ASKLEPIEION (᾿Ασκληπιεῖον)
Nome generico d'ogni santuario di Asklepios. La sua parte costitutiva, cioè il suo nucleo più antico, risulta generalmente di una fonte o pozzo con un altare chiusi da un sacro recinto ove cresce un bosco sacro; così testimonia Pausania per Epidauro, così è stato assodato in Coo (Arch. Anz., 1903, p. 9). Se tale disposizione è rimasta negli A. più poveri o più eccentrici, nelle grandi città e dove le condizioni o la fama contribuirono a creare maggiore ricchezza, si svilupparono santuarî sontuosi e complicati. Tale fu certo il caso degli A., a noi noti, di Atene, di Epidauro e di Coo. Il nucleo originario viene generalmente incluso in un tempio di cui costituisce la parte recondita e sacra (ἄβατον, v. Adito); presso il tempio o i templi (per le divinità minori che accompagnano Asklepios) era indispensabile la costruzione di stanze o di porticati, generalmente esposti a mezzogiorno, destinati alla degenza dei malati che attendevano il loro turno per accedere al tempio; e infine tutte quelle costruzioni relative al culto o ad abitazione o a qualunque altro scopo, che richiedeva un santuario in funzione.
Il malato, presentatosi o trasportato alla porta del recinto, veniva accolto dal sacerdote o dal neocoro se ritenuto degno; evidentemente l'elemosina doveva avere parte importante in questa prima fase. Poi passava nel sacro ospedale, dove, sempre sotto la guida sacerdotale, veniva sottoposto a lavacri e a digiuni generalmente di tre giorni. Ridotto nelle condizioni di purezza richieste, sacrificava una vittima ad Asklepios, e, entrato la sera nell'ἄβατον, distendeva spesso la pelle della vittima stessa a terra o su letti di pietra ivi preparati e cercava di dormire. Tutto il nodo della guarigione consisteva nel sogno che il malato, o per lo stato di debolezza suo proprio, o per la posizione incomoda cui era costretto, o per l'impressione misteriosa che il silenzio notturno del gelido tempio poteva operare su di lui (e naturalmente i sacerdoti avranno cooperato possibilmente ad accentuare queste impressioni) inevitabilmente avrebbe fatto. Al mattino poi il sacerdote, interpretando il sogno stesso, stabiliva, come noi diremmo, la diagnosi e la ricetta. Questa, in linea generica, la prassi di un Asklepièion. Il malato che ne usciva guarito, oltre a lasciare il segno della sua riconoscenza ai rappresentanti del dio, doveva spesso fare incidere la storia della propria guarigione sopra una tavola di marmo o sopra una colonna che si conservava nel tempio. Si narra appunto che Ippocrate apprendesse o perfezionasse la propria scienza medica studiando tali iscrizioni; delle quali sono rimasti lunghissimi esemplari in Epidauro (Inscr. Graecae, iv, 951 ss.).
In queste condizioni, e dato che la funzione d'un santuario di Asklepios si fondava piuttosto sulla religione che sulla scienza propriamente detta, non era strettamente necessario che il sacerdote del tempio, il quale o a vita, o a carica annuale, o anche nominato in seguito a compra della carica eseguita da lui stesso, si trovava in ogni A. e veniva assistito da sacerdoti minori o sacrestani, fosse anche medico. Solo di rado si trovano coesistenti le due prerogative (per esempio, Senofonte sacerdote e medico di Claudio, Callifonte a Cnido).
Oltre i tre santuarî più famosi sopra ricordati, può esser fatta menzione di quelli di Tricca, di Sicione, di Cillene, di Titane, di Kleitor, di Messene. Altri sorgevano in moltissime isole, tra cui Creta (Lebena), in Asia Minore, in Cirenaica, nella Magna Grecia (Metaponto e Reggio).
Bibl.: E. Thraemer, in Pauly-Wissowa, II, cc. 1662-1677, s. v. Asklepios; P. Cavvadias, Les fouilles d'Épidaure, Atene 1893; id., Τὸ ἱερὸν τοῦ Ασκληπιοῦ, Atene 1900; le iscrizioni medicali, in Inscr. Graecae, IV, 951 ss.; A. Defrasse e H. Lechat, Épidaure, Parigi 1895; P. Girard, L'Asklépieion d'Athènes, Parigi 1881; Versakis, in Ephemeris Arch., 1908, 255; 1912, 43; 1913, 52. Per Coo, Arch. Anz., 1903, p. 1 ss.; W. R. Paton-E. L. Hicks, Inscriptions of Cos, Oxford 1891; A. Maiuri, Nuova silloge epigrafica di Rodi e Cos, Firenze 1925; R. Herzog, in Abhandlungen der Preuss. Akademie, 1928.