ASSEGNATO (dal fr. assignat)
Il nome fu già dato ai primi biglietti creati in Russia, da Caterina II, nel 1768, ma divenne noto e famoso soltanto dopo le emissioni rivoluzionarie francesi, rese necessarie dalla grave situazione finanziaria, che non si aveva il coraggio di sanare con misure tributarie adeguate. Per l'opposizione degli economisti (Dupont de Nemours) e di pochi deputati di buon senso (Talleyrand, Bouchotte, il banchiere Lecoulteux de Canteleu), l'assemblea ne accolse dapprima l'idea con una certa prudenza, decretando (19 e 21 dicembre 1789) la creazione di buoni del tesoro, del taglio di mille lire, al 5%, per il totale importo di 400 milioni, destinati a pagare i debiti dello stato. Il titolo sarebbe stato ricevuto in pagamento negli acquisti di proprieta ecclesiastiche, che si ponevano in vendita. La fiera resistenza però di pochi eminenti avversarî (Necker, Dupont de Nemours, Cazalès, Maury, Boisgelin) non poté impedire che, poco dopo (17 aprile 1790), si desse a quei buoni, col corso forzoso, vero carattere monetario. L'interesse fu ridotto al 3%, e i tagli moltiplicati (1000, 300 e 200 lire). Ma un passo più decisivo segnò ben presto il decreto 29 settembre 1790, con cui la Costituente deliberò il rimborso della rendita redimibile mediante un'emissione di 1200 milioni di assegnati - moneta senza interessi; atto contro il quale non mancarono, nell'assemblea e nel paese, specie nei centri e ambienti commerciali, alte e autorevoli proteste. Paladino inatteso della decisione si fece Mirabeau, prima deciso avversario, dipingendola come mezzo infallibile a rianimare gli affari e a garantire la solidarietà del minuto pubblico con la rivoluzione. Nel fatto che tutti i pratici fossero apertamente contrarî si ravvisò demagogicamente la prova di subdoli intrighi d'aggiotatori. Non valsero i saggi moniti d'uomini delle tendenze più diverse (Talleyrand, Condorcet, Malouet, Montlosier, Delandine), uniti dal comune buon senso nella condanna del pericoloso atto; e l'assemblea lo sanzionò con 508 voti contro 423. I tagli furono ancora ridotti. Si ebbero gli assegnati da 100 e 50 lire; e, ben presto, con due nuove emissioni di 700 milioni del 6 maggio e 19 giugno, quelli da 5 lire. Posto in moto il torchio, la sua attività si accelera progressivamente, sotto l'azione delle cause iniziali, prima fra tutte l'incapacità del regime a riscuotere le imposte. La fabbrica di assegnati, che doveva servire a rimborsare il debito, diviene invece l'espediente normale per far fronte alle spese correnti. La Legislativa continua l'opera della Costituente; la Convenzione la esagera. Il Direttorio la spinge alle conseguenze estreme: 1972 milioni circolano alla fine della prima, che, per sostenerne il valore, vende masse sempre più grandi di beni ecclesiastici e nobiliari, non escludendone le foreste rispettate in un primo tempo, ma ormai devastate dall'anarchia dilagante. Invano Montesquieu (convertito dalla prospettiva dell'imminente rovina), Condorcet, Clavière, Brissot e perfino Cambon consigliano di far macchina indietro. La Convenzione, oppressa dagli urgenti bisogni della guerra, della rivolta interna, della carestia, non può arrestare il fatale processo. Il 9 termidoro sono in circolazione 6400 milioni. Il Direttorio sopprime anche le formalità procedurali, disponendo per semplice ordine del comitato di finanza, sempre nuove emissioni. Nei primi mesi dell'anno III, se ne lanciano 7 miliardi; 2357 milioni nel solo giugno dello stesso anno; e altri 4455 prima del dicembre, quando ne circolano, complessivamente, circa 19.500. Nei nove mesi seguenti la somma viene raddoppiata. Quando, il 30 piovoso anno IV, si rompe ufficialmente il torchio, i biglietti emessi salgono a 45.581.411.618 lire.
All'aumento frenetico della carta moneta si accompagnano le misure per imporne e sostenerne il corso, tanto più rigorose quanto più la retorica ufficiale aveva fatto dell'assegnato il simbolo stesso della rivoluzione. Dopo gli sforzi per valorizzarlo, accrescendone la massa di garanzia (beni su cui i suoi portatori avevan diritto), si dichiara reato passibile di pena ogni attentato al suo credito, poi lo si dichiara unica moneta legale, infine si cerca di stabilizzarne, coi prezzi d'imperio, il potere di acquisto. Le sanzioni si inaspriscono e divengono feroci. Qualche effetto temporaneo si ottiene, di quando in quando, sotto l'incubo del terrore. La parabola discendente del valore del biglietto subisce così degli arresti e dei regressi, che però non ne modificano che per poco la curva fatale. Nel gennaio 1790, 100 lire in assegnati si pagano 96 in numerario; 95 nel luglio, 91 nel dicembre, 85 nel luglio 1791, 76 nel dicembre, 60 nel luglio 1792, 72 nel dicembre; 23 nel luglio 1793, 48 nel dicembre, 33 nel luglio 1794, 20 nel dicembre. Nel luglio 1795 un luigi (24 lire) compra 810 lire di assegnati; nel settembre 850, nel dicembre 5000, nel gennaio 1796, 5600, nel febbraio 6400, nel marzo 8100. I prezzi di tutte le cose si muovono nello stesso senso, non sempre in misura proporzionale, ma comunque con un'imponenza e una continuità che nessuna legge di maximum riesce a contenere. Adottando, per i proprî pagamenti, vendita di beni ecc., delle scale successive di ragguaglio, lo stato stesso si adatta a riconoscere la disastrosa caduta del biglietto, ogni sospetto contro il quale era prima dichiarato delitto. Per liquidarli definitivamente si pensa dapprima a sostituirli con un biglietto analogo, emesso però da una banca appositamente creata e dotata degli ultimi beni nazionali disponibili. Tutte le forze demagogiche si scagliano contro il disegno, che naufraga. Vengono allora lanciati i mandati territoriali, destinati allo stesso ufficio. Ma il loro discapito è rapidissimo, nonostante ogni sforzo per sorreggerli. Si hanno così per qualche mese, 3 prezzi per ciascuna cosa: in numerario, in assegnati e in mandati; fonte di enorme confusione e di speculazione generale e sfrenatissima. La legge 4 febbraio 1797, che smonetizza anche i mandati, cambiandoli all'1% del loro valore, segna la consacrazione finale della bancarotta, col ritorno ai pagamenti in specie. Solo le prede di Bonaparte in Italia (51 milioni in numerario, spediti al Direttorio nell'anno IV) salvano il Tesoro dal baratro aperto dall'impossibilità di procurarsi immediate e sufficienti risorse.
Gli effetti della lunga crisi degli assegnati sulla vita economica e sociale interna furono indescrivibili. Forse assai più profondamente degli sconvolgimenti politici, la grandiosa redistribuzione di fortune, che fu la naturale conseguenza della crisi, concorse a modificare radicalmente la fisionomia sociale e l'ambiente intellettuale e morale della Francia.
Riflessi caratteristici se ne ebbero anche all'estero, dove il modo di finanziare la guerra scelto dal governo rivoluzionario fu adottato, dove più dove meno, da tutti i suoi avversarî. In Italia il fenomeno si svolge più caratteristicamente in Piemonte, che soffrì quanto la Francia del regime della carta moneta fra il 1794 e il 1799, quando il corso forzoso fece capo anche qui alla bancarotta irreparabile.
Bibl.: Fra le innumerevoli opere, storiche ed economiche, relative a questo capitolo di storia monetaria, la migliore e più completa è lo studio che ne fa M. Marion, Histoire financière de la France, II-III, Parigi 1919-1921. Per le conseguenze sociali, politiche, intellettuali, morali del fenomeno, dopo il classico quadro di E. L. e J. A. De Goncourt, Histoire de la société française pendant le Directoire, 2ª ed., Parigi 1864; L. Madelin, La France du Directoire, Parigi 1922; ma soprattutto A. Vandal, L'avènement de Bonaparte, 3ª ed., Parigi 1924.