assiomatizzazione
Processo che riconduce un insieme di conoscenze a principi dai quali l’insieme può essere derivato o dedotto. È possibile distinguere nella riflessione matematica (e in quella filosofica a essa legata) tre concezioni fondamentali di a.: la concezione pre-euclidea o analitica; la concezione classica o euclidea; la concezione astratta o moderna.
I principi sono intesi come «ipotesi», ossia elementi provvisori attraverso cui è possibile risolvere specifici problemi o derivare specifiche proposizioni in un certo ambito di conoscenze. Tale concezione ha alla sua base un criterio extra-logico di «evidenza» che garantisce la intelligibilità dei «termini primitivi» contenuti nelle ipotesi e, dunque, la intelligibilità delle ipotesi stesse. Tale attribuzione di evidenza, tuttavia, si colloca all’interno di una concezione che non fa riferimento a un ordinamento globale delle proposizioni (relative a un dato ambito di conoscenze), ovvero a un sistema immutabile e univoco di rapporti tra le proposizioni (come sarà nella concezione classica), bensì a una pluralità di ordini parziali e temporanei, utili alla derivazione di specifiche conoscenze (soluzione di specifici problemi). Perciò, le ipotesi non sono un punto di partenza assoluto, ma solo principi provvisori, scelti per la loro utilità nella soluzione (dimostrazione) di uno specifico problema (teorema) e possono essere a loro volta fondate su altre ipotesi più generali. Questa concezione è presente nelle iniziali a. delle conoscenze matematiche per opera di Ippocrate di Chio (440 a.C.), di Leone (375 a.C.), di Teudio di Magnesia (ca. 350 a.C.), tutti autori di Elementi, che, da quanto è noto, non contenevano esposizioni dei principi univocamente ordinate. La sistemazione della geometria, intesa come un sistema unico, organizzato secondo un ordine univoco, all’interno del quale derivare tutte le conoscenze di una determinata area, costituisce infatti il punto di arrivo di un lungo processo di astrazione matematica. Sebbene nel lavoro ippocrateo si avverta lo sforzo di rintracciare connessioni tra problemi e teoremi e di definire un certo ordine deduttivo tra le proposizioni matematiche, tale proponimento non condusse alla edificazione di un sistema deduttivo valido, per es., per tutti i problemi/teoremi della matematica elementare. Esso, diversamente, condusse alla costituzione di una pluralità di ordini parziali i principi dei quali (eventualmente anche proprietà di enti geometrici dimostrate in precedenza) venivano determinati dalla specifica questione matematica che si intendeva affrontare. La concezione pre-euclidea è legata all’uso del cosiddetto metodo analitico (➔ analisi/sintesi), che assolveva a una funzione euristica e in quanto tale anche alla funzione di costruzione degli ordini parziali di principi. Per tale legame essa può essere detta anche analitica. La concezione pre-euclidea è presente, per es., in Platone, che nella Repubblica (➔) (VI, 510 c-e; VII, 533 b-c) conduce una profonda requisitoria contro il metodo assiomatico che scambia le ipotesi per verità indiscutibili e invece di fondarle andando all’insù, verso ipotesi sempre più generali, va all’ingiù, inseguendo ciò che deriva da esse.
Si basa su un criterio extra-logico di evidenza che garantisce sia la intelligibilità dei termini primitivi, sia la veridicità dei principi. Per tale ragione la concezione classica, come quella pre-euclidea, è detta concezione intuitiva. Tuttavia, diversamente da quella pre-euclidea, la concezione classica concepisce l’a. come un sistema di conoscenze unico e organizzato secondo un ordine univoco, all’interno del quale derivare, da alcuni principi veri (assiomi), tutte le altre conoscenze vere. Tale concezione trovò la sua più profonda realizzazione negli Elementi di Euclide di Alessandria, un manuale in cui tutta la matematica elementare viene costruita secondo il metodo assiomatico partendo da un piccolo numero di principi appartenenti a tre categorie: definizioni, postulati e nozioni comuni. Ogni altra proposizione (teorema o problema) vera della matematica elementare viene dimostrata (risolta nel caso di problemi) partendo dai principi suddetti (utilizzando, eventualmente, anche altre proposizioni dimostrate o risolte). La forma sintetico-deduttiva (e non analitica) degli Elementi sembra essere divenuta canonica per le scienze matematiche alla fine del IV secolo a.C., ed è stata tradizionalmente considerata come la realizzazione matematica dell’ideale di scientificità teorizzato da Aristotele, secondo il quale ogni scienza deve avere certi punti di partenza (definizioni, proposizioni esistenziali e assiomi logici). Nessuno di questi principi è dimostrabile e devono essere colti in qualche altro modo. L’idea di scienza che Aristotele delinea è quella di un sistema ordinato: i suoi elementi sono connessi da relazioni di antecedenza e conseguenza, da relazioni di derivazione di elementi subordinati da elementi primari e tale ordine è naturale nel senso che non è modificabile (Analitici secondi, I 2, 72 a 14-24 I; 10, 76 b 25-35). Questa concezione ha profondamente ispirato la riflessione filosofica moderna in quanto modello di organizzazione del sapere (Hobbes, Spinoza, Leibniz, Kant, ecc).
Le ricerche sulle geometrie non euclidee, sulla geometria proiettiva e sull’aritmetizzazione dell’analisi favorirono nell’Ottocento lo sviluppo della concezione assiomatica astratta. In modo particolare, l’analisi delle geometrie non euclidee richiedeva, da un lato, nuove considerazioni sullo status della geometria e della matematica in generale come teoria, dall’altro poneva in primo piano il problema della natura dello spazio reale e di come determinarla. Ciò condusse al declino di una certa considerazione delle proposizioni euclidee e di quella filosofia kantiana che aveva elevato la geometria euclidea, quale costruzione assoluta fondata su principi indubitabili, a interprete fedele della struttura dello spazio fisico. Tra le conseguenze dirette della rivoluzione non euclidea vi fu, infatti, l’esigenza di una riflessione logica sui fondamenti della geometria che rispondesse a questioni come: su cosa si fonda la validità delle inferenze matematiche? Come è possibile studiare i nessi tra gli assiomi e le proposizioni geometriche senza presupporre legami la cui giustificazione è solo intuitiva in riferimento a interpretazioni che non sono le uniche possibili? Numerosi matematici, già a partire dalla fine del 19° sec. e nel 20° sec., offrirono risposte a tali domande: M. Pasch, G. Peano, M. Pieri, Hilbert furono tra questi. In modo particolare l’opera i Fondamenti della geometria (1899) di Hilbert incarnò la nuova visione assiomatica della geometria in cui gli assiomi non esprimono, in linea di principio, nessun contenuto che non sia quello delle loro mutue relazioni di tipo puramente logico. Gli assiomi non sono più proposizioni che affermano in modo immediato ed evidente alcuni caratteri estremamente generali di particolari enti concreti. Gli assiomi non sono verità evidenti, addirittura non sono verità nel senso usuale; essi diventano definizioni implicite dei concetti e dei termini primitivi o indefiniti che contengono. La concezione astratta da una parte sostituisce all’evidenza dei termini primitivi (le definizioni degli Elementi di Euclide) la loro definibilità implicita, ovvero nel sistema intervengono solo quelle caratteristiche dei primitivi rigorosamente specificate dagli assiomi; dall’altra sostituisce alla veridicità assoluta degli enunciati primitivi la non contraddittorietà degli assiomi. Un ulteriore sviluppo di tale concezione condusse poi a una concezione formale in cui tutti gli elementi (i primitivi, gli assiomi, le regole di inferenza, i teoremi) vengono completamente e rigorosamente simbolizzati attraverso un linguaggio formale in un sistema formale. I termini primitivi di un sistema assiomatico formalizzato sono, così, suscettibili di attribuzione di vari significati mediante la costruzione di interpretazioni. La costruzione di una interpretazione in questo contesto non è sinonimo di «esplicazione di un significato», non essendovi alcun significato da spiegare, bensì di «assegnazione di un significato»: poiché, infatti, gli elementi primitivi non hanno un significato, è possibile attribuirgliene uno in modo tale che ne acquistino anche gli assiomi stessi. Un’interpretazione dei concetti primitivi tale che gli assiomi diventino enunciati veri è detta modello. Il superamento della concezione classica con tutte le sue caratteristiche, necessitò lo sviluppo, in ambito astratto e formale, di un preciso studio delle proprietà metateoriche delle teorie assiomatizzate. Tra le proprietà più note ricordiamo: la coerenza, l’indipendenza, la completezza e la decidibilità. Una teoria T è coerente se e solo se non vi è alcuna formula A di T tale che sia A che non-A siano teoremi di T; è completa se e solo se, per ogni enunciato A di T, o A o non-A è un teorema di T; è decidibile se e solo se vi è un procedimento effettivo per determinare, per ogni formula A di T, se A è o meno un teorema di T. Si dice che un insieme di assiomi per una teoria T è coerente se e solo se T stessa è coerente; analogamente per la completezza. Inoltre un insieme di assiomi G è indipendente se e solo se nessun assioma di G è derivabile dai rimanenti assiomi di G. Importanti contributi allo studio delle a. formali sono venuti, tra gli altri, da Hilbert, dalla scuola di Peano, da Tarski, A. Robinson, K. Gödel.