aspetto
L’aspetto è una categoria grammaticale dei ➔ verbi che esprime diversi modi di vedere la scansione temporale interna a una situazione. Bertinetto (1986: 76) descrive come segue le proprietà aspettuali di un verbo:
[Se] consideriamo un determinato processo da un punto di vista […] immanente, ossia avendo di mira la sua intima costituzione e le sue specifiche modalità di svolgimento […], allora quelle che vengono portate in primo piano non sono le proprietà specificamente temporali del verbo, bensì le sue proprietà aspettuali. Ad es., noi possiamo considerare una data situazione nella sua globalità, come un singolo processo non ulteriormente analizzabile; oppure la possiamo cogliere in una certa fase del suo svolgimento; ovvero, possiamo considerarla nel perdurare del suo risultato, anziché nel suo svolgersi; o ancora, possiamo insistere sull’abitualità con cui la situazione stessa tende a presentarsi; e così via.
Si considerino, ad es., le frasi seguenti:
(1) Marco lesse / ha letto un libro
(2) Marco leggeva / stava leggendo un libro
La frase in (1) presenta la totalità della situazione descritta senza riferimento a una sua scansione temporale interna; la situazione è presentata come un tutto unico indecomponibile (cfr. Comrie 1976: 3). In un certo senso, l’azione del leggere ci vede, in questo caso, spettatori esterni. Al contrario, la frase in (2) indica un’azione osservata dal suo interno, cioè da un punto qualunque del suo normale svolgimento. Ma nulla consente di prevedere la sua conclusione, cioè se Marco abbia effettivamente terminato il libro. Ne è prova il fatto che espansioni come quelle in (3) sono accettabili:
(3) Marco leggeva / stava leggendo un libro, quando il telefono squillò
Marco leggeva / stava leggendo un libro che poi non terminò mai
al contrario di quelle in (4):
(4) * Marco lesse / ha letto un libro, quando il telefono squillò
Eppure, le frasi in (1) e (2) esprimono la medesima informazione temporale, collocando l’azione del leggere nel passato rispetto al momento dell’enunciazione: l’aspetto non va dunque confuso con il tempo, del quale non condivide la funzione deittica (➔ deittici).
Le frasi in (1) e (2) sono espressione rispettivamente dell’aspetto perfettivo e imperfettivo. L’aspetto perfettivo può essere definito come la considerazione del processo indicato dal verbo nella sua globalità, quindi considerandone anche il «punto finale» (Borgato 1976). Invece l’aspetto imperfettivo si concentra essenzialmente sulla struttura interna della situazione (Comrie 1976: 16); in questo caso, si è visto, la considerazione del processo cui il verbo si riferisce avviene dall’interno, cioè da un punto qualsiasi del suo svolgimento, senza la considerazione del suo approdo finale.
L’opposizione tra perfettivo e imperfettivo può essere espressa con mezzi differenti. In italiano viene codificata mediante la scelta dei tempi verbali, non dunque con un insieme di affissi specializzati (come avviene, invece, in alcune lingue slave): sono generalmente associati all’aspetto imperfettivo la perifrasi progressiva e l’➔imperfetto; invece, il ➔ passato prossimo e il ➔ passato remoto paiono più prossimi all’aspetto perfettivo. Tuttavia va rammentato che, al di là di un evidente legame preferenziale tra alcuni tempi e alcune sfumature aspettuali, il contesto gioca un ruolo cruciale nell’interpretazione delle forme verbali. Il presente è, in questo senso, un esempio emblematico. Esso ha un valore prevalentemente imperfettivo, in quanto del processo che denota di norma non è possibile avere una visione globale (che includa, cioè, il suo punto terminale):
(5) Giovanni corre
Però, in alcune circostanze, può assumere un’evidente connotazione perfettiva:
(6) arrivo a casa e trovo mio figlio che dorme sul divano
L’aspetto esprime quindi significati che non fanno parte di quel bagaglio di informazioni che accompagnano il verbo a prescindere dai contesti di occorrenza. Ciò lo distingue dall’azione che, al contrario, esprime un significato inerente, che non varia, ad esempio, a seguito della commutazione tra diversi tempi verbali. L’azione ruota attorno alle opposizioni tra verbi telici e atelici, puntuali e durativi, statici e dinamici (Bertinetto 1994). Le sfumature aspettuali riconducibili all’opposizione tra perfettivo e imperfettivo sono, invece, trasversali a queste classi.
L’aspetto imperfettivo si suddivide in continuo, abituale e progressivo. L’aspetto progressivo indica un processo colto nel suo svolgimento e sul cui proseguimento non possiamo operare alcuna congettura. Uno dei test più efficaci per individuare l’aspetto progressivo è la sostituzione della forma verbale con la perifrasi stare + gerundio:
(7) quando hanno bussato alla porta, Marco suonava / stava suonando la chitarra
(8) Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava corona di re […] e per alcuno misfatto tenea un savio greco in prigione (Novellino II)
L’aspetto imperfettivo con valore progressivo è quello che meglio rivela la prospettiva di osservazione interna all’evento indicato dal verbo, tratto che, si è detto, costituisce la principale differenza rispetto al perfettivo. Il punto di osservazione interna è detto istante di focalizzazione e, nella frase in (8), è individuato dalla frase dipendente. Una strategia molto diffusa per fissare l’istante di focalizzazione è rappresentata da formule abruptive con funzione avverbiale come tutt’a un tratto o quand’ecco:
(9) Il mestolone si levava suso per partir la zuffa, quand’ecco che io mi sento appoggiare le mani su la spalla e dir piano piano: «Buona notte, animetta mia» (Pietro Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia)
(10) Don Rodrigo stava con l’orecchio teso, spiando ogni romore per sentire se il chirurgo giungeva […]. Tutto ad un tratto intese egli uno squillo acuto (Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia)
Un secondo test per l’individuazione dell’aspetto progressivo è la combinabilità con l’avverbiale da X tempo (Bertinetto 1986 e 1991):
(11) quando hanno bussato alla porta, Marco suonava la chitarra da tre ore
L’aspetto progressivo è anche caratterizzato dalla cosiddetta semelfattività (proprietà di «accadere una sola volta»): il processo designato dal verbo si riferisce, cioè, ad una sua singola, specifica occorrenza e non lascia presagire una sua ripetizione.
L’aspetto abituale indica invece l’occorrenza ripetuta, regolare, quasi sistematica di un determinato processo, eventualmente vincolato a particolari circostanze:
(12) quando piove, Marco va al lavoro in tram
(13) quando lavorava in Belgio, Marco rientrava in Italia solo a Natale
Un test per individuare l’aspetto abituale è la sostituzione con la perifrasi essere solito + infinito:
(14) quando piove, Marco è solito andare al lavoro in tram
(15) quando lavorava in Belgio, Marco era solito rientrare in Italia solo a Natale
Il già citato Novellino (XVIII) ci offre un esempio di aspetto abituale:
(16) Lo giovane re d’Inghilterra spendea e donava tutto
Un verbo con aspetto imperfettivo a sfumatura abituale si combina preferibilmente con avverbiali del tipo spesso, abitualmente, frequentemente, (per) X volte al mese, ecc.:
(17) quando lavorava in Belgio, Marco rientrava in Italia due volte al mese / spesso / frequentemente
L’aspetto continuo (secondo Comrie 1976: 33 e Bertinetto 1986: 170-171) si distingue da quello progressivo e abituale per un’idea di indeterminatezza, la mancanza di un singolo istante di focalizzazione e la presenza di un quadro situazionale unico. Sono espressione del valore continuo dell’aspetto imperfettivo frasi come:
(18) durante il concerto, il pubblico rumoreggiava
Il test più efficace per isolare questo valore consiste nel sostituire i verbi in questione con le perifrasi non fare altro che + infinito, continuare a + infinito, andare + gerundio:
(19) durante il concerto, il pubblico continuava a / non faceva altro che rumoreggiare
Va rimarcato come il valore continuo non sia una prerogativa dell’imperfetto:
(20) C’è Paolo che guarda dalla finestra. Aspetterà qualcuno?
L’aspetto perfettivo si suddivide in aoristico, compiuto e ingressivo. L’aspetto aoristico caratterizza di norma i tempi non composti con valore perfettivo e focalizza la situazione espressa dal verbo indipendentemente da suoi effetti, eventualmente perduranti nel momento assunto a riferimento. In altri termini, si può asserire che l’aspetto aoristico connota in genere un’azione assoluta, priva di durata, colta in un suo singolo manifestarsi:
(21) a Londra Giovanni incontrò Maria
(22) E llo re fece grande honore a messere Niccolaio e a messere Matteo ed ebbe grande allegrezza della loro venuta (Marco Polo, Il Milione)
Sono esempi di aspetto aoristico anche le formule abruptive in (9) e (10).
L’aspetto compiuto, invece, è più spesso associato ai tempi perfettivi composti. Esso indica essenzialmente la permanenza, rispetto a un riferimento temporale stabilito, del risultato di un evento che si è compiuto in precedenza. I test che consentono di individuare una forma verbale perfettiva con aspetto compiuto sono la combinabilità con già:
(23) Marco ha già mangiato
(24) Venendo dunque al luoco nel quale doveano esser decapitati, trovolli già cum li genochi piegati a terra, e già aveano velata la facia (Niccolò Manerbi, Volgarizzamento della Legenda Aurea)
e con l’avverbiale da X tempo:
(25) Marco ha / aveva mangiato da due ore
Una frase come Marco mangiò da due ore è, invece, del tutto inaccettabile.
L’aspetto ingressivo è un’accezione particolare dei tempi con valore aoristico, in specifiche e limitate condizioni. Esso coglie primariamente la fase iniziale di un processo: la sua identificazione può avvenire, ad es., con le perifrasi iniziare a + infinito o cominciare a + infinito:
(26) proprio in quel momento, la terra tremò / cominciò a tremare
(27) Li venti dier non usato romore,
e ’l ciel più ner cominciò a parere;
il teatro tremò, e ogni porta cigolò forte ne’ cardini storta
(Boccaccio, Teseida, libro 9).
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
Bertinetto, Pier Marco (1991), Il verbo, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale; la subordinazione), pp. 13-161.
Bertinetto, Pier Marco (1994), Statives, progressives and habituals: analogies and differences, «Linguistics» 32, 3, pp. 391-423.
Borgato, Gianluigi (1976), Aspetto verbale e Aktionsart in italiano e tedesco, «Lingua e contesto» 2, pp. 65-197.
Comrie, Bernard (1976), Aspect. An introduction to the study of verbal aspect and related problems, Cambridge, Cambridge University Press.