assetare
Esclusivo della Commedia, dove compare sei volte, due nel Purgatorio e quattro nel Paradiso, prevalentemente alla terza persona dell'indicativo presente e in rima. In accordo con la relazione metaforica ‛ sete - desiderio ', che già si verificava per il termine sitis nel latino di Cicerone, Orazio, Ovidio, Quintiliano, ha il significato figurato di " suscitar desiderio ". In Pd XIX 121 è usato assolutamente: Lì si vedrà la superbia ch'asseta, " che fa l'uomo cupido e dalli sete d'avere quello bene che ànno li suoi vicini " (Buti). Ha costrutto transitivo in Pd I 33, dove dell'alloro è detto che dovrebbe rendere lieto Apollo quando alcun di sé asseta, quando mette in qualcuno la sete di sé, cioè il desiderio dell'eccellenza e gloria poetica; e in III 72 Frate, la nostra volontà quïeta / virtù di carità, che fa volerne / sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
Il verbo assume un'intensità maggiore e si arricchisce di echi biblici quando indica l'inesauribile sete di verità spirituali accesa da Cristo in ogni anima: quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta (Pg xxxl 129; cfr. Ecli. 24, 29 " Qui edunt me adhuc esurient, / et qui bibunt me adhuc sitient "); o l'ardore di esercitare la carità che il sacro amore infonde in Cacciaguida : 'l sacro amore in che io veglio / con perpetüa vista e che m'asseta / di dolce disïar (Pd XV 65).
Al participio passato, con valore di aggettivo, in Pg XXV 38 Sangue perfetto, che poi non si beve / da l'assetate vene, specifica l'avidità con cui le vene assorbono il sangue (non quello perfetto, destinato a formare il seme maschile) per condurlo a nutrire il corpo intero.