Asia
Se la scoperta dell’America e la penetrazione europea nel Nuovo mondo non trovarono mai spazio negli scritti di M., delle relazioni che nel primo Cinquecento si instaurarono tra Europa e A. si incontrano tracce, dirette o indirette, almeno nelle sue corrispondenze. In missione diplomatica presso Cesare Borgia, nel novembre 1502, scrivendo da Imola alle autorità fiorentine, M. le informava di aver appreso, tramite «una lettera che veniva da Vinegia», «come quivi era nuove che in Portogallo erano tornate di Galigutte 4 carovelle di spezierie; la quale nuova aveva fatto calare assai di pregio le spezierie loro; il che era danno gravissimo a quella città» (LCSG, 2° t., p. 450). L’interesse per i commerci orientali, per le trasformazioni introdotte dai portoghesi in A. dopo il viaggio di Vasco da Gama e per il loro impatto sull’Europa dovette essere alimentato anche dai racconti del mercante Giovanni da Empoli, che viaggiò a lungo in Oriente e con il quale M. era in stretti rapporti (Scichilone 2012, pp. 50-51).
Nelle sue opere, comunque, M. limitò le proprie considerazioni politiche soprattutto all’impero ottomano e alle popolazioni del Vicino e Medio Oriente.
Ma questo non impedisce di supporre che, grazie alla loro precoce ricezione nella Penisola Iberica, a partire dagli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento i suoi scritti abbiano conosciuto diffusione e circolazione anche nei territori asiatici della corona di Portogallo. Se è vero che a oggi non ne sono state rinvenute attestazioni dirette per la prima metà del Cinquecento, meriterebbero tuttavia di essere approfonditi origine e significato dei frequenti richiami, nella corrispondenza delle élites imperiali portoghesi in India, ad antichi Romani come Scipione l’Africano e Furio Camillo (Municipio di Chaul al governatore dell’India João de Castro, 29 luglio 1547, in Colecção de São Lourenço, ed. E. Sanceau, 3° vol., 1983, pp. 281-83), che hanno una centralità in M., soprattutto nei Discorsi.
– Un viaggiatore fiorentino in India. Nonostante l’importanza dell’A. meridionale, e in particolare dell’India, per l’espansione europea nel Cinquecento, le tracce più evidenti di una circolazione asiatica di M. si incontrano in un autore per il quale, al pari di altri fiorentini, la lettura delle opere del grande concittadino, pur vietata, rappresentava un passaggio obbligato della propria formazione: il mercante Filippo Sassetti (→), raffinato umanista e studioso di Dante, che viaggiò e risiedette in A., dove trovò la morte, a Goa (India), nel 1588. Evidente è la reminiscenza delle pagine di M., che Sassetti doveva aver meditate a fondo in patria, nella comparazione dei costumi dei popoli asiatici che aveva incontrato lungo il suo cammino e che descrisse con dovizia di particolari nella corrispondenza con familiari e amici. Un’influenza del Principe, specie per la ripresa dello stile dilemmatico, era già visibile nel Discorso sul commercio tra i Toscani e i Levantini, scritto sul finire degli anni Settanta del Cinquecento. Ma fu soprattutto rispetto all’A. che emerse in tutta la sua intensità il rapporto di Sassetti con M., ancora prima della partenza, come mostra l’esplicita ripresa dal cap. xxv del Principe in una lettera scritta a Baccio Valori nel dicembre 1582, alla vigilia di salpare da Lisbona:
Non so oggi se io mi posso attribuire alla necessità o alla inclinazione, o a che altra causa, la mia tornata in India.
Trovai una volta scritto da uomo valente, che la fortuna, come femmina, avea bisogno talvolta d’essere strapazzata e tenersi poco di lei, e che così se le metteva il cervello a partito (F. Sassetti, Lettere da vari paesi 1570-1588, a cura di V. Bramanti, 1970, p. 335).
Una volta in A., proprio la lezione di M., accompagnata da assidui riferimenti agli antichi, agevolò in Sassetti la trasformazione dell’esperienza dell’incontro con gli abitanti della costa sud-occidentale dell’India in occasione di costante comparazione, secondo un movimento intellettuale evidente, per es., in questo passo che echeggia i Discorsi (II xvi):
Sono tutti gente di guerra e quando il loro capitano o re muore nella battaglia, sono obrigati andare a morire a volontà del lor signore: e chiamansi questi tali già destinati alla morte amocchi, e quel re che più ne tiene è più possente perché, stretto nella guerra, manda a morire contro ai nemici una banda di questa gente, qual pare a lui, i quali, non volendo morire senza vendetta, e avendo a morire a tutti i partiti fanno impeto terribile. Non fu dissimile a questo modo di fare, o almeno all’intenzione, un sacrifizio che di se stesso fece uno de’ consoli romani nella guerra de’ latini, ritirandosi già il suo corno della battaglia (Lettera a Pietro Spina, Kochi, genn. 1584, in F. Sassetti, Lettere da vari paesi, cit., p. 409).
Se nel Cinquecento non risultano esservi stati lettori non europei di M. in A., la situazione non muta per i secoli successivi dell’età moderna. Le sue opere continuarono tuttavia a circolare tra coloni e viaggiatori europei. Non sappiamo quando e dove abbia letto gli scritti di M. il veneziano Nicolò Manuzzi, enigmatico personaggio vissuto in India per quasi settant’anni, dalla metà del Seicento al 1720 circa, alternando l’attività di medico alla corte mughal, nell’India settentrionale, con quella di agente di varie potenze europee, portoghese prima, francese e inglese poi.
Fu autore di un’originale opera storico-descrittiva sull’impero mughal al tempo del sovrano Aurangzeb (1658-1707), la Storia del Mogol, che ebbe una tormentata vicenda testuale ma, pur restando manoscritta, conobbe riprese e derivazioni (S. Subrahmanyam, Three ways to be alien: travails & encounters in the early modern world, 2011, pp. 133-72). I costumi militari, ma ancor più gli intrighi politici che registrò, lo indussero a un assiduo recupero di M., in particolare del Principe, per interpretare attitudini e inclinazioni di imperatori e principi mughal. Aurangzeb è presentato come un sovrano che aveva saputo conquistare il potere su un impero senza pari in Europa, con calcolo, astuzia e inganni, senza risparmiare gli affetti più cari. «Tiranno», ma desideroso al contempo di «acquistar nome di giusto» (Storia del Moghol, a cura di P. Falchetta, 1986, 1° vol., pp. 162-63), «con disinvoltura, con pietà e con giustizia ha saputo e sa dare premii e castighi all’obbedienti e agli disobbedienti» (2° vol., p. 13), conservando così «la corona del suo regno contro la volontà di tanti mal contenti e principalmente d’i suoi proprii figli, degli quali dubita più che di nissun’altro» (2° vol., p. 76).
Operò a lungo proprio al servizio di uno di questi ultimi Manuzzi, che aveva ricevuto insistenti richieste di rimanere per sempre nell’India settentrionale. Scrivendo al suo riguardo nella terza parte dell’opera, inserì così un esplicito richiamo a M.:
La politica di questi principi della casa reale del Mogol è più che di Macchiavelli mentre che sono privati, perché non lassano modo intentato per aggradare a gli grandi e generali, cossì della corte come del regno, procurando di cattivargli l’animo e la volontà per averli in tempo di necessità della loro parte, e poi privatamente non rappresentano altro se non che qualità docili, civili e cortesi, con molta galantaria e urbanità, parlando e conversando con tutti familiarmente; ma tutta la di loro familiarità sta fundata ad allettare gl’animi non solo d’i grandi ma ancora della plebe (2° vol., p. 88).
Probabilmente, solo attraverso le traduzioni in arabo del Principe, che iniziarono a essere realizzate dalla prima metà dell’Ottocento, l’opera di M. ha conosciuto una qualche fortuna anche all’interno delle culture tradizionali nel mondo asiatico. Quindi, nel corso del Novecento, in particolare grazie al Principe, oggi tradotto in quasi tutte le principali lingue orientali, dal farsi al cinese, M. ha circolato sempre di più e rappresenta ormai un riferimento politico e culturale familiare in Asia.
Bibliografia: F. Sassetti, Lettere da vari paesi 1570-1588, a cura di V. Bramanti, Milano 1970; N. Manuzzi, Storia del Mogol, a cura di P. Falchetta, 2 voll., Milano 1986. Per gli studi critici si vedano: F. Gabrieli, Machiavelli nel mondo islamico, in Il pensiero politico di Machiavelli e la sua fortuna nel mondo, Atti del Convegno internazionale, Sancasciano-Firenze 28-29 sett. 1969, Firenze 1972, pp. 151-54; G. Marcocci, Machiavelli, la religione dei romani e l’impero portoghese, «Storica», 2008, 14, 41-42, pp. 35-68; La letteratura italiana in Cina, a cura di A. Brezzi, Roma 2008; G. Scichilone, Terre incognite. Retorica e religione in Machiavelli, Milano 2012; L. Biasiori, Comparaison comme estrangement: Machiavel, les anciens, les modernes, les sauvages, «Essais. Revue interdisciplinaire d’Humanités», 2013 (in corso di stampa).