ASSICURAZIONI
di Rudolf Gärtner
Nella letteratura affiora ricorrentemente il tentativo di considerare le assicurazioni come il risultato di un processo evolutivo continuo, i cui inizi risalirebbero all'antichità. Nonostante i diversi gradi di sviluppo riscontrabili nelle singole società e nonostante le differenze tra i rispettivi sistemi politici, le assicurazioni si presenterebbero come un fenomeno universale.Tali impostazioni sono, però, abbastanza antistoriche e, nella loro genericità, praticamente prive di valore esplicativo. I lavori più recenti escludono senza eccezioni che nella storia delle assicurazioni si possa parlare di una continuità nel corso dei millenni. Può essere senz'altro corretto affermare che nei diritti antichi siano esistite forme di compensazione su base solidale e che istituti come il mutuo marittimo contenessero elementi di assunzione del rischio, ma non c'è nessuna linea di collegamento organico con il tipo contrattuale 'assicurazione', quale si è sviluppato in Italia nel XIV secolo (v. Cassandro, 1958, pp. 420-421; v. Spagnesi, 1975, pp. 6-9). Se infatti si considera la rapidità con cui, nel giro di pochi decenni, l'assicurazione marittima si è affermata nei centri commerciali italiani come nuovo tipo negoziale, assumendo contorni giuridici che per secoli avrebbero improntato le assicurazioni europee, sarebbe mera speculazione sostenere che si tratta della continuazione e dell'affermazione di un processo iniziatosi in precedenza. Si deve quindi semplicemente riconoscere che le antiche nazioni dedite alla navigazione non conoscevano sistemi assicurativi organici simili a quelli che si sono sviluppati nelle città italiane per far fronte alle necessità del commercio marittimo.
Questo naturalmente non spiega come mai, in particolare, i Greci e i Romani, nonostante il loro alto livello di sviluppo culturale e nonostante la presenza di evidenti situazioni di rischio, quali quelle legate a spettacolari realizzazioni architettoniche, a lunghe traversate marittime, ecc., non abbiano creato un sistema di prevenzione dei danni comparabile a quello delle successive assicurazioni. Si potrebbe pensare a questo proposito che i commercianti italiani del tardo Medioevo avessero un maggior bisogno di sicurezza, ma resterebbe sempre da spiegare il perché di questo fatto.
L'intero problema, alla fine, sfocia in quello dell'interpretazione del Rinascimento e del suo apporto all'evoluzione dell'economia. Molti istituti della moderna vita economica ebbero infatti origine in quel periodo, e nella grande catena delle 'invenzioni' le assicurazioni non sono che un ulteriore esempio dello sforzo di organizzare le attività economiche in modo più razionale per facilitarne la gestione (v. Nehlsen-von Stryk, 1986, pp. 6-8).
Se il contributo pionieristico dell'Italia all'avvento delle moderne assicurazioni è quindi innegabile, tuttavia non tutte le attuali forme di assicurazione sono riconducibili esclusivamente a tale origine. Senza dubbio l'assicurazione marittima di stampo italiano si è rapidamente e trionfalmente diffusa in Spagna, Olanda, Inghilterra, ecc.; ed è anche vero che la struttura fondamentale del contratto di assicurazione marittima costituì il modello in base al quale furono introdotte in seguito forme di compensazione per altri tipi di rischi. Ma ciò riguardava soprattutto gli aspetti tecnici; gli sviluppi successivi furono infatti condizionati da situazioni storico-sociali specifiche.Così, ad esempio, si può istituire una stretta connessione tra la nascita delle assicurazioni contro gli incendi e il processo di urbanizzazione. Quando cominciarono a svilupparsi progressivamente i grandi centri urbani, l'edificazione intensiva e la prevalenza del legno come materiale da costruzione favorirono gli incendi. Era quindi pressoché inevitabile che intere città o singoli quartieri fossero distrutti da un incendio: basti pensare a quello che, nel 1666, infuriò a Londra per più giorni. In casi del genere non si trattava più soltanto degli interessi personali di singoli proprietari di edifici, perché un grande incendio investiva le fondamenta stesse della vita nella città come luogo della produzione e dello scambio. Non deve sorprendere pertanto che le città si facessero carico del problema.
Dopo l'incendio di Londra, ad esempio, non solo si cercò di migliorare le tecniche edilizie, con specifico riferimento alla distanza tra le costruzioni, alla qualità dei materiali, alla protezione dagli incendi, ecc., ma lo sviluppo di un'efficace protezione assicurativa degli edifici contro gli incendi divenne una questione di interesse pubblico (v. Dickson, 1960, pp. 4-16). È significativo a questo proposito che la più antica società di assicurazioni contro gli incendi, la Hamburger Feuerkasse, sia stata fondata nel 1676 come istituzione cittadina. D'altronde, la peculiarità del rischio d'incendio a cui erano esposte le grandi città non rendeva consigliabile affidare la copertura assicurativa a una pluralità di operatori singoli. Come dimostra proprio l'incendio di Londra, il nuovo ramo assicurativo venne organizzato sin dal principio su base corporativa (v. Cockerell e Green, 1976, p. 18). Ritornando al problema della continuità storica, si è cercato anche in questo caso di stabilire un collegamento con le precedenti forme medievali di comunione di rischio, quali sono state tramandate soprattutto in ambito nordeuropeo (v. Helmer, 1955, pp. 57-61). Ma ancora una volta si tratta di una connessione puramente speculativa. I presunti precedenti cui ci si richiama, infatti, riguardavano tutti l'ambito contadino-rurale e non avrebbero quindi potuto avere nessun valore per le specifiche problematiche sorte con il successivo processo di urbanizzazione.
Significativo è anche l'esempio dell'assicurazione sulla vita, di cui si sono ricercate anticipazioni molto remote senza tuttavia riuscire a dimostrare una continuità di sviluppi sino all'epoca moderna (v. Spagnesi, 1975, p. 183). Le assicurazioni sulla vita così come le si intende oggi, hanno avuto origine nell'Inghilterra del XVIII secolo. A quell'epoca l'Inghilterra costituiva - secondo parametri europei - un paese ricco ed evoluto. Gli esponenti dei ceti medio-alti, in particolare, erano in condizione di accumulare un certo patrimonio. Tuttavia, poiché il successo di progetti a lungo termine poteva essere messo in pericolo dalla morte prematura del titolare del reddito, si pensò di coprire questo rischio assicurativamente. A tal fine, però, occorrevano determinate basi di tipo statistico e matematico che consentissero di stabilire la durata probabile della vita di una persona e di calcolare un premio quanto più possibile costante per la durata del contratto. Agli inizi le assicurazioni sulla vita ebbero qualche difficoltà con questi problemi tecnici: si prevedevano soltanto contratti a termine, con tassi di premio graduati secondo l'età all'entrata assicurativa. Ben presto però tali difficoltà vennero superate e si sviluppò un'istituzione che entrò in concorrenza con le tradizionali forme di previdenza.
Gli assicurati in genere appartenevano ai ceti sociali che erano in condizioni di accumulare un patrimonio (tra di essi figuravano anche membri della Casa reale) e che del resto, dal punto di vista tecnico, rappresentavano rischi più vantaggiosi della media, in quanto erano meno colpiti dalle malattie, dalle epidemie, ecc. (v. Supple, 1970, p. 113).L'assicurazione sulla vita ebbe una rapida diffusione in Inghilterra e finì per diventare una forma di accumulazione patrimoniale avvantaggiata dal punto di vista fiscale, tanto che verso la metà del XIX secolo la somma investita in assicurazioni sulla vita ammontava a cinque sterline pro capite, mentre nello stesso periodo in Germania ammontava a soli due scellini e in Francia addirittura a meno di uno scellino (ibid., p. 112). Per questa ragione i contratti di assicurazione sulla vita stipulati in Inghilterra costituiscono un'importante fonte di informazioni biografiche e patrimoniali sugli assicurati (v. Cockerell e Green, 1976, pp. 42-44), da cui emerge un contesto sociale diverso da quello relativo alle assicurazioni marittime o contro gli incendi. Dal punto di vista tecnico si poteva contare su metodi statistici e matematici più evoluti, grazie ai quali quanti erano interessati all'accumulazione di un patrimonio erano in condizione di neutralizzare, dal punto di vista finanziario, il rischio rappresentato da un decesso prematuro. Si può dunque affermare che con le assicurazioni sulla vita si era trovato uno strumento per salvaguardare l'accresciuto benessere individuale.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che le origini storiche, economiche e locali delle assicurazioni marittime differiscono, ad esempio, da quelle delle assicurazioni contro gli incendi o da quelle delle assicurazioni sulla vita. Processi genetici corrispondenti e contesti di sviluppo analoghi si possono riscontrare in molti altri settori assicurativi, fino ad arrivare a quelli più recenti come l'assicurazione dei crediti alle esportazioni, l'assicurazione contro i rischi connessi all'impiego dell'energia nucleare, ecc.
Tuttavia non tutti i paesi o tutte le regioni hanno dato vita a creazioni originali. Come mostra l'esempio delle assicurazioni marittime italiane, infatti, spesso ci si limitò a mutuare da altri paesi forme assicurative nuove e questo vale sia per l'assicurazione inglese sulla vita che per molte altre. Nel processo di sviluppo degli Stati di recente formazione sono potuti emergere perciò altri aspetti e altri punti focali. Si consideri l'esempio degli Stati Uniti. Quando questo paese fece il suo ingresso sulla scena economica, non era più necessario inventare le assicurazioni marittime, quelle contro gli incendi o le assicurazioni sulla vita. Ma ciò non vuol dire che per gli Stati Uniti non sia possibile scrivere una storia delle assicurazioni; al contrario, essi ebbero un processo di sviluppo estremamente interessante e dinamico, nel corso del quale si posero problematiche nuove, che solo in seguito sarebbero emerse altrove, anche in Europa.Nella fase iniziale della colonizzazione non esisteva nei futuri Stati Uniti un potenziale assicurativo degno di nota. L'unico settore di qualche interesse era costituito dai trasporti navali tra l'Europa e l'America, che però era monopolizzato dagli assicuratori inglesi. Tuttavia, quando venne gradualmente a costituirsi un mercato interno, in particolare nel settore delle assicurazioni contro gli incendi, la concorrenza interna acquistò un peso sempre maggiore, sino a estromettere gli assicuratori inglesi dal mercato (v. Neeb, 1987, pp. 26-27). La protostoria delle assicurazioni americane è, quindi, in buona parte, la storia dell'emancipazione dalla madrepatria coloniale.Lo status giuridico delle nuove istituzioni americane era generalmente di tipo societario e ciò poneva complessi problemi relativi al conferimento delle concessioni. Una serie di fallimenti di imprese assicuratrici rese poi particolarmente acuto il problema di un controllo statale. A questo riguardo non si poneva solo la questione di misure di controllo concrete: in un sistema federale era inevitabile che si verificassero conflitti tra le competenze degli organi federali e quelle degli Stati membri, e questo è divenuto uno dei temi dominanti nella storia delle assicurazioni americane (cfr. Kimball, in Kimball e Denenberg, 1969, pp. 411-434; v. Neeb, 1987, pp. 123-154).
Gli sviluppi americani dimostrano soprattutto come la storia delle assicurazioni di un paese possa incentrarsi - almeno temporaneamente - su problemi relativi al controllo statale (v. Kimball, 1960). Del resto, se si volesse scrivere una storia delle assicurazioni nei paesi della Comunità Europea, anche in questo caso il tema giuridico del controllo risulterebbe dominante.Che la storia delle assicurazioni di un paese possa incentrarsi su questioni ancora diverse è dimostrato dalla situazione che si registra nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Ottenuta l'indipendenza, essi hanno preteso - con l'appoggio della Conferenza sul commercio internazionale delle Nazioni Unite - la costituzione di mercati assicurativi nazionali. Ciò avrebbe dovuto comportare da un lato una riduzione delle uscite in valuta, dall'altro l'investimento dei capitali accumulati dagli assicuratori nei programmi nazionali di sviluppo. Tali obiettivi non erano tuttavia realizzabili dall'oggi al domani, perché mancavano del tutto le infrastrutture necessarie, nella forma di ordinamenti legislativi, di un qualificato controllo tecnico e, soprattutto, di un sufficiente know how. Infine, i rischi da coprire riguardavano in parte affari piuttosto delicati, spesso con implicazioni internazionali. In questo campo l'esperienza e le competenze delle compagnie di assicurazione operanti nei paesi industrializzati non erano facilmente eguagliabili. Era logico quindi che i punti focali dello sviluppo venissero ravvisati nell'acquisizione di basi statistiche, nell'elaborazione di programmi di formazione professionale, nonché nella creazione di efficienti istituzioni statali (v. UNCTAD, 1981, pp. 2-3, 11-13). A ciò si accompagnarono in parte misure che potrebbero sembrare protezionistiche, ma che si limitavano a tener conto del fatto che, nel campo delle assicurazioni, l'applicazione dei principî del libero commercio internazionale avrebbe lasciato ben poche prospettive di sviluppo agli Stati di più recente formazione.
La breve storia delle assicurazioni nei paesi in via di sviluppo ha avuto dunque i suoi elementi di specificità, dimostrando ancora una volta che la storia delle assicurazioni non presenta un andamento unitario e continuo: l'odierno sistema delle assicurazioni private rappresenta piuttosto la risultante di una molteplicità di condizioni e situazioni.
La breve rassegna dei diversi sviluppi nell'ambito delle assicurazioni private lascia trasparire un elemento comune: la dinamica dell'attività assicurativa si è sempre dispiegata su un piano - per così dire - elitario. Se si considerano gli inizi dell'assicurazione marittima, dell'assicurazione sulla vita, di quella per l'utilizzazione dei reattori nucleari, ecc., risulta evidente che l'attività assicurativa non riguardava larghi strati della popolazione. Per certi versi la situazione è rimasta immutata anche ai giorni nostri. Le innovazioni si verificano, infatti, nel settore che, in contrapposizione a quello di massa, si può definire qualificato. Si pensi, ad esempio, alle sfide che l'odierna industria assicurativa è chiamata a raccogliere rispetto ai rischi legati alla protezione ambientale, ai viaggi nello spazio, alla produzione di sostanze nocive, ecc.
Questa osservazione - valida non solo per le attività assicurative - potrebbe però dare facilmente adito a fraintendimenti, qualora non si prendesse in considerazione un altro fattore. Si avrà più avanti occasione di mostrare come, in un paese con un reddito nazionale in aumento, la domanda di protezione assicurativa cresca in misura più che proporzionale. Elevandosi il reddito pro capite, la domanda assicurativa cresce sempre di più nel settore privato, dove le attività assicurative assumono i caratteri di un'industria di massa. Si verifica pertanto una situazione che può a prima vista sembrare paradossale: i paesi più sviluppati sono, nello stesso tempo, quelli in cui la maggior parte dei premi assicurativi riscossi spetta al settore privato di massa. Nei paesi industrializzati l'attività assicurativa qualificata costituisce, dal punto di vista del volume d'affari, una grandezza secondaria, e vi sono importanti assicuratori che rifiutano di occuparsene. Questo predominio del settore privato di massa conferisce grande stabilità ai mercati assicurativi.Esattamente speculare è la situazione che si registra nei paesi meno sviluppati. In essi manca una domanda privata e un settore assicurativo di massa. Il mercato ha a che fare con pochi grandi rischi, legati prevalentemente ai programmi nazionali di sviluppo. La capacità di compensazione e la stabilità del sistema sono corrispondentemente limitate. Non dissimile era peraltro la situazione in Europa agli albori dell'industrializzazione.
Non esiste una definizione universalmente accettata e atemporale di assicurazione. Dall'angolo visuale di discipline diverse sono stati compiuti innumerevoli tentativi - più che altro di interesse accademico - di definirne il concetto.Indubbiamente si presentano spesso casi limite, per i quali spetta ad autorità di controllo, amministrazioni finanziarie, organi giudiziari ecc., decidere in che misura una certa attività sia di tipo assicurativo. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non si pongono problemi definitori. L'interesse dell'assicurato è definito dall'intento di convertire, a mezzo dell'istituzione assicurativa, un rischio incerto su lui gravante in costi fissi (cioè in premi), mentre, per quanto riguarda l'assicuratore - su cui è trasferito il rischio - i termini del problema sono semplicemente rovesciati. L'assicuratore però non assume in copertura un rischio singolo, ma una pluralità di rischi omogenei, il che conferisce al rapporto con il rischio una diversa connotazione qualitativa. Il singolo rischio conserva bensì la propria intrinseca incertezza (ad esempio il momento della morte di un essere umano) ma, collegando sul piano organizzativo numerosi rischi dello stesso tipo, è possibile determinare su basi statistiche valori medi probabili. Una pluralità di rischi individuali si converte, per la legge dei grandi numeri, in un rischio medio. I rami essenziali della moderna attività assicurativa di massa dispongono oggi di dettagliati valori statistici. Sotto questo profilo l'attività di un assicuratore non presenta quasi più elementi di rischio, tanto che oggi si tende a parlare di un'amministrazione del rischio e di una prestazione di servizi ordinaria. A questo proposito tuttavia occorre fare qualche precisazione.
È appena il caso di rilevare che, nella fase iniziale della moderna attività assicurativa, una compensazione dei rischi in base alla legge dei grandi numeri era possibile in misura molto limitata. I rischi standardizzati erano pochi e gli 'assicuratori' erano spesso commercianti in proprio che, in aggiunta a un'attività principale di altra natura, assicuravano occasionalmente singoli rischi. In tale situazione si potevano avere assunzioni di rischio molto onerose, correlate a premi proporzionalmente elevati (v. Spagnesi, 1975, pp. 172-178). Sebbene questi problemi iniziali siano stati ampiamente superati col tempo, tuttavia anche le moderne assicurazioni hanno ancora a che fare con situazioni rispetto alle quali l'organizzazione di una comunione di rischio è esposta a difficoltà, se non al fallimento. Se infatti il moderno mercato assicurativo è in grado di controllare rischi che in passato risultavano particolarmente onerosi e difficilmente compensabili, è vero però che ogni epoca produce i propri rischi massimi, i quali ripropongono sotto nuove spoglie il vecchio problema. Basti ricordare i rischi dell'energia nucleare o delle missioni spaziali. L'esperienza contemporanea mostra che in questo campo si è ancora lontani da soluzioni assicurative efficaci. D'altra parte si sono sviluppate nel frattempo tecniche molto raffinate, grazie alle quali il potenziale assicurativo tradizionale si è potuto considerevolmente allargare.
Se per esempio un singolo assicuratore non si ritiene in condizione di assumere in copertura un certo rischio, può ricorrere eventualmente alla coassicurazione, in virtù della quale più assicuratori - talora persino tutti quelli presenti sul mercato - si limitano ad assumere determinate quote di rischio. Tale distribuzione, riducendo l'onere gravante sui singoli, lo rende accettabile.Un procedimento analogo si ritrova nei cosiddetti pools assicurativi, cui si ricorre frequentemente per i grandi rischi dell'epoca moderna. È bensì vero che, all'esterno, il singolo membro del pool figura come parte contraente; tuttavia l'organizzazione interna è tale che il rischio sottoscritto viene imputato al pool, nell'ambito del quale viene distribuito in base a quote concordate. In tal modo rischi difficilmente valutabili possono tradursi in grandezze assicurabili.In questo contesto si deve infine menzionare anche la riassicurazione. Gli assicuratori - si parla di primi assicuratori o di assicuratori diretti - non di rado sottoscrivono rischi che per la loro consistenza non trovano una sufficiente compensazione e possono anche superare le capacità di coassicurazioni di pools. Per far fronte a questo tipo di rischi, verso la metà del secolo scorso si è creato il sistema della riassicurazione, prevalentemente operante su scala internazionale, grazie al quale quote o eccedenze di un certo rischio vengono atomizzate mediante una dispersione mondiale e rese così assicurabili (v. Gerathewohl, 1980-1982).
Ogni mercato assicurativo nazionale ha la sua individualità, e pertanto non è possibile descrivere la diffusione e i tratti salienti delle assicurazioni private partendo da una considerazione del fenomeno assicurativo in generale. Tuttavia vi sono pur sempre grandezze che hanno un valore dichiarato generale e tra queste rientrano il reddito nazionale e il prodotto interno lordo di un paese.Se in una regione il reddito pro capite è basso, non ci si può attendere che consistenti quote di esso vengano destinate alle assicurazioni private. Quanto più invece cresce il reddito pro capite, ossia quanto più aumenta il benessere individuale, tanto più facilmente avviene che gli status più elevati vengano coperti assicurativamente. Ma tra i due andamenti non si registra un semplice parallelismo. È infatti statisticamente provato che, in presenza di redditi pro capite crescenti, la domanda di protezione assicurativa aumenta in misura più che proporzionale.Si considerino, ad esempio, le cifre relative alla Germania nel periodo compreso tra il 1890 ed il 1980, nel quale il reddito nazionale ha registrato una crescita continua. Mentre le spese destinate alle assicurazioni nel 1890 ammontavano all'1,6% del reddito nazionale, nel 1980 raggiungevano già il 6,4% (v. Gärtner, 1984, p. 494). Che questa non sia una tendenza specifica della Germania è confermato dalla cosiddetta elasticità della domanda assicurativa mondiale.
Per il periodo compreso tra il 1970 e il 1985 risulta che i tassi annuali di crescita dell'attività assicurativa superavano in tutti i paesi quelli del prodotto interno lordo, ossia che la crescita delle attività assicurative aveva un andamento più che elastico (v. "SIGMA", 1986, n. 3, pp. 3 e 13). Partendo da questo fatto si può dunque affermare che nei paesi ricchi, con un elevato reddito pro capite, le spese per le assicurazioni sono più che proporzionali all'aumento del reddito. È perfettamente in linea con questo quadro il fatto che, nel periodo considerato, la Svizzera ad esempio occupasse il primo posto, superando gli Stati Uniti, mentre paesi come la Turchia, la Grecia o il Portogallo si trovassero relegati ai gradini più bassi della scala (ibid., p. 13).Anche se tra il livello del prodotto interno lordo e quello dei premi assicurativi incassati non sussiste un rigoroso rapporto matematico, il prodotto interno lordo costituisce però una variabile essenziale, la quale dovrebbe, tra l'altro, ridurre le ottimistiche aspettative dei paesi in via di sviluppo. Non ci si può attendere, in particolare, che in tali paesi - persino nell'azzardata ipotesi di un'esportazione della protezione assicurativa - si raggiungano valori superiori a quelli corrispondenti alla situazione economica generale. Per il momento solo il 5% delle quote assicurative mondiali riguarda i paesi del cosiddetto Terzo Mondo (v. UNCTAD, 1981, p. 4); il che rispecchia il modesto apporto di tali paesi alla produzione industriale e alla ricchezza delle nazioni.
Si potrebbe pensare che paesi che presentano un certo parallelismo rispetto al grado di sviluppo e al livello del reddito pro capite presentino una qualche corrispondenza anche rispetto alla diffusione delle assicurazioni. Nei dettagli, invece, i singoli mercati assicurativi presentano rilevanti differenze. Tra le molteplici cause di questo fenomeno l'intervento statale assume una parte decisiva. Ogni ordinamento statale moderno adotta infatti decisioni essenziali sulla distribuzione dei costi e delle responsabilità economico-sociali, e ciò investe anche il ruolo delle assicurazioni private. Così, ad esempio, nei paesi dove si costituisce un servizio pubblico di assistenza sanitaria finanziato mediante il prelievo fiscale, le possibilità di sviluppo del mercato privato delle assicurazioni contro le malattie sono più ristrette rispetto a quelle dei paesi nei quali, in misura maggiore o minore, si rinunzia all'istituzione di un servizio pubblico di questo tipo. L'estensione e la qualità delle assicurazioni sociali influiscono soprattutto sullo sviluppo delle assicurazioni private operanti nei settori corrispondenti. Si potrebbe sostenere, ad esempio, che le più elevate spese pro capite degli Stati Uniti rispetto all'Europa, in questo settore, dipendano dal minore sviluppo delle assicurazioni sociali in quel paese (v. "SIGMA", 1987, n. 4, pp. 4-5).
Le misure statali che si ripercuotono sulle assicurazioni private possono assumere le più diverse configurazioni tecniche. In molti casi, ad esempio, la copertura di determinati rischi di responsabilità presso una compagnia di assicurazioni privata è imposta per obbligo di legge. Un noto esempio in proposito è costituito dai rischi legati alla circolazione stradale. L'istituzione di tali assicurazioni obbligatorie è diventata sempre più frequente; ciò ha significato che, secondo la visione sociopolitica accolta dal legislatore, il potenziale rischio di volta in volta considerato doveva essere affidato a un sistema di compensazione strutturato in termini privatistici.
Un importante strumento di intervento è costituito dalla politica fiscale, che prevede una serie di incentivi per inserire le assicurazioni private nel programma previdenziale. Ciò ha delle ripercussioni anche nell'ambito imprenditoriale. Così, ad esempio, la disponibilità a concludere contratti di assicurazione collettiva da parte degli imprenditori dipende essenzialmente dalla possibilità di detrarre dal reddito imponibile il relativo onere economico.In senso più ampio, naturalmente, un intervento politico e sociale teso a promuovere lo sviluppo del sistema assicurativo privato è anche espressione dell'opzione di uno Stato per l'economia di mercato e la libertà contrattuale.Non è qui il caso di passare in rassegna e di analizzare nel dettaglio i settori di punta dei singoli mercati assicurativi nazionali. È degno di nota, comunque, che sia negli Stati Uniti che in Europa le assicurazioni sulla vita si collochino al primo posto e le assicurazioni automobilistiche al secondo. Nel 1983 circa il 40% dell'ammontare mondiale dei premi assicurativi - corrispondente a circa 440 miliardi di dollari statunitensi - riguardava l'assicurazione sulla vita e circa il 20% l'assicurazione automobilistica. Gli altri rami assicurativi, nella loro incidenza relativa, erano notevolmente meno significativi (v. "SIGMA", 1986, n. 3, pp. 10 e 12; 1987, n. 5, pp. 2-16). Del resto, i settori di punta variano da Stato a Stato anche nell'ambito della CEE (v. Aaronovitch e Samson, 1985, pp. 49-65).
Se si considera la continua crescita mondiale delle spese per le assicurazioni registrata nel corso degli ultimi cento anni, si potrebbe avere l'impressione che, come sistema di tutela contro i danni, l'istituzione assicurativa sia senza concorrenza e senza alternative. Ciò però non è del tutto esatto. Se si risale alle origini, risulta che le coperture assicurative si sono sempre sviluppate quando un certo rischio costituiva una minaccia esistenziale per i soggetti a esso esposti e quando questi ultimi non erano in grado di controllare tale rischio. Nell'epoca presente la situazione è in parte cambiata. La maggior parte dei rischi è assicurabile e non mancano al riguardo certe curiosità: si pensi all'assicurazione contro lo smarrimento dell'ombrello o a quella contro il maltempo in viaggio. Tuttavia, quanto più cresce il benessere generale, tanto più si riduce la minaccia esistenziale legata a determinati eventi dannosi. Chi dispone di un reddito sicuro può sopportare il furto di una bicicletta o il danneggiamento di un mobile per effetto di un'inondazione o di un incendio. In questi casi si possono seguire strategie diverse: o ci si permette il lusso di una copertura assicurativa totale dello standard esistente, oppure si sopportano direttamente i rischi al di sotto di una certa soglia. L'ultima ipotesi ha anche una lunga tradizione giuridica alle spalle, nella forma della cosiddetta franchigia.
Comunque, nell'ambito di una determinata copertura assicurativa, sussiste solo una differenza di grado tra la scelta di sopportare i danni al di sotto di una certa soglia e quella di rinunciare del tutto alla copertura assicurativa quando gli eventuali danni restino entro limiti considerati tollerabili. Si profila così una certa tendenza a rivolgersi al mercato assicurativo solo a partire da una determinata soglia di rischio, scegliendo per il resto l'alternativa della non assicurazione.Diversa è invece la situazione qualora sia impossibile mantenere un certo rischio sotto controllo. Vi sono grandi imprese nazionali o mondiali che per i loro settori interni sono senz'altro in condizione di assumersi compiti tradizionalmente propri degli assicuratori. Se si considera con quali rischi tali imprese debbono oggi convivere - dal corso del dollaro al prezzo del petrolio, dalla politica commerciale internazionale alla struttura della popolazione o del reddito, ecc. - l'assunzione dei rischi tradizionalmente trasferiti alle assicurazioni si configura come un onere addirittura di lieve entità nell'ambito di quello che oggi si chiama risk management (v. Lambert-Faivre, 1986², pp. 8-51). Si può inoltre rilevare che le grandi imprese tendono sempre più ad assumere in proprio la compensazione dei rischi, sia costituendo (soprattutto in un regime fiscale assai favorevole) proprie compagnie assicurative - le cosiddette captive insurance companies (v. Bawcutt, 1982) - sia partecipando, con fondi o quote, a organizzazioni assicurative ufficiali. Si ritorna così al fatto, di per sé ovvio, che per una domanda di protezione assicurativa sussistono margini solo là dove non sia possibile fronteggiare direttamente il problema. Questo fatto ha avuto delle ripercussioni sulle attività assicurative stesse. Così, ad esempio, i riassicuratori lamentano talora il fatto che gli assicuratori principali cedano in riassicurazione soltanto i rischi più critici, rinunciando negli altri casi alla cessione.
Parlando di alternative al ruolo tradizionale dell'industria assicurativa si deve menzionare una tematica attuale che riguarda soprattutto le trasformazioni strutturali.Si è già accennato che, grazie all'attuale standard delle conoscenze statistiche e matematiche, rispetto agli inizi delle attività assicurative oggi non pochi rischi del settore di massa si possono gestire relativamente senza problemi. Si potrebbe parlare di un passaggio dal negozio aleatorio all'amministrazione patrimoniale, soprattutto per quel che riguarda le assicurazioni sulla vita. In tale ramo assicurativo, infatti, aumenta l'incidenza di attività economiche che non si possono più considerare specificamente assicurative: si pensi soprattutto agli investimenti. Anche se in questo caso si devono rispettare alcune condizioni delle autorità di controllo, tuttavia l'attività degli assicuratori sulla vita è assai vicina a quella di altre categorie di investitori professionali di capitali, quali, in particolare, gli istituti di credito. Il fatto che i rischi tradizionali siano divenuti più facilmente controllabili e che le componenti bancarie dell'attività assicurativa abbiano visto crescere la propria incidenza mette inevitabilmente in discussione la divisione dei compiti tradizionale. Si può così osservare attualmente come le banche, nell'ambito della loro assistenza alla clientela, promuovano la sottoscrizione di polizze assicurative, mentre le compagnie di assicurazione aumentano il loro impegno nel settore del credito.
Formalmente la distinzione di un tempo dei rispettivi campi di azione può essere ancora mantenuta, in quanto le banche, in relazione alla sottoscrizione di contratti di assicurazione, svolgono una funzione di mediazione, mentre l'ingresso degli assicuratori nel settore del credito avviene attraverso l'acquisizione di quote di partecipazione a un'impresa bancaria. Nel lungo periodo, comunque, si profila la tendenza alla creazione di servizi finanziari globali. Rispetto alla divisione dei ruoli storicamente condizionata e consolidata, l'utenza è interessata a soluzioni più flessibili, in grado di soddisfare globalmente le esigenze individuali (v. Haller, 1984).
3. Categorie e caratteri strutturali.
Come risulta dalla letteratura, le classificazioni nell'ambito delle attività assicurative possono essere effettuate in base ai criteri più disparati. Si può fondare la distinzione sul carattere obbligatorio o facoltativo dell'assicurazione, sulla circostanza che essa copra rischi d'impresa o rischi privati, sul fatto che l'istituzione assicurativa si presenti come società per azioni o come associazione di tipo mutualistico, ecc. (v. Fontaine, 1975, pp. 28-34). Ma i criteri più importanti ai fini della classificazione scientifica e pratica sono fondamentalmente due.Anzitutto si può partire dagli indennizzi che l'assicuratore si impegna a corrispondere. Ove l'assicurato voglia proteggersi da una perdita patrimoniale, l'assicuratore si impegna al risarcimento del danno: a questo proposito si è affermata la locuzione 'assicurazione contro i danni'. La prestazione cui l'assicuratore si impegna, però, può essere costituita anche dal pagamento di un importo predeterminato, qualora si realizzi il caso previsto dalla polizza (assicurazione di somma fissa).
Alle origini le assicurazioni si presentavano praticamente solo come assicurazioni contro i danni. L'introduzione del pagamento di somme concordate si ha in uno stadio evolutivo più tardo: quando, cioè, si sono sviluppate le assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni.
Il secondo criterio di classificazione che prevale nella teoria e nella pratica riguarda la natura dell'oggetto assicurato. A questo proposito si distinguono le assicurazioni relative all'integrità fisica di una persona - malattia, morte, ecc. (assicurazioni di persone) - da quelle che hanno per oggetto la protezione di un patrimonio.Se dunque all'interno dei due criteri fondamentali di classificazione - natura della prestazione assicurativa e tipo di oggetto assicurato - si opera un'ulteriore ripartizione, si rileva un'interdipendenza notevole. L'ambito di applicazione delle assicurazioni di somma fissa mostra una pressoché totale identità con il settore delle assicurazioni di persone, mentre l'indennizzo ricorre soprattutto nel caso di protezione assicurativa di valori patrimoniali.Il fatto che i rischi relativi all'integrità fisica vengano connessi alla corresponsione di una somma prefissata si può far risalire alla (vecchia) convinzione secondo cui in quest'ambito la valutazione dei beni e dei relativi danni è assai problematica. In gran parte ciò è tuttora vero, ma nel corso del tempo le cose si sono fortemente relativizzate.
Nell'ambito delle assicurazioni contro le malattie - che rientrano tra le assicurazioni di persone - la corresponsione di una somma pattuita è di gran lunga meno importante dell'assunzione dei costi della malattia e del ricovero ospedaliero, ossia dell'indennizzo. Anche l'assicurazione sulla vita è diventata, nella moderna vita economica, uno strumento di garanzia del credito; le prestazioni assicurative in quest'ambito si orientano verso i crediti reali. D'altra parte, per esigenze di semplificazione e razionalizzazione, nel caso di danni materiali si prevede la liquidazione di un indennizzo prefissato. Almeno in questi casi, dunque, le ripartizioni sistematiche classiche hanno perduto gran parte della loro validità.
La suddivisione sistematica delle assicurazioni non è solo un'invenzione intellettuale arbitraria. In essa si esprimono differenze oggettive che trovano riscontro in principî giuridici corrispondentemente differenziati.Nell'ambito delle assicurazioni contro i danni vige ad esempio, sin dall'antichità, il cosiddetto divieto di arricchimento ingiustificato, in virtù del quale la prestazione assicurativa non può mai essere superiore al danno effettivamente subito. Poiché sin dal principio tale prestazione è indirizzata al risarcimento del danno, anziché al pagamento di una somma, il divieto di arricchimento, ossia il principio indennitario, può apparire ovvio, se non tautologico. La questione, tuttavia, sembra richiedere una chiarificazione. È infatti provato che, soprattutto agli inizi della storia delle assicurazioni, si è tentato più volte di praticare speculazioni finanziarie in veste di attività assicurative: ad esempio facendosi promettere prestazioni pecuniarie nel caso si verificasse un evento incerto, anche se questo non toccava i propri interessi economici. Ciò poteva avvenire anche in forma più sottile: chi era esposto alla minaccia di un danno patrimoniale (ad esempio l'incendio di un edificio) poteva assicurarsi per un importo di gran lunga superiore al valore del bene, cercando così di trasformare il danno in una fonte di lucro. La fissazione del principio dell'indennizzo divenne quindi anche un mezzo di prevenzione dei danni e si è manifestata storicamente nella forma del divieto giuridico di soprassicurazione.
La moderna legislazione in materia assicurativa si attiene senza eccezioni alla regola civilistica secondo cui, qualora - per lo più per effetto di unilaterali dichiarazioni dell'assicurato - sia posto a base del contratto un valore assicurato troppo alto, il quale diventa così anche il metro della tariffazione, l'obbligo di prestazione assicurativa trova i suoi limiti nel danno effettivo (v. Lambert-Faivre, 1985⁵, pp. 246-250; v. Fontaine, 1975, pp. 41-48).Nella pratica, peraltro, è più frequente che la valutazione dell'assicurato pecchi per difetto piuttosto che per eccesso. Verosimilmente l'assicurato vuole così realizzare un risparmio sui premi, nella speranza che l'eventuale danno sia parziale e non totale. Ma a questo riguardo interviene un altro principio giuridico, tanto antico quanto diffuso: se la copertura assicurativa è parziale, ossia se si ha una sottoassicurazione, l'obbligo di prestazione assicurativa in caso di danno totale si limita alla somma minima assicurata; in caso di danno parziale, viene pagata solo una quota proporzionale al danno (v. Fontaine, 1975, pp. 139-141).
Pertanto, sia la soprassicurazione che la sottoassicurazione sono svantaggiose per l'assicurato, che nel primo caso spreca i premi, nel secondo può contare soltanto su un risarcimento parziale.Le regole relative alla soprassicurazione e alla sottoassicurazione, naturalmente, sono applicabili solo quando sia possibile una stima del valore dei beni assicurati. Questa non manca soltanto in settori come quello dell'assicurazione sulla vita. Anche nell'ambito delle assicurazioni contro i danni non sempre si incontra la categoria del valore assicurato. Ad esempio, nel settore dell'assicurazione della responsabilità civile è possibile assicurarsi contro il rischio di essere chiamati a rispondere per danni subiti da terzi, che è teoricamente illimitato. Gli assicuratori si preoccupano di limitare l'assunzione di tale rischio fissando dei massimali di copertura, entro i quali però ogni danno risulta coperto; in questo caso, dunque, non si pone alcun problema di soprassicurazione o di sottoassicurazione.
Questi brevi accenni mostrano come i problemi classificatori si collegano a problemi sostanziali. Per le assicurazioni di somma fissa valgono principî diversi da quelli applicabili alle assicurazioni contro i danni; anche nell'ambito di queste ultime si è imposta la necessità di distinguere tra le assicurazioni contro perdite di valori e quelle volte a proteggere dai ricorsi di terzi (ibid., pp. 117-127, 151-159). La classificazione sistematica e giuridica può essere ardua proprio con riferimento alle più recenti forme di assicurazioni di persone, più orientate verso i danni, come ad esempio l'assicurazione contro le malattie o quella (sulla vita) in relazione al debito residuo.
4. Assicurazioni e responsabilità civile
Prima dell'avvento delle assicurazioni, chi si fosse trovato a subire un danno non doveva necessariamente rinunciare all'indennizzo. Se, ad esempio, la perdita di una nave era imputabile al comandante, il diritto all'indennizzo poteva essere fatto valere nei confronti di quest'ultimo . Lo stesso avveniva nel caso che l'incendio di un edificio fosse dipeso da negligenza del vicino. Persino la morte di un uomo poteva essere risarcita con un indennizzo in favore dei superstiti. Tuttavia il più delle volte dipendeva solo dal caso riuscire ad accertare tali responsabilità, risalire agli autori in concreto del danno e, sempre che questi fossero solvibili, ottenere il risarcimento.
Rispetto a tale stato di cose, che poteva talora tradursi in una violazione del principio casum sentit dominus, le assicurazioni si sono, sin dalle origini, basate su una sistematica copertura dei danni. L'assicuratore garantiva la continuità dello status quo patrimoniale, indipendentemente da qualsivoglia responsabilità di terzi.
Ciò doveva presentare in una nuova luce il problema dell'eventuale concorrenza di una responsabilità civile in caso di danni. Se, ad esempio, un edificio assicurato andava distrutto in un incendio provocato dalla negligenza di un terzo, il proprietario non aveva alcun interesse a far valere il proprio diritto all'indennizzo nei confronti del terzo. In questa prospettiva si poteva anche contestare che il proprietario avesse subito effettivamente una perdita patrimoniale, dal momento che l'indennità assicurativa aveva già compensato il danno. L'assicuratore, infine, non era affatto legittimato a rivalersi nei confronti dell'autore del danno: dal momento che si era impegnato ad assumere il rischio dietro compenso, non aveva nessun titolo per rivalersi nei confronti del terzo. In questo modo prese piede l'idea di staccarsi dal diritto penale tradizionale quando sussista una copertura assicurativa del danno. Un moderno sistema di assicurazione contro i danni, organico e pianificato, avrebbe finito per rendere obsoleti i precedenti esiti fortuiti.
L'avvento delle moderne assicurazioni non ha affatto eliminato tutte le possibilità di risarcimento alternative. La pratica giuridica ha anzi sviluppato un complesso e articolato sistema di coordinamento, nel quale figurano quasi tutte le possibili varianti.Vi sono degli ambiti in cui si ammette la compresenza, ossia una cumulazione di diritti di indennizzo indipendenti. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso del decesso di una persona, qualora i superstiti, oltre ad aver diritto all'importo dell'assicurazione sulla vita, possano valersi di un diritto di indennizzo nei confronti di un responsabile. Si ha qui un'ulteriore applicazione dell'idea menzionata in precedenza, secondo la quale nell'ambito delle assicurazioni sulla vita l'assicuratore non si impegna a risarcire un danno, ma a corrispondere una somma di denaro. Da questo punto di vista il principio della cumulazione appare logico, ma la cumulazione non si ha solo in casi di questo genere. Negli Stati Uniti la possibilità di cumulare risarcimento del danno e indennizzo assicurativo ha applicazioni più ampie.
Ciò dipende essenzialmente dal fatto che l'esito positivo di un processo per danni non dà luogo a una compensazione patrimoniale completa, a causa soprattutto delle ingenti spese legali e giudiziarie sostenute dalla parte querelante (v. Fleming, 1971, pp. 8-10). Per questo motivo si decide di riconoscere al soggetto leso entrambe le forme di indennizzo.In certo qual modo, l'estremo opposto della cumulazione si ha quando l'obbligazione dell'autore del danno è ridotta nella misura in cui il danneggiato vanta diritti di indennizzo nei confronti di un assicuratore. Come si è detto, questa soluzione si fonda sulla considerazione che un sistema organico di coperture assicurative non rende più necessario attenersi nello stesso tempo alle forme tradizionali di risarcimento del danno. Questa soluzione è adottata nella pratica giuridica soprattutto in ambiti, come quello degli infortuni sul lavoro, nei quali la copertura assicurativa è obbligatoria. Per contro, qualora la protezione assicurativa dipenda da una decisione individuale meramente eventuale, si tende, in genere, a negare il diritto dell'autore del danno a vedere alleviata la propria posizione debitoria.
Ma neppure questo è un dogma, come dimostra il dibattito attualmente in corso negli Stati Uniti. Dopo che in quel paese il riconoscimento giudiziario del diritto al risarcimento del danno ha assunto proporzioni che minacciano di tradursi in un peso non più sopportabile per l'economia, sono ormai allo studio riforme legislative volte a riportare il fenomeno sotto controllo. Tra le misure prese in esame figura anche la proposta di includere nel risarcimento l'indennizzo corrisposto al danneggiato dall'assicuratore (v. "PHI", 1987, n. 1, pp. 16-17).Il più diffuso sistema di coordinamento tra risarcimento del danno e prestazione assicurativa è quello della surrogazione. Esso persegue il duplice obiettivo di non concedere al danneggiato più di quanto gli spetti come compensazione del danno effettivo e di non far derivare dalla protezione assicurativa esistente un vantaggio per l'autore del danno. La combinazione dei due obiettivi è realizzata riconoscendo all'assicuratore il diritto di regresso nei confronti dell'autore del danno, entro i limiti nei quali l'assicuratore stesso è tenuto al risarcimento (v. Fleming, 1971, pp. 17-18).
La surrogazione appare però solo prima facie come la migliore soluzione possibile. È infatti vero che essa è rivolta a scongiurare due eventualità, entrambe negative: l'arricchimento ingiustificato del danneggiato e il discarico dell'autore del danno. Ciò non basta, tuttavia, a legittimare in positivo un diritto dell'assicuratore, il quale manca di un autonomo titolo giuridico per procedere contro l'autore del danno. Ma il problema non è solo quello del deficit di fondamento della rivendicazione dell'assicuratore. Il coesistere di copertura assicurativa e risarcimento del danno dà infatti luogo, nella pratica, a straordinarie complicazioni, coinvolgendo alcune tra le più delicate questioni giuridiche. I costi amministrativi comportati dal sistema della surrogazione sono inoltre molto elevati, senza che sia chiaro in quale misura essi siano bilanciati dai proventi dell'azione proposta in via di regresso. Non di rado accade poi che il gruppo che procede in via di surrogazione (ad esempio un ente di assicurazione sociale) si componga, in buona sostanza, delle stesse persone costituenti il gruppo su cui grava l'azione di surrogazione (ad esempio una compagnia di assicurazione automobilistica). In questo caso il procedimento surrogatorio ha come risultato una dislocazione più che uno sgravio dell'onere economico. Vi sono così paesi - come la Svezia - i quali non riconoscono più l'istituto della surrogazione a favore dell'assicuratore (v. Hellner, 1980, pp. 25-26). Anche altrove, del resto, sono stati avanzati, al riguardo, dubbi di ordine giuridico e politico (v. Birds, 1982, pp. 274-275; v. Brüggemeier, 1986, p. 68).
Il rapporto tra assicurazioni e responsabilità non presenta aspetti problematici soltanto sul versante della surrogazione. Le assicurazioni della responsabilità civile possono avere ripercussioni anche sul regime giuridico della responsabilità.Originariamente quest'ultimo non subì modifiche evidenti per l'avvento delle assicurazioni nel settore relativo. La responsabilità civile si presentava come una grandezza preesistente alla quale si ricollegava l'assicuratore. La separazione dei due ambiti non ha però impedito la trasformazione qualitativa della responsabilità per condotta colposa. Il principio secondo cui ciascuno risponde del proprio comportamento colposo è stato infatti mantenuto solo in termini esteriori e formali; di fatto, il pagamento di premi a un'assicurazione ha rappresentato la via per evitare le sanzioni previste dalla legge. Nel fenomeno è stato spesso ravvisato - sia pure con valutazioni diverse - il tramonto del principio della responsabilità personale (v. Tunc, 1974, pp. 52-54). Ma non basta. Una volta affermatesi le assicurazioni della responsabilità civile, era inevitabile che i giudici, in considerazione del possibile trasferimento dell'onere finanziario dall'autore del danno all'assicuratore, finissero per concedere risarcimenti eccessivamente generosi.
Gli interessi della parte lesa hanno assunto una posizione di primo piano, e l'attuale diritto al risarcimento del danno è diventato sempre più un diritto di aspettativa del danneggiato, rispetto al quale l'originario principio della responsabilità giuridica passa in seconda linea (v. Lambert-Faivre, 1987).
Ma la stessa struttura giuridica dell'assicurazione della responsabilità civile si è trasformata. Il fenomeno si registra soprattutto nel settore delle assicurazioni obbligatorie. La stessa obbligatorietà è espressione della priorità riconosciuta agli interessi patrimoniali del danneggiato, rispetto a quelli del soggetto responsabile civilmente, priorità che viene fissata anche giuridicamente. Ciò risulta evidente nel caso ben noto dell'assicurazione automobilistica. Le vittime di incidenti automobilistici, infatti, oggi possono far valere i propri diritti direttamente nei confronti della compagnia di assicurazione dell'autore del danno. Ma la legislazione non si limita a ciò. L'assicuratore, infatti, non può opporre alla parte lesa il proprio rapporto con l'assicurato, ad esempio il fatto che questi non sia in regola con il pagamento dei premi o sia in altro modo inadempiente. L'obbligazione dell'assicuratore è, inoltre, prevista anche nel caso che l'autore del danno non sia rintracciabile (perché, ad esempio, è fuggito dopo l'incidente). L'elenco dei provvedimenti legislativi potrebbe essere arricchito di ulteriori dettagli. Il risultato complessivo comunque è chiaro: le vittime di incidenti automobilistici hanno diritto a un risarcimento pressoché totale, a prescindere dalla responsabilità personale dell'autore del danno e indipendentemente dai rapporti giuridici tra questi e l'assicuratore.
Tuttavia, quanto più l'obiettivo sociopolitico della legislazione si avvicina a un'assicurazione contro gli infortuni a favore delle vittime degli incidenti stradali, tanto più diventa problematico il rapporto giuridico assicurativo tradizionale. Non si tratta soltanto - e nemmeno prevalentemente - di un corretto ordinamento classificatorio. Se l'assicurazione automobilistica assumesse la forma di un'assicurazione contro gli infortuni provocati dalla circolazione stradale, si potrebbe rinunziare alle soluzioni giuridiche tradizionali, compresa quella della copertura assicurativa delle responsabilità civili. Si arriverebbe in tal caso a quella che è stata definita come sostituzione della responsabilità civile mediante la protezione assicurativa (v. Hippel, 1980). Non mancano, del resto, esempi di un'evoluzione del sistema in questo senso, in particolare nel settore dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Originariamente anche i rischi in questo ambito erano oggetto della responsabilità civile dell'imprenditore e della corrispondente copertura assicurativa, e si registrava inoltre la tendenza a inasprire il regime giuridico della responsabilità nell'interesse delle vittime degli infortuni. In Germania tuttavia già da un secolo il settore è divenuto un ramo delle assicurazioni sociali contro gli infortuni, e la stessa strada è stata seguita da molti altri paesi (ibid., pp. 43-47). In questo modo il problema dell'inasprimento del regime giuridico della responsabilità, e il problema stesso della responsabilità, non avevano più ragione di sussistere.Uno dei maggiori problemi posti dalla riforma è quello di stabilire se e fino a che punto questo modello si possa applicare agli infortuni legati alla circolazione stradale. In alcuni paesi si registrano soluzioni in questa direzione. I loro fautori si ripromettono, in tal modo, una semplificazione delle procedure e una considerevole riduzione dei costi amministrativi (ibid.). Per le imprese assicuratrici si tratta di una questione essenziale: l'assicurazione automobilistica infatti costituisce, su scala mondiale, il più importante ramo delle assicurazioni contro i danni e assorbe circa il 20% dei premi riscossi dall'intero settore assicurativo privato. Non si può, quindi, contare su una rapida trasformazione del sistema secondo il modello delle assicurazioni sociali.
Storicamente la responsabilità civile è molto più antica del settore assicurativo corrispondente. Si è già avuto modo di notare che quando quest'ultimo ha fatto la sua apparizione, la responsabilità civile si configurava come una grandezza prestabilita. Ma, con lo sviluppo del fenomeno assicurativo, sia la giurisprudenza che la legislazione sono divenute sempre più consapevoli del fatto che l'esistenza, o la possibilità, di una protezione assicurativa potrebbe contribuire a definire l'ambito stesso della responsabilità civile, soprattutto nel settore dei rischi d'impresa. I motivi e le circostanze che rendevano consigliabile a un imprenditore crearsi una copertura assicurativa potevano divenire un argomento per stabilire la sua responsabilità civile. Appariva più semplice e realistico collegare in tal modo il rischio al potenziale autore del danno, tanto più che questi avrebbe potuto trasferire sui prezzi il corrispondente onere assicurativo facendolo ricadere sui consumatori. Considerazioni di questo tipo, però, incontravano un limite intrinseco nel fatto che gli assicuratori non erano disposti a coprire la responsabilità civile in misura illimitata. Anche oggi, del resto, le garanzie assicurative 'illimitate' costituiscono l'eccezione e mancano del tutto nel settore industriale.
Quando si è - anche implicitamente - dedotta la responsabilità civile dalla protezione assicurativa esistente ('assurance oblige') o, comunque, potenzialmente fruibile dall'autore del danno ('assurabilité oblige'), si sono potuti ammettere indennizzi altrimenti impensabili (v. Tunc, 1974, p. 53).Il rovescio della medaglia è dato però dal fatto che la responsabilità civile trova i suoi limiti nell'assicurabilità. Una responsabilità che andasse al di là di tali limiti del resto avrebbe ben poco valore dal punto di vista pratico, perché sarebbe difficile immaginare che la solvibilità di un'impresa possa far fronte a rischi non suscettibili di copertura assicurativa. A tali condizioni, l'impresa si vedrebbe costretta alla chiusura, l'ordinamento della responsabilità civile avrebbe effetti proibitivi e il suo stesso fine risulterebbe vanificato.
Nell'esperienza pratica, peraltro, non si arriva senz'altro all'alternativa tra la delimitazione dell'attività in base all'assicurabilità e la chiusura dell'impresa. In molti paesi infatti - come mostra l'esempio dello sfruttamento dell'energia nucleare - vengono tollerate, se non addirittura promosse, attività economiche legate a rischi che il mercato non sarebbe in grado di coprire totalmente. Tuttavia la previsione di responsabilità civili che superino i limiti di copertura dell'industria assicurativa ha un senso solo se accompagnata da provvedimenti d'appoggio, quali ad esempio garanzie dello Stato.
Molti altri casi confermano che l'alternativa tra l'assicurabilità di una certa attività e la chiusura dell'impresa si presenta come un'opzione più teorica che pratica. Si pensi al caso dello smaltimento dei rifiuti: un'attività irrinunciabile, anche se comporta notevoli rischi ambientali che gli assicuratori non sono disposti a coprire. Si pensi, ancora, all'assistenza sanitaria, che deve essere garantita nonostante la prassi giudiziaria degli indennizzi faccia lievitare i premi delle assicurazioni di responsabilità civile in termini praticamente insostenibili.Il problema - come dimostra in particolare la discussione attualmente in corso negli Stati Uniti - può essere affrontato da due lati: o si ridimensiona il diritto al risarcimento del danno entro limiti sostenibili o - per certi settori - si mettono a disposizione fondi pubblici. Addossare alle imprese una responsabilità civile non assicurabile non costituisce, in ogni caso, un'alternativa al divieto di svolgere l'attività economica cui tale responsabilità si riferisce (v. Pfennigstorf, 1987, p. 478).
5. Contributi e patrimonio
In una comunità la distribuzione dei costi economici del rischio può essere realizzata in base a metodi diversi. Quanto più si pone in primo piano l'idea di una comunione solidale, tanto maggior rilievo assumono, a questo riguardo, le condizioni economiche dei partecipanti. Così, nelle più antiche organizzazioni mutualistiche, gli oneri dei più abbienti erano maggiori di quelli dei bisognosi. La perdurante vitalità del principio è confermata dal fatto che attualmente i contributi per le assicurazioni sociali sono sempre più frequentemente commisurati al reddito degli assicurati. Così gli anziani non pagano contributi più elevati dei giovani per le assicurazioni sociali, e i capifamiglia con numerose persone a carico non sono gravati da oneri maggiori di quelli degli assicurati non coniugati. È, dunque, evidente che le assicurazioni sociali, effettuando una certa redistribuzione, rappresentano un'autentica comunione solidale.La compensazione su base solidaristica è invece attualmente estranea alle assicurazioni private; ogni singolo assicurato viene inquadrato in base al rischio individuale per il quale si assicura, purché, ovviamente, tale rischio sia statisticamente valutabile. Se, ad esempio, una anziana signora vuole sottoscrivere un'assicurazione contro le malattie, deve mettere in conto una classe tariffaria più elevata di quella che sarebbe applicata a un giovane. Può addirittura accadere che, a partire da una certa età, non si ottenga più la copertura assicurativa di certi rischi, o che rischi sensibilmente più elevati possano essere coperti assicurativamente solo a fronte di corrispondenti maggiorazioni del premio.
Certamente, anche le assicurazioni private danno luogo a una compensazione dei rischi, in quanto, nonostante l'inquadramento in una medesima classe tariffaria, i rischi possono risultare vantaggiosi o svantaggiosi con il risultato che l'uno paga per l'altro. Una siffatta compensazione, tuttavia, è simile a una lotteria, in quanto frutto di casualità imprevedibili e non di una redistribuzione sistematica, che tenga presenti i bisogni sociali.Un'economia di mercato fondata sulla libera concorrenza non ha, d'altra parte, gli strumenti per organizzare autentiche comunioni solidali che vadano al di là di una compensazione tecnica dei rischi. Le leggi del mercato comportano che a settori a basso rischio corrispondano bassi livelli tariffari, dando luogo al fenomeno della cosiddetta antiselezione. Come dimostrano le assicurazioni sociali, autentiche comunioni solidali devono essere imposte legislativamente, e ciò ripropone il problema di definire gli ambiti entro cui possono legittimamente operare le assicurazioni private, da un lato, e le assicurazioni sociali dall'altro (v. Atti..., 1963, vol. II, pp. 523-824).
Teoricamente una comunione di rischio può essere finanziata mediante la riscossione di contributi periodici per pagare i danni verificatisi nel frattempo. Tuttavia, nella moderna pratica assicurativa, tale procedura ha una parte irrilevante. Il sistema prevalente è quello della contribuzione anticipata, praticata anche nell'ambito delle grandi organizzazioni mutualistiche. Con questo sistema l'assicuratore calcola in anticipo il proprio presumibile fabbisogno finanziario e fissa le aliquote dei contributi.Questo sistema non implica, peraltro, che, qualora alla fine del periodo assicurativo - di regola annuale - si registri un'eccedenza dei contributi rispetto alle spese concretamente sostenute per far fronte agli indennizzi e ai costi di amministrazione, tale eccedenza venga computata tra i profitti dell'impresa assicuratrice. Innanzitutto, una parte dei contributi riscossi non può essere riferita al periodo assicurativo in corso. Se, ad esempio, è pagata un'annualità di premio con scadenza il 1° luglio, la metà della stessa è imputata all'anno solare - o, più frequentemente, all'anno finanziario - successivo.
Queste cosiddette traslazioni dei contributi vanno iscritte in bilancio come poste passive (v. Catanese, 1983, pp. 4850). Ma nemmeno sul versante dei sinistri ci si limita alla semplice sommatoria delle spese sostenute. Se, per esempio, nel corso dell'anno di esercizio si verifica un grave incidente stradale che comporta diritti di rendita pluriennali, si deve procedere alla costituzione di una riserva per sinistri in sospeso, che va iscritta tra le poste passive del bilancio. Queste riserve sono importanti soprattutto nel settore delle assicurazioni sulla vita, nel quale i pagamenti dell'assicurazione scadono per lo più solo dopo molti anni, ma i premi incassati annualmente debbono alimentare regolarmente delle riserve che rappresentano la copertura degli impegni assunti dall'assicuratore (ibid., pp. 50-52).
Nella moderna economia delle assicurazioni esiste un complicato sistema comprendente le riserve più disparate. Tali riserve sono espressioni degli impegni di pagamento futuri cui deve far fronte l'impresa.La costituzione di riserve ha due conseguenze. La prima è di ordine quantitativo. Se si considera il settore assicurativo privato più consistente su scala mondiale, quello delle assicurazioni sulla vita, è evidente che la crescita del volume di affari comporta una corrispondente crescita delle riserve. Questo sviluppo, però, non procede simmetricamente. Considerando i fattori di incertezza che si presentano nel corso della durata - spesso più che decennale - di un contratto, fattori relativi al tasso di mortalità, alla variazione dei costi di amministrazione, al tasso generale degli interessi, ecc., le riserve di copertura sono calcolate con estrema prudenza: devono essere in ogni caso adeguate alle uscite previste, ma per tutte le eventualità tendono a essere sovrastimate. Se, però, il volume di riserva è sovrastimato, esso deve essere potenziato nel corso dell'anno di esercizio. Gli assicuratori tendono a sovralimentare le riserve anche in settori diversi da quello delle assicurazioni sulla vita, costituendo in tal modo riserve latenti (ibid., p. 44). All'incremento del volume di affari corrisponde pertanto una crescita più che proporzionale del volume delle riserve.
Il secondo aspetto è strettamente collegato a quello appena considerato. Poiché le riserve tecniche vanno iscritte in bilancio come poste passive, il pareggio del bilancio esige la presenza di attivi corrispondenti. Gli assicuratori sono tenuti, quindi, ad accrescere il patrimonio dell'impresa in misura corrispondente al livello delle riserve, con la conseguenza che una parte considerevole dei premi annuali viene impiegata per la costituzione di tale patrimonio. È evidente che i patrimoni così accumulati acquistano, nel tempo, un'incidenza che può superare di gran lunga il volume dei premi riscossi in un anno. Se si considerano i valori - tutt'altro che casuali - relativi alla Repubblica Federale Tedesca, risulta che il volume degli investimenti, nel settore delle assicurazioni sulla vita, supera nel 1989 di circa otto volte l'ammontare dei premi riscossi annualmente; ma anche se si considerano tutti i settori assicurativi nel complesso, il livello degli investimenti di capitale corrisponde a circa il quintuplo degli introiti annuali.Questa incidenza degli investimenti di capitale non può restare senza ripercussioni. Infatti cresce l'importanza relativa delle entrate dovute alle attività di investimento, le cosiddette attività non tecniche (v. Aaronovitch e Samson, 1985, p. 4), e non pochi assicuratori, confidando negli utili dei propri investimenti, sono disposti ad assumere impegni non tecnicamente compensati. L'assunzione del rischio diviene così sempre più occasione di attività finanziarie in generale.
Gli investimenti patrimoniali in grande stile di un ramo assicurativo hanno un effetto significativo su tutta l'economia. Dalla concessione dei crediti, per esempio alla pubblica amministrazione, deriva la partecipazione delle compagnie assicurative alle più diverse attività imprenditoriali. Ciò determina compenetrazioni e influenze tra le attività assicurative, da un lato, e le industrie più importanti delle varie economie nazionali, dall'altro (ibid., pp. 141-194). Una forte industria assicurativa ha, inoltre, l'opportunità di penetrare, mediante i propri investimenti, nei mercati esteri. In questo modo le assicurazioni diventano, al pari delle banche, un fattore rilevante della vicenda finanziaria nazionale e internazionale, e - per converso - la partecipazione nelle società assicuratrici diventa un modo per investire i capitali.
6. Assicurazioni e controllo statale
Interventi delle pubbliche autorità nel settore delle assicurazioni sono antichi quasi quanto le assicurazioni stesse. Comunque, quando oggi si parla di controllo dello Stato sulle assicurazioni, ci si riferisce a un istituto relativamente giovane, sviluppatosi, nella maggior parte degli Stati, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo (v. OECD, 1963, p. 10). A quell'epoca le assicurazioni erano già un'istituzione consolidata e, come attività di massa, operavano in base a condizioni generali di polizza. Gli assicuratori singoli costituivano inoltre l'eccezione, dal momento che nel mercato operavano prevalentemente società per azioni o associazioni mutualistiche.L'obiettivo centrale del controllo statale sulle assicurazioni divenne manifesto soprattutto nei paesi la cui legislazione si limitava a controllare innanzitutto determinati settori, ossia quello delle assicurazioni sulla vita e quello delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (ibid.). A entrambi si annetteva un elevato valore sociopolitico. Le assicurazioni sulla vita, in particolare, esigevano inoltre uno specifico know how: il calcolo dei premi presupponeva elaborate rilevazioni statistiche e complessi procedimenti matematici, mentre le riserve richiedevano una pianificazione di lungo periodo. Nel complesso, il controllo statale doveva garantire che, in settori socialmente e politicamente nevralgici, le obbligazioni assunte dagli assicuratori fossero concretamente adempiute.Il controllo statale per garantire la solvibilità delle compagnie appare particolarmente plausibile nell'ambito delle assicurazioni sulla vita e di quelle contro gli infortuni sul lavoro, ma nel lungo periodo si è dovuto estendere anche ad altri settori. Quando comparvero le assicurazioni automobilistiche, quelle contro le malattie, ecc., la garanzia della solvibilità risultò non meno necessaria, e alla fine ci si è potuti chiedere se il controllo statale non debba assolvere in generale alla funzione di garantire, nel settore assicurativo, la 'costante adempibilità dei contratti', come viene definita nella legislazione tedesca. La normativa europea in materia di controllo si è di fatto sviluppata in questa direzione, sia ampliando l'elenco dei settori previsti originariamente, sia assumendo sin dall'inizio un concetto allargato del controllo.
Fermo restando l'ampio consenso sulla garanzia della solvibilità come scopo precipuo del controllo, nei singoli paesi si registrano notevoli differenze quanto alle modalità tecniche concretamente impiegate. Nel Regno Unito, ad esempio, l'autoregolamentazione e la pubblicità hanno tradizionalmente un'importanza maggiore che in Germania, dove il momento centrale è rappresentato dagli interventi della pubblica amministrazione. Nonostante il notevole coordinamento raggiunto per rendere effettiva la libertà di stabilimento nell'ambito del Mercato Comune, tra i sistemi europei di controllo permangono differenze rilevanti (v. Aaronovitch e Samson, 1985, pp. 21-48).
Il fatto che il moderno controllo sulle assicurazioni sia stato istituito quando era già presente un'attività di massa, operante in base a condizioni generali di polizza, ha fatto sì che la legislazione sul controllo si occupasse, oltre che della solvibilità, anche del contenuto dei contratti (v. OECD, 1963, pp. 10-11). In quest'ultimo campo i singoli diritti nazionali presentano una varietà di obiettivi e di metodi più marcata di quella che si registra nei controlli sulla solvibilità. L'intervento statale è più massiccio in quei paesi dove le condizioni e le tariffe abbisognano di una previa autorizzazione.
Mentre nei decenni passati i sistemi nazionali di controllo venivano in genere accettati senza essere messi in discussione, più di recente l'argomento è al centro di un'attenzione straordinaria.Ciò dipende fondamentalmente da due ordini di fattori. Benché il controllo statale sulle assicurazioni sia un'istituzione relativamente moderna, la maggior parte delle norme legislative non sono più al passo con i tempi. Una riflessione sull'attualizzazione del sistema di controllo non è imposta soltanto dai più recenti sviluppi delle norme sulla concorrenza o sulla tutela dei consumatori, ma anche dall'evoluzione degli ordinamenti costituzionali e amministrativi degli Stati contemporanei. È evidente che la problematica con cui ci si deve confrontare travalica largamente l'ambito specifico delle assicurazioni. Si tratta, infatti, di questioni di ordine generale, quali il rapporto tra lo Stato e l'economia e persino il ruolo e la struttura del diritto in una società moderna. Se si considerano l'eterogeneità e la scarsa chiarezza dei problemi che si pongono in questo ambito (v. Teubner, 1986), ci si rende conto facilmente delle difficoltà che si presentano anche in un settore specifico come quello assicurativo.La seconda ragione dell'attenzione di cui s'è detto ha a che fare con problemi pratici e interessi economici.
All'interno del Mercato Comune, non solo il diritto di stabilimento delle imprese di assicurazioni, ma anche - come ha recentemente stabilito la Corte di Giustizia Europea - la libera prestazione dei relativi servizi costituisce ormai una realtà giuridica. L'applicazione di questi principî è tuttavia ancora agli inizi. Paesi che hanno sviluppato un sistema di controlli più compatto temono una conquista del mercato assicurativo da parte della concorrenza estera, avvantaggiata da una minore intensità di controlli. D'altro canto, ci si rende conto che la presenza di un intenso controllo statale dà luogo a una forma di protezionismo che ostacola l'ingresso delle imprese sul mercato (v. Aaronovitch e Samson, 1985, pp. 44-48). Nella prospettiva del coordinamento il problema fondamentale resta quello dei limiti e della legittimazione della regolamentazione statale, in un sistema fondamentalmente improntato al principio della libera circolazione dei servizi.
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di Riccardo Ottaviani
1. Introduzione
Una delle maggiori preoccupazioni per ogni individuo deriva dalla possibile esistenza di bisogni futuri connessi al verificarsi di eventi economicamente pregiudizievoli: danni alle cose o al patrimonio in suo possesso, o diminuzione totale o parziale della sua capacità reddituale. L'attività dell'individuo è, pertanto, tesa al conseguimento dei mezzi destinati a eliminare, o quanto meno a ridurre, le incertezze future. Il risparmio costituisce il primo strumento mediante il quale realizzare la soddisfazione dei bisogni futuri. Esso, richiedendo un periodo di tempo per la formazione dei capitali, è insoddisfacente nel caso si manifestino eventi repentini o di notevole rilevanza economica. Altri due strumenti, la mutualità e l'assicurazione, operano non sul piano del singolo individuo ma su quello, più ampio, di una collettività di individui esposti a un comune evento economicamente pregiudizievole. In tal caso l'onere futuro gravante su alcuni di essi si redistribuisce sull'intera collettività. Mentre la mutualità opera una ripartizione a posteriori, tra i membri della collettività, dell'onere effettivamente materializzatosi, l'assicurazione opera una ripartizione a priori, in base a una previsione circa il futuro comportamento dell'evento in oggetto. Nell'assicurazione si ha, quindi, un vero e proprio trasferimento del rischio a un'impresa, la quale assume a suo carico i relativi oneri richiedendo, quale contropartita, il versamento di una somma in denaro, denominato premio di assicurazione. Il premio costituisce il prezzo (certo) del servizio assicurativo, ed è commisurato, sul piano tecnico, all'alea dalla quale il singolo viene liberato.
Le assicurazioni si distinguono, in relazione al regime giuridico che le caratterizza, in assicurazioni private e assicurazioni sociali. Le prime derivano da contratti liberamente conclusi tra le parti e i relativi rapporti si svolgono nell'ambito del diritto privato. Le seconde, invece, comprendono tutte quelle forme assicurative che rispondono a una prevalente finalità di interesse pubblico e rientrano nella sfera del diritto pubblico.
2. I concetti generali delle assicurazioni private
Nell'ambito delle assicurazioni private la classificazione più frequentemente adottata è quella impostata in base agli eventi che possono provocare il bisogno futuro, ossia in base ai rischi che costituiscono l'oggetto della copertura. La distinzione fondamentale si ha tra le assicurazioni sulla vita e le assicurazioni contro i danni. Le prime, sviluppatesi su rigorose basi scientifiche a seguito del notevolissimo progresso, nel XVIII secolo, del calcolo delle probabilità, comprendono tutte le forme assicurative atte a coprire i rischi connessi con il variare della durata della vita umana e costituiscono vere e proprie operazioni di risparmio differito. Le seconde, la cui origine va fatta risalire ai tempi delle repubbliche marinare per l'assicurazione marittima e al XVII secolo (dopo il famoso big fire di Londra) per l'assicurazione d'incendio, comprendono tutte le forme assicurative atte a coprire i rischi connessi al verificarsi di avvenimenti dai quali possono derivare danni alle cose, al patrimonio, alle persone. Esse hanno quindi per fondamento la reintegrazione, anche parziale, di un danno.
L'impresa di assicurazioni è da annoverare, sotto il profilo economico, tra le imprese industriali. Il problema, generale, della congruità tra le prestazioni delle controparti ha, nel rapporto assicurativo, una connotazione particolare data l'inversione temporale, rispetto alle altre attività economiche, delle prestazioni; in esso, infatti, il costo del servizio (cioè la prestazione assicurativa) segue il prezzo (cioè il premio di assicurazione). L'impresa di assicurazioni, in quanto produttrice di servizi a costi differiti, può solamente valutare a distanza di tempo i risultati delle operazioni svolte e accertare se la sua attività si sia o meno effettuata a prezzi compensativi. La determinazione del premio ha luogo in base a una valutazione probabilistica del rischio, in riferimento agli oneri finanziari gravanti sull'impresa come conseguenza delle garanzie prestate. Due sono gli elementi che entrano nella formazione del premio: il premio 'puro' e i cosiddetti 'caricamenti'. Il premio puro costituisce l'equivalente, in termini attuariali, della prestazione assicurativa, è, cioè, il valore attuale medio del rischio trasferito dall'assicurato all'impresa.
Il contratto assicurativo, considerando quale suo prezzo il premio puro, è un gioco 'equo'. Un fondamentale risultato del calcolo delle probabilità stabilisce che l'eventuale offerta di contratti a premio puro condurrebbe sicuramente l'impresa al fallimento, poiché le controparti dispongono, rispettivamente, di un patrimonio finito (l'impresa di assicurazioni) e di uno potenzialmente infinito (la massa degli assicurati). L'impresa, inoltre, nell'esercizio della propria attività incontra spese di diverso tipo (spese d'acquisto, d'incasso e di gestione), le quali determinerebbero, senza alcun corrispettivo da parte dell'assicurato, un risultato economico mediamente negativo. Tutto ciò crea la necessità di introdurre degli aumenti adeguati, denominati caricamenti, rispetto al premio puro, in grado di fronteggiare la rischiosità delle operazioni assicurative ('caricamento di sicurezza') e di coprire mediamente le spese ('caricamento per spese'). Il premio realmente corrisposto dall'assicurato, denominato premio di tariffa, se da un lato altera l'equivalenza matematica delle reciproche prestazioni, dall'altro realizza nello stesso tempo una sorta di equivalenza economica delle stesse, consentendo all'impresa, inoltre, di conseguire un margine di profitto indispensabile ai fini di un regolare svolgimento della propria gestione.
Nelle assicurazioni private la fonte del rapporto è il contratto liberamente concluso tra assicurato e impresa di assicurazioni. Mediante il contratto, un'impresa di assicurazioni, costituita per l'esercizio di quest'attività, assume il rischio altrui a fronte del pagamento di un premio fissato in anticipo. Nel contratto di assicurazione gli obblighi delle controparti si trovano in relazione sinallagmatica funzionale, essendo obblighi reciproci. In esso gli elementi essenziali sono l'impresa di assicurazioni, l'assicurato, il contraente, il beneficiario, il rischio e il premio. La mancanza di uno qualunque di tali elementi implica l'inesistenza del rapporto assicurativo e la presenza di altra figura giuridica (gioco, scommessa, ecc.). L'impresa di assicurazioni, cioè l'attività assicurativa professionale e organizzata, può essere esercitata solo da un istituto di diritto pubblico (in Italia l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni) o da una società per azioni o da una società mutua, con l'osservanza delle norme stabilite dalle leggi speciali e previa apposita autorizzazione ministeriale. L'assicurato è colui nel cui nome il contratto è stipulato; la copertura è di norma connessa a un interesse identificabile in un rapporto diretto tra l'assicurato e un bene, un patrimonio o uno stato di necessità attuale o potenziale. Il contraente è colui che stipula il contratto e paga il premio; è su di lui che incombono oneri e obblighi contrattuali verso l'impresa di assicurazioni. Il beneficiario è il destinatario diretto della prestazione assicurativa. L'assicurato, il contraente e il beneficiario (costituenti, con l'impresa di assicurazioni, i soggetti del rapporto assicurativo), pur potendo coincidere, rimangono figure giuridiche tecnicamente distinte. Il rischio costituisce, unitamente al premio (che ne è il corrispettivo), l'oggetto del rapporto assicurativo e si identifica in un evento e nella conseguente promessa di prestazioni finanziarie. Il rischio, per poter essere assicurabile, deve rispondere al requisito della casualità e a quello della prevedibilità, tale, quest'ultima, da permetterne un'adeguata valutazione. Poiché si tratta di ricavare una previsione dall'esperienza, è necessaria, altresì, l'esistenza di una massa sufficientemente ampia di rischi, tra loro indipendenti, omogenei e stabili nel tempo.
In un contratto di assicurazione libera sulla vita, l'impresa di assicurazioni si impegna a corrispondere somme prefissate, o comunque determinabili in modo prefissato, al verificarsi di prestabiliti eventi inerenti la sopravvivenza di uno o più individui (si parla, rispettivamente, di assicurazioni su una o più teste). Le assicurazioni vita si distinguono, in base al rischio, in tre grandi categorie.
A. Assicurazioni in caso di vita: coprono il rischio di insufficienti disponibilità finanziarie in caso di sopravvivenza dell'individuo oltre una certa epoca. Prevedono il pagamento di un capitale (assicurazione di capitale differito) o di una rendita (assicurazione di rendita vitalizia) se l'individuo raggiunge in vita una prefissata età. Costituendo, in generale, una disponibilità finanziaria futura, si definiscono assicurazioni a prevalente contenuto di risparmio.
B. Assicurazioni in caso di morte: coprono il rischio di morte e le relative conseguenze finanziarie. Prevedono il pagamento ai beneficiari di un capitale qualora il decesso dell'assicurato avvenga entro un prefissato intervallo di tempo (assicurazione temporanea caso morte) o in qualunque epoca esso avvenga (assicurazione vita intera).
C. Assicurazioni miste: sono combinazioni dei due tipi precedenti; coprono il rischio di morte e contemporaneamente garantiscono un capitale o una rendita in caso di sopravvivenza. Rientra in questa categoria l'assicurazione mista semplice (o 'ordinaria'), ottenuta come composizione di un'assicurazione di 'capitale differito' e di una 'temporanea caso morte'.
La valutazione, detta attuariale, di una qualsiasi assicurazione sulla vita richiede la considerazione di aspetti finanziari e probabilistici, coesistendo in essa elementi di differimento e di incertezza. Presupposto di ogni valutazione è la fissazione delle basi tecniche, finanziaria e demografica, cioè la fissazione del tasso d'interesse attraverso il quale vengono attualizzate le prestazioni (in Italia, per forme non indicizzate, è generalmente del 4%) e delle probabilità annuali di morte dell'assicurato. Per la valutazione di queste ultime, nella pratica assicurativa si ricorre, innanzitutto, al sostegno statistico della tavola di mortalità, che fornisce le probabilità di morte, distinte per sesso ed età, sulla base delle rilevazioni eseguite su di una collettività, quale può essere la popolazione di un paese. Se necessario, sono poi apportate delle correzioni allorché dall'esito della visita medica, solitamente effettuata nelle assicurazioni 'in caso di morte', si accerta la presenza di 'tare' nell'assicurato: sono queste le cosiddette assicurazioni dei rischi tarati; per esse opera, in Italia, il Consorzio italiano per i rischi tarati, al quale le imprese vita consorziate cedono in riassicurazione al 100% tali rischi.
A fronte dell'impegno assunto, l'impresa di assicurazione vita richiede il pagamento del premio, in soluzione unica ('premio unico') o rateizzato ('premio periodico'), generalmente a cadenza annuale. La durata massima del pagamento dei premi periodici dipende, per lo più, dalla forma assicurativa: ad esempio, se un'assicurazione di 'capitale differito' o una 'rendita differita' consentono una rateazione su un intervallo pari, al più, al periodo di differimento, un'assicurazione 'vita intera' può permettere il pagamento dei premi fino al decesso dell'assicurato. Il 'caricamento di sicurezza' è di norma ottenuto attraverso l'adozione di 'basi tecniche' prudenziali. Il 'caricamento per spese' è generalmente ottenuto applicando un'aliquota del capitale assicurato per le spese d'acquisto, del premio di tariffa per le spese d'incasso, e una quota annua del capitale assicurato (o del valore attuale medio della rendita) per le spese di gestione.In alcune forme assicurative vita ('capitale differito', 'temporanea caso morte', ecc.) è possibile che l'impresa non effettui alcuna prestazione. Per esse è spesso prevista un'assicurazione aggiuntiva, denominata controassicurazione, in virtù della quale l'impresa, a fronte di un adeguato aumento del premio, si impegna a restituire, in caso di non effettuazione della prestazione, i premi incassati.
Non prendendo in considerazione i caricamenti e facendo stretto riferimento al premio 'puro', l'operazione assicurativa è, all'atto della stipulazione del contratto, 'equa'. Lo sfasamento temporale tra la prestazione dell'assicurato (premio puro) e quella dell'impresa (capitale, rendita) e la natura, libera, del contratto fanno sì che la valutazione di esso, in un generico successivo istante di esistenza, debba evidenziare la posizione debitoria dell'impresa nei confronti dell'assicurato. In caso contrario, quest'ultimo avrebbe convenienza ad abbandonare il contratto, con gravi conseguenze finanziarie per l'impresa. La quantità necessaria a ristabilire, in ogni istante, l'equità tra gli impegni reciproci delle controparti è denominata riserva matematica (pura). Analogo sfasamento temporale tra le prestazioni dell'assicurato e quelle dell'impresa di assicurazioni si può determinare in relazione alle spese d'acquisto e alle spese di gestione, dando origine, rispettivamente, alla 'provvigione d'acquisto non ammortizzata' e alla 'riserva per spese di gestione'. Sommando queste ultime alla riserva 'pura' si ottengono, rispettivamente, la riserva zillmerata e la riserva d'inventario. È detta, inoltre, 'completa' la riserva che tiene contemporaneamente conto degli eventuali sfasamenti tra spese e caricamenti sia per l'acquisizione che per la gestione.
Il contraente, in caso di versamento di premi periodici, trascorso un certo tempo dalla stipulazione del contratto, può stabilire di sospendere il pagamento degli stessi e chiedere o la risoluzione del contratto o la continuazione dello stesso per un capitale convenientemente ridotto. La prima operazione è denominata riscatto ed è generalmente concessa limitatamente ad assicurazioni che prevedono in ogni caso l'effettuazione della prestazione assicurativa. Il prezzo di riscatto è solitamente pari a una quota della riserva 'zillmerata'. La seconda operazione è denominata riduzione ed è di norma concessa per qualsiasi forma di assicurazione sulla vita. Il capitale ridotto è solitamente determinato impiegando una quota della riserva 'zillmerata' quale premio unico di inventario (premio puro con l'aggiunta dei caricamenti per spese di gestione) per un ipotetico nuovo contratto, del medesimo tipo del precedente.
In periodo di inflazione le forme assicurative vita con più elevato contenuto di risparmio, rendite vitalizie e miste, diventano sempre meno convenienti per l'assicurato, data la perdita di valore 'reale' delle prestazioni assicurate, costituenti un debito di valuta e non di valore. Gli elevati livelli di inflazione che si sono determinati in epoca recente, in Italia e in altri paesi industrializzati, hanno posto alle imprese di assicurazioni sulla vita il problema di realizzare delle forme assicurative che, prevedendo nel contratto un adeguamento delle prestazioni, pongano il beneficiario al riparo, se pure parzialmente, dalla perdita di potere d'acquisto delle somme assicurate. Le soluzioni adottate possono essere così classificate.
A. Assicurazioni indicizzate: fanno riferimento a un indice esterno, costituito da un indice economico generale (ad esempio, quello del costo della vita) o da uno o più prestiti indicizzati. Gli elementi del contratto 'indicizzato' (premi, capitali assicurati, riserve) sono quindi 'adeguati', in misura totale o parziale, alle variazioni dell'indice esterno di riferimento.
B. Assicurazioni rivalutabili: fanno riferimento a un indice interno, determinato dalla stessa gestione finanziaria dell'impresa, quale il tasso di rendimento di un paniere di titoli, cioè di un investimento speciale a tal fine realizzato dall'impresa. Analogamente al caso precedente, gli elementi del contratto 'rivalutato' sono adeguati, in misura totale o parziale, alle variazioni dell'indice interno di riferimento.
Le assicurazioni 'collettive' garantiscono prestazioni a favore di individui aventi una caratteristica comune (appartenenza a una stessa impresa o associazione). Nelle loro diverse forme - collettive 'di legge', 'previdenziali' e 'di gruppo' - esse forniscono, rispettivamente, prestazioni di 'capitale differito' (o 'miste'), di 'rendite differite', di 'caso morte' monoannuali rinnovabili (o di invalidità permanente). Negli ultimi anni, in Italia, a causa dei crescenti disavanzi registrati dall'ente previdenziale pubblico, si è avvertita la necessità di un sempre maggior ricorso a forme previdenziali assicurative tali da affiancare la previdenza pubblica. Si stanno attualmente diffondendo (lo sviluppo è, però, assai modesto rispetto a quello in atto in altri paesi industrializzati) le prime iniziative di 'previdenza integrativa aziendale', nella forma di polizze collettive pensionistiche del tipo 'a contributo definito' (viene fissato il premio che si intende versare annualmente e, tramite questo, si determina l'ammontare delle prestazioni garantite a scadenza) o 'a prestazione definita' (viceversa, vengono fissate le prestazioni e varia il premio annuale).
In un contratto di assicurazione contro i danni, l'impresa di assicurazioni si impegna a garantire la copertura dei rischi che possono produrre danni alle cose, al patrimonio, alle persone. Tali assicurazioni, che si compendiano in una gamma di coperture assai diverse tra loro, differiscono dalle assicurazioni sulla vita in rapporto all'evento, all'oggetto, al tipo di prestazione e alla durata del rapporto contrattuale. Infatti: 1) nelle assicurazioni vita il rischio si identifica in un avvenimento connesso con la durata della vita di un individuo: l'evento morte è certo quanto al suo manifestarsi, incerto quanto all'epoca di accadimento; nelle assicurazioni contro i danni, invece, esistono rischi differenti in rapporto all'oggetto della garanzia e all'evento casuale, quest'ultimo sempre incerto; 2) nelle assicurazioni vita la prestazione finanziaria è prefissata (o comunque determinabile secondo prefissati schemi di calcolo), nelle assicurazioni contro i danni essa è quasi sempre indeterminata e varia in rapporto all'entità del danno; 3) nelle assicurazioni vita l'impegno si estende a un periodo poliennale, nelle assicurazioni contro i danni la durata della copertura è generalmente annuale o, anche, inferiore all'anno.
La grande varietà di rischi e di coperture delle assicurazioni contro i danni può essere classificata, in base alle caratteristiche tecniche dei rischi, in tre gruppi: 1) le assicurazioni di danni alle cose (assicurazioni incendio, trasporti, ecc.); 2) le assicurazioni di danni al patrimonio (assicurazioni di responsabilità civile); 3) le assicurazioni delle persone (assicurazioni infortuni, malattia).
Il processo di valutazione del rischio nelle assicurazioni contro i danni si fonda sulla possibilità di individuare, attraverso l'osservazione statistica estesa a una massa di rischi tra loro indipendenti, omogenei e stabili nel tempo, la legge relativa alla frequenza con la quale il rischio sarà presumibilmente colpito da sinistro e la legge relativa alla distribuzione dei sinistri in base al loro importo. Si ottengono, così, il 'coefficiente sinistri' e l''importo medio' di un sinistro, il prodotto dei quali misura la prestazione media attesa da parte dell'impresa e, quindi, il premio puro che l'assicurato dovrà corrispondere.
Nelle assicurazioni per danni alle cose l'impegno assicurativo è configurato dallo stesso rischio oggetto di copertura; questa può essere totale ('assicurazione piena') o parziale ('sottoassicurazione'), a seconda che si riferisca o meno all'intero valore del bene assicurato. Nel caso della sottoassicurazione il risarcimento parziale del danno è di norma ottenuto in applicazione della cosiddetta 'regola proporzionale'. Nelle altre forme assicurative, mancando una quantificazione oggettiva dell'impegno, si stabilisce il cosiddetto 'massimale di copertura', frutto di un apprezzamento soggettivo del grado di bisogno futuro; la garanzia è, generalmente, piena nei limiti del massimale ('assicurazioni di primo rischio'). Inoltre, frequentemente la responsabilità dell'impresa è ulteriormente limitata attraverso l'adozione di una 'franchigia' (assoluta o relativa).
I risultati della gestione tecnica si ottengono, annualmente, detraendo dai premi dell'esercizio i sinistri e le spese. Poiché difficilmente si realizza la coincidenza tra quanto è di competenza dell'esercizio e quanto, invece, è stato in esso acquisito ed erogato, si devono considerare, per la determinazione del reddito di esercizio, delle partite rettificative, denominate riserve tecniche. Le fondamentali sono due: la riserva premi, data dalla porzione di premio riguardante il rischio non ancora estinto alla chiusura dell'esercizio, il quale potrà originare sinistri nell'esercizio successivo; la riserva sinistri, data dal valore stimato dei danni che, avvenuti nell'esercizio in chiusura, non sono ancora stati liquidati.
Le assicurazioni di responsabilità civile hanno per oggetto il risarcimento dei danni provocati da eventi dai quali potrebbe risultare, all'assicurato, una responsabilità e quindi pregiudizi per il proprio patrimonio. Di fondamentale importanza l'assicurazione di responsabilità civile degli autoveicoli, resa obbligatoria in Italia dalla legge n. 990 del 1969, divenuta operante nel 1971. L'assicurazione incendio ha per oggetto il risarcimento dei danni derivanti dall'azione del fuoco, qualunque ne sia stata l'origine, e comprende i danni dovuti all'azione del fulmine e alle esplosioni. L'assicurazione trasporti ha per oggetto il risarcimento dei danni cui possono andare soggetti i mezzi oppure le cose trasportate. L'assicurazione infortuni ha per oggetto il risarcimento dei danni arrecati a un individuo da una disgrazia accidentale, da una lesione corporale dovuta a causa traumatica, violenta o esterna, in grado di provocare la morte, l'invalidità permanente o l'inabilità temporanea. L'assicurazione malattia può operare autonomamente oppure come forma complementare dell'assicurazione infortuni. Altre importanti forme assicurative contro i danni sono le assicurazioni credito e cauzioni, furto, grandine.
5. La gestione del rischio nelle assicurazioni private.
Due sono le condizioni indispensabili per la stabilità tecnico-finanziaria di un'impresa di assicurazioni: la disponibilità di un numero sufficientemente ampio di contratti; una variabilità minima nelle somme assicurate.La prima condizione è necessaria perché si possa realizzare, attraverso la legge dei grandi numeri, una frequenza relativa degli eventi assicurati il più possibile prossima alla probabilità che per essi è stata assunta nel calcolo dei premi; la seconda condizione è necessaria, invece, perché sia possibile impedire che il diverso ammontare dei capitali assicurati determini un peso eccessivamente diverso tra i singoli contratti. Poiché, in pratica, tali condizioni difficilmente possono verificarsi pienamente, le imprese di assicurazioni chiudono generalmente i propri esercizi con saldi positivi (utile di esercizio) o negativi (perdita di esercizio). Lo studio dell'andamento di tali saldi, in relazione alle disponibilità finanziarie dell'impresa, costituisce l'oggetto della 'teoria del rischio', la quale definisce la cosiddetta probabilità di rovina (o di fallimento) dell'impresa: questa è la probabilità che la perdita di esercizio risulti superiore al fondo che l'impresa costituisce per fronteggiare tale perdita eventuale.
L'impresa di assicurazioni stabilisce, per ogni ramo esercitato e in funzione di un dato livello di 'probabilità di rovina' ritenuto accettabile, il cosiddetto pieno di conservazione, cioè la somma massima assicurabile in relazione al portafoglio esistente. Il 'pieno', però, circoscrivendo le possibilità operative dell'impresa, impedisce a quest'ultima di assecondare pienamente la domanda del mercato. Per ovviare a tale risultato indesiderato, è possibile ricorrere a un razionale sistema di integrazioni, l'utilizzo delle quali pone l'impresa in condizione di soddisfare anche le richieste relative a rischi eccedenti la misura del pieno. Un primo mezzo di integrazione nella gestione tecnica dell'impresa è la coassicurazione, definita come la ripartizione 'orizzontale' di un rischio, nella quale varie imprese intervengono contemporaneamente, anche indipendentemente l'una dall'altra, nella copertura di un medesimo rischio, assumendone ciascuna una quota parte. Normalmente è l'assicurato che ripartisce tra le imprese l'ammontare del rischio e queste ne rispondono solamente per la quota assunta. In caso d'insolvenza di una o più imprese, le relative quote vengono ripartite tra le rimanenti.
La riassicurazione costituisce il fondamentale e più diffuso mezzo di integrazione del rischio. Essa è definita come la ripartizione 'verticale' di un rischio, con la quale un'impresa di assicurazioni trasferisce a un'altra impresa una quota del rischio precedentemente assunto. La prima impresa è denominata 'cedente', la seconda 'cessionaria'. Quest'ultima, a sua volta, può cedere una quota di tale rischio a una terza impresa e l'operazione è denominata 'retrocessione'. Attraverso successive retrocessioni, un rischio di notevole entità può essere frazionato tra un numero talvolta considerevole d'imprese. L'assicurato è completamente estraneo a tale meccanismo: il contratto impegna solamente la prima impresa, la cedente, che è quindi la sola responsabile del risarcimento del danno in caso di sinistro. Da un punto di vista tecnico la riassicurazione si realizza quasi esclusivamente nella forma 'obbligatoria' attraverso un impegno contrattuale, denominato trattato di riassicurazione, in base al quale la cedente si obbliga a cedere e la cessionaria ad accettare i rischi nella misura prevista dal trattato stesso. Le forme di riassicurazione si distinguono in 'proporzionali' e 'non proporzionali'.
A. Le riassicurazioni proporzionali (o di rischio) sono basate sul trasferimento alla cessionaria di una porzione dei rischi assunti dalla cedente, alla quale corrisponde un'analoga distribuzione dei premi e dei sinistri (principio dell"identità delle sorti'). A seconda del meccanismo di copertura previsto dal trattato si hanno la riassicurazione in quota (determina il trasferimento di una porzione prestabilita di ogni rischio assunto dalla cedente) e la riassicurazione per eccedente (determina il trasferimento, totale o solo parziale, di quella porzione di rischio eccedente un determinato livello, noto come 'pieno', stabilito dalla cedente; la cessionaria può, a sua volta, fissare dei limiti per l'assunzione delle eccedenze).
B. Le riassicurazioni non proporzionali (o di danno) sono basate sul trasferimento alla cessionaria di una porzione dell'ammontare del costo sinistri. Esse, quindi, si propongono di contenere la responsabilità della cedente fino a un dato ammontare di risarcimenti, noto come 'priorità', attribuendo i maggiori oneri alla cessionaria. A seconda che esse si riferiscano al singolo danno o al complesso dei danni relativi a un determinato ramo (o all'intero portafoglio), si hanno la riassicurazione per eccesso di danno (o excess of loss) e la riassicurazione per eccesso globale di sinistri, distinta in 'eccesso di catastrofe' ed 'eccesso di bilancio' (o stop loss).Una particolare menzione, in tema di riassicurazione, spetta alla cosiddetta cessione legale, una forma di riassicurazione imposta dalla legge e rientrante tra i provvedimenti di politica economica che lo Stato può adottare per garantire agli assicurati l'adempimento degli obblighi assunti da parte dell'impresa. La 'cessione legale' è presente in Italia nel ramo vita: tutte le imprese sono, infatti, obbligate a trasferire all'Istituto Nazionale delle Assicurazioni una quota parte di ciascun rischio assunto, secondo un'aliquota decrescente in relazione all'anzianità di esercizio (attualmente pari al 30% nel primo quinquennio di attività, al 20% nel secondo quinquennio e al 10% in seguito).
Nella valutazione di una gestione assicurativa va presa in considerazione la possibilità che si determinino futuri squilibri tecnici, a causa di un'eccezionale sinistralità o di alterazioni dovute a fenomeni di carattere generale o anche monetario. L'eventualità di perdite superiori alle possibilità di copertura, non eliminabile attraverso il ricorso a mezzi di integrazione quali la coassicurazione e la riassicurazione, determina l'esigenza di ottenere delle condizioni che consentano quella che è denominata la 'solvibilità' dell'impresa. Il principio ispiratore è quello secondo il quale le imprese di assicurazioni dispongano, oltre che delle riserve tecniche (comprensive delle riserve matematiche), anche di una riserva complementare, detta margine di solvibilità, costituita dal patrimonio libero e da elementi impliciti del patrimonio, in grado di realizzare la solvibilità 'dinamica' dell'impresa. Il 'margine di solvibilità' rappresenta, insieme al 'fondo di garanzia' (costituito dalla terza parte del primo), l'elemento innovatore, nel quadro delle garanzie finanziarie a tutela degli assicurati, della nuova disciplina comunitaria europea (Direttive CEE del 1973 per i rami danni e del 1979 per il ramo vita, recepite nell'ordinamento italiano, rispettivamente, dalle leggi n. 295 del 1978 e n. 742 del 1986).
6. L'importanza del fenomeno assicurativo
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, che aveva profondamente colpito il settore assicurativo italiano nelle sue strutture, si è iniziato un significativo sviluppo delle attività delle assicurazioni private, soprattutto dei rami danni. La prevalenza di tali forme assicurative si è manifestata in misura sempre più marcata nei successivi anni sessanta, e soprattutto settanta; essa è stata favorita sia dall'elevata frequenza di fasi recessive e di pressioni inflazionistiche di carattere strutturale (operanti nella direzione di una lenta, ma costante, disincentivazione del risparmio assicurativo vita), sia dal progresso di forme assicurative in precedenza pressoché sconosciute (ad esempio il ramo 'auto-rischi diversi'), nonché anche da cause particolari, quale l'obbligatorietà dell'assicurazione di responsabilità civile autoveicoli. La quota della raccolta premi dei rami danni, pari al 70,5% nel 1960, è, infatti, cresciuta sino all'86,8% nel 1980. A partire dalla fine degli anni settanta, si è iniziato un significativo fenomeno di crescita dell'assicurazione vita, con conseguente attenuazione dell'ampio divario accumulato rispetto ai rami danni. Nel 1986 la quota percentuale di raccolta premi dei rami danni era diminuita, infatti, all'81,7%.
Dopo la crisi degli anni precedenti, dovuta alle crescenti difficoltà, per le imprese vita, di offrire rendimenti competitivi con gli elevati tassi di inflazione e con la remunerazione delle altre forme di investimento, la recente introduzione di prodotti caratterizzati da meccanismi di indicizzazione o di rivalutazione delle riserve matematiche (v. §3 f) ha rivitalizzato il settore vita. In alcuni mercati esteri, quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e, più recentemente, la Finlandia, hanno trovato larga diffusione polizze vita di tipo prettamente finanziario (quali la Universal life e la Variable life), nelle quali le riserve matematiche sono investite nei più svariati strumenti finanziari, con elevato grado di articolazione e flessibilità.
Tali formule non hanno pratica attuazione in Italia, anche se non mancano prodotti assicurativo-finanziari sufficientemente sofisticati, quali le polizze abbinate ai mutui ipotecari o ai piani pluriennali di previdenza e risparmio. Il recente andamento non deve, però, condurre ad assimilare i prodotti di tale settore agli altri disponibili sul mercato finanziario, né a valutarne il grado di competitività sulla base del solo rendimento fornito: l'assicurazione sulla vita, infatti, è essenzialmente un mezzo di risparmio a finalità previdenziale, dotato di meccanismi e prestazioni unici nel loro genere e antitetico a ogni concetto di carattere speculativo. Per tale sua natura essa è incentivata, in tutti i paesi, da opportune misure di carattere fiscale.
Malgrado il recente impulso, l'assicurazione sulla vita presenta, in Italia, un grado di diffusione ancora di gran lunga inferiore non solo a quello degli altri paesi industrializzati, ma anche di parecchi paesi in via di sviluppo. Tale situazione è da attribuire principalmente alla mancanza di un adeguato sviluppo della previdenza integrativa causato, per lo più, da un sistema di assicurazioni sociali sufficientemente generalizzato e fondato su forme assicurative obbligatorie. L'attuale dimensione del mercato vita fa sì che l'Italia sia caratterizzata da una 'frequenza d'uso' dell'assicurazione privata, nel suo complesso, assai modesta: prendendo in considerazione, quale misura di frequenza d'uso, il rapporto tra incasso premi e prodotto interno lordo, si evidenzia come tale rapporto, pari al 2,07% nel 1985, in Italia, sia nettamente inferiore a quello degli altri paesi industrializzati (sempre nel 1985: 7,52% negli Stati Uniti; 7,11% in Gran Bretagna; 6,94% in Giappone; 5,90% in Germania).
Pur nel pieno rispetto del fine istituzionale della copertura dei rischi, le imprese di assicurazione svolgono un'importante funzione di intermediazione finanziaria.
La quantità su cui tale funzione si impernia è costituita dalle riserve tecniche (v. §§ 3d e 4e): malgrado alcuni aspetti di differenziazione tra il ramo vita e i rami danni, il principio generatore è unico. In ragione di ciò, l'impresa di assicurazione trova dei limiti tecnici allo svolgimento della propria politica finanziaria, oltreché nella legge e negli statuti, anche nella natura dell'attività svolta, profondamente differente, ad esempio, da quella di una banca o di un'impresa industriale. Se si pongono a confronto le quote di risparmio raccolte, nei principali paesi industrializzati, dalle assicurazioni private, sulla base degli investimenti a copertura delle riserve tecniche, emergono margini assai ampi di crescita per le assicurazioni in Italia. Per quanto concerne gli impieghi, l'obiettivo dell'impresa è la massimizzazione del rendimento degli stessi nel pieno rispetto dei requisiti di sicurezza, durata e liquidità, oltreché dei diversi vincoli legislativi. La dinamica evolutiva della ripartizione degli investimenti assicurativi in Italia mostra una forte crescita, negli ultimi anni, degli impieghi obbligazionari, a danno, in particolar modo, di quelli immobiliari. Infatti, la quota percentuale di investimenti in titoli a reddito fisso in lire italiane, pari all'8,2% nel 1970, è aumentata sino al 49,9% nel 1986; nello stesso periodo di tempo la quota di investimenti in immobili è diminuita dal 43,6% al 23%.
Negli altri paesi industrializzati si è analogamente verificato, recentemente, un sensibile aumento della quota investita in titoli a reddito fisso, mentre, malgrado la marcata diminuzione registrata negli ultimi anni, la quota destinata all'investimento immobiliare permane in Italia sensibilmente superiore a quella degli altri paesi, soprattutto degli Stati Uniti e del Giappone (rispettivamente, 4,2% e 6,4% nel 1985).
In generale, l'importante ruolo di intermediazione finanziaria fa sì che l'obiettivo europeo di completare l'integrazione dei mercati finanziari per il 1992 abbia conseguenze assai rilevanti per il settore delle assicurazioni private. A tale riguardo, un fondamentale aspetto cui le imprese (e le istituzioni) devono porre particolare attenzione, per evitare che il processo d'integrazione si sviluppi in maniera non conforme alle attese, è quello della maggiore concorrenza che si sta per sviluppare, con gli effetti che essa comporterà in un mercato, quale quello italiano, caratterizzato da un elevato grado di concentrazione.
7. Le assicurazioni sociali
Si definiscono assicurazioni sociali tutte le forme di tutela assicurativa con prevalenti finalità di interesse pubblico, rese obbligatorie attraverso norme o accordi collettivi, aventi l'obiettivo di proteggere il lavoratore da quei rischi che ne riducono (o annullano) la capacità lavorativa o che creano esigenze non soddisfacibili con il reddito di cui il lavoratore dispone. In questo tipo di assicurazioni, basate su principî giuridici appartenenti prevalentemente all'area del diritto pubblico, manca la relazione sinallagmatica funzionale che caratterizza le assicurazioni private: le obbligazioni delle controparti seguono, indipendentemente l'una dall'altra, il proprio corso ('automaticità' delle prestazioni). L'evoluzione delle assicurazioni sociali - la cui origine va fatta risalire, nella maggioranza dei paesi, alla fine del XIX secolo - può essere distinta in tre fasi. Nella prima lo Stato si preoccupa di riconoscere taluni fondamentali rischi, quale l'infortunio, e impone ai datori di lavoro di assicurare i propri lavoratori presso imprese di assicurazioni private. Nella seconda si riconosce la necessità di rendere obbligatoria l'assicurazione e di affidarne la gestione ad appositi enti pubblici o a casse mutue costituite a tal fine; parallelamente si estende il campo degli eventi protetti dalla tutela assicurativa. Nella terza fase, infine, nota come sicurezza sociale, lo Stato si assume la piena responsabilità della protezione del lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare la stabilità delle sue condizioni economiche.
Tale nuovo indirizzo, che lo Stato deve assolvere attraverso un pubblico servizio organizzato in modo unitario, determina l'eguaglianza dei soggetti di fronte alle varie forme di tutela e il coordinamento delle prestazioni; per un numero sempre crescente di prestazioni, inoltre, il campo dei soggetti assicurati è esteso all'intera popolazione.
I bisogni eventuali che costituiscono l'oggetto delle assicurazioni sociali si distinguono in due fondamentali categorie: i bisogni eventuali di natura permanente e i bisogni eventuali di carattere temporaneo, a seconda che la riduzione (o la cessazione) della capacità lavorativa o l'esigenza di mezzi economici superiori a quelli ordinari sia di lungo o di breve periodo. Alla prima categoria appartengono i bisogni determinati dagli eventi di vecchiaia, invalidità (professionale e non) e morte (per quanto attiene al mantenimento dei superstiti). Alla seconda, invece, i bisogni connessi all'inabilità temporanea, all'assistenza sanitaria (anche di lungo periodo) e alla disoccupazione.
Le finalità delle assicurazioni sociali e il loro carattere obbligatorio hanno permesso di introdurre forme di equilibrio finanziario che non trovano riscontro nell'ambito delle assicurazioni private. I metodi dell'assicurazione libera, applicati alle assicurazioni sociali, tendono a fornire una limitata protezione proprio di quei soggetti per i quali è, invece, maggiore l'esigenza della copertura assicurativa; ciò è, naturalmente, in contrasto con la natura delle assicurazioni sociali. In alternativa ai sistemi - denominati 'di capitalizzazione individuale' - nei quali vige il principio di equità applicato al singolo rapporto assicurativo, si sono dunque introdotti sistemi caratterizzati da un premio medio (o 'premio collettivo'), uguale per tutti gli assicurati o per certi gruppi di assicurati costituiti in funzione di vari criteri, diversi in ogni caso da quelli connessi all'intensità del rischio. Allo scopo di fissare un 'premio medio' è necessario specificare il gruppo rispetto al quale esso si istituisce e se esso sia da commisurare annualmente ai rischi corsi, per l'intero gruppo, dall'ente previdenziale o se, invece, si debba far fronte a tali rischi attraverso la costituzione di riserve.
Più in particolare, i fondamentali sistemi finanziari di gestione sono: 1) il sistema della ripartizione pura (il premio, versato annualmente da tutti gli assicurati, eguaglia le spese che presumibilmente verranno sostenute nell'anno); 2) il sistema dei capitali di copertura (il premio, versato annualmente da tutti gli assicurati, eguaglia il valore capitale delle rendite che presumibilmente saranno liquidate nell'anno); 3) il sistema del premio medio generale (il premio è tale che, all'inizio dell'assicurazione, il valore attuale dei contributi che saranno versati dagli assicurati presenti e futuri, per l'intera durata della gestione, eguaglia il valore attuale degli oneri che presumibilmente saranno sostenuti nello stesso periodo).
Con il primo sistema non si ha alcuna costituzione di riserve; con il secondo si costituiscono le riserve relative ai pensionati; con il terzo, oltre alle riserve dei pensionati, si hanno le riserve degli attivi, nell'ipotesi che il rischio assicurato sia crescente con l'età o con l'anzianità; in tutti i sistemi è, invece, possibile la costituzione di riserve sinistri, per l'eventuale differimento nell'erogazione delle prestazioni.
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