assenso
Atto della mente che aderisce in modo immediato all’evidenza di un’impressione. L’a. è quindi spontaneo, ma implica la volontà e, quanto meno l’impressione è chiara, tanto più nasce la possibilità dell’errore. Come termine filosofico, corrisponde al latino assensus, usato (per es., Cicerone, Academicorum reliquiae, II, 57) per tradurre il termine greco συγκατάϑεσις, il quale, nella concezione stoica, indica la funzione spirituale che riconosce i dati del senso come veramente reali. Tale attribuzione del carattere di realtà alla rappresentazione sensibile è, per gli stoici, libera, di una libertà che ha importanza fondamentale per la risoluzione del problema pratico. Opponendosi a questo concetto della συγκατάϑεσις, gli scettici propugnavano invece la ἐποχή, la «sospensione» dell’a. (Sesto Empirico, Adversus mathematicos, VIII, 39, 7). La nozione dell’a. passò nella filosofia cristiana per definire la fede come un «pensare con assentimento» (Tommaso d’Aquino), cioè come accettazione volontaria di verità rivelate. Occam sottolineò l’aspetto volontaristico dell’a. mettendolo in rapporto con la possibilità d’errore. Questa impostazione fu poi ripresa da Descartes (Principia philosophiae, 1644, I, 34-35) e Locke (Saggio sull’intelletto umano, 1690, IV, 15, 2-3), secondo i quali l’a. è un atto della volontà che afferma o nega le idee presentate dall’intelletto.