ASSIRIOLOGIA
. Definizione e limiti. - Si dà il nome di assiriologia a una scienza che studia la storia e la cultura di due antichi paesi dell'Asia occidentale: l'Assiria e la Babilonia. A tale soggetto possono riunirsi qualche volta ricerche sulla Persia, la Susiana, l'Armenia, l'Asia Minore e altri territorî, i quali con l'Assiria e la Babilonia furono in relazione. Gli assiriologi attendono a due specie di studî: all'esame dei monumenti d'arte (architettura, pittura, scultura, arti minori) e all'interpretazione delle iscrizioni cuneiformi. Queste traggono il nome dal genere di scrittura che le compone (scrittura cuneiforme, o cuneata, come i primi assiriologi dissero; i cui segni o caratteri consistono in aggruppamenti di tante figure, somiglianti ciascuna a un cuneo). Le dette iscrizioni s'incisero su rupi, pietre dure d'ogni sorta, statue, bassorilievi, mattoni, metalli e tavolette d'argilla. Le monumentali in gran parte restano in situ nell'Asia (p. es., a Behistūn, a Bāwiān presso Khorsābād); le trasportabili, specialmente tavolette d'argilla, giunsero e giungono in Europa in gran numero dai luoghi di esplorazione nell'Asia occidentale.
Le iscrizioni persepolitane. - Le prime iscrizioni cuneiformi note agli Europei venivano da luoghi diversi dell'Impero persiano, in ispecie dalle rovine di Persepoli. Qui i re Achemenidi avevano fatto scolpire un certo numero d'iscrizioni, quasi tutte redatte in tre lingue. Le tre redazioni sui monumenti sono collocate parallelamente: precede il testo in lingua persiana, viene poi la traduzione in susiano (lingua della Susiana, provincia della Persia), poi la traduzione in babilonese (lingua della Babilonia, altra provincia dell'Impero persiano). I tre testi appaiono scritti in segni cuneiformi, ma ciascuno con un sistema suo proprio: più semplice il persiano (39 segni), inventato al tempo degli Achemenidi; alquanto più complesso il secondo (111 segni), assai complicato il terzo (centinaia di segni che possono contarsi diversamente, secondo i varî computi degli assiriologi). Quando le prime iscrizioni trilingui vennero a conoscenza degli Europei, questi, per intendersi fra loro, chiamarono i tre sistemi: primo, secondo e terzo genere di Persepoli. Soltanto verso il principio del sec. XIX si scoprì che ogni genere esprimeva un idioma.
Prime notizie dei segni cuneiformi. - È cosa incerta se i caratteri cuneiformi siano stati conosciuti in Grecia, a Roma e nell'Oriente Mediterraneo. Importa vedere come si conobbero in Occidente nel sec. XVII, e come prima si decifrarono. Antonio de Gouvea, frate agostiniano, inviato in Persia da Filippo III, re di Spagna e Portogallo (1602 e anni seguenti), nella relazione del suo viaggio, stampata a Lisbona (1611), descrisse certi segni misteriosi scolpiti sui monumenti di Cihilminār (Persepoli). Nel 1606 i fratelli Giambattista e Girolamo Vecchietti, visitando alcune rovine di monumenti (pare a Naqsh-i Rustem), osservarono certe "scritture d'intagliamenti" (v. G.C. Teloni in Bilychnis, agosto-settembre 1923, pp. 218-19). Don García de Silva y Figueroa, ambasciatore spagnuolo, trovandosi a Persepoli nel 1618, vide alcune "lettere" a figura di "piramidi" o di "obelischi"; le descrisse e diede ordine che di una linea di esse si eseguisse un disegno. Pietro della Valle, il noto patrizio romano, avendo sulla terrazza di Cihilminār, il 13 ottobre 1621, copiato, non senza qualche inesattezza, cinque segni di un carattere "ignoto" (cuneiforme), li riportò in una sua lettera (da Shīrāz il 21 ottobre 1621), pubblicata soltanto nel 1658. In questa lettera si trova forse la più antica trascrizione di segni persepolitani arrivata in Europa? Nessuno lo può affermare finché non si abbia notizia dei presunti disegni (per ora irreperibili) ordinati dal diplomatico spagnuolo (v. A.J. Booth, The discovery and decipherment of the trilingual cuneiform inscriptions, Londra 1902, p. 23).
Copie di segni cuneiformi. - Altri disegni di caratteri cuneiformi circolarono nel sec. XVII, ma generalmente di provenienza ignota. Ricorderemo i disegni del Flower, di T. Herbert e di G.F. Gemelli Careri.1. S. Flower, mercante in Aleppo, in certe sue carte, delle quali ignoriamo la data, affermava di aver copiato nel 1667 a Persepoli alcuni segni sconosciuti, che potevano essere scrittura dei Guebri (Parsi), o roba "magica". Le carte coi detti segni, alla morte del Flower, capitarono nelle mani di Francis Aston, il quale le pubblicò (1693) nelle Philosophical Transactions di Londra (giugno 1693). Videro i segni e li discussero Th. Hyde (lo storico delle religioni dei Persiani e dei Medi) e altri eruditi, fabbricando intorno ad essi una specie di leggenda. 2. Th. Herbert, partito nel 1626 con l'ambasciatore Cotton per la Persia, lasciò la relazione dei suol viaggi in più edizioni (1634, 1638, 1665 e 1677). Nell'ultima appaiono tre linee di caratteri a figura di "piramidi" o "triangoli" o "delta", come l'autore diceva. 3. Finalmente Giovan Francesco Gemelli Careri, dopo avere, nel 1694, visitato Persepoli, pubblicò nel suo Giro del mondo (Napoli 1699-1700) due righe di caratteri a triangolo. Già la critica ha dimostrato che i segni del Flower e del Herbert non formavano un testo realmente scritto su monumenti, ma furono riuniti dagli editori come "scelte di curiosità", e ha spiegato come, verosimilmente, il Gemelli copiasse dal Herbert e non da testi originali di Persepoli.
Alcune congetture sui segni. - Di solito i viaggiatori, i quali, a cominciare dal de Gouvea, osservarono in Persia i segni cuneiformi, riconobbero in essi una scrittura misteriosa. Non potendo penetrarne i segreti, li descrissero "per quello che non erano", notando cioè le differenze tra quei segni ed altri alfabeti. Disse il de Gouvea: "questi caratteri non intesi da alcuno non sono né persiani, né armeni, né arabi, né ebraici". Il Figueroa analogamente: "né caldei, né greci, né arabi". Si compiacquero di simili confronti anche Th. Herbert (1638), il Mandelslo (1638), Jean Struys (1681), il Gemelli (1694). S'insisteva generalmente sul fatto che nessuno, né in Persia né altrove, poteva leggere l'alfabeto di Persepoli. Solo il Flower, nelle carte sopra citate, riferiva questa opinione: un dotto gesuita crede che si tratti di un alfabeto adoperato e inteso in Egitto. Non mancarono neppure pareri stranissimi e tentativi di lettura. Il Herbert pensò che un certo gruppo di segni si potesse leggere: 'Αασυερος ϑεος (così riferisce F.H. Weissbach, in Grundriss der iranischen Philologie, Strasburgo 1904, II, p. 66).
Th. Hyde, orientalista di qualche merito, sostenne (1760) essere i segni di Persepoli adibiti sui monumenti tantum ornatus et lusus gratia. Alle amenità arrivarono S.S. Witte, dichiarando i caratteri cuneiformi giuochi di disegno, che volevano ritrarre figure di piante; e altri dotti, dichiarandoli o solchi scavati sulle pietre da insetti o vermi, o, al più, numeri (v. Weissbach, loc. cit.).
Prime copie d'iscrizioni. - Per la decifrazione dei caratteri cuneiformi occorrevano copie d'intere iscrizioni persepolitane e non riunioni di segni scelti a caso come quelle del sec. XVII, delle quali abbiamo dato cenno. Già J. Chardin aveva offerto alla curiosità del pubblico un' iscrizioncella da lui trascritta nella sua integrità (1674) e pubblicata nel 1711. Simili saggi e più abbondanti diedero Engelbert Kämpfer (1712) e Cornelis van Bruyn (1718). Ma solo a Carsten Niebuhr spetta il merito di avere raccolto e dato in luce, con la desiderata esattezza, un numero notevole delle iscrizioni in tre "alfabeti", come egli diceva, alcune già note, altre nuove (C. Niebuhr, Reisebeschreibung nach Arabien, II, Copenaghen 1778). Il libro preparò la via ai decifratori, e se ne servirono i precursori del Grotefend: O.G. Tychsen e F. Münter. Il Tychsen (1798), pur commettendo varî errori, scoprì che nel primo genere di Persepoli un segno obliquo collocato fra due gruppi di segni serviva a separare le parole, e affermò che nei tre generi erano realmente scritte tre lingue. Il Münter affermò (1800) che le iscrizioni tripartite appartenevano agli Achemenidi, che la lingua doveva accostarsi a quella dell'Avesta, e che le tre "scritture" contenevano rispettivamente: a) lettere, b) sillabe, c) monogrammi (parole): determinò anche il valore di due caratteri persiani e il significato di due gruppi: re (a) e re dei re (b) Erano piccoli passi verso la verità, e a suo tempo servirono al primo decifratore dei segni cuneiformi.
Dopo il primo saggio del Tychsen, e quando Joseph Hager aveva già iniziato le sue pregevoli edizioni di testi, A. H. Lichtenstein prese a meditare un genere fantastico di decifrazione, e ne espose il sistema nella monografia Tentamen palaeographiae assyrio-persicae (Helmstadt 1803). Niente di più facile per l'autore che leggere le iscrizioni, specialmente quelle della maniera più complicata. Nei segni stavano nascoste lettere cufiche, e ogni segno conteneva cunei essenziali e cunei superflui: bisognava leggere da destra a sinistra per scoprire una lingua aramaica e frasi rassomiglianti a quelle del Corano. In un lungo testo che è, come oggi sappiamo, un documento giuridico, il Lichtenstein ravvisava l'allocuzione di un sacerdote del dio della morte a donne che piangevano i loro cari defunti! Naturalmente il tentativo rimase isolato, e può appena ricordarsi come un'amenità. Strano appare in ogni modo che un sommo arabista, il De Sacy, nel 1820, esponendo la teoria del Grotefend, la dichiarasse soggetta a riserve, come quella dei Lichtenstein.
Il primo genere di Persepoli. - Che i Greci e i Romani abbiano avuto notizia delle scritture cuneiformi non può affermarsi né negarsi. I Greci rammentano qua e là segni assiri, siri e persiani, che potrebbero essere i cuneiformi; in una lettera di Temistocle, dichiarata spuria dal Bentley, ma contenente, a quanto pare, buone tradizioni, i caratteri persiani inventati dagli Achemenidi vengono chiaramente distinti dagli assiri. Questi accenni però, indeterminati come quelli di uno scrittore siriaco, il quale, nel IX od VIII secolo, allude ai cuneiformi, non potevano in nessun modo aiutare il lavoro della decifrazione inaugurato nel 1802. Il 4 settembre di quell'anno Giorgio Federico Grotefend, insegnante nel ginnasio di Gottinga, presentava all'Accademia delle scienze di quella città una sua dissertazione sulle scritture di Persepoli. L'autore esaminava due iscrizioni segnate B e C nell'opera del Niebuhr sopra accennata, e giungeva a queste conclusioni: i tre generi persepolitani sono tre lingue; e il primo consta di lettere (non sillabe, né parole); B e C nella loro struttura si avvicinano a certe iscrizioni sāsānidi spiegate dal De Sacy e contenenti i titoli di re diversi; si tratta in B e C di un certo fondatore di dinastia, del figlio suo, e del figlio del figlio: Istaspe, Dario, Serse. Il Grotefend addita i gruppi cuneiformi che significano "re", e "re dei re", propone i valori fonetici di 13 segni (errando solo in 4 casi), riconosce che la lingua di B e C si accosta allo zendo, e legge nella pronunzia persiana i nomi dei tre sovrani accennati. Lo studio del Grotefend, capolavoro di logica e d'intuizione, fu accolto con più favore all'estero che in Germania. Lentamente le ricerche sui testi cuneiformi persiani continuarono per opera principalmente del Rask (1826), Eugène Burnouf e Christian Lassen (1836), Ed. Hincks (1848, 1850), J. Oppert (1847, 1851, 1870). Tiene un posto separato e principalissimo fra i decifratori H. C. Rawlinson, ufficiale inglese nell'esercito persiano. Egli assicura che aveva già decifrato, indipendentemente dal Grotefend e 33 anni dopo di lui, i nomi di Istaspe, Dario, Serse: scoprì poi a Behistūn, presso Kirmānshāh, su una roccia levigata, a 400 metri dal suolo, alcuni bassorilievi attinenti al re Dario, e un'iscrizione di oltre 40o linee, che nel 1846 pubblicò e tradusse. Allora nei punti essenziali la decifrazione si poté dire ultimata.
Il secondo genere di Persepoli. - Il Grotefend aveva creduto che il secondo genere di Persepoli esprimesse il linguaggio dei Medî. Alcuni vollero chiamarlo proto-medico, altri scitico, elamitico, amardiano, anzanitico; oggi si preferisce chiamarlo (come dialetto dell'antico elamitico) neo-elamitico. A stabilire la lettura dei segni concorsero fin dal 1837, cominciando dal Grotefend, parecchi eruditi (N. L. Westergaard, E. Hincks, F. De Saulcy). Oggi si può ritenere terminato il lavoro generale della decifrazione: a questo hanno contribuito molto le ricerche fatte sulla parte neoelamitica dell'iscrizione di Behistūn. Il Rawlinson, che di quella parte possedeva copia, l'affidò al Norris, e questi ne trasse (1852) i materiali per assicurare su basi solide la decifrazione del secondo genere.
Il terzo genere di Persepoli. - Più laboriosa delle altre risultò la decifrazione dell'assiro (o babilonese, o babilonese-assiro), espresso dalla terza scrittura persepolitana. Per risolvere il quesito fu necessario accertare che appartenevano a una sola categoria di segni, e insieme a una sola lingua: a) la terza maniera delle iscrizioni trilingui; b) i caratteri incisi su mattoni babilonesi inviati a Parigi e a Londra tra la fine del sec. XVIII e il principio del XIX; c) i caratteri impressi su monumenti di Khorsābād scavati da P.E. Botta (1842-46); d) i caratteri "antichi" e "moderni" conservati rispettivamente su esemplari diversi di un unico testo babilonese. Si trattava di una massa non indifferente di segni (circa 500); tutti ignoravano qual linguaggio essi nascondessero, il valore e la pronunzia di ciascun segno. L'ordine delle scoperte avvenute dal 1845 in poi non si può sempre conoscere esattamente. Isidoro Löwenstern (1845) ritrovò i segni che significano "grande" e "re", e il segno indicante l'idea del plurale; poco dopo (1847) trattò del carattere semitico di quel linguaggio. Ma a un geniale erudito irlandese, Edoardo Hincks, si debbono gli studî più interessanti. Dal 1846 in poi egli sostenne fra altre queste tesi: la lingua del terzo genere deve chiamarsi babilonese; possiede segni fonetici e ideografici, fra i quali i determinativi. Il Hincks paragonò con buon successo caratteri babilonesi e persepolitani, trovò (1846) i valori fonetici di 26 fra essi, e la identità di valore tra forme antiche e moderne di certi segni babilonesi. Più tardi (1849-50) provò che un segno poteva riunire in sé funzioni fonetiche e ideografiche, stabilì l'esistenza di sillabe composte di vocale e consonante (p. es. ab, ba), o di una vocale in mezzo a due consonanti (bar, kar), l'esistenza d'ideogrammi costituiti da gruppi di segni; provò che alcune supposte serie di omofoni per una sola consonante (p. es., sette segni per scrivere r), in realtà non erano che diversi segni sillabici (ra, ri, ru, ar, er, ir, ur). Per tal modo quasi tutte le regole della scrittura assira erano fissate dal Hincks verso il 1850. Ma, per debito di giustizia, non deve tacersi che Adriano de Longpérier, pur senza arrivare a trovar la pronunzia di nessuna parola delle iscrizioni disseppellite dal Botta a Khorsābād, ritrovò in queste (nel 1847) gl'ideogrammi che significano "re", "grande", "potente", "paese", più tardi scoprendo anche la pronunzia del nome Sargon. Il De Saulcy (1849) accertò la parentela della lingua babilonese col "caldaico" e con l'ebraico; indi H.C. Rawlinson, già menzionato, pubblicata la parte assira della iscrizione di Behistūn, giunto alla scoperta della polifonia e dei valori fonetici di molti caratteri assiri seppe fissare il significato di circa 300 vocaboli (nel 1851). Dopo questo termine si dedicarono a nuove ricerche lo stesso Rawlinson, il Hincks, il De Saulcy, J. Oppert, E. Schrader. Ma nelle linee principali la decifrazione dell'assiro era completa.
Critiche della decifrazione. - Silv. de Sacy manifestò i suoi dubbi intorno ai risultati ottenuti dal Grotefend e dai suoi continuatori, ma in maggioranza il mondo erudito accolse con favore la decifrazione del primo genere di Persepoli. Invece intorno a quella del terzo si svolsero polemiche vivaci. Il pubblico dei dotti non poté subito ammettere l'esistenza di un "alfabeto" così complicato come l'assiro, coi segni dai molteplici valori, per la cui lettura pareva non esistessero regole fisse. Specialmente faceva nascere obiezioni la pronunzia, troppo discussa, dei nomi proprî. Tra i critici del sistema qui sopra esposto si notarono, dopo il 1850, il Renan, lo Schöbel, l'Ewald; fra i difensori, J. Oppert. Per definire le questioni la Società asiatica di Londra nel 1857 immaginò un singolare esperimento. Si trovavano per caso in quella città il Rawlinson, il Hincks, l'Oppert e Fox Talbot. A ciascuno di essi la Società mandò la copia litografata di una iscrizione scoperta allora allora, e riguardante il re assiro Tiglatpileser I. I quattro ebbero incarico di tradurre ognuno per suo conto il testo, e spedire a Londra entro un certo termine il lavoro compiuto. Così fu fatto, e quando la Società asiatica esaminò in seduta solenne le traduzioni, riscontrò fra esse una sostanziale concordia. Ma neppur questa prova bastò agli scettici. Continuarono le critiche acerrime (specialmente quella del conte di Gobineau nel 1858 e 1864) intorno ai tre sistemi di decifrazione; e la fiducia nel metodo degli assiriologi cominciò ad apparire solo quando E. Schrader, agli assalti di Alfred von Gutschmid, rispose con la sua opera Keilinschriften und Geschichtsforschung, Giessen 1878.
Altre lingue delle iscrizioni cuneiformi. - La scrittura cuneiforme serve a esprimere, oltre alle lingue di Persepoli, quelle che notiamo nel seguente elenco.
1. Sumerico. Non si può accertare a qual famiglia di lingue appartenga, quantunque i filologi lo abbiano avvicinato a un gran numero d'idiomi (di preferenza al turco). Ultimamente C. Autran, fra le opposizioni della critica, ha voluto provare il carattere indoeuropeo del sumerico. Dal IV millennio a. C. i Sumeri avrebbero abitato ad O. del Tigri in una regione alquanto indeterminata, portandovi la loro cultura e, fra l'altro, la scrittura cuneiforme. J. Halévy per più di 40 anni (a partire dal 1874) ha negato l'esistenza di tale popolo, pretendendo che il suo cosiddetto linguaggio nasconda l'assiro, scritto in uno speciale sistema (allograjia dell'assiro). Dalla grandissima maggioranza dei filologi la teoria del ilalévy viene respinta.
2. Elamico. Anche questo linguaggio ignoriamo a qual gruppo appartenga, quantunque i filologi lo abbiano studiato in relazione col georgiano, col brahui, col nubiano. Le più antiche iscrizioni elamitiche furono trovate recentemente nella Susiana; gli Elamiti vicini ai Sumeri (a sud-est) ebbero una speciale scrittura cuneiforme, la quale non venne adottata da nessun altro popolo, mentre la sumerica passò ai Babilonesi e Assiri. Ha interessantissime iscrizioni del terzo millennio avanti Cristo.
3. Cassitico. Taluno ha voluto confrontarlo con lingue caucasiche o con l'indoeuropeo delle iscrizioni di Boğazköy. È in sostanza un dialetto elamico del N., e se ne conoscono poche parole: qualche elemento della lingua può esser ritrovato in nomi proprî composti dell'età dei re cassiti dominanti nella Babilonia (XVIII secolo a. C. e segg.).
4. Vannico (detto anche antico armeno). È il linguaggio di iscrizioni ritrovate dal 1827 in poi nel paese di Van in Armenia da F.E. Schulz e altri. C.F. Lehmann-Haupt vuol chiamar chaldica la lingua e Chaldoi (non Chaldaioi) i popoli che la parlarono, i quali, nel IX sec. avanti l'era volgare (a partire dal regno di Ispuini) adottarono la scrittura cuneiforme degli Assiri e scrissero in vannico.
5. Mitanni. Così chiamano una lingua male classificabile (forse però, in relazione con le caucasiche o col churritico). Deriva da un piccolo regno della Mesopotamia occidentale. È scritta in mitanni (verso il 1400) una delle lettere di Tell el-‛Amārna.
6. Arzawa. Lingua identica all'ittito (creduto indoeuropeo) delle iscrizioni di Boǧazköy. Si hanno in lingua di Arzawa due lettere nella collezione di Tell el-‛Amārna.
Dialetti (?). Tavolette cappadociche e di Kerkūk. - Più volte agli assiriologi è sembrato di poter distinguere nelle iscrizioni cuneiformi assiro-babilonesi tracce di dialetti. Forse il nome di dialetto si può applicare alle tavolette cappadociche, le quali paiono il prodotto di una colonia semitica dell'Asia Minore (III millennio a. C.). Derivano in gran parte da Kültepe presso Cesarea, e sono possedute da parecchi musei d'Europa e di America (Parigi, Londra, Oxford, New Haven, Philadelphia). Sono documenti e lettere di affari in un assiro molto mescolato e che pare modificato da linguaggi ad esso stranieri. Un assiro misto offrono anche le tavolette (del principio del II millennio a. C.), scoperte e che si scoprono ancora a Kerkūk sulla sinistra del Tigri, fra Qal‛at Shirgāt ed el-Suleimãniyyeh.
Lingue di Boǧazköy. L'ittito indo-europeo (?). - Gl'Ittiti (o Hittiti), popoli misti dell'Asia Minore, che tra gli anni 2200 e 1200 acquistarono molta potenza anche in Siria, avendo conquistato la Babilonia verso il 1750, rimasero sotto l'influenza del paese vinto, e accolsero la scrittura cuneiforme. Sul suolo degli antichi Ittiti, a Boǧazköy, tre giornate di viaggio a oriente di Angora, Hugo Winckler nel 1906-1907, dirigendo alcuni scavi, scoprì le rovine di Khatti, antica capitale degl'Ittiti, e un ricco archivio di tavolette cuneiformi. La collezione fu divisa fra i musei di Costantinopoli e Berlino. Essa conteneva, oltre a iscrizioni sumeriche e assire, anche testi in lingue nuove, che agli assiriologi apparivano la prima volta e che Emil Forrer chiamò churrico (o churrio), protoitiitico (o chattioo), indiano primitivo, balaico, luvico (questo, secondo A. Ungnad, sarebbe affine al licio), e kanesico (o ittito). Nel mondo degli eruditi i linguaggi di Boğazköy non destarono un eccessivo interesse, ad eccezione del cosiddetto ittito. L'ittito, secondo F. Hrozny (Die Lösung des hethitischen Problems, in Mitteilungen der Deutschen Orientgesellschaft, Berlino, dicembre 1915), apparterrebbe alla categoria delle lingue europee, e, se l'ipotesi dovesse confermarsi, avremmo di esse i più antichi saggi nelle iscrizioni di Boǧazköy. Non può recar meraviglia che l'argomento abbia attirato la più viva attenzione degli orientalisti e degli studiosi di lingue classiche. Ma accanto ai sostenitori del Hrozny stanno i suoi avversarî decisi (p. es. F. Bork), e quelli che nei testi ittiti (o kanesici) son disposti a ravvisare un indoeuropeo misto con lingue dell'Asia Minore. Non è escluso per ora che nuovi studî sulle iscrizioni scoperte dal Winckler possano chiarire la questione e dare anche qualche luce sulle misteriose iscrizioni geraglifiche che si attribuiscono agl'Ittiti.
Esplorazioni e scavi (fino al 1877). - Nei secoli XVI-XVIII i viaggiatori nella Mesopotamia si contentarono in generale di conoscere Babilonia e Ninive da tradizioni che raccolsero sui luoghi; non pensarono a fare scavi fra le rovine e a raccogliere antichità. Alla fine del sec. XVIII l'abate Beauchamp mandò da el-Ḥillah a Parigi pochi mattoni babilonesi con iscrizioni; altri ne giunsero a Londra nel 1801, spediti da agenti della East-India House. Le vere e proprie esplorazioni cominciano qualche anno dopo. Ricordiamo le principali nel seguente elenco di nomi e di date. Claudius James Rich radunò (1811, 1820-21) una piccola quantità di monumenti assiri e babilonesi (entrati poi al British Museum). A Paolo Emilio Botta (1842-45) e a Victor Place (1852) si debbono gli scavi del palazzo del re Sargon (VIII sec. a. C.) a Khorsābād; ad Austen H. Layard (1845-47; 1849-51) quelli di Nimrūd, Qūyūngiq, Nuffar, ecc.; a Fulgence Fresnel, Jules Oppert, Félix Thomas (1851-54) una spedizione, non interamente riuscita, nella Babilonia. Diressero campagne archeologiche (1853-55) W. Kennett Loftus e J.E. Taylor a Warkā, Mugheir (el-Muūayyar) e Abq Shahrein; H.C. Rawlinson al Birs Nimrūd (1854); Hormuzd Rassam in varî punti dell'Assiria e della Babilonia (fra gli altri Nimrūd e Qūyūngiq (1852-1854), Babilonia, Abū Ḥabbah (1878-82); Giorgio Smith a Nimrūd e Qūyūngiq (1873-74; 1876). A questo lungo periodo di ricerche rimontano le scoperte d'iscrizioni storiche attinenti a re assiri e babilonesi Sargon (v. Isaia, XX,1), Tiglatpileser, Sennacheribho, Asarhaddon, Nabucodonosor, e d'iscrizioni relative alla tradizione babilonese del diluvio. Sono tra i documenti assiri più interessanti per gli studî biblici, e cominciarono già dopo il 1870 a richiamare l'attenzione degli storici e dei teologi.
Esplorazioni e scavi (dai I877). - Anche del secondo periodo di esplorazioni, inaugurato dalla Francia, non possiamo dare che un brevissimo sommario, o meglio un indice delle principalissime campagne archeologiche.
Dobbiamo alla Francia: scavi a Telloh (meglio: Tellō) nella bassa Caldea (1877-1914) per opera del console E. De Sarzec e di Gaston Cros, successore di lui; ricerche a Susa e nel suo territorio per opera di Marcel Dieulafoy (1884-86), Jacques De Morgan (1897-1912), e R. De Mecquenem (1921 e segg.). Le collezioni preziose di antichità sumeriche (da Tellō) e i monumenti d'arte ed epigrafia della Susiana formano due magnifiche raccolte del Louvre. - La Germania si diede soltanto tardi (1887) a imprese archeologiche, affidando a Bernhard Moritz e R. Koldewey l'esplorazione di certe necropoli a Surghul e a Elhibba (Caldea meridionale). Nel 1897 E. Sachau e R. Koldewey visitarono i paesi dell'Eufrate e del Tigri per preparare una grande spedizione tedesca organizzata dalla Deutsche Orient-Gesellschaft. Come prima meta la spedizione si diresse alla celebre metropoli babilonese (1899 e segg.) particolarmente ad el-Qasr (palazzo) ed el-Merkez (città interna popolare), poi anche alle rovine di Fārah e Abū Ḥaṭab (Babilonia centrale), a Qal‛at Shirghāṭ (antica Ashshur). Delle esplorazioni più modeste ma feconde di risultati, fatte dal Winckler (1906-1907) abbiamo già detto. - L'America nel 1884 inviò una commissione guidata da W. Hayes Ward per studiare i luoghi più adatti a qualche scavo nella Babilonia, e poco dopo (1888) l'Università di Filadelfia diede inizio all'importantissima spedizione a Nuffar (antica Nippur), dove J. P. Peters, H. V. Hilprecht, J. H. Haynes e altri disseppellirono gli avanzi del grande tempio di Belo e migliaia di tavolette cuneiformi (entrate a poco a poco nel museo di Pennsylvania). - Per conto dell'Istituto orientale dell'Università di Chicago una commissione presieduta da J. H. Breasted visitò la Babilonia, l'Assiria e la Siria (1920) per acquistare monumenti e disporre scavi futuri; altra commissione (nel 1926), guidata da H. H. von der Osten, percorse i paesi degl'Ittiti per studî archeologici e geografici. - Al British Museum, che più volte col concorso di E. A. Wallis Budge (1887, 1888, 1891), di L.W. King (1901; 1902-4) e R. Campbell Thompson (1904-1905) ha dato incremento alle sue collezioni babilonesi, siamo debitori di scavi a el-Gerābīs (antica Karkemish), diretti, dall'anno 1911 in poi, da C. L. Woolley, T. E. Lawrence; poi di scavi a Abū Shahrein (spedizioni di R. Campbell Thompson nel 1918 e nel 1919) e a Tell el-‛Obeid, presso el-Muqayyar-Ūr (spedizione di H. R. Hall, 1919). Recentemente Inghilterra e America insieme hanno incominciato due serie di campagne archeologiche:1) a Tell el-Oḥeimir (antica Kish), impresa del Museo Field di Chicago e del British Museum; 2) sul territorio dell'antica Ūr (el-Muqayyar), impresa dell'Università di Pennsylvania e del British Museum. - Accanto alle grandi nazioni qualche volta anche le minori hanno contribuito a scavi in Oriente. Per conto della Turchia V. Scheil e Bedry Bey fecero una esplorazione a Abū Ḥabbah (antica Sippara), e ne riportarono una collezione di tavolette cuneiformi. Nel 1916, durante la guerra mondiale, i Russi ritrovarono a Van nuovi testi d'antico armeno; e nel 1924 (per incarico del govemo cecoslovacco), F. Hrozny mise in luce a Kültepe una considerevole quantità di tavolette cappadociche.
Esplorazioni private. Commercio di monumenti. - Nelle romanzesche storie delle esplorazioni babilonesi e assire incontriamo qualche volta la menzione di antichità disperse o danneggiate dal fanatismo dei Musulmani. Racconta J. Chardin (dopo la metà del sec. XVII) che a Persepoli certi bassorilievi, con figure umane, vennero frantumati per ordine delle autorità persiane. C.J. Rich (verso il 1820), trovandosi a Mossul, seppe che in uno dei tumuli di Ninive un grande rilievo con rappresentazioni di uomini e di animali era stato ritrovato e subito fatto a pezzi dai pii Musulmani, perché i dottori (‛ulemā') dichiaravano non essere quelle figure altro che idoli di infedeli. Anche Giorgio Smith più tardi narra di monumenti distrutti in Assiria (circa il 1876) dal fanatismo ignorante. Ma d'altra parte nelle più recenti relazioni degli archeologi visitatori di Babilonia e Ninive, troviamo le prove che in quelle regioni la conservazione dei monumenti a poco a poco è divenuta più facile: anzi gli Arabi non di rado gareggiano con Europei e Americani nella ricerca di antichità. In una decina d'anni due scoperte celebri di testi cuneiformi furono fatte da indigeni. Nel 1875-76 a el-Giúmgiumah, una collina a S. di Babilonia, certi operai scavatori di pietre s'imbatterono in un deposito di 3000 tavolette conservate in recipienti di terra cotta; a Tell el-Amarna (nel medio Egitto) alcuni indigeni scoprirono pure su tavolette cuneiformi la corrispondenza dei faraoni Amenophis III e IV (secoli XV-XIV) con principi e funzionarî dell'Asia. Gli assiriologi riconobbero nei testi di el-Giúmgiumah documenti interessanti di materia legale e commerciale, e Giorgio Smith comprò (1876) tutta la raccolta per il British Museum. Pare che dopo questo episodio nella Mesopotamia gli Arabi abbiano cominciato a intendere il valore dei monumenti di Babilonia e Ninive, domandati dagli studiosi di Occidente con tanta premura e pagati talvolta generosamente. Non fa meraviglia che gl'indigeni ora si diano a fare scavi per conto proprio o per conto dei negozianti di Baghdād, di Mossul, di Costantinopoli e altre città di comunicazione fra l'Oriente e l'Europa, e ricerchino le antichità come le ricercano gli archeologi. S'intende anche come i negozianti offrano la merce sumerica e assira con annunzî e circolari, talvolta anche comiche (v. F. Delitzsch, Sumerisches Glossar, Lipsia 1914, Prefazione). I collezionisti e i musei nel loro interesse acquistano naturalmente la suppellettile archeologica che si trova sul mercato, anche se deriva da scavi clandestini. Purtroppo il commercio delle antichità può favorire illecite industrie come quella delle falsificazioni; purtroppo nel commercio delle tavolette, circolanti fra i bazar, rimane qualche volta sconosciuta la loro provenienza, e questo accresce le difficoltà per gli studiosi. Ma a queste molestie (già sopportate dagli archeologi delle ricerche classiche) si potrà rimediare? Noi non lo crediamo, sebbene ci sembra che molto abbiano già ottenuto società scientifiche per la conservazione dei monumenti assiro-babilonesi e per l'incremento della nobile scienza assiriologica.
Bibl.: Una bibliografia completa degli scritti assiriologici dalle origini a oggi, e una storia completa della scienza non esistono. Si hanno molte bibliografie di soggetti speciali, e fonti generali di informazione, tra i quali i periodici seguenti: Journal Asiatique, Parigi 1822 segg.; Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland, Londra 1834 segg.; Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft, Lipsia 1847 segg.; Journal of the American Oriental Society, Boston e New-Haven 1849 segg.; Wiener Zeitschrift für die Kunde des Morgenlandes, Vienna 1887 segg.; Comptes-rendus de l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Parigi 1857 segg.
Fra i periodici in corso, dedicati specialmente all'assiriologia: Revue d'Assyriologie et d'Archéologie Orientale (fondata da J. Oppert e E. Ledrain), Parigi 1884 segg.; Archiv für Keilschriftforschung, di E. F. Weidner, Berlino 1923 segg. (intitoltao ora Archiv f. Orientforschung, ibid., in continuazione).
Bibliografie correnti di pubblicazioni (per periodi parziali) si trovano in Zeitschrift f. Keilschriftforschung, voll. 2, Lipsia 1884-85; Zeitschrift für Assyriologie und verwandte Gebiete, Lipsia 1886 segg. (È in corso; fondata da Carl Bezold, continuata da Heinrich Zimmern. In ogni fascicolo si trova l'elenco delle opere e articoli assiriologici che vengono in luce. Ora si pubblica Berlino).
Per la storia dell'Assiriologia: E. A. W. Budge, The rise and progress of Assyriologie, Londra 1925; Ch. Fossey, Manuel d'assyriologie, I, Parigi 1904; II, i, 2, Parigi 1926 (pubblicazione in corso); Fr. Hommel, Ethnologie u. Geographie des alten Orients, Monaco 1926; E. Ebeling e B. Meissner, Reallexikon der Assyriologie, Berlino 1928 (in corso).
Bibliografia 1914-1922: E. F. Weidner, Die Assyriologie 1914-22, Lipsia 1922.
Per la storia delle ricerche archeologiche: H. V. Hilprecht, Explorations in Bible Lands during the XIX century, Edimburgo 1903; R. W. A. Rogers, History of Babyl. a Assyria, voll. 2, New York 1915; S. Langdon, Ausgreab. in Babyl. seit 1918, trad. F. H. Weissbach, Lipsia 1928 (Der alte Orient, XXVI).
Per la storia del deciframento: L. Messerschmidt, Die Entzifferung der Keilschrift, Lipsia 1903 (Der Alte Orient, V, p. 3); A. J. Booth, The discovery and decipherment of the trilingual cuneiform inscriptions, Londra 1902; F. H. Weissbach, Die altpersischen Inschriften (in Grundriss der iranischen Philologie di Geiger e Kuhn, II, Strasburgo 1896-1904), pp. 54-74; F. H. Weissbach, Die Keilinschriften der Achämeniden, Lipsia 1911 (Vorderasiatische Bibliothek, III).
Per la storia delle scoperte archeologiche e filologiche fino al 1885: Fr. Hommel, Geschichte Babyloniens und Assyriens (in Allgemeine Geschichte di W. Oncken, I, ii), Berlino 1885 (v. specialmente pp. 58-146).
Elenco di testi cuneiformi pubblicati: P. A. Deimei, Übersicht über die Keilschrift-Literatur, in Orientalia, Roma, settembre 1927, n. 27.
Per le iscrizioni cuneiformi babilonesi pubblicate e interpretate fino al 1885; Carl Bezold, Kurzgefasster Überblick über die babylonisch-assyrische Literatur, Lipsia 1886.