voll. 3, Londra 1911-18; G. Z. Wood, China, the United States and the Anglo-Japanese Alliance, New York 1921; id., The Shantung Question, Londra 1922; Shi-Chang, China after the war, Pechino 1922; H. T. Hodgkin, China in the family of nations, Londra 1923; W. E. Soothill, China and the West, Oxford e Londra 1925; A. Dubosq, L'évolution de la Chine, Parigi 1926; H. K. Norton, China and the Powers, Londra 1927; F. Whyte, China and Foreign Powers: an historical review of their relations, Londra 1927. Per il Giappone e il suo sviluppo politico: T. Iyenaga, The constitutional development of Japan, 1853-91, Baltimora 1891; A. von Siebold, Der Eintritt Japans in das europäische Volksrecht, Berlino 1900; G. Abbott, Japanese Expansion and American Politics, Londra 1916; K. K. Kawakami, Japan in World Politics, Londra 1919; I. H. Gubbins, The Making of Modern Japan, Londra 1922; P. Bigelow, Japan and her colonies, Londra 1923; G. C. Allen, Modern Japan and its problems, Londra 1928. Per i paesi musulmani: F. Noyce, England, India and Afghanistan, Londra 1902; A. Wirth, Vorderasien und Ägypten in historische und politischer Hinsicht, Stoccarda 1916; A. Sidebotham, England and Palestine, Londra 1919; E. M. Earle, Turkey, the Great Powers and the Bagdad Railway, Londra 1923; H. C. Luke, Mosul and its minorities, Londra 1925; B. S. Tritton, The rise of the Imams of Sanaa, Londra 1926; A. C. Millspaugh, The American Task in Persia, Londra 1926.