assessino
. Nella definizione del Buti, che commenta il passo di If XIX 50 Io stava come 'l frate che confessa / lo perfido assessin, a. - o ‛ assassino ', secondo la forma divenuta poi tradizionale - " è colui che uccide altrui per denari, ed è comunemente condannato in ogni luogo del mondo a tal pena ": la cosiddetta ‛ propagginazione '. La similitudine dantesca, del poeta che si china presso la buca in cui è confitto Niccolò III come il frate che si china a raccogliere l'estrema confessione del perfido a., già calato nella buca in cui troverà la morte, ha ricevuto di recente una nuova e più esatta interpretazione di quella tradizionale (v. CESSARE) ad opera del Pagliaro : " Occorre tener presente che in italiano antico ‛ assessino ' ha il preciso significato di ‛ sicario ', e che tale significato è ancora in stretto legame con l'origine del termine. Com'è noto, gli Assassini erano una setta di ismailiti, i cui membri, sotto l'azione inebriante dello hashish (arabo plur. hašāšīn) commettevano audacissimi misfatti, agli ordini di un capo, il Veglio della montagna, al quale obbedivano ciecamente fino alla morte ". Nella documentazione letteraria occidentale " la nota che nella loro figura veniva rilevata non era l'efferatezza dei misfatti, bensì quella della fedeltà illimitata del sicario al proprio capo e mandante ".
A conferma di ciò il Pagliaro ricorda alcuni luoghi di Guido delle Colonne, del Mare amoroso, ecc., in cui la fedeltà dell'a. al suo capo è ricordata come termine di paragone alla fedeltà del poeta verso la sua donna, e rileva che " perfido... serve qui a qualificare l'assessino per un suo agire, che è in contrasto con un carattere legato nella coscienza linguistica con quell'appellativo; l'aggettivo ‛ infedele ', ‛ traditore ' è atto a qualificare il sicario, il quale venga meno all'obbligo del silenzio, che egli, si presume, ha contratto nell'atto di ricevere il suo ignobile mandato ". In questo senso ancora il sostantivo è usato in Fiore II 11 (I' si son tutto presto / di farvi pura e fina fedeltate, / più ch'Assessino al Veglio o a Dio il Presto), e in Detto 260 (Unque Assessino al Veglio / non fu già mai si presto, / né a Dio mai il Presto, / com'io a servir amante, / per le vertù ch'ha mante). Il vocabolo è anche in Chiaro Di grazze far 7 (nella nota relativa, nell'ediz. Menichetti, sono ricordati molti esempi di altri autori, ed è citata una bibliografia specifica sul vocabolo). Questo toglie evidentemente valore alla più ampia interpretazione della similitudine suggerita dal Buti (ad 1.), che ha visto un'improbabile affinità tra il delitto dell'a., che uccide per danaro, e quello del simoniaco che per danaro offende la purezza e la natura stessa della Chiesa: " E veramente li simoniaci sono simili alli assassini; imperò che, come li simoniaci vendono la grazia, così li assassini vendono lo vincolo dell'amor naturale per danari, quando uccidono li uomini per danari ". Pertanto la similitudine di D. si riferisce al frate che si china ad ascoltare le rivelazioni del sicario traditore, che in tal modo scampa alla morte.
Bibl. - Pagliaro, Ulisse 263-269.