Vedi ASKLEPIOS dell'anno: 1958 - 1958
ASKLEPIOS (᾿Ασκληπιός)
Divinità, il cui nome è di etimologia incerta e oscura, che ebbe in origine carattere ctonio (sotterraneo) e fu poi posta, dal mito ellenico, in stretta relazione con Apollo nella sua accezione di guaritore; quindi patrono della medicina e titolare di luoghi di culto dove si praticavano riti salutari di carattere magico e onirico (incubazione; v. Asklepieion; Epidauro). Secondo la tradizione più diffusa A. era detto figlio di Apollo e di Koronis (Coronide), la quale fu trafitta poi da Artemide; Apollo salvò l'infante traendolo dal grembo della madre, la cui salma era già posta sul rogo, e lo affidò al centauro Chirone che gli insegnò la medicina. Avendo A. osato far rivivere un morto, fu fulminato da Zeus.
Il culto di A. era in origine un culto eroico della Tessaglia giacché Podalirio, menzionato nell'Iliade col fratello Macaone come figlio di A. (Il., iv, 193; 504), è detto signore di Trikka (cfr. anche ii, 729); ma nella tradizione omerica solo l'arte della medicina esercitata da Macaone riconnette A. con il concetto che poi gli sarà sempre proprio. È in esso probabilmente da riconoscere un eroe salutare, con paralleli in molti culti locali greci (Anfiarao in Beozia, Iatros e Aristomachos di Maratona in Attica, il panellenico Paièon). Il culto di A. è passato dalla Tessaglia al Peloponneso attraverso Delfi, dove è avvenuto il processo d'inserimento di A. nella cerchia apollinea e si è formata la saga di A. figlio di Apollo, connessa poi artificialmente con Epidauro attraverso la figure di Phlegias, padre di Aigla-Koronis, madre di A.; Phlegias per primo avrebbe consacrato un altare ad Apollo Maleatas. Epidauro, che ricevette, con Messene, il nuovo culto, ne divenne dalla fine del VI sec. la metropoli, tanto da eclissare anche la originaria Trikka. Da Epidauro, città portuale, il culto si diffonde per via marittima: in Attica il primo santuario ufficiale è nella zona del porto, mentre ad Atene il culto penetra dapprima con carattere privato, per inserirsi poi, non senza contrasto, intorno al 417, nell'ambiente di Eleusi. Nelle isole, A. è venerato particolarmente a Paro, connesso al culto di Apollo Pythios, a Coo, a Creta (Asklepièion di Lebena), a Rodi, donde forse al principio del IV sec. passa all'Asia Minore. Altrove si associa e si confonde con il culto prestato ad Eracle in relazione alle acque salutari, a Trezene si sostituisce al culto di Ippolito. Nessuna tradizione mitica precisa concerne la paredra di A., Igea, considerata a volte sposa, a volte figlia del dio (v. Igea); lo stesso può dirsi delle figlie Panakeia, Iaso e Akeso.
Culto recente, quello di A., non affonda le sue radici nel patrimonio tradizionale della mitologia panellenica e, pertanto, l'iconografia relativa, che inizia sostanzialmente con l'età classica, non si è stabilita attraverso una lunga gestazione ed elaborazione. Da rilevare come non esistano documenti iconografici diversi dalle statue di culto o dalle rappresentazioni delle funzioni iatriche: la figura di A. non è mai connessa a narrazioni episodiche che concernano lui o altre divinità: A. nell'arte figurata non vive la vita propria del mito. Perduta la più antica documentazione relativa al santuario di Epidauro, non resta per l'arcaismo alcun riferimento possibile ad una iconografia di A. nella tradizione monumentale, mentre quella letteraria permetterebbe di risalire a data notevolmente remota. Lo xòanon di Titane (Paus., ii, 11, 6) sembra la più antica immagine di culto di cui ci resti memoria; successivamente è menzionato tutto un gruppo di immagini dei primi decennî del V sec.: l'A. con Igea ex voto di Mikythos a Olimpia, opera del bronzista Dionysios di Argo (Paus., v, 26, 2), l'A., pure con la paredra, opera di Kolotes (Paus., v, 29, 1), un rilievo, e, dello stesso maestro, l'A. di Cillene (Strab., 337). La tipologia dell'A. seduto sarebbe stata iniziata da Kalamis con l'A. di Sicione (Paus., ii, 10, 3), imberbe e di aspetto giovanile. La figura di A. comincia dunque presto ad interessare le maggiori personalità artistiche, a quel che sembra con varianti tipologiche essenziali: il dio stante isolato, in coppia con Igea, seduto in trono. Di questi più antichi esemplari non siamo in grado di trovare riscontro nelle immagini del dio pervenuteci; fra le più antiche si è considerato l'A. facente gruppo con Igea del museo di Torino, ma si tratta in realtà di una copia scarsamente caratterizzata, inserita in un pasticcio antoniniano. La tipologia è, comunque, non lontana da quella di Zeus, carattere che, escluse poche figure imberbi, l'iconografia di A. conserva sempre. La coincidenza è a base della discussione sull'esegesi del cosiddetto Zeus di Dresda, in cui si è anche riconosciuto un A.; in esso la concezione dell'ambiente fidiaco avrebbe attribuita al nume della medicina la serena e benevola, ma distaccata, maestà olimpica. Sappiamo che un A. era stato eseguito da Alkamenes per Mantinea (Paus., viii, 9, 1) e la notizia concorre a dimostrare l'interesse per la figura di A. negli artisti attici, anche prima dell'introduzione del culto ufficiale in Atene. Una complessa genesi e un incontro di tradizioni diverse nella scultura attica portano alla definizione dei più antichi tipi di A. a noi noti attraverso copie: il tipo Orlandi, noto solo per la testa e il tipo "Giuntini"-Uffizî-Venezia, in cui è fissata un'iconografia rimasta, per molta parte, pressoché canonica. Il nume stante, con il lungo bastone sotto l'ascella destra (che non costituisce un vero e proprio appoggio) e un ritmo di panneggio che ha come termine fondamentale l'incontro fra il rotolo orizzontale alla cintura e la caduta verticale di pieghe dalla spalla sinistra. Le varianti della testa (la più coerente è quella della copia degli Uffizî) si spiegano con la diffusione del tipo, molto amato nell'antichità; certo l'archetipo era una statua di culto, come indica la riproduzione in rilievi nell'Asklepièion di Atene e il numero delle repliche di dimensioni anche minime L'A. del museo di Napoli, assunto dal Thraemer come esempio fondamentale del suo Schema I, è assai probabilmente una interpretazione ellenistica amplificata. Il tipo è stato utilizzato in età romana come statua iconica per ritratti, sembra, di medici (Vaticano, Braccio Nuovo). L'immagine era certamente isolata, ma anche la fine del V sec. produsse un gruppo del dio e della paredra, opera di Nikeratos, che, al tempo di Plinio (Nat. hist., xxxiv, 88), era a Roma. Non è tuttavia possibile ancora attribuire con precisione a singoli artisti qualche immagine di A.; certo alla fine del sec. V si verifica una variante iconografica, derivata dal tipo "Giuntini"-Uffizî-Venezia, invertendo lo schema e portando il bastone sotto la spalla sinistra, con logiche conseguenze per la ponderazione, il ritmo del panneggio, i particolari. Dai due tipi anzidetti derivano ancora le varianti con il corto bastone cui il dio si appoggia con la mano, rispettivamente destra o sinistra. La iconografia con il bastone lungo è documentata da diverse repliche (Sparta, Albani, Capitolino, Rossie Priory). Nel IV sec. il tema di A. è stato svolto da alcune fra le maggiori personalità artistiche; di Skopas sono menzionati due gruppi: per Tegea (Paus., viii, 47, 1) con A. ed Igea stanti, ai lati di Atena, e per Gortys (Paus., viii, 28, 1) con A. imberbe seduto in trono e Igea stante. Si è identificato (Wolters) l'A. di Tegea nel torso del Pireo (con testa d'intonazione patetica, per quanto non si tratti di copia diretta, ma di una rielaborazione di scuola) per la presenza dello sfumato di origine prassitelica. Con maggior fondamento si è riconosciuto (Furtwängler, Arndt, Becatti) il gruppo di Gortys in due copie, alquanto scadenti (Vaticano, Gall. Statue, Ny Carlsberg): il dio, seduto, ha nella sinistra il bastone col serpe, la paredra, di dimensioni minori per isocefalia, è appoggiata lateralmente alla spalla di Asklepios. Per la prima volta si attua un vero gruppo, non la semplice paratassi di due statue singole. Un altro gruppo, per Megara (Paus., i, 4, 6) e un A. isolato eseguì Bryaxis (Plin., Nat. hist., xxxiv, 73) e un A. (o Ippolito) a Trezene era opera di Timotheos (Paus., ii, 32, 3). L'attività di questo scultore nell'Asklepièion di Epidauro ha indotto ad attribuire alla sua influenza alcuni rilievi trovati nel santuario, dove peraltro sappiamo che la statua criselefantina di culto era stata eseguita da Thrasymedes, figlio di Arignotos pario (Paus., ii, 27, 4), il quale aveva rielaborato il tipo olimpico dello Zeus fidiaco e forse per questo, una tradizione (Athenagoras, Legat., 14) lo faceva passare per opera di Fidia. Conosciamo il tipo da riproduzioni monetali: il dio in trono, con la patera nella destra, teneva lo scettro nella sinistra alzata; la gamba destra era ritratta; presso il trono stava il serpente sacro; press'a poco la tipologia dello Zeus in maestà, che l'opera di Fidia in Olimpia aveva reso canonica. Può ricondursi a questo tipo la statua seduta con scettro di Ny Carlsberg, per quanto non sia mancata un'attribuzione al secolo precedente (Lippold). Il solo artista di rilievo che non abbia affrontato direttamente il tema sembra sia stato Prassitele, del quale però esisteva una statua di Trophonios simile ad un A. (Paus., ix, 39, 4). Questa notizia conferma che la tipologia di A. influenzava quella di divinità similari, sì da autorizzare il dubbio (Hausmann) se veramente in ogni caso noto si tratti di immagini di Asklepios. Difficile sembra attribuire a Prassitele l'A. di Melos, che per lo sfumato e il rendimento delle chiome meglio si classifica nella produzione della seconda generazione del prassitelismo; esso testimonia la nuova concezione del dio, che nella dolcezza dell'espressione accentua l'umanità, differenziandosi dalla severità distaccata delle precedenti statue di culto. Kephisodotos il Giovane aveva del resto, a quanto riferisce Plinio (Nat. hist., xxxvi, 24), eseguita una statua di A. associato ad Artemide, che, in età imperiale, era a Roma. Nel sec. IV abbiamo ricordo anche di immagini di A. in pittura, il che non era avvenuto precedentemente (la figura di A. è estranea al repertorio della ceramica dipinta); si ricordavano un A. dipinto da Omphalion, scolaro di Nikias (Paus., iv, 31, 10) e un gruppo di A. con le quattro figlie, dipinto dal virtuoso Nikophanes, allievo di Pausias (Plin., Nat. hist., xxxv, 147); qualche pittura campana che ripete il gruppo di A. e di una dea non sembra potersi riferire a questi archetipi, ma a fonti ellenistiche; sembra assodato che il soggetto non ha interessato i grandi pittori greci e ciò forse per la mancanza di contenuto narrativo nella saga di Asklepios. Nemmeno ha interessato Lisippo e la sua scuola, alla quale si può ricondurre indirettamente solo il gruppo esistente ad Argo di A. seduto accanto a Igea in piedi, opera di Xenophantos e Straton (Paus., ii, 32, 3) derivato probabilmente dall'archetipo di Skopas per Gortys. Una serie notevolissima di varianti tipologiche si trova nei rilievi votivi dedicati nel corso del IV secolo. Non è detto che tutte corrispondano ad altrettanti temi trattati dalla plastica maggiore, ma esse indicano tuttavia come il soggetto, ormai divenuto familiare per la diffusione del culto sempre più capillare, esercitasse la fantasia di artisti di ogni livello. L'estraneità rispetto alle immagini cultuali risulta almeno per alcuni rilievi assai noti: quello del Pireo, con il dio in atto di guarire, mediante l'imposizione delle mani, una donna immersa nel sonno dell'incubazione sacra; quello ora nella Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen, dove il dio è addirittura sottinteso e il miracolo della guarigione si verifica davanti ad un albero cui si avvolge il serpente sacro. In altro rilievo il dio cura, sempre mediante l'imposizione delle mani, il braccio di un paziente. Dei rilievi citati il primo è uno dei più antichi, del principio del secolo, il terzo si pone verso la metà; al decennio 370-60 si data l'archetipo dell'affollato rilievo con A., devoti e figli e figlie proveniente da Thyrea: il nume è appoggiato al lungo bastone con la spalla sinistra, fortemente inclinato col tronco in avanti; qui sembra evidente l'origine da un tipo statuario, così come in altro rilievo con schema inverso, e in un terzo, del 310 circa, dove la figura è senza appoggio; certamente un'immagine di culto è replicata nei rilievi con A. seduto e Igea in piedi, databili intorno al 330. Senza appoggio è la statua di Poggio Imperiale, mentre un tipo affine (Museo Nuovo dei Conservatori) ha il bastone come semplice attributo, senza funzioni statiche; si è pensato per questi tipi, dubitativamente, a Leochares. Alla fine del secolo appartengono inoltre un rilievo di Berlino, che ripete sostanzialmente il tipo "Giuntini" e il bellissimo A. da Emporion, a Barcellona, la più antica fra le immagini di A. rinvenute in Occidente, costruita con ritmo a spirale e panneggio avvolgente, autonoma nella ponderazione, il che ha suggerito di pensare ad influenza lisippea (Süsserott). Anche più distaccato dalla tradizione è il tipo Pitti, con il tronco curvo e la mano sinistra che serve di appoggio al mento, pur esso derivante da precedenti vagamente lisippei. L'arte ellenistica, nella fase dei ritmi centralizzati, ha prodotto il tipo di A. stante e curvo, con entrambe le mani appoggiate al bastone, tipo che appare in un bronzetto di Berlino e in una statuetta di Rodi (Schema v del Thraemer); il dio è ormai entrato nella sfera umana, è il vecchio medico stanco e quasi oppresso dalle sofferenze degli uomini. Questa, che rappresenta la principale innovazione nell'iconografia di A., non ha avuto fortuna nella statuaria del tempo e non ha una numerosa tradizione di copie. Al primo ellenismo, accanto ai tipi patetici delle teste Kaulbach-Parma e ai tipi Udine-Firenze (Museo Archeologico), che richiamano lo schema lisippeo dell'Eracle Farnese, si può ascrivere l'archetipo delle due statue in marmo colorato del Capitolino (una delle quali ritenuta Zeus), deboli e slegate copie romane. Alla metà del III sec. un certo Eetion scolpì una statua in legno di cedro per il medico Nikias, come risulta da un epigramma di Teocrito (Anthol. Pal., vii, 15, 2). Boethos (Anthol. Gr., iii, 92, 10) aveva rappresentato per la prima volta A. fanciullo. Più tardi si dovrà datare il celebre A. di Phyromachos a Pergamo, preso da Prusia II di Bitinia come preda di guerra (Polyb., xxxii, 25; Diod., xxxi, fr. 46 Bekker). Per quanto non direttamente, ci si può fare da altre opere una idea delle varie statue di A. eseguite da Damophon di Messene: A. con i figli per Messene (Paus., iv, 31, 10); A. e Igea per Megalopoli (Paus., viii, 31, 4), A. seduto per Aigion (Paus., vii, 23, 5). Per quest'ultimo abbiamo testimonianze monetali: l'artista aveva ripreso il tema del nume barbato in trono accanto a cui stava eretta la paredra. Già in età romana si data l'A. scolpito per Elatea da Timokles e Timarchides (Paus., x, 34, 6). Gli artisti e i copisti d'ambiente romano hanno ripetuto diverse iconografie, senza elaborare per lungo tempo alcun tipo diverso, ma contaminando ecletticamente quelli preesistenti, adattandoli, come si è visto, a statue iconiche o decorative. Conclusione, in certo senso, di questa attività accademica ed eclettica è una singolare statua, già parte di un gruppo con Igea (cfr. il gruppetto Barberini) agli Uffizî, che, nelle fredde ma corrette forme dell'accademismo postadrianeo, inserisce su di una figura derivata dall'A. ellenistico del tipo Rodi una testa analoga a quella Orlandi, riallacciando così due tradizioni fra loro indipendenti e lontane. Un dittico tardo-antico a Liverpool, riproducente a rilievo la figura di A. (affrontata a quella di Igea) si rifà ancora alla tipologia tradizionale del sec. IV a. C.; così una scatoletta eburnea del museo di Bologna (v. anche Esculapio).
Bibl.: E. Thraemer, in Roscher, I, 1884, cc. 615-641; s. v.; A. Olivieri-N. Turchi, in Enciclopedia Italiana, XV, s. v. Esculpaio; U. Hausmann, Kunst und Heiltum, Potsdam 1948 (con bibl. completa); Zeus di Dresda, tipo "Giuntini"-Uffizî-Venezia: K. A. Neugebauer, A. (78. Berl. Winckelmannsprogramm, 1921); L. Curtius, Zeus und Hermes, in Röm. Mitt., suppl. I; gruppo di Torino: G. Bendinelli, in Boll. d'Arte, IX, 1924, p. 481; tipo Sparta, ecc.: G. Lippold, Griechische Plastik, Monaco 1950, p. 219; gruppi affini a Skopas: P. E. Arias, Skopas, Roma 1952, p. 123 ss. (con bibl. completa); rilievi di Epidauro: K. A. Neugebauer, in Jahrbuch, XLI, 1926, p. 82 ss.; A. di Thrasymedes (statua seduta Ny Carlsberg): G. Lippold, op. cit., p. 230; rilievi votivi: K. Hausmann, op. cit.; S. K. Süsserott, Gr. Plastik des 4. Jahrh., Francoforte s. M. 1939, passim; A. di Emporion: P. Bosch Gimpera, Art. gr. a Catlunya, tav. 6; A. Pitti: W. Amelung, Führer durch die Antiken in Florenz, Monaco 1897; tipo Rodi: L. Laurenzi, Memorie Istituto Fert, II, 1939, p. 42 ss.; rielaborazioni romane: G. Lippold, Kopien und Umbildungen, p. 165 ss.; A. Uffizî (e gruppetto Barberini): G. A. Mansuelli, L'A. 252 degli Uffizî, in Atti e Mem. dell'Accademia delle Scienze, Modena 1955, XIII, p. 5 ss.