Abstract
La voce ha l’obiettivo di informare il lettore sui tratti essenziali del fenomeno associativo, dalla disciplina del codice civile alla sua evoluzione nella prassi, dando rilievo ad alcuni aspetti di interesse attuale, quali la capacità di esercitare attività di impresa, l’assoggettabilità al fallimento, le nuove forme associative del c.d. “terzo settore” ed i recenti interventi normativi.
La Costituzione assicura all’art. 18 il diritto dei cittadini di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati dalla legge penale, vietando solamente la costituzione di associazioni segrete e di quelle che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Per associazione si intende generalmente l’organizzazione stabile di più soggetti per la gestione di un interesse comune (Auricchio, A., Associazioni (in generale), in Enc. dir., Milano, 1958, 873; Santaroni, M., Associazione, in Dig. priv., Torino, 2006, 485). Si tratta di una definizione in senso ampio, in quanto comune alle associazioni, alle società, ai consorzi ed in generale a tutte le figure di aggregazioni collettive con scopo comune.
Il codice civile tuttavia non contiene una definizione specifica delle associazioni. Si ritiene comunemente che esse si caratterizzino, per differenza rispetto alle società ed ai consorzi per: a) l’organizzazione interna di tipo collettivistico o corporativo, che si contrapporrebbe ad un organizzazione di tipo individualistico o personalistico; b) la struttura personale aperta ed il conseguimento di un interesse di categoria contrapposto ad un interesse di gruppo; c) la natura non lucrativa dello scopo perseguito dai membri (Galgano, F., Le associazioni non riconosciute ed i comitati, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1974, 191).
La giurisprudenza, nel tempo, ha contribuito ad arricchire tale definizione evidenziando la caratteristica dell’assenza dello scopo di lucro quale elemento discriminante tra associazioni e società (sul punto, in particolare v. la risalente pronuncia di Cass., 14.10.1958, n. 325, in Foro it., 1958, I, 1617, secondo cui è essenziale al fine di negare l’esistenza di una società, la mancanza dello scopo di dividere gli utili).
Il codice civile distingue tra associazioni riconosciute, che sono dotate di personalità giuridica, ed associazioni non riconosciute, disciplinando le associazioni riconosciute assieme alle fondazioni agli articoli da 14 a 35 e le associazioni non riconosciute, assieme ai comitati, agli articoli da 36 a 42.
Di seguito si espongono i tratti essenziali delle associazioni riconosciute, per poi illustrare sinteticamente i caratteri che differenziano quelle non riconosciute.
Si possono individuare taluni elementi costanti nel fenomeno associativo.
a) La pluralità di soggetti. Il co. 2 dell’art. 27 c.c, afferma che le associazioni si estinguono quando tutti gli associati sono venuti a mancare. La natura stessa del fenomeno associativo, quale coalizione di una pluralità di soggetti, fa desumere generalmente che elemento essenziale e caratteristico delle associazioni sia la pluralità di soggetti, tanto al momento della costituzione dell’associazione, quanto per tutta la sua durata (Auricchio, A., Associazioni (in generale), cit., 875).
b) Lo scopo comune. Gli associati sono riuniti con un vincolo giuridico da loro stessi determinato per il perseguimento di uno scopo comune, tanto che il raggiungimento dello scopo determina l’estinzione dell’associazione (art. 27, co. 1, c.c.). Se ne desume che l’esistenza di uno scopo comune sia una caratteristica essenziale del fenomeno associativo.
c) Il fondo comune. Si afferma comunemente che elemento essenziale del fenomeno associativo sia anche la presenza di un fondo comune, destinato al perseguimento dello scopo (Auricchio, A., Associazioni (in generale), cit., 876).
A norma dell’art. 14 c.c., le associazioni che aspirino al riconoscimento devono essere costituite per atto pubblico.
La scelta è stata dettata perché l’atto è destinato a dare vita, nel caso delle associazioni riconosciute, ad una persona giuridica e pone in rilievo l’importanza che nella valutazione del Legislatore del 1942 assumeva l’interesse del soggetto a creare non una semplice associazione, ma una vera e propria persona giuridica (Auricchio, A., Associazioni (in generale), cit. 896).
Sono elementi essenziali dell’atto costitutivo e dello statuto (art. 16 c.c.): a) la denominazione dell’ente; b) l’indicazione dello scopo; c) l’indicazione del patrimonio; d) le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione; e) la disciplina dei i diritti e gli obblighi degli associati; f) la disciplina delle condizioni per la loro ammissione.
Sono elementi non essenziali: a) le disposizioni relative all’estinzione dell’ente; b) alla devoluzione dei beni; c) alla modificazione dell’atto costitutivo e dello statuto; d) la trasmissione della qualità di associato (art. 24 c.c.); e) la clausola che impone di fare parte dell’associazione per un tempo determinato (art. 24 c.c.); f) in generale, le clausole che disciplinano la vita ed il funzionamento dell’associazione consentite dall’autonomia patrimoniale (art. 1322 c.c.) e non previste quali obbligatorie dalla legge.
Si ritiene che l’atto costitutivo privo di uno degli elementi essenziali sia nullo (Auricchio, A., Associazioni (in generale), cit., 897) e che in ogni caso la mancanza di uno di tali elementi determini un ostacolo al riconoscimento della personalità giuridica (Ferrara, F., Le persone giuridiche, in Tratt. Vassalli, II, 2, Torino, 1958, 231 e ss.). Generalmente si afferma che nell’atto costitutivo debbano essere fissati gli elementi fondamentali dell’ente che valgono ad individuarlo, mentre lo statuto dovrebbe contenere le norme di funzionamento (Auricchio, A., Associazioni (in generale), cit., 897); tuttavia la legge non distingue nettamente tra atto costitutivo e statuto.
Secondo l’opinione più accreditata, l’atto costitutivo ha natura di un vero e proprio contratto, sia pure di natura diversa dai contratti di scambio e caratterizzato dalla comunione di scopo, in cui ogni contraente trova il corrispettivo della propria prestazione nella partecipazione al risultato cui tende l’intera associazione. Si tratterebbe dunque di un contratto oneroso a prestazioni corrispettive (Cariota Ferrara, L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 2011, 210 ss.), con struttura aperta, in quanto è possibile che al rapporto associativo in futuro aderiscano altri soggetti.
Non è esclusa (ed anzi è frequente) la possibilità di una formazione progressiva dell’associazione, che si ha quando taluni soggetti (promotori) predispongono un programma di adesione all’associazione, i futuri associati vi aderiscono, sino a quando gli associati non si riuniscono per costituire formalmente l’associazione stessa.
L’art. 12 c.c. prevedeva che il riconoscimento della personalità giuridica avvenisse con decreto del Capo dello Stato.
La norma è stata abrogata dal d.P.R. 10.2.2000, n. 361, che ha previsto un meccanismo semplificato per l’ottenimento della personalità giuridica, che presuppone una domanda presentata alla prefettura del luogo in cui ha sede l’associazione. La personalità giuridica consegue all’iscrizione nel Registro delle persone giuridiche tenuto presso la prefettura. L'iscrizione ha dunque valenza di pubblicità costitutiva. La competenza al riconoscimento è demandata alle Regioni per quelle associazioni che operano nelle materie attribuite alla competenza delle regioni dal d.P.R. 24.7.1977 n. 616 e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito di una sola regione (art. 7).
Ai fini del riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo. La consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda. Il Prefetto provvede entro centoventi giorni (art. 1).
Nel registro devono essere indicati la data dell’atto costitutivo, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica ed il cognome, il nome ed il codice fiscale degli amministratori, con menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza (art. 4).
Nel registro devono altresì essere iscritte le modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto, il trasferimento della sede e l’istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori con indicazione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o accertano l’estinzione, il cognome e nome dei liquidatori e tutti gli altri atti e fatti la cui iscrizione è prevista dalla legge o da regolamento (art. 4).
L’effetto del riconoscimento della personalità giuridica consiste nella cd. autonomia patrimoniale perfetta, che caratterizza le associazioni riconosciute rispetto a quelle non riconosciute.
Dei debiti contratti risponde solo l’associazione riconosciuta con il suo patrimonio, non essendo prevista la responsabilità sussidiaria di colo che hanno agito per conto dell’associazione, come accade invece nell’associazione non riconosciuta (art. 38 c.c., v. infra).
L’assemblea è un organo collegiale di cui fanno parte tutti gli associati; ad essa spettano le decisioni relative alla vita, all’attività ed alla disciplina dell’ente (Santaroni, M., Associazione, cit., 489).
La legge attribuisce all’assemblea degli associati una competenza inderogabile determinata in ragione della materia. All’assemblea spettano l’approvazione del bilancio (art. 20 c.c.), la nomina degli amministratori, le azioni di responsabilità contro di essi (art. 22 c.c.), le modificazioni dell’atto costitutivo (art. 21 c.c.), l’esclusione degli associati (art. 24 c.c.), lo scioglimento dell’associazione (art. 21 c.c.).
L’attività dell’assemblea è regolata dal principio maggioritario (Art. 21 cod. civ.). La legge disciplina partitamente:
a) La convocazione. Deve essere compiuta almeno una volta all’anno da parte degli amministratori per l’approvazione del bilancio ed ogni volta che se ne ravvisa la necessità o ne faccia richiesta almeno un decimo degli associati. Nell’ultimo caso, se gli amministratori restano inerti, provvede il presidente del Tribunale (art. 20 c.c.). La norma è generalmente ritenuta applicabile anche alle associazioni non riconosciute (Trib. Roma, 12.12.1985, in Riv. Not., 1986, 1131; Trib. Salerno, 23.1.1990 in Giur. it., I, 2, 353).
b) Le deliberazioni. Esse sono prese a maggioranza dei voti e con la presenza di almeno metà degli intervenuti in prima convocazione, e qualunque sia il numero degli intervenuti in seconda convocazione (art. 21 c.c.). Gli amministratori non hanno diritto di voto nelle delibere che riguardano l’approvazione deli bilancio e l’esercizio dell’azione di responsabilità (art. 21 c.c.). Maggioranze qualificate, sono previste: i) per le deliberazioni attinenti alle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto (presenza di almeno tre quarti degli associati, maggioranza degli intervenuti), ii) scioglimento e messa in liquidazione e devoluzione del patrimonio della associazione (voto favorevole di almeno tre quarti degli associati) (art. 21 c.c.).
c) Le impugnazioni. È prevista la possibilità di chiedere l’annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge, all’atto costitutivo ed allo statuto, su istanza di qualunque associato, degli organi dell’ente o del pubblico ministero (art. 23 c.c.). L’impugnazione si rivolge al tribunale il cui presidente, o il giudice istruttore (evidentemente, a seconda che sia stato designato o meno), può sospendere l’esecuzione della delibera per gravi motivi. L’art. 23 c.c. è ritenuto applicabile anche alle associazioni non riconosciute dalla costante giurisprudenza (Trib. Bologna, 6.5.1988 in Foro it., 1988, I, 3091; Cass., 21.10.1987, n. 7754; Trib. Cagliari, 26.2.1998 in Riv. giur. sarda, 1999, 145). L’impugnazione non è soggetta a termine, salvo che abbia ad oggetto l’esclusione di un associato, ai sensi dell’art. 24 cod. civ.. Il principio è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 10.4.2014 n. 8456).
L’attività esterna dell’associazione è svolta dagli amministratori. Non vi sono particolari limiti legislativi alla composizione dell’organo amministrativo, che dunque potrà essere monocratico (amministratore unico) o collegiale (consiglio di amministrazione), a seconda di quanto prevedano l’atto costitutivo e lo statuto, i quali stabiliranno anche le modalità di nomina dei componenti e disciplineranno i poteri di rappresentanza (così anche Santaroni, M., Associazione, cit., 494).
Il consiglio di amministrazione sarà presieduto da un presidente, secondo le norme di volta in volta stabilite dall’atto costitutivo e dallo statuto. Spettano in ogni caso all’organo amministrativo i compiti ed i poteri loro assegnati per legge quali: a) la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio (art. 20 c.c.), o quando ne faccia richiesta un decimo degli associati (art. 20 c.c.); b) ricevere le dichiarazioni di recesso degli associati (art. 24 c.c.); c) predisporre il bilancio e sottoporlo all’approvazione dell’assemblea (arg. ex art. 21 c.c.).
Si afferma in giurisprudenza che le deliberazioni dell’organo amministrativo in composizione collegiale siano impugnabili da parte dei componenti dell’organo amministrativo e dall’associato, qualora siano lesive di un suo diritto, in applicazione del principio di cui all’art. 2388 cod. civ. (Cass., 10.5.2011, n. 10188; Trib. Roma, 22.2.2010, in Foro it., 2010, I, 2879). Gli amministratori sono responsabili nei confronti dell’associazione secondo le regole del mandato, ma non rispondono gli amministratori che non abbiano partecipato all’atto che ha causato il danno, salvo che, essendo a cognizione dell’atto che si stava per compiere, non abbia fatto constare il proprio dissenso (art. 18 c.c.).
Le azioni di responsabilità contro gli amministratori sono deliberate dall’assemblea ed esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori (art. 22 c.c.). In caso di fallimento dell’associazione, si ritiene che il curatore sia legittimato all’esperimento all’azione sociale di responsabilità (Trib. Padova, 24.11.1993, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 866).
In base all’art. 19 c.c., le limitazioni del potere di rappresentanza che non risultino nel registro di cui all’art. 3, d.P.R. n. 361/2000 non possono essere opposte ai terzi che non ne erano a conoscenza.
La disposizione non è considerata applicabile alle associazioni non riconosciute. Si è ritenuto infatti che la norma, da considerarsi eccezionale, che non consente alle persone giuridiche private di opporre limitazioni del potere di rappresentanza dei propri organi che non risultino dal prescritto registro, salvo che si privo che il terzo ne fosse a conoscenza, non sia applicabile, in via di interpretazione estensiva o per analogia, alle associazioni non riconosciute, in quanto per esse non è stabilita alcuna forma di pubblicità (Cass., 7.6.2000, n. 7724).
Nella lacunosità della disciplina legislativa, si ammette generalmente che alle associazioni possa adattarsi la soluzione prevista dalla legge per le società, ove gli amministratori possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale (art. 2298 c.c.). In tal senso, l’amministratore di una associazione dovrà ritenersi legittimato a compiere tutti quegli atti che rientrino nell’oggetto sociale (Auricchio, A., Associazioni riconosciute, in Enc. dir., Milano, 1958, 911).
Al di fuori dell’ipotesi dell’art. 19 c.c., si ritiene applicabile la disciplina generale in materia di rappresentanza senza potere all’amministratore che agisce senza potere o eccedendone i limiti: la sua attività non vincolerà l’ente ed egli sarà responsabile nei confronti del terzo ai sensi dell’art. 1398 c.c. (ancora Auricchio, A., Associazioni riconosciute, cit., 912).
La legge riconosce agli associati il potere di recedere dall’associazione in qualsiasi momento, salvo che non sia stato assunto l’impegno di farne parte per un tempo determinato (art. 24 c.c.).
La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori ed è efficace allo scadere dell’anno in cui è esercitata, purché fatta con almeno tre mesi di preavviso. Il potere di recesso è considerato una delle modalità di espressione della libertà di associazione, dal che si è ritenuta nulla la clausola che differisca indebitamente lo scioglimento del rapporto a seguito del recesso (Trib. Udine, 18.10.1993, in Foro it., 1994, I, 2918).
L’esclusione dell’associato è di competenza dell’assemblea. Essa può essere deliberata solo per gravi motivi (art. 24 c.c.). L’associato escluso può impugnare la delibera di esclusione ricorrendo all’autorità giudiziaria nel termine di sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione. La norma è ritenuta comunemente applicabile anche alle associazioni non riconosciute (Cass., 2.3.1973, n. 579; Cass., 9.5.1991, n. 5192; Trib. Bologna, 6.5.1988, in Foro it., 1988, I, 3091; Trib. Roma, 10.11.2001, in Società, 2002, 716), anche se in merito alle modalità del recesso, la Cassazione ha ritenuto che esse possano essere derogate dallo statuto delle associazioni non riconosciute (Cass., 11.5.2001, n. 6554).
È ormai consolidato l’orientamento secondo cui le associazioni, nonostante siano prive di scopo di lucro, possono svolgere attività commerciale: non possono distribuire utili agli associati, ma possono reimpiegarli per gli scopi dell’associazione (Cass., 14.10.1958, n. 3521, in Foro it., 1958, I, 1617; Trib. Roma, 11.6.1954, in Dir. Fall., 1954, II, 455; in tema di fondazioni Trib. Milano, 16.7.1998, in Giur. it., 1999, 1678). Si è ritenuto che lo svolgimento di attività economiche non può essere considerato decisivo al fine di distinguere tra associazione e società, essendo rilevante lo scopo perseguito, non l’attività in quanto tale (Galgano, F., Le associazioni non riconosciute ed i comitati, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1974, 76). Altrettanto consolidato è il principio secondo cui lo svolgimento di attività commerciale implica l’assoggettabilità al fallimento (la soluzione è accolta sin da tempo risalente, v. ancora Trib. Roma, 11.6.1954, in Dir. Fall., 1954, II, 455; recentemente, Cass., 24.6.2011, n. 6835).
Le associazioni riconosciute, al pari delle fondazioni, si estinguono: a) per le cause previste dall’atto costitutivo; b) quando lo scopo è stato raggiunto o è diventato impossibile; c) quando tutti gli associati sono venuti a mancare (art. 27 c.c.); per delibera del voto favorevole di almeno tre quarti degli associati (art. 21, ult. co., c.c.).
La prefettura, su istanza di qualunque interessato o anche d’ufficio, accerta l’esistenza di una delle cause di estinzione della persona giuridica previste dall’art. 27 c.c. e dà comunicazione di estinzione agli amministratori ed al presidente del tribunale ai fini previsti dall’art. 11 delle disposizioni di attuazione al codice civile.
L’art. 11 delle disposizioni di attuazione al codice civile prevede che quando la persona giuridica è dichiarata estinta o l’associazione sciolta, il presidente del tribunale, anche d’ufficio, nomina uno o più commissari liquidatori, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto non prevedano una diversa forma di nomina ed a questa si proceda entro un mese dal procedimento. Non ha effetto la eventuale preventiva designazione dei liquidatori nell’atto costitutivo o nello statuto.
Si ritiene che tra le cause di estinzione sia anche da annoverare la sopravvenuta perdita dei beni, che sia definitiva e senza possibilità di recupero (Cass., 22.6.1956, n. 2223; App. Torino, 12.2.1958 e 10.10.1958, in Temi, 1958, 621).
Il provvedimento amministrativo che accerta l’estinzione della persona giuridica è considerato avere natura costitutiva, al pari del provvedimento di riconoscimento (Santaroni, M., Voce “Associazione”, cit., pag. 496).
Sia la dichiarazione governativa di estinzione che la deliberazione assembleare di scioglimento non sanciscono la fine della persona giuridica, ma solo l’apertura della fase di liquidazione, che ha quale scopo la definizione dei rapporti pendenti e la devoluzione dei beni dell’associazione.
Il procedimento di liquidazione è disciplinato dagli articoli da 11 a 21 delle disposizioni di attuazione al codice civile, che prevedono la predisposizione di un inventario dei beni, la distribuzione degli stessi, la riscossione dei crediti ed il pagamento dei debiti e la redazione di un bilancio finale di liquidazione. I liquidatori operano sotto la sorveglianza del tribunale (art. 12 disp. att. c.c.).
La cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche è ordinata dal presidente del tribunale dopo la chiusura della liquidazione (art. 20 disp. att. cod. c.c.). I beni residui sono devoluti in conformità all’atto costitutivo ed allo statuto (art. 31 c.c.) o, in mancanza, secondo quanto le disposizioni previste dalla delibera di scioglimento; quando anche queste mancano, provvede l’autorità governativa (art. 31 c.c.).
Le associazioni non riconosciute occupano nel codice civile uno spazio marginale rispetto a quelle riconosciute.
Tuttavia nell’esperienza pratica tale prospettiva è stata del tutto ribaltata e le associazioni non riconosciute hanno trovato amplissimo spazio nella realtà, arrivando a costituire organizzazioni sociali tra le più importanti e diffuse della realtà italiana del dopoguerra. Partiti politici e sindacati sono, nell’ordinamento italiano, associazioni non riconosciute.
Il cd. ‘terzo settore’, locuzione con la quale nell’uso comune ci si riferisce al fenomeno del volontariato sociale e delle ONG (Organizzazioni Non Governative), comprende in grandissima parte associazioni non riconosciute.
L’associazione non riconosciuta si caratterizza come un gruppo di persone impegnate a svolgere in forma stabile una attività di comune interesse il cui ordinamento interno è regolato dagli accordi degli associati (art. 36 c.c.), dotato di un fondo comune costituito dai contributi degli associati e dai beni acquistati con tali contributi (art. 37 c.c.) non divisibile e sul quale – oltre che sul patrimonio di coloro che hanno agito per conto dell’associazione – possono soddisfarsi i creditori per le obbligazioni assunte da tali soggetti (art. 38 c.c.).
L’associazione non riconosciuta si costituisce di regola senza l’osservanza di particolari formalità: è sufficiente che più soggetti manifestino il proposito di svolgere in forma stabile un’attività di comune interesse, dotandosi di un ordinamento interno, di un’organizzazione e di mezzi patrimoniali (Basile, M., Gli enti di fatto, in Tratt. Rescigno, 2, Torino, 1982, 289; Santaroni, M., Associazione, cit., 496).
Sarà necessaria la forma scritta (e le ulteriori formalità per la trascrizione) qualora, nel costituire l’associazione, si apportino immobili in proprietà o in locazione o godimento ultranovennale (art. 1350, n. 9, c.c.).
Le associazioni non riconosciute stanno in giudizio nella persona alla quale, per accordo degli associati, è conferita la presidenza o la direzione (art. 36, co. 2, c.c.).
Sulla base della nuova formulazione dell’art. 2659 c.c., modificata a seguito della l. 27.2.1985, n. 52, le associazioni non riconosciute possono ottenere la trascrizione in proprio favore degli acquisti immobiliari (la questione è stata a lungo dibattuta in giurisprudenza: v. tra l’altro il caso di Cass., 12.6.1986, n. 3898, in Foro it., 1986, I, 2123; Trib. Napoli, 11.4.1986 in Dir. Giur., 1986, 889).
Delle obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione rispondono il fondo comune nonché illimitatamente, personalmente e solidalmente, le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 38 c.c.).
Si è discusso se tale responsabilità incomba su tutti coloro che hanno deciso l’atto che ha generato il sorgere dell’obbligazione (Galgano, F., Le associazioni, cit., 223, ss.), ma si è preferito ritenere che la responsabilità personale e solidale sia riferibile alle sole persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (Cass., 16.5.2000, n. 280; 11.5.2004, n. 8919).
La responsabilità solidale di coloro che hanno agito in nome dell’associazione non è subordinata al beneficio della preventiva escussione del fondo comune (Cass., 21.11.1984, n. 5954).
Dell’esercizio di attività economica e dell’assoggettabilità a fallimento si è già fatto cenno a proposito delle associazioni riconosciute. La natura di imprenditore commerciale è stata riconosciuta sussistente in capo ad associazioni non riconosciute operanti nei più svariati settori (ad esempio in ambito sportivo: Trib. Savona, 18.1.1982 in Foro it., 1982, I, 832; Trib. Monza, 11.6.2001, in Giur. merito, 2002, 10).
La grande diffusione del fenomeno associativo e la duttilità della normativa, in particolare quella relativa alle associazioni non riconosciute, ha consentito, nel tempo, lo sviluppo di forme associative nuove ed atipiche, in cui la struttura organizzativa dell’associazione non riconosciuta è stata adattata a realtà aventi caratteristiche in comune con le società, le comunioni, le imprese.
Tra esse si sono individuate talune figure di particolare rilievo per la diffusione e la rilevanza economica acquisita:
i) I fondi previdenziali, generalmente qualificati come associazioni non riconosciute nonostante lo scopo di carattere mutualistico (Cass., 12.10.1962, n. 2933 in Giust. civ., 19623, I, 563; Cass., 22.4.1982, n. 2429);
ii) I consorzi di urbanizzazione, consorzi tra proprietari per l’autogoverno delle urbanizzazioni nei comprensori residenziali o turistici (Galgano, F., Autodisciplina urbanistica, in Contr. e impr., 1985, 573 ss.), qualificati come associazioni non riconosciute dalla giurisprudenza dalla fine degli anni cinquanta (Trib. Novara, 19.4.1958, in Foro it., 1958, I, 1549; Cass., 19.6.1962, n. 1556, in Foro it., 1962, I, 2, 1679) con un orientamento confermato ancora in epoca recente (Cass., 14.5.2012, n. 7427, secondo cui l’acquirente di un immobile sito in un comprensorio in cui è in essere un consorzio di urbanizzazione subentra nel consorzio stesso e nei debiti del consorziato dante causa, quale obbligazione ‘propter rem’, senza bisogno del recesso e dell’esclusione dell’associato prescritta dall’art. 24 c.c.);
iii) Le associazioni tra enti pubblici, considerate espressione della capacità di diritto privato degli enti pubblici (parere della Corte dei Conti, 22.7.1986, in Giur. Comm., 1988, II, 28; la questione è stata ancora recentemente ribadita dalla Cass., Sez. trib., 7.5.2014, n. 9791);
iv) Le associazioni professionali, in merito alle quali è prevalente l’orientamento che le ritiene assimilabili, quanto alla disciplina ed alla regolamentazione dei rapporti interni, alle associazioni non riconosciute (recentemente, Cass., 15.4.2013, n. 9110).
Dagli anni novanta del Novecento il Legislatore è intervenuto a disciplinare taluni aspetti del fenomeno associazionistico, principalmente con normative di carattere fiscale e tese (perlomeno sulla carta) ad agevolarne l’attività e lo sviluppo.
a) Le organizzazioni di volontariato. Il primo importante intervento ha riguardato la l. 11.8.1991, n. 266 (l. quadro sul volontariato), che ha stabilito, tra l’altro, che le organizzazioni di volontariato possono costituirsi nella forma che ritengono più adeguata salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico (art. 3) ed istituito un registro di tali organizzazioni (art. 6). La legge quadro sul volontariato assicura alle organizzazioni di volontariato taluni benefici fiscali, quali l’esenzione dall’imposta di bollo e di registro per gli atti costitutivi, l’esenzione da ogni imposta per le successioni e le donazioni ricevute da tali organizzazioni e l’esonero dall’applicazione dell’IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (art. 8).
b) Le Onlus. La l. 4.12.1997, n. 460 reca disposizioni riguardanti le ‘organizzazioni non lucrative di finalità sociale’ (Onlus), istituendo un’anagrafe presso il Ministero delle Finanze (art. 11) e prevedendo varie agevolazioni di carattere fiscale, quali l’esclusione dei proventi derivati dallo svolgimento delle attività istituzionali dalla formazione del reddito imponibile (art. 12), e la possibilità per i benefattori di detrarre dai redditi (con limiti) le erogazioni in favore di tali organizzazioni (art. 13), oltre a numerose altre facilitazioni in materia di IVA, di ritenute alla fonte, di imposte sulle successioni e donazioni, di imposte sugli immobili e tributi locali.
c) Le associazioni di promozione sociale (APS). La l. 7.12.2000 n. 383 ha introdotto la figura delle associazioni di promozione sociale (APS), disciplinandone articolatamente il funzionamento interno e la responsabilità nei confronti dei terzi ed istituendone un registro nazionale. In favore di tali associazioni la legge prevede numerose agevolazioni fiscali e provvidenze affinché esse abbiano accesso a contributi pubblici, anche comunitari. Nei confronti dei terzi risponde il fondo sociale e solo sussidiariamente coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 6), in deroga al principio di cui all’art. 38 c.c.
Artt. 14-38 c.c.; l. 11.8.1991, n. 266; l. 4.12.1997, n. 460; l. 7.12.2000, n. 383; d.P.R. 10.2.2000, n. 361.
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