Assegno di ricollocazione: un primo bilancio
L’assegno individuale di ricollocazione si offre alla nostra attenzione come l’istituto più promettente per l’innovazione delle politiche attive del lavoro realizzate nel nostro Paese. Esso affianca sia le tradizionali forme di sostegno al reddito (Naspi e Cassa integrazione), sia quelle più recenti (v. reddito di inclusione) nell’intento di declinarle in chiave pro-attiva. L’obiettivo è perseguito mediante l’attribuzione al lavoratore di un voucher per l’acquisto di servizi intensivi di sostegno alla ricollocazione, utilizzabile, a scelta del lavoratore, presso i centri per l’impiego o presso gli enti accreditati. Il costante monitoraggio della sperimentazione svolta nel corso del 2017 consente di porre in evidenza risultati e criticità.
L’Assegno individuale di ricollocazione1 (di seguito AdR) costituisce, insieme alla “Garanzia per i giovani”2, uno dei più importanti interventi di politica attiva del lavoro a dimensione nazionale. Lo confermano le ambizioni che esprime, l’importanza dei soggetti istituzionali che sono chiamati ad implementarlo, l’alto numero di lavoratori potenzialmente interessati, il volume di servizi che intende promuovere, le risorse finanziarie che può mobilitare. Inoltre, l’istituto in esame può ormai vantare una sua (pur breve) fase di attuazione che pone in evidenza gli elementi di forte innovazione di cui è portatore ma che testimonia anche delle resistenze incontrate. Non solo. Esso si offre alla nostra attenzione come l’archetipo delle politiche attive nel nostro Paese (come delineate nel d.lgs. 14.9.2015, n. 150) e sembra destinato a segnare lo sviluppo in chiave proattiva degli interventi a sostegno del reddito dei cittadini in difficoltà occupazionale o economica. L’istituto in esame, infatti, è stato esteso, dalla legge di stabilità per il 2018, ad alcune categorie di cassaintegrati; esso può già investire, inoltre, soggetti beneficiari del Reddito di Inclusione (di seguito ReI). Immaginando che il legislatore intenda proseguire in questo percorso, l’AdR potrebbe essere applicato, nel prossimo futuro, a platee ancor più ampie costituite, comunque, da soggetti beneficiari di sostegni al reddito (variamente denominati); nell’intento di assicurare una declinazione in chiave proattiva di tali misure, si potrebbe ipotizzare, ad esempio, la sua estensione a tutti i percettori della Naspi (andando oltre l’area dei disoccupati da più 4 mesi) nonché ai cittadini beneficiari dell’istituendo sostegno economico denominato “Reddito di cittadinanza”. L’AdR si presta quindi ad utili riflessioni sulle nostre politiche attive del lavoro e sul rapporto tra queste e le diverse forme di sostegno al reddito.
Nell’arco degli ultimi venticinque anni risultano ricorrenti i tentativi del legislatore di promuovere la ricollocazione dei lavoratori disoccupati offrendo loro, oltre che incentivi economici da portare in dote al datore di lavoro intenzionato ad assumerli, anche servizi utili a sostenerne il rientro nel mercato del lavoro. Già la l. 23.7.1991, n. 223, all’art. 9 prefigurava, a questo fine, interventi di orientamento e formazione professionale od offerte di lavoro a cui il lavoratore non avrebbe potuto sottrarsi (pena la perdita dell’indennità di mobilità). Ancor più puntuale il disegno rinvenibile nel d.lgs. 21.4.2000, n. 181 come modificato dalla l. 28.6.2012, n. 923: vi era la promessa di servizi (di orientamento individuale e collettivo e di formazione professionale) da erogare entro un determinato lasso di tempo ai soggetti beneficiari di ammortizzatori sociali. Va riconosciuto, purtroppo, che queste promesse hanno trovato attuazione in alcune realtà territoriali ma non sono certo divenute patrimonio diffuso su tutto il territorio nazionale4. Obiettivi più ambiziosi sono stati perseguiti dalla cd. “Garanzia per i giovani” (di cui all’art. 5, d.l. n. 76/2013). Con riferimento ad un target ristretto di disoccupati (i giovani italiani NEET tra i 15 ed i 29 anni), sono stati promossi interventi su tutto il territorio nazionale volti a rafforzare le competenze dei giovani, al fine di facilitarne l’avvicinamento all’occupazione. Proseguendo nel febbrile tentativo di dare effettività ad interventi di politica attiva del lavoro idonei a sostenere la ricollocazione dei disoccupati (ed in particolare dei disoccupati percettori di sostegni al reddito), l’art. 1, co. 215, l. 27.12.2013, n. 147 ha affrontato il tema introducendo nel nostro ordinamento un nuovo istituto: il “contratto di ricollocazione”5. Si tratta di uno strumento a carattere sperimentale ed incentrato sull’offerta di servizi da parte delle regioni. Esso è dunque volto a potenziare le politiche attive riguardanti i fruitori di ammortizzatori sociali (anche in deroga) mediante l’offerta di specifiche attività di formazione professionale o di azioni mirate di ricollocazione. Si noti che l’adesione del lavoratore al “contratto di ricollocazione” è volontaria; l’istituto si presenta, quindi, come un aiuto offerto a chi desidera essere affiancato nella ricerca di una nuova o diversa occupazione. Nell’istituto in esame emergono già alcuni elementi di innovazione rispetto agli schemi tradizionali: come detto, si confida nella volontà di attivazione del lavoratore; in alcune delle regioni che hanno dato attuazione al contratto di ricollocazione gli operatori accreditati hanno affiancato i Centri per l’impiego (di seguito CPI) – invero in una logica complementare e non concorrenziale, come nel caso del Lazio6; inoltre, inizia ad affermarsi la logica del pagamento del servizio “a risultato”: il riconoscimento del contributo al soggetto (CPI o ente accreditato) che ha prestato i servizi al lavoratore è subordinato all’avvenuta ricollocazione. Il monitoraggio di queste esperienze ha posto in luce alcune criticità (dalla diffusione di atteggiamenti opportunistici da parte dei lavoratori, nonostante la libertà di adesione, alla debolezza “strutturale” nell’applicazione del principio di condizionalità); sono difficoltà che hanno indotto il legislatore a ritornare sul tema mediante un nuovo istituto: l’assegno individuale di ricollocazione di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015.
L’AdR si sostanzia in un voucher finalizzato all’acquisto di servizi di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro. La denominazione “assegno” non è felice e genera in effetti qualche equivoco: non si tratta di un emolumento in denaro di cui il lavoratore ha libera disponibilità. Come un qualunque voucher, dà titolo ad acquistare determinati servizi; nel caso in esame quelli ritenuti utili a supportare il percorso di ricollocazione del lavoratore. L’assegno, originariamente attribuito esclusivamente a lavoratori disoccupati da oltre 4 mesi e percettori della Naspi è stato successivamente esteso anche a beneficiari del reddito di inclusione (ReI) per i quali il progetto personalizzato preveda la stipula del patto di servizio7 ed a particolari categorie di lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria e coinvolti in accordi di ricollocazione (v. infra, § 2.5).È una misura che arricchisce la gamma degli interventi della pubblica amministrazione in favore del soggetto in difficoltà occupazionale: oltre al sostegno al reddito (Naspi, trattamento CIGS o ReI), il legislatore intende assicurare al lavoratore rientrante nel novero dei soggetti beneficiari le risorse finanziarie necessarie per usufruire di alcuni servizi di politica attiva del lavoro; servizi in passato spesso promessi ma, come detto, raramente resi disponibili, se non in specifiche realtà territoriali o con riferimento a specifici target. Si noti che è un beneficio subordinato alla richiesta da parte del lavoratore. L’attivazione del lavoratore è dunque un tratto fondamentale dell’attuale disciplina dell’istituto in esame. Le regole per l’utilizzo dell’AdR ricalcano il modello sperimentato in Lombardia con la “Dote unica lavoro”8 (ma, attenzione, con varianti non marginali): si affida al lavoratore la scelta del soggetto da cui “acquistare” i servizi; il soggetto prescelto per l’erogazione del servizio può essere individuato liberamente dal lavoratore tra i CPI e gli enti accreditati. Non è la pubblica amministrazione, dunque, ad acquistare i servizi per il lavoratore; ciò innesta una competizione tra CPI ed enti accreditati ed anche tra enti accreditati. È un modello in cui le strutture pubbliche e private sono stimolate a migliorare le loro prestazioni al fine di rendersi credibili agli occhi dei titolari dell’assegno; esso va oltre i modelli organizzativi definiti di “quasi-mercato”9 proposti dal d.lgs. 10.9.2003, n. 276, poiché sposta il potere d’acquisto sul beneficiario del servizio ed imposta in termini concorrenziali il rapporto tra CPI ed enti accreditati.
L’AdR si presenta come strumento interessante anche sotto altri profili.
Sulla scia dell’esperienza della “Garanzia per i giovani” citata in precedenza, l’importo dell’assegno è commisurato al grado di debolezza occupazionale del lavoratore misurato mediante il ricorso alla tecnica della “profilazione”.
Tale tecnica consiste nel valutare il livello di occupabilità del lavoratore, inteso come calcolo del livello di svantaggio nel mercato del lavoro, cioè della probabilità di non essere rioccupato. Ciò che rileva, quindi, sono le caratteristiche del lavoratore che fanno ritenere più (o meno) probabile la sua permanenza nella condizione di disoccupazione10.
Molto opportunamente la “profilazione” si basa su un sistema misto che integra la valutazione di fattori oggettivi con la valutazione effettuata dall’operatore del CPI (al fine di cogliere e considerare anche elementi soggettivi che sfuggono ad una misurazione basata su parametri di tipo statistico).
L’esito di questo processo valutativo concorre a determinare il valore dell’assegno: tanto più alta la probabilità di permanere a lungo in stato disoccupazione, quanto più alto il valore dei servizi intensivi che il lavoratore potrà acquistare.
Invero, l’importo finale riconosciuto al soggetto erogatore dei servizi varia anche in relazione al il tipo di contratto di lavoro con cui il lavoratore viene assunto ed all’area territoriale in cui viene posta in essere l’assunzione. L’importo può dunque variare da 250 a 5.000 euro.
Sono opportune inoltre due precisazioni:
• qualora il soggetto erogatore dei servizi abbia ottenuto il “successo occupazionale” mediante contratto di lavoro a tempo determinato, può essere riconosciuta un’integrazione dell’AdR a seguito di proroga o trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro (l’integrazione è pari alla differenza tra l’importo spettante in considerazione della nuova configurazione del rapporto di lavoro e quanto già riconosciuto in precedenza);
• in caso di ricollocazione mediante contratto di lavoro a tempo parziale, il risultato occupazionale è considerato raggiunto solo se l’orario previsto dal contratto individuale di lavoro è pari almeno al 50% dell’orario normale di lavoro (cioè almeno 20 ore settimanali11).
Tra gli aspetti che contraddistinguono l’AdR vi è il sistema di remunerazione del soggetto erogatore dei servizi. Si è detto che gli importi indicati in precedenza sono riconosciuti solo nel caso di esito positivo del processo di ricollocazione del lavoratore, cioè a fronte dell’assunzione con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o a tempo determinato. È necessaria però una precisazione. Nel caso di mancato raggiungimento dell’esito occupazionale, al soggetto erogatore è riconosciuto unicamente un modesto compenso per le ore impiegate nel primo colloquio e nella stesura del programma di ricerca intensiva. Tale impegno è stimato in tre ore ed il valore massimo riconosciuto è pari a euro 106,5012. Questa impostazione è uno dei punti critici dell’attuale disciplina. È pur vero che è il lavoratore a richiedere l’AdR ma non si può ignorare che il soggetto erogatore ha la massima convenienza nel curare la ricollocazione di chi ha un’alta probabilità di trovare lavoro (chi ha competenze ricercate dal mercato o chi sta già lavorando in forma irregolare e vuole semplicemente regolarizzare la propria posizione) mentre è fortemente scoraggiato ad impegnarsi nell’accompagnamento e nella promozione al lavoro dei soggetti più deboli, quelli che, invece avrebbero maggiore bisogno. Il pagamento dei servizi (quasi) esclusivamente a risultato non si addice nel caso di soggetti molto deboli: il costo dell’accompagnamento mediante l’erogazione di servizi intensivi rischia di gravare sul ente accreditato (invece che sullo Stato). Ciò può determinare una comprensibile “ritrosia” degli accreditati a prendere in carico coloro che hanno basse probabilità di ricollocazione.
Il lavoratore beneficiario di Naspi può avanzare richiesta dell’AdR al CPI presso cui ha sottoscritto il “patto di servizio” oppure, in alternativa, può rivolgersi al patronati, o ancora all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (di seguito Anpal), mediante la procedura telematica prevista dall’art. 20, co. 4, d.lgs. n. 150/2015.
Dopo aver richiesto ed ottenuto l’AdR, il lavoratore ha due mesi di tempo per individuare il CPI o l’ente accreditato a cui richiedere i servizi. Il soggetto erogatore dei servizi prenderà in carico il lavoratore e, dopo un primo colloquio e la stesura del programma di ricerca intensiva di occupazione, gli affiancherà un tutor che lo assisterà nell’intero percorso.
Tutto ciò si tradurrà nella messa a disposizione di servizi riconducibili a due prestazioni principali: assistenza alla persona e tutoraggi; ricerca intensiva di opportunità occupazionali con specifico riferimento al reperimento di offerte di lavoro.
Si tratta dei servizi meno onerosi per il soggetto erogatore.
I servizi di orientamento, formazione professionale, di rafforzamento nelle tecniche di ricerca di lavoro, cioè i servizi più utili ai soggetti deboli, invece, non sono finanziati dall’assegno ma affidati ad “eventuali ulteriori finanziamenti pubblici” (da intendersi dunque a carico delle regioni).
Sono previsti, infine, momenti di verifica dei servizi resi e dei risultati ottenuti, di cui verrà data puntuale comunicazione all’Anpal mediante registrazione da parte del soggetto erogatore nel Sistema informativo unitario.
La richiesta da parte del lavoratore dell’AdR sospende, per tutta la durata del programma, il “patto di servizio personalizzato” ma questo non significa che non ricadano su di lui degli impegni nei confronti della p.a.; in particolare deve partecipare alle attività rientranti nel programma e deve accettare eventuali offerte di lavoro “congrue”. Il suo comportamento sarà dunque monitorato, valutato e, ove del caso, sanzionato: il soggetto erogatore dei servizi è tenuto infatti a comunicare al CPI interessato ed all’Anpal eventuali rifiuti o comportamenti non cooperativi del lavoratore a cui potranno far seguito i provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt. 21, co. 7 ed 8, e 22 d.lgs. n. 150/2015 (decurtazione o decadenza dal sostegno al reddito di cui il lavoratore sta beneficiando e decadenza dallo stato di disoccupazione).
Poiché, come detto, la ricollocazione del lavoratore può avvenire anche mediante contratto di lavoro a termine o comunque può avvenire con l’apposizione al contratto di lavoro della clausola di prova, è previsto che il lavoratore (alla scadenza del contratto a termine o in caso di mancato superamento del periodo di prova) possa rientrare nel programma di assistenza intensiva purché ciò avvenga entro sei mesi dalla sospensione.
La recente legge di bilancio per il 2018 (v. l’art. 1, co. 136, l. 27.12.2017, n. 205) ha esteso l’AdR anche a limitate categorie di lavoratori collocati in CIGS13.
L’intento è quello di mettere in atto il più presto possibile processi di ricollocazione di “cassaintegrati” per i quali siano ridotte le probabilità di rientro in azienda, senza attendere che vengano posti in essere licenziamenti collettivi. Il legislatore ritorna su un antico obiettivo (chi ha più memoria ricorderà, in proposito, la l. 12.8.1977, n. 675): promuovere processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro, senza passare da riduzioni di personale. La norma succitata amplia, con prudenza, l’area dei soggetti beneficiari dell’assegno e, a tal fine, valorizza il ruolo delle parti sociali: essa circoscrive l’intervento ai lavoratori collocati in CIGS per «riorganizzazione» o per «crisi aziendale», per i quali, nel corso della procedura di consultazione sindacale per riduzione di personale, sia stipulato un «Accordo di ricollocazione» che preveda un piano di ricollocazione.
I lavoratori rientranti in tale piano possono richiedere all’Anpal l’attribuzione dell’AdR illustrato in precedenza; entro i 30 giorni successivi alla accettazione della richiesta potranno procedere al perfezionamento della procedura14.
Meritano di essere segnalate, seppur brevemente, alcune differenze rispetto a quanto previsto per i lavoratori disoccupati: la durata dei servizi intensivi è limitata a 6 mesi (eventualmente prorogabili di altri 12 mesi); i lavoratori ammessi all’AdR non sono tenuti ad accettare eventuali offerte “congrue” di lavoro.
Come vedremo più avanti, quest’ultima innovazione tiene conto “dei timori e delle resistenze” espresse dai lavoratori nel corso della sperimentazione riguardante i lavoratori beneficiari della Naspi (v. infra, § 3).
La tendenza del legislatore a declinare in chiave proattiva tutte le forme di sostegno al reddito, compresi i benefici concessi a coloro che si trovano in condizioni di difficoltà economica o di povertà, emerge con evidenza dall’estensione dell’AdR ai beneficiari del ReI. L’art. 6, co. 4, d.lgs. n. 147/2017 prevede che i beneficiari del ReI accedano all’AdR, ove ciò sia previsto dal progetto personalizzato (che, ricordiamo, rappresenta l’architrave su cui poggia l’azione di contrasto alla povertà) e nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
L’Anpal ha promosso nel corso del 2017 una sperimentazione dell’AdR mirata ad un campione di lavoratori disoccupati da oltre 4 mesi e beneficiari della Naspi. La sperimentazione è stata effettuata su 30.000 lavoratori prescelti mediante procedure di estrazione casuale dallo stock di potenziali destinatari comunicato dall’Inps. L’Anpal, avendo considerata conclusa la sperimentazione realizzata nel 2017, ha dato avvio alla seconda fase, certamente più impegnativa della precedente, finalizzata alla “messa a regime” dell’AdR15.
Le risultanze che emergono dal periodico monitoraggio dell’iniziativa e dalla valutazione finale della sperimentazione16 offrono alla nostra attenzione un dato, sopra ogni altro, su cui fondare le nostre riflessioni, sia per trarre utili insegnamenti nella fase di messa a regime dell’AdR, sia in relazione all’estensione dell’istituto ad altre categorie di lavoratori. Il dato che esprime con evidenza gli esiti problematici del decollo di questa nuova misura è il seguente: circa il 90% dei lavoratori coinvolti nella sperimentazione ha ritenuto di non avvalersi dell’assistenza di un soggetto specializzato per la ricerca di una nuova occupazione ed ha rifiutato l’AdR17. La media nazionale non subisce peraltro variazioni di rilievo se si esaminano i dati per regione o per macro area (Nordest, Nord-ovest, Centro, Sud e Isole)18.
In sede di conclusioni del presente contributo non possiamo non chiederci quali siano le ragioni delle evidenti difficoltà riscontrate dall’istituto.
Alla luce dei citati documenti di valutazione della sperimentazione attuata nel 2017 possiamo affermare che lo scarso utilizzo dell’AdR non pare attribuibile ad una ragione principale ma deriva da un insieme di cause. Dobbiamo dunque interrogarci su questi risultati: essi derivano principalmente da regole rivelatesi inadeguate (si pensi all’adesione volontaria del lavoratore), oppure dalla carenza di domanda di servizi al lavoro (in quanto i lavoratori non si dimostrano interessati a servizi di assistenza intensiva alla ricollocazione) o, ancora, da problemi dell’offerta di servizi (è la scarsa qualità ed efficacia dei servizi proposti a non renderli appetibili)? E quanto possono aver inciso sull’esito sopra citato comportamenti opportunistici, volti a massimizzare il sostegno al reddito con l’attività di lavoro irregolare?
In primo luogo va messo in evidenza che, trattandosi di un’opportunità affidata alla libera scelta del lavoratore, l’utilizzo dell’assegno è fortemente condizionato dalle valutazioni in termini di costi/benefici effettuate dal lavoratore. Orbene, in un Paese dove non vi è una tradizione di servizi per l’impiego ed esiste invece una cultura diffusa e radicata del sostegno al reddito (in specie per i lavoratori appartenenti a realtà produttive di medio-grandi dimensioni), i lavoratori sembrano implicitamente esprimere scarso apprezzamento per “servizi intensivi di sostegno” che appaiono ancora da sperimentare nella loro efficacia.
Si noti che questo atteggiamento di sfiducia si manifesta non solo nelle aree territoriali dove il mercato del lavoro tradizionalmente non offre molte chances a chi cerca occupazione ma si presenta sorprendentemente anche laddove si sussistono buone opportunità di ricollocazione (v., ad es., i dati di Trento19).
Nella cultura prevalente (e che ben emerge dai monitoraggi citati) l’intervento pubblico più apprezzato dai lavoratori disoccupati è il sostegno al reddito (che attualmente si identifica nella Naspi) a cui i lavoratori sembrano aggrapparsi come i naufraghi ad una scialuppa. Questa lettura trova conferma nell’innalzamento del tasso di adesione all’AdR tra coloro che sono vicini al termine del periodo di godimento della Naspi. In questo caso, infatti, i tassi di adesione sono superiori alla media con valori che toccano il 14%20.
Nelle ricerche citate, in verità, sono emersi anche comportamenti proattivi, oltre che all’avvicinarsi del termine del beneficio economico, anche tra i soggetti più acculturati (evidentemente più ricettivi nei confronti di proposte che si discostano dalla tradizionale impostazione passiva)21 o tra i soggetti meno giovani (comprensibilmente il tasso di adesione all’AdR cresce al crescere dell’età, in relazione alla consapevolezza del maggior bisogno di sostegno nel percorso di ricollocazione, con l’eccezione degli ultra 55enni)22.
Inoltre, a quanto risulta da testimonianze raccolte tra gli operatori dei CPI, le scelte dei lavoratori sono state notevolmente influenzate dal timore che, a seguito dell’ingresso nell’AdR, potesse scattare l’obbligo di accettare posti di lavoro non graditi o in caso di rifiuto dell’assunzione, la relativa sanzione (cioè la perdita della Naspi). La “condizionalità” (o, meglio, il timore dell’effettiva applicazione del principio di condizionalità), sembrerebbe dunque aver concorso ad innalzare la quota dei rifiuti. Si potrebbe obiettare che anche il lavoratore disoccupato non coinvolto nell’AdR ma interessato dal Patto di servizio personalizzato di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 150/2015 è tenuto a manifestare la disponibilità a partecipare ad iniziative orientative e formative e ad accettare offerte congrue di lavoro. Sul piano formale le due posizioni appaiono equivalenti. Ma, come indicano i dati sopra riportati, non v’è dubbio che il lavoratore beneficiario di sostegni al reddito e non desideroso di immediato reinserimento nell’occupazione, teme di più i “pericoli” che possono derivare alla sua posizione da azioni “intensive” (dato che i soggetti erogatori dei servizi dell’AdR sono fortemente interessati alla ricollocazione del lavoratore) che quelli che possono scaturire dalla usuale (in)azione del sistema.
Che queste riflessioni colgano nel segno è dimostrato anche dal fatto che il legislatore, nelle norme con cui ha esteso l’AdR ai cassaintegrati (v. supra, § 2.5 ), ha espressamente chiarito che essi non sono tenuti ad accettare eventuali offerte “congrue” di lavoro.
È probabile che dietro questa “cultura” si celino anche atteggiamenti opportunistici dei lavoratori, atteggiamenti volti, in specie nelle aree economicamente più dinamiche, a sommare il più a lungo possibile il reddito da Naspi con il reddito da lavoro irregolare.
Infine, può aver influito sui modesti risultati della sperimentazione anche il meccanismo di remunerazione dei servizi intensivi. Come si è detto, tale meccanismo sospinge inevitabilmente le APL accreditate a concentrare l’attenzione sui lavoratori più facilmente ricollocabili, scoraggiando (più o meno velatamente) coloro che presentano maggiori difficoltà.
Non può essere sottaciuto, infine, che l’AdR in esame ha sofferto della “concorrenza” in alcune regioni di strumenti simili (v. ad es. Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Lazio).
Le criticità emerse non inficiano la centralità dell’AdR nelle politiche del lavoro ed in specie nelle politiche volte ad intrecciare forme di sostegno al reddito con percorsi di inserimento/reinserimento al lavoro. È necessario però fare tesoro degli insegnamenti emersi grazie alle attività di monitoraggio e valutazione per migliorare l’efficacia dell’istituto.
1 L’AdR è stato istituito dall’art. 23 del d.lgs. 14.9.2015, n. 150. A commento v. Tessaroli, L., Riforma dei servizi per il lavoro: assegno di ricollocazione, in Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016, 368 e ss.
2 Per una panoramica europea sul tema v. Eurofound (2012). NEETs – Young people not in employment, education or training: Characteristics, costs and policy responses in Europe. Lussemburgo: Publications Office of the European Union, 2012. Il Programma “Garanzia per i giovani” ha avuto attuazione nel nostro Paese a seguito dell’approvazione dell’art. 5 del d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 99; a commento sia consentito il rinvio a Varesi, P.A., I livelli essenziali concernenti i servizi per l’impiego e la sfida della “garanzia per i giovani”, in Giorn. dir. rel. ind., 2014, n. 2, 185 e ss. Gli esiti dell’intervento sono rinvenibili nei periodici rapporti di monitoraggio svolti dall’Anpal in www.garanziagiovani.gov.it.
3 V. l’art. 3 d.lgs. n. 181/2000 come sostituito dall’art. 4, co. 1, d.lgs. 19.12.2002, n. 247 e modificato dall’art. 4, co. 33, l. n. 92/2012. L’articolo in esame è stato successivamente abrogato dall’art. 34, co. 1, lett. g) d.lgs. n. 150/2015.
4 Per una panorama di esperienze territoriali di eccellenza v. Bresciani, P.G.-Varesi, P.A., a cura di, Servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro, Le buone pratiche locali, Milano, 2017.
5 A commento v. Tessaroli, L., La sperimentazione del “contratto di ricollocazione, in Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 353 e ss.
6 Ibidem.
7 Con riferimento al rapporto tra AdR e ReI v. l’art. 6, co. 4, d.lgs. 15.9.2017, n. 147; esso prevede che i beneficiari del ReI accedano all’AdR ove previsto dal progetto personalizzato. Sul punto v. anche l’art. 1, co. 2, lett. f) e l’art. 12, co. 5, l. 15.3.2017, n. 33 (Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali). V. in questo volume, Diritto del lavoro, 4.1.1 Il nuovo reddito di inclusione.
8 Ad illustrazione e commento del modello lombardo della “dote lavoro” v. Canavesi, G., La “dote lavoro” in Lombardia: un nuovo modello di politiche attive del lavoro?, in Riv. dir. sic. soc., 2011, 43 ss.; Napoli, M., Riflessioni sul sistema “dote lavoro” in Lombardia, in Riv. dir. sic. soc., 2012, 63 ss.
9 Sulla definizione di “quasi mercato” nei servizi per l’impiego v. Marocco, M., I sistemi di quasi mercato. Il contesto teorico, Isfol, Roma, 2015, secondo cui il modello di “quasi mercato” è caratterizzato dal fatto che «il potere d’acquisto non risiede in capo all’utente finale, ma all’istituzione che agisce come un cliente su incarico degli stessi utenti finali».
10 Le caratteristiche considerate sono sia individuali (genere, età, cittadinanza, titolo di studio, stato di disoccupazione), sia riferite al territorio in cui risiede la persona e quindi alla dinamicità del mercato del lavoro locale (tasso di occupazione, incidenza delle famiglie a bassa intensità di lavoro, densità imprenditoriale). Tali caratteristiche sono ricavate dalle informazioni anagrafiche e professionali che l’utente ininserisce sul portale Anpal al momento della dichiarazione di immediata disponibilità – DID (profilazione quantitativa).
11 Come è noto, l’art. 3 d.lgs. 8.4.2003, n. 66 indica in 40 ore settimanali l’orario normale settimanale di lavoro.
12 Da notare che tale importo è erogato solo al raggiungimento di una soglia minima di successi occupazionali conseguiti nei 6 mesi precedenti.
13 A commento di questa misura e dell’insieme di interventi di politica attiva e passiva del lavoro presenti nella l. di Bilancio per il 2018 v. Spreafico, G., Ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, in Dir. prat. lav., 2018, n. 5, 282 e ss.
14 In proposito v. Anpal, Comunicazioni prot. n. 9352 del 23.7.2018 e prot. n. 11122 del 7.9.2018. Sulla base di queste indicazioni risulta che il lavoratore, dopo aver effettuato in via telematica la prenotazione della richiesta di AdR, riceverà, a seguito di verifica automatica della sussistenza del diritto, la conferma dell’accettazione della sua prenotazione. Egli potrà quindi completare la richiesta inserendo nella procedura, entro i successivi 30 giorni, i dati utili alla propria profilazione e scegliere il soggetto erogatore da cui farsi assistere nel percorso di ricollocazione.
15 L’avvio della nuova fase è stato approvato con delibera n. 14 del CDA del 10.4.2018. L’attuazione della “messa a regime” dell’istituto è sostenuta da un’intesa, raggiunta in sede tecnica, con le regioni e le Province autonome (v. il “considerando” posto a premessa della Delibera 14.4.2018 del CDA dell’Anpal). Tale convergenza di intenti e modalità operative si spera possa appianare alcune difficoltà di rapporti tra Anpal e regioni emerse nel 2017.
16 V. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, Roma, settembre 2018. Interessanti indicazioni emergono anche da Osservatorio mercato del lavoro della Provincia autonoma di Trento, Assegno di ricollocazione e altre misure di politica attiva in Provincia di Trento: primi risultati di una valutazione sperimentale, Agenzia del lavoro P.A.T., Trento, novembre 2017.
17 V. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, cit., Tab. 2.1.1.
18 Secondo i dati Anpal, nelle macro-aree Nord-est, Nordovest e Centro la percentuale di adesione all’AdR si colloca tra l’8% e 9%. Al Sud e nelle Isole essa si innalza leggermente e raggiunge il 12,6% (v. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, cit., Tab. 2.1.1).
19 Osservatorio mercato del lavoro della Provincia autonoma di Trento, Assegno di ricollocazione e altre misure di politica attiva in Provincia di Trento: primi risultati di una valutazione sperimentale, cit., Tab. 4.
20 V. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, cit., 9-10.
21 V. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, cit., Tab. 2.1.3.
22 V. Anpal, Rapporto di valutazione della sperimentazione dell’Assegno di Ricollocazione, cit., Tab. 2.1.1. Il dato relativo agli ultra 55enni testimonia di un atteggiamento basato sulla sfiducia nella possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro e lascia intendere, invece, l’attesa di accesso al sistema pensionistico.