ASSIOMA (dal gr. ἀξίωμα "dignità"
Termine usato dai pitagorici per designare i principî delle matematiche o in genere delle scienze dimostrative. "Proposizioni immediate che occorre necessariamente conoscere per apprendere qualche cosa" li definisce Aristotele in Anal. Post., I, 2 (9), e soggiunge: "ché vi sono proposizioni di tal natura e ad esse si riserva abitualmente questo nome [di ἀξιώματα]". Negli Elementi d'Euclide, gli assiomi si trovano dopo i postulati sotto il nome di nozioni comuni (χοιναὶ ἔννοιαι): il termine ἔννοια potrebbe essere stato adoperato da Democrito d'Abdera che, un centinaio d'anni prima, scrisse alcuni libri di geometria, dei quali Trasillo ci ha conservato i titoli richiamanti l'ordinamento euclideo.
Le nozioni comuni o assiomi di Euclide sono in numero di otto ed affermano che "cose uguali ad una terza sono uguali fra loro" "somme di cose uguali sono uguali i"..., "cose (o figure) che possono sovrapporsi sono uguali fra loro" e "il tutto è maggiore della parte". Non è qui il luogo per farne la critica (v. geometria elementare).
La distinzione fra assiomi e postulati, che già ricorre in Aristotele, viene spiegata in Proclo (Procli Diadochi in primum Euclidis Elementorum librum commentarii, ed. Friedlein) sotto tre punti di vista. Anzitutto, secondo Gemino, gli assiomi stanno ai postulati come i teoremi ai problemi e le identità alle equazioni, in quanto i primi porgono relazioni per cui certe proprietà risultano conosciute come conseguenza di altre date, mentre i secondi assegnano costruzioni elementari che, nel concetto dei Greci, valgono a provare l'esistenza di enti particolari cui s'impongano certe condizioni.
Proclo osserva anche che gli assiomi e i postulati differiscono per essere, questi, principî particolari della geometria; quelli, comuni alle varie scienze; poiché si tratta qui delle proprietà generali dell'uguaglianza e disuguaglianza fra grandezze.
Infine, la distinzione fra le due specie di principî si accorda anche col criterio d'Aristotele, che riconosce negli assiomi verità necessarie o indimostrabili, perché evidenti di per sé (καϑ' ἐαυτά), e nei postulati verità partecipanti a un'altra specie di evidenza (sensibile), che non risultano egualmente per necessità dal significato dei termini che vi figurano. Questo terzo criterio di distinzione è appunto quello che la critica moderna ha tenuto maggiormente in vista.
Esso ha acquistato un valore filosofico per filosofi, come Cartesio e Leibniz, vagheggianti la costruzione d'una metafisica razionalistica sul modello delle matematiche. Cartesio attribuisce appunto una certezza immediata, assiomatica, ai principî della scienza, basandoli sull'evidenza. Ma questa base stessa diviene oggetto della critica di Gassendi e di Hobbes. Il primo riconduce l'evidenza alle sensazioni, l'altro scorge negli assiomi matematici soltanto delle definizioni arbitrarie. Leibniz ha approfondito la tesi hobbesiana, cercando di togliere la difficultas de veritate arbitraria: gli assiomi si riconducono a proposizioni identiche (o analitiche), per mezzo delle definizioni; ma queste non possono assumersi ad arbitrio, dovendo soddisfare alla condizione d'esistenza logica dei concetti, che è la compatibilità (impossibilità di conseguenze contraddittorie).
Locke ha confutato tali vedute, sostenendo che i principî identici, o analitici, sono di frivolo uso nella scienza, mentre i veri principî hanno un significato empirico. Kant, riprendendo la questione, ha dichiarato che gli assiomi della geometria e dell'aritmetica sono bensì giudizî sintetici (non identici), ma a priori, i quali trovano il loro fondamento nelle condizioni necessarie della sensibilità o dell'intelletto, a cui deve soddisfare ogni esperienza possibile.
La questione è stata assai disputata dopo Kant, ravvivandosi la tesi empirica presso i positivisti inglesi come Stuart Mill, e presso Helmholtz, che ha discusso in particolare gli assiomi dell'uguaglianza (riattaccandosi a Grassmann). Da questa critica, come pure da quelle dei fisici Mach e Maxwell, e d'altra parte del logico inglese De Morgan, viene illustrata la veduta che i detti assiomi - e in particolare la proprietà transitiva dell'eguaglianza (due cose uguali a una terza sono uguali fra loro) - esprimono le condizioni perché una relazione qualsiasi possa ritenersi come un'uguaglianza.
Frattanto la critica dell'infinito matematico, con Bolzano e Cantor, portava a riconoscere che gli assiomi della disuguaglianza (il tutto è maggiore, e non uguale alla parte) esprimono solo condizioni definitrici del "finito" in contrapposto dell'"infinito".
In conseguenza di tali sviluppi, e della nuova comprensione dell'organismo logico delle scienze deduttive, la distinzione fra assiomi e postulati ha perduto ogni valore per i matematici contemporanei: i quali riconoscono in genere negli assiomi o postulati presi nel loro insieme, la definizione implicita dei concetti fondamemali della scienza.
Le conclusioni anzidette hanno un significato logico, specialmente importante per l'ordinamento delle matematiche, ma lasciano impregiudicata la questione filosofica dell'origine e del significato degli assiomi. A tale riguardo si sono affacciate nuove idee. Anzitutto sotto l'influenza della geometria non-euclidea, i pensatori matematici sono stati indotti a ritenere che i principî della geometria siano verità sperimentali, mentre i principî dell'aritmetica avrebbero un valore puramente logico. Questa è ai tesi accolta da Helmholtz e dai matematici aritmetizzanti della scuola di Berlino (Weierstrass, Kronecker) alla fine del secolo scorso. Ma di fronte a questo neo-empirismo geometrico si è pur disegnato un movimento di parziale ritorno alla posizione kantiana. Klein e Poincaré hanno messo in luce ciò che vi è d'arbitrario nella definizione dei concetti, e quindi negli assiomi e nei postulati della geometria, riguardo alle esperienze definitrici. Poincaré viene di qui alla tesi che in genere gli assiomi della scienza si riducano a convenzioni, nelle quali si ritrova così l'a priori. In questa veduta è contenuta, in qualche modo, la presunzione d'un ordine naturale delle deduzioni della scienza. Ma se, conformemente ai criterî dell'odierna logica delle matematiche, si accoglie un concetto più libero di quest'ordine, rimane soltanto l'osservazione che della validità degli assiomi e dei principî non si può giudicare considerando ciascun principio isolatamente di per sé, ma riferendosi all'insieme del loro sistema: che - trattandosi d'una disciplina astratta come la geometria - dovrà poi integrarsi progressivamente con le supposizioni della meccanica e della fisica.
Bibl.: H. G. Zeuthen, negli Atti del Congresso matematico di Heidelberg 1904, p. 340; G. Vailati, ibidem, p. 575; cfr. Scritti, Firenze 1911, p. 547; F. Enriques, Problemi della scienza, Bologna 1906, cap. IV; id., Per la storia della logica, Bologna 1922, passim e pp. 20, 36, 75, 160, 274; id., Gli Elementi d'Euclide e la critica antica e moderna, Roma 1925, I.