Abstract
L’evoluzione normativa della disciplina del contratto di ricollocazione e dell’assegno di ricollocazione è esaminata nel presente scritto. Si tratta di una innovativa politica attiva del lavoro introdotta nell’ordinamento italiano e disciplinata dal d.lgs. 14.9.2016, n. 150/2015 in attuazione della l. 10.12.2014, n. 183, cd. Jobs Act, nell’ambito della riforma dei servizi per il lavoro.
L’assegno di ricollocazione, disciplinato dall’art. 23 del d.lgs. 14.9.2016, n. 150, è introdotto nel nostro ordinamento dopo un travagliato iter normativo iniziato nel 2013, quando, con l’art. 1, co. 215 della l. 27.12.2013, n. 147, il legislatore introduce nel nostro ordinamento, in via sperimentale, il contratto di ricollocazione (da qui in poi c.r.), come strumento di politica attiva del lavoro (da qui in poi PAL) essenzialmente fondato sulla cooperazione e integrazione tra struttura pubblica e enti privati specializzati. Il legislatore qui non definisce l’istituto, ma ne prevede la sperimentazione richiamando implicitamente alcune specifiche esperienze straniere in questo capo. La disposizione affida la sperimentazione alle Regioni sostenendola con una apposito fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, peraltro con risorse molto scarse: 55 milioni nel triennio 2014-2016.
La nozione del c.r. ricompare poi, sotto l’espressione «accordi di ricollocazione», nell’art. 1, co. 4, lett. p), della l. 10.12.2014, n. 183, a norma del quale il Governo, nell’esercizio dei criteri di delega, deve perseguire «la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parti le agenzie per il lavoro o gli altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale».
Questa parte della delega trova una prima attuazione nell’art. 17 del primo decreto attuativo del Jobs Act, il d.lgs. 4.3.2015, n. 22, che fa riferimento al nuovo istituto del contratto di ricollocazione (per un commento v. Alaimo, A., Ricollocazione dei disoccupati e politiche attive del lavoro. Promesse e premesse di security nel Jobs Act del Governo Renzi, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 249/2015; Tiraboschi, M., Jobs Act e contratto di ricollocazione: prime interpretazioni e valutazioni di sistema, in Dir. rel. ind., 2014, 4, anticipato su ADAPT UNIVERSITY PRESS; Canavesi, G., La ricollocazione secondo il Jobs Act: dall’attività al contratto?, in Riv. dir. sic. soc., 2015, 2, 547; Ponte, V.F., Politiche attive del lavoro e contratto di ricollocazione: riflessioni sulla legge di stabilità 2014, in Dir. lav. merc., 2013, 483; Caruso, S. B.-Cuttone, M., Verso il diritto del lavoro della responsabilità: il contratto di ricollocazione tra Europa, Stato e Regioni, in Dir. rel. ind., 2016, 1, 63; Valente, L., Il contratto di ricollocazione, in Ghera, E.-Garofalo, D., Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Bari, 2015, 329), dettandone una prima disciplina. La norma, curiosamente, era all’origine collocata come art. 11 nello schema del decreto sulla disciplina dei licenziamenti (quello che avrebbe assunto, nella veste definitiva, il d.lgs. 4.3.2015, n. 23), quasi a voler sottolineare il nesso politicamente inscindibile tra flessibilizzazione nel rapporto di lavoro e maggiore sicurezza nel mercato, per essere poi incisivamente modificata e spostata nel decreto sul trattamento di disoccupazione (d.lgs. n. 22/2015).
A sei mesi di distanza, l’art. 34 del d.lgs. n. 150/2015 abroga i commi da 2 a 7 dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/2015, lasciandone in vita soltanto il primo. In questo stesso decreto n. 150 compare un articolo, il 23, interamente dedicato alla disciplina dell’assegno di ricollocazione: una disciplina che presenta evidenti affinità con quella del contratto di ricollocazione che viene contestualmente abrogata. Di quella prima disciplina del c.r. l’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015 riprende la parte relativa all'assegno individuale di ricollocazione (di seguito “assegno”), che costituisce il corrispettivo del servizio di assistenza intensiva cui ogni persona disoccupata titolare del trattamento Naspi avrà diritto, se non sarà riuscita a rioccuparsi entro quattro mesi dalla perdita del posto; inoltre alcune parti relative agli obblighi dei contraenti. La norma ridefinisce l’ambito soggettivo di applicazione dell’assegno rinviando la definizione dell’ambito oggettivo a una successiva delibera del consiglio di amministrazione dell’Anpal (co. 7); il successivo art. 24 definisce le modalità di finanziamento dell’assegno, nei termini che vedremo a suo luogo.
Il risultato di questo carosello di disposizioni non è l’abbandono dell’idea del “contratto” di ricollocazione e la sua sostituzione con il (mero) “assegno”: in virtù della prima disposizione risalente al 2013 (non abrogata, e anzi richiamata nel primo co. dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/2015, che resta in vita) l’istituto del “contratto di ricollocazione” sopravvive comunque, rimanendo suscettibile di essere praticato da ciascuna Regione secondo la rispettiva disciplina legislativa, e in futuro dalla stessa Anpal, con o senza utilizzazione dell’“assegno” a carico del bilancio statale di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015.
Poiché il c.r. resta, dunque, tipizzato in più di una norma legislativa nazionale, ed è oggetto di diverse discipline regionali, se ne illustrano di seguito struttura e contenuti con riferimento all’art. 17 del d.lgs. n. 22/2015, che per la prima volta ha introdotto nel nostro ordinamento «la dote individuale di ricollocazione», e alle legislazioni regionali che hanno recepito e regolato l’istituto.
Dalla firma del c.r., secondo lo schema che poteva dedursi dalla disposizione qui in esame, in larga parte corrispondente a quanto previsto nelle prime discipline di fonte regionale che lo hanno adottato, nascono in capo alle parti del contratto una serie di posizioni di diritto/dovere. Il soggetto in stato di disoccupazione (art. 1, co. 2, lett. c), d.lgs. 21.4.2000, n. 181 ora abrogato dall’art. 34, d.lgs. n. 150/2015) ha diritto a essere preso in carico dall’ente accreditato al sistema regionale, ovvero a un’assistenza intensiva nella ricerca di una occupazione. Nel contempo egli ha il dovere di attivarsi e di partecipare alle iniziative proposte dal soggetto accreditato.
Egli inoltre ha il diritto-dovere di seguire tutte le indicazioni fornite dal soggetto accreditato mirate a favorire la propria ricollocazione.
L’operatore accreditato può incassare il valore della dote individuale – vale a dire il corrispettivo per il servizio reso – soltanto a collocazione avvenuta secondo quanto verrà stabilito da un apposito decreto.
Il co. 6 dell’art. 17 stabiliva tre ipotesi di decadenza dalla dote individuale, quindi dalla sola politica attiva:
a) quando il soggetto non si faccia parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato e non partecipi alle iniziative programmate dal soggetto accreditato mirate alla ricerca, addestramento e riqualificazione professionale;
b) nel caso in cui il soggetto rifiuti senza giustificato motivo una congrua offerta di lavoro a norma dell’art. 4, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 181/2000 pervenuta in seguito all'attività di accompagnamento attivo al lavoro;
c) se il soggetto perde lo stato di disoccupazione.
Il rifiuto ingiustificato da parte della persona assistita – nell’ordinamento fondato sulla disposizione qui in esame – comporta la perdita da parte sua del sostegno del reddito, così come previsto dall’art. 4, co. 40-43 della l. n. 28.6.2012, n. 92 per il caso in cui il beneficiario sia percettore di una indennità di mobilità o di indennità o sussidi (Garofalo, D., Il sistema pubblico di tutela della disoccupazione, in Chieco, P., a cura di, Flessibilità e tutele nel lavoro, commentario della legge 28 giugno 2012 n. 92, Bari, 2015, 476 ss.; Filì, V., Riforma Fornero, politiche attive e servizi per l’impiego, in Lav. giur., 2012, 990 e ss..): le norme ora indicate sono applicate anche all’assegno di ricollocazione fin quando non verranno emanati i decreti attuativi delle disposizioni in materia di patto di servizio personalizzato e sul rafforzamento della condizionalità (di cui agli artt. 20, co.1, 21, co. 2 e 22, co. 2, d.lgs. n. 150/2015: esse non trovano comunque applicazione a far data dalla stipulazione del patto di servizio personalizzato).
Lo schema del c.r. recepito nella l. n. 183/2014 e nell’art. 17 del d.lgs. n. 22/2015 attribuisce agli operatori accreditati presso la Regione (la procedura per l’accreditamento è disciplinata dalle Regioni: a tale riguardo la l. n. 183/2014, art. 1, co. 4, lett. n) prevede tra i principi e i criteri direttivi anche la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro. Detti criteri sono ora dettati dall’art. 12 del d.lgs. n. 150/2015) il ruolo di “parte” di un accordo con un obbligo ben preciso: la presa in carico della persona interessata in cambio di una “remunerazione” proporzionata alla difficoltà del collocamento. Detta remunerazione è tuttavia condizionata al raggiungimento di un risultato: «l’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo».
Affinché il disoccupato possa usufruire del servizio è necessario che esso sia profilato, vale a dire che sia stabilito il suo profilo individuale di occupabilità. Soltanto dopo la profilazione al soggetto è riconosciuta una somma denominata «dote individuale di ricollocazione», che il soggetto medesimo può utilizzare presso gli operatori privati accreditati per i servizi specialistici finalizzati alla ricollocazione dei disoccupati.
Il c.r., finanziato da risorse regionali senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale (v. art. 1, co. 4, lett. p.), l. n. 183/2014: la norma fa riferimento a «fondi regionali a ciò destinati»; al di là di risorse del bilancio regionale, si tratta, in realtà, del Fondo sociale europeo che, di regola, finanzia le politiche regionali per l’occupazione) o dal Fondo per le politiche attive istituito dalla l. n. 147/2013, risponde all’esigenza di ottimizzare l’utilizzo dei fondi per l’occupazione in modo del tutto nuovo e per certi aspetti inedito, posto che il c.r. costituisce una misura di politica attiva per il lavoro fondata, almeno per ora, sul principio volontaristico con l’obiettivo di ridurre al minimo i tempi di reinserimento al lavoro dei disoccupati attraverso il coinvolgimento degli operatori privati accreditati al sistema regionale. Al pari del programma Garanzia Giovani – dove è previsto un onere di iscrizione al programma – accede alla misura di politica attiva soltanto chi manifesta la propria disponibilità a essere ricollocato.
Altro elemento di novità è costituito dal ruolo delle Regioni chiamate a finanziare anche attraverso i fondi comunitari le PAL. A tal fine le Regioni devono rafforzare i servizi per il lavoro e garantire la corretta sinergia tra le diverse misure messe in campo, la qualità delle azioni e la loro sostenibilità finanziaria. Il ruolo delle Regioni, a costituzione invariata, è confermato dall’art. 1, co. 4, lett. u) della l. delega n. 183/2014, che mantiene in capo ad esse e alle Province autonome le competenze in materia di «programmazione di politiche attive per il lavoro».
Al livello regionale il sistema misto, basato sulla cooperazione pubblico-privato tra la rete dei Centri per l’impiego e gli operatori specializzati nei servizi specialistici per l’occupazione, ha avviato la stagione delle PAL orientate al risultato. In Lombardia la Dote Unica Lavoro e nel Lazio, Sardegna e Sicilia il c.r., confermano che sulla efficacia delle PAL incidono sia il mix di azioni di accompagnamento al lavoro sia l’organizzazione del mercato del lavoro locale.
Questo è il modello recepito nella legge delega, dove alla lett. n) dell’art. 1, co. 4 è sancita la «valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e servizi privati, nonché operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria …».
L'assegno di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 150/2015 dà luogo a un istituto che presenta una grande affinità rispetto al c.r. previsto dalla l. n. 147/2013 e dall’art. 17 d.lgs. n. 22/2015.
A ben vedere, questa disposizione consente di attivare la cooperazione tra servizio pubblico e operatori specializzati anche senza il c.r., che viene sostituito dal patto di servizio personalizzato, ma non esclude che la cooperazione stessa, con l’attivazione dell’assegno, si svolga anche nella forma del c.r.
Più nel dettaglio, ai soggetti in stato di disoccupazione (ex art. 19, co.1) beneficiari della Naspi di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 22/2015 per un periodo superiore a quattro mesi viene riconosciuto (nei limiti delle disponibilità accordate per tale scopo alla Regione o Provincia autonoma di residenza dal Fondo politiche attive) un assegno di ricollocazione.
Si capisce che il legislatore ha inteso ridurre drasticamente la platea dei soggetti aventi diritto a questa misura di politica attiva per il lavoro a causa della scarsità delle risorse disponibili e della mancata attuazione del piano di rafforzamento di cui all’art. 15, co. 1, d.l. 19.6.2015, n. 78 conv. con mod. dalla l. 6.8.2015, n. 125 che avrebbe dovuto individuare le modalità di finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (cd. LEP), tra cui l’assegno di ricollocazione (art. 28) attraverso i fondi strutturali.
La disposizione non pare del tutto coerente con il criterio di delega, secondo il quale la misura deve essere rivolta all’inserimento produttivo della «persona disoccupata o inoccupata». Tuttavia il contrasto può considerarsi superato in conseguenza dell’abrogazione del d.lgs. n. 181/2000, della nuova definizione di stato di disoccupazione introdotta dall’art. 19 del d.lgs. n. 150/2015, dalla disposizione che riconduce alle politiche regionali la facoltà di prevedere percorsi d’inserimento lavorativo per le persone disoccupate non beneficiarie di prestazioni di sostegno del reddito (art. 2, co. 2).
La delimitazione della platea dei beneficiari aiuta a comprendere la finalità dell’istituto: costruire uno stretto collegamento tra una misura di politica passiva collegata alla cessazione del rapporto di lavoro (la Naspi) e una misura di politica attiva (l’assegno di ricollocazione) immediatamente esigibile dal disoccupato che eviti gli effetti di un affollamento difficilmente gestibile con le risorse organizzative pubbliche e private esistenti.
Assai importante è la disposizione del co. 1, la quale stabilisce che l’assegno è riconosciuto qualora i soggetti destinatari della misura «ne facciano richiesta» al Centro per l’impiego (di seguito Cpi) presso il quale hanno stipulato il patto di servizio personalizzato di cui all’art. 20, co. 1, ovvero mediante la procedura di cui all’art. 20, co. 4, ossia tramite l’Anpal. Viene così confermato il carattere “volontario” della misura.
Il lavoratore disoccupato percettore della Naspi dopo 15 giorni dalla presentazione della domanda all’INPS (art. 21, co. 2) deve stipulare il patto di servizio personalizzato presso il Cpi. In questa sede egli ha diritto di chiedere l’assegno di ricollocazione e, se lo fa, accetta di osservare gli oneri che ne derivano e la conseguente condizionalità (art. 23, co. 5, lett. d).
Se il Cpi non convoca il disoccupato percettore di Naspi entro 60 giorni dall’inizio dello stato di disoccupazione (DID), questi «ha diritto» a richiedere direttamente all’Anpal le credenziali per l’accesso alla procedura telematica di profilazione al fine di ottenere l’assegno (art. 20, co. 4) che dovrà essere rilasciato sempre dal Cpi.
La profilazione consente di stabilire l’ammontare dell’assegno cui il disoccupato ha diritto. Altra cosa è il rilascio dello stesso (dopo 4 mesi dalla DID) e altra cosa ancora è la richiesta del servizio di assistenza intensiva che il disoccupato deve attivare entro 2 mesi dalla data del rilascio dell’assegno a pena di decadenza dallo stato di disoccupazione e dalla prestazione di sostegno del reddito (art. 23, co. 4). Le disposizioni ora esaminate devono essere lette in combinazione tra loro per evitare inutili sovrapposizioni tra il patto di servizio personalizzato – comunque necessario in quanto LEP – e la procedura sostitutiva volta a profilare il disoccupato al posto del CpI.
A tal fine è auspicabile che l’Anpal chiarisca in tempi rapidi «condizioni e modalità» (di cui all’art. 23, co. 2 e 7) attraverso le quali il disoccupato, dopo la profilazione automatizzata di cui all’art. 20, co. 4, possa scegliere il soggetto – pubblico o privato – presso il quale spendere l’assegno e con il quale negoziare gli impegni reciproci per la ricollocazione.
L’assegno di ricollocazione costituisce il corrispettivo di un servizio specialistico che ha l’obiettivo di accompagnare attivamente la persona disoccupata da più di quattro mesi nel mercato del lavoro, consentendole di avvalersi sia di soggetti privati accreditati sia dei Cpi. L’assegno individuale di ricollocazione, graduato in funzione del profilo personale di occupabilità (art. 19), è rilasciato dai Cpi al termine della procedura di profilazione.
Quanto ai soggetti attuatori della misura, sembra che il legislatore abbia inteso promuovere un modello competitivo, assai simile a quel modello sperimentato dalla Regione Lombardia (per una analisi dei due modelli – cooperativo e competitivo – v. Varesi, P.A., I servizi per l’impiego nella legislazione regionale, in Brollo M., a cura di, Il mercato del lavoro, in Persiani, M.-Carinci, F., diretto da, Trattato di diritto del lavoro, Padova, 2012, 251), nel quale i Cpi competono sul mercato al pari di altri operatori accreditati. Questo modello prevede che tutte le funzioni siano svolte indifferentemente dai soggetti pubblici o dai soggetti privati accreditati, tutti trattati in modo paritetico nell’ambito di un sistema misto pubblico-privato. Al contrario, nel sistema delle Regioni che promuovono il c.r. (Lazio, Sardegna e Sicilia), prevale un modello organizzativo cooperativo e complementare tra i Cpi e gli operatori accreditati per i servizi specialistici. Questo modello è caratterizzato da una netta separazione di funzioni: i Cpi svolgono le funzioni obbligatorie di accoglienza, presa in carico e profiling, mentre gli operatori accreditati si occupano di fornire i servizi specialistici finalizzati alla collocazione delle persone. In questo contesto i Cpi svolgono anche un ruolo di monitoraggio e controllo sul corretto adempimento degli obblighi nascenti dal contratto di ricollocazione sia per il lavoratore sia per i soggetti accreditati.
Tuttavia il modello competitivo scelto dal legislatore è fortemente attenuato dalla assegnazione esclusiva di alcune funzioni al CpI, il quale, oltre a stipulare il patto di servizio personalizzato con la persona disoccupata (art. 20), è l’unico abilitato a erogare l’assegno di ricollocazione.
Il co. 2 dell’art. 23 dispone che l’assegno di ricollocazione è rilasciato dal Cpi sulla base degli esiti della procedura di profilazione anche per il caso in cui il disoccupato abbia effettuato la procedura sostitutiva tramite l’Anpal.
Quest’ultimo, dopo l’iscrizione al portale nazionale e dopo la conferma dello stato di disoccupazione attraverso la stipulazione del patto di servizio, viene profilato in via automatizzata. Dopo la profilazione effettuata tramite i Cpi o, in caso d’inerzia di questi, tramite l’Anpal secondo le modalità che saranno dalla stessa stabilite, alla persona che ne fa richiesta è rilasciato l’assegno. La norma deve essere intesa nel senso che dopo l’accesso diretto alla profilazione telematica tramite l’Anpal il disoccupato può andare al Cpi e ritirare l’assegno il cui ammontare è graduato in relazione al suo profilo personale di occupabilità. È auspicabile che l’Anpal chiarisca se in questo caso il beneficiario dell’assegno debba o no stipulare il patto di servizio personalizzato (che potrebbe considerarsi assorbito nel procedimento già svolto). Il valore dell’assegno varia a seconda della classe di profilazione: più alta è la difficoltà di rioccupazione della persona disoccupata, maggiore è il valore dell’assegno. L’assegno utilizzato dal disoccupato per remunerare il servizio specialistico di assistenza intensiva nel mercato del lavoro, non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale (co. 3). Detta disposizione assai opportunamente colma una lacuna della precedente disciplina. Resta invece da capire se per gli operatori accreditati il corrispettivo è escluso o no dal pagamento dell’IVA.
La scelta dell’operatore da parte della persona disoccupata – secondo un meccanismo di quasi mercato – e la volontarietà della partecipazione alla misura consentono di confermare la natura negoziale del c.r. e la natura sinallagmatica dell’assegno in relazione alla fornitura del servizio secondo quanto previsto dal criterio di delega richiamato all’inizio: è infatti difficile non intravedere un rapporto sinallagmatico tra i soggetti privati accreditati ai servizi al lavoro per l’erogazione dei servizi di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro e la persona beneficiaria dell’assegno di ricollocazione, che spende l’importo presso il soggetto accreditato da lui scelto (favorevole alla natura privatistica dell’assegno sono Olivieri, A., L’assegno di ricollocazione: una nuova condivisione di diritti e doveri, in Argomenti dir. lav., 2016, 1; Valente, L., La riforma dei servizi per il mercato del lavoro, Il nuovo quadro della legislazione italiana dopo il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, Milano, 2016; Contra, Garofalo D., Il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22: un primo commento, Riv. dir. sic. soc., 2015, 385, ma con riferimento al c.r. pagato esclusivamente a risultato e Tessaroli, L., Riforma dei servizi per il lavoro: assegno di ricollocazione, in Il libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016, 368).
Questa qualificazione dell’assegno di ricollocazione sembra escludere che esso possa rientrare nella nozione di rapporto sovventorio di cui all’art. 12 della l. 7.9.1990, n. 241 cioè nell’ambito dei rapporti tra la pubblica amministrazione operante in quanto tale e altri soggetti pubblici o privati.
Al riguardo sarebbe comunque opportuno un chiarimento da parte dell’Anpal.
Il co. 5 dell’art. 23 dispone che la richiesta del servizio di assistenza alla ricollocazione, per tutta la sua durata, sospende il patto di servizio personalizzato eventualmente stipulato a norma dell’art. 20: ciò in quanto contiene già al suo interno tutti gli obblighi e la condizionalità connessi alla perdita di sussidi in caso di non partecipazione attiva del disoccupato (art. 23, co. 4).
Il servizio di assistenza alla ricollocazione deve prevedere:
- l’affiancamento di un tutor al soggetto disoccupato;
- il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione e la relativa area, con eventuale percorso di riqualificazione professionale mirata a sbocchi occupazionali esistenti nell’area stessa;
- l’assunzione dell’onere del soggetto disoccupato di svolgere le attività individuate dal tutor;
- l’assunzione dell’onere del soggetto disoccupato di accettare l’offerta di lavoro congrua rispetto alle sue capacità, aspirazioni, e possibilità effettive, in rapporto alle condizioni del mercato del lavoro nel territorio di riferimento nonché al periodo di disoccupazione;
- l’obbligo per il soggetto erogatore del servizio di comunicare al Cpi e all’Anpal l’eventuale rifiuto ingiustificato, da parte della persona interessata, di svolgere una delle attività, o di una offerta di lavoro congrua, al fine dell’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 21, co. 7 e 8;
- la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova, o a termine, con eventuale ripresa del servizio stesso dopo l’eventuale cessazione del rapporto entro il termine di sei mesi.
Per ogni soggetto deve essere redatto un programma personalizzato che esso si obbliga a svolgere (art. 23, co. 5, lett. c): ciò può avvenire soltanto dopo un colloquio o un orientamento specialistico che gli operatori privati devono essere obbligati a effettuare con il disoccupato in luogo del Cpi qualora il disoccupato abbia scelto il soggetto privato.
L’accompagnamento può prevedere anche uno sbocco occupazionale nel campo del lavoro autonomo (art. 18).
La persona disoccupata, come si è visto, deve assumere l’onere di accettare l’offerta di lavoro ritenuta congrua rispetto alle sue capacità e aspirazioni e al contempo rispetto alle oggettive condizioni del mercato del lavoro locale e alla durata del periodo di disoccupazione. Si tratta di una nozione speciale e aggiuntiva rispetto a quella generale (art. 25) giustificata dalla finalizzazione della misura al raggiungimento del risultato occupazionale.
In altre parole, per i disoccupati che chiedono l’assegno di ricollocazione, non dovrebbe valere la disciplina generale della congruità dell’offerta di cui all’art. 25, ma la nozione speciale di cui all’art. 23, co. 5 lett. d).
Sembra di capire che la definizione di offerta congrua ai fini dell’assegno di ricollocazione lasci un margine di flessibilità alle parti rispetto alle capacità professionali, alle condizioni del mercato del lavoro nell’area geografica, alla durata del periodo di disoccupazione, secondo le indicazioni che emergono all’esito del colloquio di orientamento. In altre parole, il disoccupato che chiede l’assegno s’impegna ad accettare anche le offerte di lavoro che dovessero essere ritenute congrue sulla base di quanto stabilito dalle parti al momento della scelta della misura, anche in deroga rispetto a quanto stabilito dalla norma che regola la materia per la generalità dei disoccupati (art. 25).
Quanto alla condizionalità, la norma prevede che il soggetto erogatore del servizio comunichi al Cpi e all’Anpal il rifiuto ingiustificato a svolgere le attività indicate dal tutor o di una offerta di lavoro congrua al fine di consentire al Cpi l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 21 co. 7, 8 e 9: si tratta della decadenza dalla prestazione a sostegno del reddito e anche dallo stato di disoccupazione.
L’assegno è spendibile al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro presso i Cpi o presso i soggetti privati accreditati ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 150/2015. Una volta ottenuto l’assegno il servizio deve essere richiesto dal disoccupato a pena di decadenza dallo stato di disoccupazione (art. 19) e dalla prestazione a sostegno del reddito (art. 21), entro due mesi dalla data di rilascio dell’assegno (co. 4). Il servizio di assistenza intensiva ha una durata di sei mesi, prorogabile per altri sei nel caso in cui non sia stato raggiunto il risultato pieno. La disposizione lascia intendere che è possibile l’utilizzo parziale dell’assegno per il caso che la persona disoccupata venga assunta con contratti di durata inferiore a sei mesi. Il servizio è sospeso nel caso di assunzione in prova o con contratto a termine della durata di sei mesi (co. 5, lett. f). All’atto dell’assunzione dell’incarico l’operatore accreditato ai sensi dell’art. 12, è tenuto a darne immediata comunicazione al Cpi che ha rilasciato al disoccupato l’assegno. Il Cpi è di conseguenza tenuto ad aggiornare il patto di servizio (co. 6).
Il servizio è remunerato secondo costi standard indicati dall’Anpal (art. 23, co. 7). A questo fine l’Anpal provvede con apposita delibera, previa approvazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei seguenti principi: a) riconoscimento dell’assegno di ricollocazione prevalentemente a risultato occupazionale ottenuto; b) definizione dell’ammontare dell’assegno di ricollocazione in maniera da mantenere l’economicità dell’attività, considerando una ragionevole percentuale di casi per i quali l’attività propedeutica alla ricollocazione non fornisca il risultato occupazionale; c) graduazione dell’ammontare dell’assegno di ricollocazione in relazione al profilo personale di occupabilità; d) obbligo, per il soggetto erogatore del servizio, di fornire un’assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore; e) obbligo, per il soggetto erogatore, di comunicare le offerte di lavoro effettuate nei confronti degli aventi diritto.
Quanto al riconoscimento dell’assegno «prevalentemente a risultato occupazionale ottenuto», la norma corregge l’originaria impostazione contenuta nell’art. 17 del d.lgs. n. 22/2015, che escludeva la remunerazione del servizio “a processo”. Questa scelta è condividibile: essa consente di evitare che i soggetti accreditati investano il loro tempo e le loro competenze soltanto sulle persone più facilmente collocabili disinteressandosi di coloro che dovessero risultare in posizione più svantaggiata; consente anche di evitare che l’operatore corretto venga penalizzato eccessivamente dall’eventuale abbandono o rifiuto del programma contrattuale da parte di un numero rilevante di persone assistite. La norma, invece, nulla dice sulla nozione di risultato occupazionale utile.
È assai opportuno che l’Anpal individui con la maggiore precisione possibile il contenuto dell’obbligo del soggetto accreditato per evitare comportamenti opportunistici finalizzati a prendere in carico i disoccupati per guadagnare soltanto la parte “a processo” dell’assegno: o, peggio, proporre al disoccupato rapporti di breve o brevissima durata che il disoccupato avrebbe potuto trovare egualmente nel libero mercato ma che non potrebbe rifiutare, pena la perdita dell’indennità.
Quanto all’ammontare dell’assegno, anch’esso destinato a essere definito dall’Anpal, la norma prescrive che esso deve tener conto della economicità dell’esercizio dell’attività, quindi anche di una ragionevole percentuale di casi per i quali l’attività mirata alla ricollocazione non raggiunga il risultato occupazionale. Come dire che l’Anpal dovrà considerare sia la difficoltà obiettiva della missione, sia l’incidenza prevedibile di atteggiamenti non cooperativi delle persone assistite. Il sistema ipotizzato dal legislatore attribuisce alla persona disoccupata una somma di denaro corrispondente al valore economico del servizio, che può essere spesa presso un soggetto accreditato o presso il Cpi scelto liberamente dalla persona stessa. La norma precisa che l’assegno di ricollocazione non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche: segno che l’assegno non costituisce una utilità ma è il mezzo per consentire l’acquisto di un servizio in un regime di quasi mercato in ordine alla scelta del soggetto che presterà il servizio a cui verrà riconosciuta una utilità economica. Il sistema si diversifica dall’avviso pubblico, in cui sono stabiliti e resi pubblici le modalità e i requisiti per ottenere le sovvenzioni o i contribuiti e, in particolare, i criteri in base ai quali sono selezionati i soggetti meritevoli di finanziamento.
L’assegno può essere incassato prevalentemente a collocazione avvenuta. Come si è visto, il legislatore non detta alcuna definizione della nozione di risultato occupazionale se non indirettamente nell’art. 23, co. 5, lett. f), dove fa riferimento alla disciplina della sospensione del servizio a seguito della conclusione di un contratto a termine inferiore a sei mesi. Se ne deduce che un contratto a termine di durata superiore a sei mesi configura un risultato occupazionale utile ai fini della norma.
Secondo le prime discipline regionali (il riferimento è a quelle del Lazio, della Sardegna e della Sicilia) emanate in riferimento all'istituto del c.r. previsto dalla l. n. 147/2013 per risultato utile s’intende la conclusione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o in apprendistato, o a termine, anche in regime di somministrazione, della durata minima di sei mesi anche raggiunta attraverso proroghe, oppure l’avvio effettivo di un'attività di lavoro autonomo.
La relazione negoziale tra la persona disoccupata e il soggetto erogatore si estingue al momento di raggiungimento del risultato qualora il risultato sia raggiunto prima di sei mesi.
Il co. 8 dell’art. 23 individua le modalità attraverso le quali l’Anpal realizza il monitoraggio e la valutazione dei risultati occupazionali raggiunti dai soggetti erogatori del servizio. A tal fine l’Anpal istituisce un sistema informatico al quale sia i soggetti accreditati sia i Cpi sono obbligati a conferire le notizie relative alle richieste, all’utilizzo e all’esito del servizio. Gli esiti della valutazione sono pubblici e l’Anpal ne cura la distribuzione ai Cpi. l’Anpal segnala ai soggetti erogatori del servizio gli elementi di criticità riscontrati nella fase di valutazione al fine di consentire le opportune azioni correttive. Decorso un anno dalla segnalazione, ove le criticità permangano, l’Anpal valuta la revoca dalla facoltà di operare con lo strumento dell’assegno di ricollocazione
La disposizione ha il pregio di fornire all’Anpal il potere di correggere eventuali distorsioni del servizio. Si rilevano tuttavia due criticità: la prima riguarda il termine eccessivamente lungo per l’adeguamento. La seconda riguarda la genericità dei soggetti destinatari della revoca – se solo i soggetti privati accreditati o anche i Cpi – e la genericità della locuzione «criticità nella erogazione».
L’assegno è finanziato dallo Stato e dalle Regioni nei limiti che verranno stabiliti in una apposita intesa a norma dell’art. 24, co. 2.
Ci si attende che l’Anpal chiarisca quali siano le procedure di riparto delle risorse immediatamente disponibili del Fondo politiche attive in base a quanto disposto dalla l. n. 147/2013 e successive modifiche e integrazioni, alle quali le Regioni e le Province autonome possono fare riferimento. L’intesa dovrebbe prevederne l’avvio in via sperimentale ripartendo le risorse nazionali disponibili secondo stime attendibili dei potenziali beneficiari e chiedendo alle Regioni di integrare le risorse con fondi propri o con i contributi del Fondo sociale europeo.
La norma non indica entro quando l’intesa deve essere raggiunta e questo può compromettere l’operatività della misura.
È inoltre previsto un finanziamento del Fondo politiche attive attraverso il versamento dall’INPS all’Anpal delle risorse provenienti dal contributo di cui all’art. 2, co. 10-bis, della l. n. 92/2012 nella misura del 30 per cento. La misura del contributo mensile, attribuito in favore del datore di lavoro in caso di assunzione a tempo pieno ed indeterminato di lavoratori che fruiscono di Naspi viene così ridotta da 50 a 20 punti percentuali. Conseguentemente, si prevede che la corrispondente quota di 30 punti percentuali (derivanti dalla suddetta riduzione) sia versata dall'INPS all'Anpal e destinata al finanziamento del Fondo per le politiche attive del lavoro invece che i datori di lavoro per l’assunzione diretta di lavoratori disoccupati. Il Fondo per le politiche attive del lavoro, è stato da ultimo incrementato dall’art. 43, co. 6 del d.lgs. 14.9.2015, n. 148.
L. 7.9.1990, n. 241; d.lgs. 21.4.2000, n. 181; l. 28.6.2012, n. 92; l. 28.12.2013, n. 147; l. 10.12.2014, n. 183; d.lgs. 4.3.2015, n. 22; d.lgs. 4.3.2015, n. 23; d.lgs. 4.9.2015, n. 148; d.lgs. 14.9.2015, n. 150.
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