ASIA
(IV, p. 839; App. I, p. 170; II, I, p. 274; III, I, p. 150; IV, I, p. 166)
Il termine Asia e il suo significato attuale. − La crescente diffusione delle informazioni ha proposto, in anni recenti, i paesi asiatici all'attenzione mondiale, anche quando le loro vicende non esprimevano realtà decisive per gli equilibri sociali, economici e politici. Nel campo delle scienze sociali, il termine A. è stato usato in genere con significati tutt'altro che uniformi, e non tanto per indicare l'estensione complessiva del continente nei suoi confini fisici tradizionali, bensì soltanto determinate parti di esso. Per esempio, ormai tradizionale è divenuta l'esclusione dall'A. della porzione appartenente all'URSS. In gran parte delle statistiche compilate nei paesi occidentali, dall'A. vengono esclusi gli stati socialisti del continente e anche, ma meno frequentemente, alcuni paesi arabi.
La stessa suddivisione del continente in grandi regioni economico-sociali-politiche non è uniforme nelle varie fonti, poiché le situazioni interne di alcuni stati si prestano a più di una interpretazione. Nel campo delle scienze sociali, il termine A. ha finito per indicare di preferenza quelle regioni e quei paesi che si può giustamente ritenere siano rimasti per le loro caratteristiche i più tipicamente asiatici, come l'A. meridionale (il subcontinente indiano) e l'A. di Sud-Est: che, sia pure con notevoli differenziazioni interne, rappresentano situazioni tipiche di una ''realtà asiatica'' in rapida evoluzione. L'A. meridionale e sudorientale sono infatti ancora oggi regioni di grandi masse contadine, spesso concentrate con altissima densità nelle zone più adatte alla coltivazione di cereali (in primo luogo il riso), in buona parte costrette in strutture economico-sociali oppressive che stentano a rompere il circolo vizioso creato dall'arretratezza tecnica, dalla fame, dalle malattie, dall'analfabetismo.
In questa sede − anche per il necessario collegamento con le informazioni precedenti − considereremo l'A. nei suoi confini fisici tradizionali, con la sola esclusione della porzione appartenente all'URSS. Date tuttavia le grandi differenziazioni umane che il continente presenta, le informazioni generali saranno, nei limiti del possibile, seguite da specificazioni relative a entità territoriali minori (stati o loro raggruppamenti).
Per quanto riguarda le differenziazioni del continente, appare opportuno riferirsi alla realtà di base costituita dagli stati esistenti e agli elementi di differenziazione derivanti dal modo di produzione che li caratterizza. Si possono allora distinguere nell'A. contemporanea tre principali partizioni costituite dagli stati che si rifanno rispettivamente al modo di produzione socialista, a quello capitalista ''centrale'' e a quello capitalista ''periferico''.
Appartengono al primo campo, sia pure con varie graduazioni, la Cina, la Mongolia, la Corea del Nord e il Vietnam. Si tratta per lo più di paesi che sono usciti dal campo del capitalismo periferico soltanto nel secondo dopoguerra (con l'eccezione della Mongolia, 1924). Nonostante recenti evoluzioni del sistema cinese, si può affermare che solo la Corea del Nord sia riuscita a industrializzarsi in maniera consistente, mentre gli altri conservano, sia pure a livelli e in forme notevolmente diversi, molti caratteri delle economie sottosviluppate. Dopo aver cercato di uscire da tale situazione mediante gli strumenti tipici della pianificazione socialista e dopo aver preso come fondamento l'industrializzazione centrata sui settori pesanti e strettamente collegata allo sviluppo agricolo, in qualche caso (e in modo più accentuato la Cina) questi stati hanno fatto ricorso alla collaborazione con i paesi capitalisti, sia pure alternando fasi di avvicinamento a bruschi ripiegamenti sulle antiche impostazioni. La Cina comunque − anche senza considerare le sue dimensioni, che la differenziano dagli altri paesi − sembra aver innescato nel suo sistema socio-economico una serie di meccanismi i cui effetti potranno essere solo ritardati dalla repressione dei moti studenteschi del 1989. Vicini al campo socialista si possono collocare Cambogia e Laos, e anche la Birmania, seppure le tormentate vicende di queste regioni abbiano spesso costretto le autorità di governo a privilegiare scelte economiche di drastica sopravvivenza, derogando dalle impostazioni politico-ideologiche.
L'abbandono del campo del capitalismo periferico è piuttosto recente per altri paesi la cui situazione è in evoluzione, sia nel Vicino Oriente (Siria), sia nel Golfo Arabico (Iran), come nel caso dell'Afghānistān. Al settore capitalista continua ad appartenere, con evidenti diversificazioni, il resto dell'A. dove il capitalismo cosiddetto centrale ha sostanzialmente due rappresentanti: il Giappone, seconda potenza economica mondiale, e Israele, la cui economia è fortemente sovvenzionata dall'esterno. Oggi solo esigui lembi d'A. costituiscono vere e proprie dipendenze coloniali: la colonia britannica di Hong Kong (1070 km2), destinata a essere ricongiunta alla Cina entro il 1997; la provincia d'oltremare portoghese di Macao (17 km2), che passerà egualmente alla Cina nel 1999. Il Brunei è dal 1984 una monarchia indipendente nell'ambito del Commonwealth britannico. Il resto dei paesi asiatici ha conquistato l'indipendenza politica precedentemente (molti nel decennio 1960-70), ma spesso le conseguenze del neocolonialismo condizionano la loro vita economica.
Negli ultimi quindici anni, pur persistendo nella maggior parte degli stati, gli squilibri economici hanno assunto forme e manifestazioni diverse: accanto a paesi in cui ancora prevale il settore primario, al quale si affianca un ipertrofico settore terziario, ve ne sono altri nei quali la crescita del settore industriale è stata impetuosa, anche se subordinata in buona parte agli interessi dei paesi capitalisti occidentali e a quelli delle grandi multinazionali. Basti pensare al crescente rilievo acquisito nel commercio mondiale dai manufatti dei paesi NIC (Newly Industrialized Countries): Corea del Sud, Taiwan, Singapore; cui si aggiungono Hong Kong e, per alcuni aspetti, la Thailandia. Hong Kong (sia pure con le incertezze dovute al previsto ricongiungimento alla Cina) e Singapore svolgono anche rilevantissime funzioni finanziarie che ne rendono più complessa la struttura economica. In generale siamo comunque lontani dalla situazione creatasi nel periodo coloniale, quando, nel loro insieme, i paesi asiatici erano soggetti alle potenze europee o agli Stati Uniti e fungevano da fornitori di materie agricole o minerarie e da acquirenti di manufatti. Tramite accordi internazionali o apposite organizzazioni come l'OPEC, anche i paesi produttori di fonti di energia (come quelli arabi del Golfo Arabico) hanno saputo svincolarsi in buona misura dalle condizioni dettate dalla domanda, valorizzando le proprie risorse naturali. Questo non significa che per gran parte dei paesi dell'A. siano scomparse del tutto le condizioni di subordinazione nei confronti delle aree forti del mondo; tuttavia, la situazione è ora molto più variegata rispetto al passato e, soprattutto, in continua evoluzione.
Geografia fisica.- L'approfondimento delle conoscenze scientifiche sull'ambiente naturale dell'A. e sulle risorse è continuato e si è arricchito nell'ultimo quindicennio grazie sia alla creazione di nuovi centri di osservazione, di moderni e attrezzati istituti di ricerca, dove agiscono ormai in maggioranza studiosi e ricercatori autoctoni, sia alla disponibilità di migliori strumenti tecnici per rilevamento dati, per osservazioni e fotografie dai satelliti artificiali.
Importante è stato anche il lavoro di alcuni enti di ricerca istituiti con il concorso di più paesi, nonché di altri centri, emanazioni di organizzazioni internazionali: essi hanno effettuato ricerche e promosso studi che hanno portato a numerose realizzazioni; anche se − occorre dirlo − non pochi progetti sono rimasti sulla carta. Molti degli elementi raccolti sono stati sistematicamente riportati, in anni diversi, negli atlanti nazionali di cui vari stati asiatici sono riusciti a dotarsi. In diversi paesi si è proceduto a una utilizzazione pianificata delle risorse naturali, con l'avvio di censimenti dettagliati dei suoli e delle risorse e di prospezioni geologiche di porzioni sempre più ampie del territorio nazionale. Oltre al Giappone e a Israele, si segnalano i programmi avviati (e in parte realizzati) dalla Cina, dall'India e da molti paesi arabi. L'URSS ha contribuito in misura cospicua allo studio delle condizioni naturali di numerosi paesi asiatici, socialisti e non. Molte informazioni sui risultati raggiunti non sono pubblicate per motivi strategico-militari (è il caso della Cina e degli stati del Golfo Arabico) e spesso non è consentita la libera circolazione di carte geografiche di grande scala. Per questo motivo è difficile conoscere con esattezza alcune recenti tendenze della politica agricola e dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo, mentre relativamente più accessibili risultano i dati sulle risorse naturali sfruttabili o sulla possibilità di allargamento delle colture, sia pur riferiti a grandi regioni fisiche o all'A. nel suo complesso.
Si può così valutare che l'A. contenga circa il 50% delle riserve petrolifere naturali (con una prevalente concentrazione nella parte sud-occidentale), il 10÷12% delle riserve di tutti i combustibili solidi, il 35% dell'energia idraulica potenziale, il 15% delle riserve di legname. Le prospezioni condotte nei territori di molti paesi asiatici e nei mari circostanti hanno comportato il ritrovamento di numerosi e talvolta cospicui giacimenti minerari (Mar Rosso, Golfo Arabico, India, Pakistan, Malaysia, Indonesia, Cina).
Le modificazioni antropiche di ambienti naturali sono proseguite intensamente anche sotto la spinta della crescita demografica che caratterizza la maggior parte dei paesi asiatici. Le più cospicue sono quelle relative a fiumi e laghi; la costruzione di centrali idroelettriche ha dato origine a numerosi nuovi laghi artificiali; la regimazione dei fiumi, attuata per ridurre gli effetti delle piene e per l'utilizzazione delle acque nei periodi di siccità, ha contraddistinto soprattutto i paesi monsonici, mentre le dighe di maggior portata sono state costruite in India e in Cina (oltre al completamento di quelle in Pakistan). Grandi estensioni hanno raggiunto anche le zone rimboschite e, in genere, le aree forestali sottoposte a sfruttamento controllato, specie nell'A. meridionale e sudorientale. Allo scopo di difendere le aree costiere dalle inondazioni marine, notevoli arginature sono state realizzate in Vietnam e nel delta del Gange; mentre grandi estensioni hanno raggiunto le terre irrigue, oggi pari a circa la metà delle terre coltivate, con prevalenza in Cina, Giappone, Pakistan, Bangla Desh, Israele, India, ῾Irāq e Iran.
Per quanto riguarda l'impatto ambientale di alcune attività umane, danni crescenti agli ecosistemi si stanno verificando un po' dovunque a causa dello sviluppo produttivo. Oltre al gravissimo inquinamento di molte aree urbane e industriali del Giappone e delle acque marine circostanti, sono da segnalare i deterioramenti, più recenti, della valle dell'Indo, delle isole di Giava e Sumatra (Indonesia), di Taiwan e della Corea del Sud, nonché del Golfo Arabico, ove l'inquinamento marino provocato dal traffico delle petroliere è crescente. In molti paesi mancano quasi completamente politiche per la salvaguardia dell'ambiente, e il degrado prosegue, nella generale indifferenza, senza alcun intervento da parte delle autorità. Alcune gravi forme di inquinamento causate volutamente dall'uomo (come quelle provocate dalla guerra del Vietnam o, molto più recentemente, dal conflitto con l'῾Irāq) sono state parzialmente affrontate e, alcune volte, sanate. Altre gravi distruzioni ambientali, come per esempio quelle derivanti da conflitti su larga scala, hanno interessato i territori dell'῾Irāq e dell'Iran, quelli del Laos e della Cambogia, nonché buona parte del Libano.
Geografia della popolazione e delle sedi.- In A. vivono attualmente circa tre miliardi di persone, oltre la metà del totale mondiale (circa il 60% nel 1988, contro il 56% nel 1970 e il 55% nel 1960). Fra il 1970 e la fine degli anni Ottanta la popolazione asiatica è aumentata a un tasso medio annuo intorno al 2% e che, sia pure tendenzialmente decrescente, si è mantenuto superiore al coefficiente medio di accrescimento annuo mondiale, che si è stabilizzato sull'1,7%. Tra i grandi paesi, il Giappone si discosta in misura notevole dalla media complessiva, con un tasso vicino a quello dei grandi paesi industrializzati (0,7%), mentre Iran e India, per esempio, superano il 2,6% e la Cina si colloca a un tasso dell'1,2%. I massimi tassi d'incremento si registrano tuttora nell'A. sudorientale e in quella meridionale, ossia in regioni nelle quali è concentrata oltre la metà della popolazione asiatica, con densità che sono fra le maggiori del mondo e con tassi di ruralità molto elevati.
Il continuo incremento della popolazione ne ha ulteriormente aumentata la densità, peraltro già elevata (ora si è sui 69 ab./km2). Le punte principali (escludendo le aree urbanizzate di Hong Kong e Singapore, che si avvicinano ai 5000 ab./km2) si raggiungono, per quanto riguarda i paesi con almeno venti milioni di abitanti, nel Bangla Desh (748), a Taiwan (550), nella Corea del Sud (429). Da notare che il Giappone ha ormai raggiunto i livelli dei paesi europei maggiormente popolati. Si deve comunque notare che oltre ai valori assoluti sono da valutare quelli relativi alle aree coltivate, nelle quali le densità sono di norma altissime, come accade nelle pianure irrigue o in certe zone rurali insulari (per es. a Giava). L'incremento della popolazione, tipico nel comportamento demografico dei paesi in via di sviluppo, contrassegna ancora in misura rilevante molti paesi asiatici, sebbene politiche di contenimento delle nascite siano messe in atto un po' dovunque, con l'eccezione dei paesi musulmani. L'abbassamento dei livelli di natalità realizzato per esempio in Cina e, in minor misura, in India, è dovuto oltre che a misure demografiche in senso stretto, all'eliminazione in vaste aree dell'analfabetismo, al miglioramento delle condizioni nelle aree rurali e al potenziamento dell'apparato produttivo. L'A. meridionale mostra tuttora tassi di natalità molto elevati, paragonabili a quelli dell'A. sudorientale (dal 35 al 40‰); a questi alti valori si accompagnano pure accentuati tassi di mortalità (14÷16‰). Per quanto riguarda i fenomeni migratori, considerevoli flussi in uscita caratterizzano paesi, come il Bangla Desh, ove le risorse locali non tengono il passo con l'incremento demografico. Al contrario, sono meta di flussi d'immigrazione città-stato come Hong Kong e Singapore, o i grandi esportatori di fonti di energia, come i paesi del Golfo Arabico, o ancora, alcuni paesi nei quali si manifesta un flusso migratorio di natura religiosa (come in Israele). Vari altri paesi, travagliati da conflitti in atto o dalle loro conseguenze (come Libano, Afghānistān, Cambogia o il Vietnam con il fenomeno dei boat-people), registrano un consistente esodo di popolazione.
Quanto al fenomeno urbano, va ricordato che l'urbanesimo ha avuto le sue origini e le sue prime grandi manifestazioni proprio in Asia. È però in questo secolo che si è verificata una vera e propria corsa verso le città, e questo flusso ha dato luogo a fenomeni di abnorme crescita urbana. Tali fenomeni, tuttavia, più che dalla localizzazione urbana degli impianti industriali, sono stati determinati da un'immigrazione più o meno caotica di contadini in cerca di un affrancamento dalle condizioni di miseria esistenti nelle campagne.
In anni più recenti le grandi città, con le loro funzioni complesse, hanno potuto costituire anche un bacino di domanda di lavoro appetibile, ma solo in quelle aree e in quei paesi dove i processi di sviluppo si sono affermati secondo modelli economici evoluti. Quanto ai principali agglomerati urbani asiatici, si possono citare quelli cinesi di Shangai (circa 12,5 milioni di ab.), di Pechino (11 milioni) e Tianjin (con circa 8,5 milioni); di Tokyo (circa 12 milioni), parte dell'enorme conurbazione della costa meridionale di Honshu che comprende inoltre i centri di Yokohama e quelli di Osaka-Kōbe-Kyoto, per un totale di oltre 50 milioni di persone; di Sŏul, nella Corea del Sud, con circa 10 milioni di residenti. Di dimensione analoga sono alcuni agglomerati urbani dell'India, come Calcutta e Bombay, mentre Delhi si colloca poco al di sotto. In Indonesia spicca Giacarta (8,5 milioni), in Pakistan, Karachi (6,5 milioni), in Thailandia, Bangkok (6 milioni), in Iran, Teheran (oltre 6 milioni), in Turchia, Istanbul (intorno ai 6 milioni), ecc.
Condizioni economiche. - La struttura economica dell'A. conferma tuttora il primato dell'agricoltura, nonostante gli indubbi progressi nell'industrializzazione. I dati, riferiti agli attivi che operano nel settore primario, raggiungono valori molto elevati in alcuni paesi dove i livelli di sviluppo sono ancora bassi (come nel Bangla Desh, dove circa l'80% della popolazione attiva è occupata in agricoltura). Valori rilevanti nonostante gli sforzi per differenziare l'economia presentano anche colossi come l'India e la Cina; si tratta, in generale, di un settore primario poco evoluto sul piano tecnologico e spesso socialmente molto arretrato, con bassa produttività e il cui contributo alla formazione del prodotto interno lordo risulta di gran lunga inferiore alla percentuale degli occupati nel settore. In altri paesi a struttura economica evoluta, come Giappone e Israele, a una bassa percentuale di attivi nel primario corrisponde un pari contributo dello stesso alla formazione del reddito. Nell'A. sudoccidentale lo sviluppo indotto dal petrolio ha comportato una spinta verso gli altri due settori dell'economia in conseguenza dei flussi finanziari di cui hanno potuto beneficiare.
Al secondo posto, in termini di occupati, si colloca il settore terziario. Lo sviluppo di questo comparto produttivo è legato non tanto all'affermazione di nuove attività moderne, quanto all'esistenza di una miriade di occupazioni per lo più precarie o ai limiti della legge. Anche in questo caso fanno eccezione quei paesi, sopra citati, che si pongono ormai su livelli avanzati di diversificazione economica.
Il settore secondario è quello che ha manifestato i maggiori incrementi nell'ultimo quindicennio, registrando talvolta, come nel caso dei ''quattro dragoni'' (Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore), ritmi di crescita fra i più elevati a livello mondiale. Nel frattempo il Giappone ha consolidato la propria posizione, collocandosi, in molti settori, subito dietro gli Stati Uniti o addirittura al primo posto nel mondo per quanto riguarda un'ampia gamma di prodotti di avanguardia. In genere, con l'eccezione di alcuni paesi dell'A. meridionale e sudorientale, un po' tutti i paesi asiatici hanno compiuto progressi verso il rafforzamento delle strutture economiche, relativamente più solide rispetto a gran parte dei paesi africani o dell'America meridionale, anche se non va dimenticato che, specie nei paesi in via di sviluppo, i valori medi nascondono la presenza di forti divaricazioni interne, con strati sociali che accrescono il proprio livello di ricchezza e altri che rimangono in uno stato di indigenza.
Il settore primario. − Secondo quanto riportano le fonti statistiche internazionali (ONU e FAO), soltanto il 15% della superficie territoriale dell'A. sarebbe attualmente utilizzato per i seminativi e le colture permanenti. Un altro 20% sarebbe occupato da prati e pascoli, un 21% da foreste; mentre il rimanente sarebbe costituito da terre incolte o improduttive. Si tratta comunque di dati generali che hanno un valore puramente indicativo, dal momento che nella realtà i singoli stati registrano percentuali assai diverse tra loro: per es. il territorio utilizzato per i seminativi è pari a poco più del 10% della superficie totale in Cina e supera il 50% in India. Altri indici, come quelli relativi alla superficie media di terreno coltivato pro capite per ciascuno stato, possono essere più significativi: ebbene, nell'A. meridionale e sudorientale la quantità di terreno agricolo a disposizione della popolazione rurale è di oltre 50 volte inferiore a quella dei paesi sviluppati. Inoltre, bisogna considerare che, nonostante i progressi compiuti, in genere si tratta di un'agricoltura ancora in gran parte basata sul lavoro manuale, con limitato uso di mezzi meccanici, di prodotti chimici e di tecniche moderne, e pertanto a bassa produttività, con rese medie che (per es. nel settore dei cereali) sono inferiori del 50% circa rispetto a quelle delle agricolture evolute dell'America settentrionale o dell'Europa. L'arretratezza tecnica è spesso accompagnata da rapporti di produzione agrari che ritardano i miglioramenti delle attività agricole. Se si escludono i paesi socialisti che hanno trasferito la proprietà della terra allo stato, le riforme agrarie, pur dando luogo a una vasta rete di cooperative, non hanno risolto i vecchi problemi. Più notevoli e più diffusi gli effetti dei miglioramenti tecnici (le varie rivoluzioni verdi), che hanno portato all'introduzione di nuove varietà e di nuove tecniche colturali, il più delle volte appannaggio delle aree rurali più evolute, dati i costi di gestione più alti e l'esigenza di manodopera specializzata.
Le fondamentali produzioni agricole non hanno presentato variazioni notevoli nell'ultimo quindicennio: di gran lunga prevalenti continuano a essere le coltivazioni di cereali, tra le quali domina sempre il riso (91% del totale mondiale), seguito a buona distanza dal frumento (35%). Il primo costituisce la base dell'alimentazione rurale, mentre il secondo è consumato soprattutto nelle aree urbane. In aumento l'importanza del mais (23% del totale mondiale), mentre vanno declinando miglio, sorgo, orzo e manioca. Vari paesi non sono autosufficienti e devono ricorrere al mercato internazionale per il fabbisogno interno. Altre produzioni sono dirette essenzialmente all'esportazione: la più importante è sempre quella del caucciù (92% sul mondiale), concentrata nel Sud-Est. Seguono la iuta (96%), diverse oleaginose (tra cui la copra − oltre l'80% −, le arachidi, la colza, il sesamo − intorno al 50% −, l'olio di palma e la soia), il tè (80%). In diminuzione, ma sempre rilevanti, le produzioni di olio di cocco, di spezie, di datteri, mentre sono cospicue quelle di tabacco, cotone, canna da zucchero, che hanno registrato anche miglioramenti qualitativi.
L'allevamento registra un patrimonio assai cospicuo in termini di capi (circa il 50% del patrimonio mondiale di caprini, il 30% di bovini e suini) anche se la qualità delle razze non è sempre la migliore; mentre i paesi asiatici forniscono oltre 1/3 del pescato mondiale.
Il settore secondario.- Il settore industriale che nelle forme moderne rappresenta un elemento nuovo per molti paesi asiatici, ha visto aumentare quasi ovunque la sua importanza grazie alla valorizzazione delle risorse locali, sulla spinta della nuova divisione internazionale del lavoro conseguente alle crisi energetiche degli anni Settanta. Spesso lo sviluppo industriale, tumultuoso e squilibrato specie dal punto di vista territoriale, si è basato sui differenziali di costo del lavoro; non sono però mancati i casi di valorizzazione delle risorse naturali locali ( in primo luogo le petrolifere). Non di rado per stimolare le iniziative locali è stato deciso l'intervento tecnologico e finanziario esterno. Oltre ai paesi europei e agli Stati Uniti, un ruolo di primo piano, specie nell'A. sudorientale e meridionale, è stato giocato dal Giappone, che ha qui ribadito la propria egemonia economica, contribuendo a rafforzare quell'area del Pacifico che sembra avviata a rivestire sempre maggiore importanza fra le aree forti del mondo. Se lo sviluppo industriale giapponese è avvenuto all'insegna di una gestione capitalistica estremamente dinamica (e talvolta aggressiva) dominata dai grandi gruppi, in altri casi l'industrializzazione è stata vincolata a una politica dirigistica (come in Cina) o caratterizzata (come in India) da forme miste di conduzione. Verso la fine degli anni Sessanta compaiono sulla scena asiatica i paesi NIC (Newly Industrialized Countries), la cui industrializzazione, vivificata da investimenti esteri, appare subito aggressiva, fortemente proiettata verso l'esportazione con manufatti che, dati i bassi costi della manodopera e i conseguenti prezzi contenuti, divengono ben presto competitivi sui mercati mondiali. Protagonisti durante gli anni Settanta saranno i ''quattro dragoni'' o le ''quattro tigri'', come vengono denominati facendo ricorso alla simbologia estremo-orientale, la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore. La successiva comparsa di altri paesi emergenti che cercano di seguirne l'esempio (Thailandia, Filippine, Malaysia, Indonesia, ecc.) acuiscono le condizioni di concorrenza e spingono i NIC a ricercare una migliore collocazione sul mercato mondiale, avviando un modello di sviluppo meno squilibrato (Corea del Sud, Taiwan) o cercando sbocchi sul mercato delle transazioni finanziarie (Singapore e Hong Kong, anche se per quest'ultimo il previsto ricongiungimento alla Cina pone più di un interrogativo). Bisogna aggiungere che, per quanto riguarda un buon numero di paesi, la crescita industriale, più o meno marcata, degli ultimi quindici anni non ha portato ancora a strutture organiche capaci di imprimere loro un accelerato processo di sviluppo, ora per i bassissimi livelli di partenza (per es. Pakistan, Srī Lanka e soprattutto Bangla Desh) ora per i conflitti che li hanno interessati (Iran, ῾Irāq, Afghānistān, Cambogia, Laos, Vietnam). Si può segnalare, infine, il caso della Turchia, che affida le speranze di un definitivo decollo economico più all'Europa (e in particolare alla CEE) che non ai suoi partners asiatici.
Fra le risorse del sottosuolo, il prodotto minerario estratto in maggior percentuale rispetto al totale mondiale continua a essere lo stagno (circa il 50%). A esso segue il petrolio, con una quota pari al 35% del totale mondiale; primeggia nell'estrazione l'A. sudoccidentale con i paesi gravitanti sul Golfo Arabico, che costituiscono il serbatoio energetico del pianeta, seguita dall'A. meridionale e sudorientale, con produzioni più modeste ma in crescita. Notevoli anche le produzioni di tungsteno e di magnesite, di cromo e di antimonio.
Per quanto riguarda i prodotti dell'industria, poche sono le graduatorie che non siano dominate dal Giappone, dalla siderurgia alla cantieristica, dalla produzione di auto e di prodotti elettrici ed elettronici, dai prodotti chimici a quelli tessili. Un discreto livello, in alcuni settori, raggiungono anche India, Cina, Turchia e i citati NIC.
Il settore terziario.- Il terziario rappresenta un settore realmente produttivo solo per i paesi sviluppati, in quanto affiancato a un forte settore industriale. Fanno eccezione, per un processo di terziarizzazione assai evoluto, le due grandi piazze finanziarie di Hong Kong e Singapore, ove il comparto riveste un ruolo di primo piano all'interno del sistema economico, mentre l'industria si è sviluppata quasi di riflesso. Oltre al cosiddetto terziario avanzato, affermato oltre che nei due paesi sopra citati in pratica soltanto in Giappone e in Israele, meritano particolare attenzione i trasporti, le comunicazioni e il commercio con l'estero.
L'A. offre un esempio molto chiaro di come la morfologia influisca sul sistema delle comunicazioni, rendendo difficili i collegamenti per via terra sia sulla direttrice Nord-Sud sia su quella Sud-Ovest. Non va però sottovalutato l'influsso delle divisioni politiche (il frazionamento dell'A. centro-meridionale ha impedito a lungo comunicazioni dirette), soltanto attenuate in questi ultimi anni, e degli interessi strategico-militari ancora vivi, specie nell'A. sudoccidentale e in quella sudorientale. Grande importanza rivestono inoltre le scelte politiche relative al sistema dei trasporti, che hanno di volta in volta privilegiato la ferrovia o la strada, e gli interessi delle grandi società multinazionali tendenti a collegare in primo luogo le aree dotate di risorse naturali con i porti d'esportazione. Le comunicazioni ferroviarie si sono sviluppate in modo più contenuto rispetto al passato, avendo, per es., la Cina pressoché completato il programma di accessibilità delle regioni interne e l'India realizzato alcuni miglioramenti qualitativi in un sistema che è fra i più organici di tutto il continente (dei circa 62.000 km di rete, circa 6.000 sono ora elettrificati). In Giappone prosegue il gigantesco programma di potenziamento delle ferrovie, con comunicazioni rese più efficienti e veloci mediante linee direttissime, totalmente automatizzate, percorse da treni velocissimi. In molti paesi è proseguito il programma di ammodernamento della rete stradale, che consente di collegare agevolmente il Mediterraneo all'India e a Singapore, l'India alla Cina attraverso le valli tibetane. I trasporti stradali, comunque, non sono in grado di far concorrenza alle ferrovie e ai trasporti fluviali per il traffico di merci e passeggeri. Gli autoveicoli circolanti si aggirano sui 72 milioni (ma di questi ben 48 nel solo Giappone); il numero di abitanti per autoveicolo è di 37, contro una media di 3 per l'America Settentrionale e di 4,5 per l'Europa. Il traffico sulle vie di comunicazione marittime ha continuato a crescere: le rotte sono dominate dalla flotta giapponese, che supera i 40 milioni di tonnellate di stazza (al secondo posto nel mondo dopo la Liberia); notevoli progressi sono da registrare nelle flotte della Cina, della Corea del Sud, della Turchia, dell'India, delle Filippine, dell'Arabia Saudita e degli altri paesi esportatori di petrolio. Il traffico verso il Mediterraneo si è giovato dei lavori di ampliamento del canale di Suez, mentre sono numerosi i porti che sono stati ammodernati e resi più adatti al traffico mediante containers e un moderno naviglio specializzato. Fra i principali scali spiccano quelli giapponesi (Chiba, Kawasaki, Nagoya, Yokohama, Osaka e, soprattutto, Kōbe, che si colloca, con New York e subito dopo Rotterdam, fra i maggiori porti mondiali); in Cina spicca Shanghai; in India Bombay; in Thailandia, Bangkok; a Taiwan, Kaohsiung, mentre Kharg (Iran), prima dei danni riportati per il conflitto con l'῾Irāq, era il capofila dei numerosi porti petroliferi del Golfo Arabico, tutti resi funzionali alle esigenze attuali del traffico di idrocarburi. Anche il traffico aereo ha registrato consistenti incrementi, oltre che sul circuito artico verso il Giappone, sulle rotte meridionali, servite da compagnie di bandiere asiatiche (nipponiche, indiane, arabo-saudite) e da compagnie europee, americane e australiane. Alcuni aeroporti internazionali (Dubai, Karachi, Bangkok, Hong Kong) svolgono un ruolo di smistamento anche verso l'Australia. In continuo aumento i voli charter turistici, che hanno per mete principali l'A. meridionale e sudorientale.
Il quadro politico. − L'A., nell'ultimo quindicennio, è stata l'epicentro di alcuni importanti avvenimenti di politica internazionale che hanno comportato anche gravi sconvolgimenti regionali, senza però mutare sostanzialmente il quadro politico-territoriale. Nel periodo 1975-80 sono da ricordare la conquista del Vietnam del Sud da parte di quello del Nord, con la conseguente riunificazione del paese sotto il governo di Hanoi (1976); l'annessione del Sikkim all'Unione Indiana (1975), che ha fatto salire a 22 il numero degli stati federati; l'assorbimento di Timor (già portoghese) da parte dell'Indonesia (1976), dopo che l'Irian Jaya era già stato incorporato nel 1969; la spartizione tra ῾Irāq e Arabia Saudita del territorio neutrale compreso tra i due paesi. Fra i mutamenti interni, da segnalare che, nel 1976, la capitale delle Filippine è stata trasferita da Quezon City a Manila; e che nel 1979, in seguito all'allontanamento dello scià, è stata proclamata la Repubblica Islamica dell'Iran. Con la legge del Parlamento israeliano (Knesset), Gerusalemme (30 luglio 1980) è stata proclamata capitale d'Israele e città unica e indivisibile, aumentando lo stato di tensione col mondo arabo. In seguito (1981), lo stato di Israele ha annesso la regione del Golan, occupata fin dal 1967: formalmente non si parla di annessione, ma di estensione della legislazione nazionale anche a quel territorio, teatro di aspri combattimenti con le truppe siriane.
Nel 1982 scoppiano alcune guerre locali che arrestano il proces so distensivo in atto. Il Libano è sconvolto da una guerra sanguinosa, iniziata fin dal 1975 con le lotte interne fra fazioni e con l'invasione siriana dell'anno successivo, cui si è contrapposto (1982) l'intervento israeliano diretto soprattutto contro l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Altre guerre, iniziate a partire dal 1979 in maniera sommessa o strisciante − l'occupazione dell'Afghānistān da parte delle truppe sovietiche, della Cambogia a opera dell'esercito vietnamita − si sono drammaticamente acuite; così come il conflitto tra ῾Irāq e Iran, in breve divenuto uno dei più rilevanti fattori di instabilità nel delicato scacchiere del Golfo Arabico, riporta a livelli non raggiunti da tempo la tensione fra le grandi potenze.
Nel 1983 il Brunei, già sultanato autonomo protetto dalla Gran Bretagna, è entrato a far parte della comunità internazionale co me stato indipendente, aderente al Commonwealth. Nello stesso anno si acuisce la crisi di Cipro: la sezione turco-cipriota dell'isola ha proclamato unilateralmente la propria indipendenza, dando ori gine alla Repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta dalla Turchia, ma non da Grecia e Gran Bretagna, entrambe garanti dell'indipendenza di Cipro in base al trattato del 1959, col quale si poneva fine alla sovranità britannica.
Nel 1984 i primi ministri di Cina e Gran Bretagna firmano a Pechino una dichiarazione congiunta che restituirà Hong Kong alla Cina il 1° luglio 1997; le autorità cinesi hanno garantito che l'ex colonia resterà ''capitalista'' almeno fino al 2047, in base alla formula "uno Stato, due sistemi". Intanto, alla metà degli anni Ottanta, proseguono violenti i contrasti fra Siria e Israele; fra Iran e ῾Irāq prosegue, intensificandosi, la ''guerra dimenticata'' anche per l'atteggiamento fanatico del governo di Teheran. Si manifestano sanguinosi contrasti fra Tamil e Singalesi nello Srī Lanka e, oltre che in Cambogia, in Birmania, militarmente occupata da truppe vietnamite. Prosegue anche l'occupazione sovietica in Afghānistān con l'opposizione sempre più tena ce dei mujahidīn. Mutamenti positivi invece in India, dove la strut tura federale (passata col Mizoram a 23 stati) sembra resistere effi cacemente ai movimenti centrifughi; in Cina, dove alcune riforme economiche aprono spiragli verso forme più democratiche di gestione del potere; e nelle Filippine, dove è caduta la dittatura di Marcos, sostituita da una democrazia ancora debole, minata com'è da mo vimenti secessionisti e dalla guerriglia.
Nel biennio 1986-88 i conflitti che hanno travagliato vari paesi asiatici, e che hanno costituito un continuo, grave pericolo per gli equilibri mondiali, hanno mostrato (con l'esclusione del Libano, sempre più coinvolto in una tragica guerra civile) una spiccata tendenza ad avviarsi verso soluzioni negoziate. L'atteggiamento più distensivo delle due superpotenze, USA e URSS, ha aperto nuovi spazi all'opera mediatrice dell'ONU, fino ad allora piuttosto avara di risultati. Si sono conclusi, infatti, i lunghi e disastrosi conflitti tra Iran e ῾Irāq; sono state ritirate le truppe sovietiche in Afghānistān (ma non è cessata la guerriglia) e quelle vietnamite dalla Cambogia. In Libano continua invece la sanguinosa guerra civile che ha portato alla distruzione delle principali città, mentre le truppe siriane tentano di imporre la pace con sistemi repressivi. L'area palestinese è nel frattempo contrassegnata dal sollevamento della popolazione araba dei territori occupati (intifāḍa). Repressioni si sono verificate nel Tibet, da parte dei Cinesi; nel Timor orientale, da parte dell'esercito indonesiano. L'Unione Indiana è sempre travagliata da movimenti separatisti (specie dai Sikh del Pānjab), mentre sono arrivati a 25 gli stati federati (si sono aggiunti Arunachal Pradesh, e Goa, Diu e Daman, prima direttamente dipendenti dal governo centrale). Nel 1987 Cina e Portogallo hanno firmato un accordo per il quale il territorio di Macao sarà restituito alla Cina nel 1999 e potrà conservare (come nel caso di Hong Kong) l'attuale sistema economico e sociale per almeno cinquant'anni.
Infine nel 1990-91 scoppia la crisi del ''Golfo''. L'occupazione del Kuwait da parte delle truppe irachene, avvenuta nell'agosto 1990, innesca la più grave crisi mediorientale dal secondo dopoguerra, culminata nel gennaio-febbraio 1991 con un conflitto che ha visto impegnato un massiccio corpo di spedizione internazionale con l'egida dell'ONU, unificato sotto il comando statunitense, per la liberazione dello sceiccato arabo. Duramente sconfitto sul fronte militare, il regime iracheno ha represso nel sangue le rivolte interne che ne sono seguite; in particolare l'insurrezione dei Curdi è stata soffocata dall'intervento della Guardia nazionale che ha provocato la morte di decine di migliaia di persone e l'esodo dal Kurdistan iracheno di alcune centinaia di migliaia di abitanti (v. anche guerra del golfo, in questa App.).
Bibl.: A. Kolb, East Asia, Londra 1971; G. Myrdal, Saggio sulla povertà di undici paesi asiatici, Milano 1971; J. E. Spencer, W. L. Thomas, Asia, East by South, New York 1971; B. Cohen, Monsoon Asia. A map Geography, Londra 1972; J. Dupuis, L'Asia meridionale, Milano 1973; J. Barrau, L'Asie du Sud-Est, berceau cultural, in Etudes rurales, Parigi 1974; W. G. East, O. H. K. Spate, C. A. Fisher, The Changing map of Asia, Londra 1974; P. Gourou, La terra e l'uomo in Estremo Oriente, Milano 1974; Enciclopédie de la Pléiade, s.v. Géographie Régionale, Parigi 1975; J. Pezeu-J. Massabuau, Pays et paysages d'Extrème-Orient, ivi 1977; E.H.G. Dobby, Southeast Asia, Londra 1978.
Fonti statistiche: Asia yearbook, Hong Kong 1975; Economic bulletin for Asia and the Pacific, Bangkok; Foreign Trade Statistics of Asia and Far East; Statistical yearbook for Asia and the Far East, Bangkok; The Far East and Australasia, Londra.