Assoluta la nullità da assenza del difensore non avvisato
Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, con sentenza 26.3.2015, n. 24630, hanno stabilito che l’omesso avviso dell’udienza camerale partecipata al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, co. 1, lett. c) e 179, co. 1, c.p.p. Il Supremo Collegio ha rilevato come il diritto di difesa si atteggi in primo luogo quale libertà di scelta del difensore. Una conclusione cui perviene attraverso l’analisi sistematica del complesso delle disposizioni nazionali e sovranazionali che regolano la difesa tecnica.
3. I profili problematici 3.1 Nomofilachia e prospettive de iure condendo
Investito del reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Cuneo di rigetto della richiesta di permesso premio presentata da un detenuto, il Tribunale di sorveglianza di Torino ometteva di notificare l’avviso di fissazione dell’udienza al difensore di fiducia nominato in calce al reclamo, designando un difensore d’ufficio. All’udienza camerale, in assenza dell’istante e del difensore d’ufficio designato, il Tribunale nominava un difensore immediatamente reperibile, il quale non formulava alcuna eccezione con riferimento al mancato avviso dell’udienza all’avvocato di fiducia. All’esito della trattazione, il Tribunale confermava la reclamata ordinanza di rigetto del permesso premio. L’istante proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale, deducendo la nullità del provvedimento impugnato.
La prima sezione della Corte di cassazione, premessa la fondatezza in punto di fatto del ricorso presentato nell’interesse del reclamante, ha rilevato preliminarmente che l’omissione dell’avviso al difensore di fiducia dell’udienza camerale a partecipazione necessaria, configuri una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, co. 1, lett. c), c.p.p. sul presupposto – non controverso – che le nullità di ordine generale trovino applicazione anche nei procedimenti camerali partecipati di esecuzione e sorveglianza1. La questione devoluta alla Corte attiene al regime da attribuire in concreto alla predetta nullità. In caso di nullità assoluta, il ricorso può trovare accoglimento sul presupposto della rilevabilità del vizio in ogni stato e grado del procedimento. Viceversa, il regime intermedio osterebbe all’accoglimento del ricorso per effetto della sanatoria prevista dall’’art. 182, co. 2, c.p.p., posto che la relativa eccezione non era stata formulata in udienza.
Su tale quaestio iuris la sezione remittente registra un contrasto giurisprudenziale caratterizzato da due distinti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo2, che milita per il carattere assoluto della nullità in questione, sarebbe irragionevolmente riduttiva un’interpretazione del disposto di cui all’art. 179, co. 1, c.p.p. che releghi ai soli casi di «assenza di qualunque difensore» l’applicazione della norma de qua, dovendosi al contrario intendere la locuzione «assenza del suo difensore» comprensiva dell’ipotesi in cui il difensore di fiducia, non presente perché non avvisato, venga sostituito da un difensore d’ufficio. Tale indirizzo fa leva su un’interpretazione sistematica delle norme che disciplinano la nomina del difensore d’ufficio, sulla valorizzazione dell’aggettivo possessivo suo di cui alla locuzione utilizzata dall’art. 179, co. 1, c.p.p. ed in generale su una concezione del diritto all’assistenza tecnica inteso nella preminente dimensione di diritto di scelta del difensore.
L’indirizzo contrario3, alla stregua del quale la nullità in parola si configurerebbe a regime intermedio, prende le mosse da una risalente pronuncia delle Sezioni Unite4 in materia di interrogatorio di garanzia, nella quale il Supremo Collegio ha espresso – con un obiter dictum – il principio secondo cui il mancato avviso dell’interrogatorio di garanzia al difensore di fiducia tempestivamente nominato produce una nullità di ordine generale a regime intermedio. Le pronunce successive hanno poi esteso il principio tanto in materia di procedimenti camerali a partecipazione necessaria quanto in materia di giudizio. Tale orientamento si fonda essenzialmente su una diversa interpretazione della locuzione «assenza del suo difensore» di cui all’art. 179, co. 1, c.p.p., la quale – in mancanza di esplicite differenziazioni – deve intendersi riferita indistintamente al difensore di fiducia ed a quello d’ufficio. A riprova dell’assunto militerebbe l’equipollenza, nella prospettiva del codice, delle due figure, di talché l’assenza rilevante ai fini della comminatoria di nullità assoluta sarebbe solo «l’assenza di qualunque difensore».
La prima sezione mostra di aderire all’orientamento da ultimo citato, aggiungendo alcune considerazioni che ne comproverebbero la validità.
Un primo argomento attiene alla presunta mancanza di specifica previsione sanzionatrice in ordine all’inosservanza delle disposizioni concernenti l’avviso al difensore, sicché il principio di tassatività delle nullità sancito dall’art. 177 c.p.p. osterebbe all’ulteriore qualificazione della nullità in questione come assoluta.
L’assunto secondo cui il legislatore dell’art. 179 c.p.p., nel connotare il sostantivo «difensore» con l’aggettivo possessivo «suo», abbia voluto riferirsi al difensore di fiducia, è ritenuto privo di fondamento grammaticale e logico sistematico. Dirimente in proposito sarebbe l’argomento per assurdo: interpretando la locuzione “assenza del suo difensore” nel senso di “assenza del suo difensore di fiducia” si giungerebbe alla inaccettabile conclusione di escludere il carattere assoluto della nullità nei casi in cui, in difetto di nomina fiduciaria, l’udienza venga celebrata senza avviso e senza intervento del difensore d’ufficio, con il risultato – assurdo – della previsione di un regime meno rigoroso per la nullità derivante dall’assenza totale di difesa tecnica.
Secondo la sezione remittente, l’esigenza di non privare l’imputato del diritto alla scelta fiduciaria e di garantire adeguata preparazione per la difesa non resterebbe frustrata dal carattere intermedio della nullità, che resta deducibile dall’interessato o dal difensore d’ufficio, pur se con decadenze più stringenti; l’adeguata preparazione della difesa sarebbe in ogni caso garantita dai doveri professionali imposti al difensore d’ufficio, nonché dal diritto di quest’ultimo a disporre di un termine congruo per prepararsi a norma dell’art. 108, co. 1, c.p.p.
L’ordinanza di rimessione in ultima analisi motiva l’auspicata adesione al secondo dei citati orientamenti con considerazioni di carattere sistematico. Il sistema delle nullità predisposto dal legislatore qualifica come assolute solo le invalidità connesse a patologie che incidono sull’essenza stessa del processo. In tale contesto non appare ragionevole, secondo i Giudici remittenti, l’assimilazione di situazioni affatto diverse, quali in concreto sarebbero lo svolgimento del procedimento in mancanza di qualsiasi difesa tecnica da un lato e quello in assenza del difensore di fiducia erroneamente pretermesso dall’altro; patologia quest’ultima che, non privando totalmente l’interessato dell’obbligatoria assistenza tecnica, non attingerebbe al cuore del processo, rendendo ingiustificata la previsione della sanzione massima prevista. È da rifuggire, conclude il Collegio, l’opzione ermeneutica della proliferazione delle nullità assolute oltre le tassative previsioni di legge, opzione che comprometterebbe gli equilibri del processo degradandolo, in ultima analisi, ad «un caotico susseguirsi di atti rimesso alla opportunistica scelta delle parti sull’an e sul quando far valere la invalidità in funzione del pronostico della finale decisione».
Le Sezioni Unite con la pronuncia in esame hanno stabilito che «l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato integra una nullità assoluta ai sensi degli articoli 178, co. 1, lett. c), e 179, co. 1, c.p.p.».
Lo sviluppo argomentativo che ha condotto il Supremo Collegio alla citata conclusione appare radicato su di un duplice ordine di premesse.
In primo luogo i procedimenti di concessione e diniego dei permessi premio e la procedura di reclamo dinanzi al Tribunale di sorveglianza rivestono carattere giurisdizionale per effetto della previsione di cui all’art. 2, punto 96, l. delega 16.2.1987, n. 81; ne conseguono, quali diretti corollari, l’esigenza del rispetto dei requisiti del contraddittorio – inteso nelle sue diverse declinazioni – e dell’impugnabilità dei provvedimenti, nonché la necessaria adozione di un modulo operativo – quello delineato dal combinato disposto degli articoli 666 e 678 c.p.p. – aperto alle suddette garanzie di giurisdizionalità, rafforzate dalla previsione della partecipazione obbligatoria delle parti tecniche di cui all’art. 666, co. 4, c.p.p.
La seconda premessa risiede in un’accurata analisi del complesso delle norme che nel codice di rito delineano la figura del difensore. Il denominatore comune delle relative disposizioni è una concezione della difesa tecnica che si estrinseca, in via primaria, quale libertà di scelta di un difensore di fiducia. In proposito assume particolare significato il carattere residuale e sussidiario delle norme che disciplinano la designazione officiosa, la cui operatività è evidentemente subordinata al mancato esercizio della libertà di scelta di un difensore di fiducia (art. 97, co. 1, c.p.p.), ovvero alla necessità di ovviare alla definitiva cessazione dell’assistenza fiduciaria (art. 96, co. 1, c.p.p.). La designazione di un difensore immediatamente reperibile, inoltre, è circoscritta ad ipotesi tassative e non suscettibili di interpretazioni estensive, che a loro volta presuppongono un avviso regolarmente dato (art. 97, co. 4, c.p.p.). Il Supremo Collegio rileva come questo sistema sia posto a presidio del principio di immutabilità della difesa nella sua funzione di garanzia di effettività. Di talché una designazione disposta in assenza delle condizioni di legge è illegittima.
Alla stregua di tali premesse, rilevata nel caso di specie l’illegittimità di entrambe le designazioni del difensore d’ufficio disposte dal Tribunale di sorveglianza di Torino, confliggenti con il dettato degli articoli 96, co. 1, c.p.p. e 97, co. 4, c.p.p., il Supremo Collegio risolve la quaestio iuris devolutagli sulla base di due considerazioni dirimenti.
La prima di esse muove dalla corretta esegesi letterale e sistematica del concetto di assenza delineato dall’art. 179, co. 1, c.p.p. Con una tesi innovativa rispetto ai contrastanti orientamenti, le Sezioni Unite evidenziano come il concetto di assenza si riferisca all’ipotesi «dell’avvocato che dovrebbe essere presente e non lo è e, quindi, del difensore già nominato la cui mancata partecipazione è ascrivibile all’omissione dell’avviso a lui dovuto». In questo senso la locuzione «suo difensore» di cui alla medesima norma, non serve a connotare la natura fiduciaria o meno del ruolo, quanto piuttosto ed evocare la preesistenza di un rapporto finalizzato ad assicurare la difesa tecnica. È nella relazione tra assenza del difensore ed omissione dell’avviso, dovuto in ragione di un rapporto preesistente, che va quindi inquadrata la corretta esegesi dell’art. 179, co. 1, c.p.p.; è chiaro che, da questa angolazione, la circostanza che il rapporto preesistente tragga origine da una scelta fiduciaria o da una designazione officiosa non assume rilievo. Ne discende che l’assenza rilevante ai fini della comminatoria di nullità assoluta ex art. 179, co. 1, c.p.p. non è soltanto l’assoluta mancanza di difesa tecnica, ma anche l’assenza del difensore – di fiducia o d’ufficio – che avrebbe dovuto essere avvisato, ed alla cui mancata partecipazione non può supplire un’irrituale ed illegittima nomina officiosa. Si tratta di una lettura che ha il pregio di focalizzare l’esegesi sul profilo sistematico della disposizione di cui all’art. 179, co. 1, c.p.p., senza tuttavia tradire il senso letterale del testo normativo. D’altro canto essa consente di ritenere radicalmente superata l’obiezione fondata sull’argumentum ad absurdum espresso dalla sezione remittente.
La seconda dirimente considerazione attiene alla presunta totale equipollenza tra le figure del difensore d’ufficio e quello di fiducia: un assunto, secondo il Supremo Collegio, privo di fondamento. La tesi dell’equipollenza appare infatti confliggere con le norme e con gli arresti della giurisprudenza di legittimità e costituzionale in materia di notificazioni (a norma dell’art. 157, co. 8-bis, c.p.p. solo la notificazione al difensore di fiducia è equiparabile a quella eseguita personalmente all’imputato ai fini della conoscenza effettiva dell’atto5) e di restituzione nel termine per proporre impugnazione, oltre che essere smentita dal generale assetto normativo della difesa d’ufficio, improntato – come già chiarito in premessa – sul carattere residuale e sussidiario rispetto all’opzione fiduciaria. In ambito sovranazionale, l’art. 6, co. 3, lett. c), CEDU delinea il diritto di difesa come diritto dell’imputato ad avere un difensore di sua scelta: in questo contesto vanno lette le decisioni della C. eur. dir. uomo6 che hanno sanzionato l’assenza nell’ordinamento italiano di una previsione che induca l’autorità giudiziaria ad intervenire a fronte di carenze manifestate dal difensore d’ufficio nello svolgimento dell’incarico. È dunque nella libertà di scelta del difensore che si esplica la garanzia massima di effettività della difesa tecnica, a nulla rilevando le ulteriori considerazioni in ordine ai doveri del difensore d’ufficio ed al diritto di quest’ultimo ad un termine congruo per preparare la difesa. A ben vedere proprio i presidi normativi all’effettività della difesa officiosa citati dalla sezione remittente, lungi dall’attestare una situazione di equipollenza, presuppongono la constatazione di una minore garanzia.
La riaffermazione del valore assoluto ed imprescindibile del diritto di difesa, inteso non come mero adempimento formale, ma come strumento effettivo di realizzazione dei principi del giusto processo, appare tanto più rilevante in un momento storico in cui probabilmente si registra il più basso grado di apprezzamento del ruolo del difensore nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione. Non pare potersi dubitare che l’eventuale adesione all’orientamento fautore della nullità a regime intermedio, poi disatteso dalle Sezioni Unite, avrebbe comportato, come effetto collaterale, un ingiustificato svilimento della funzione difensiva, non tanto per la soluzione proposta quanto a causa delle ragioni addotte per sostenerla. Sotto questo profilo il pericolo può dirsi scongiurato, attesa la forza delle argomentazioni utilizzate dalle Sezioni Unite per giungere ad una conclusione che appare dimostrata sul piano logico prima che condivisa sul piano concettuale.
Alla luce della decisione in discorso, nell’ottica della necessaria coerenza intrinseca del sistema, deve rilevarsi il superamento, in fattispecie analoghe a quella qui esaminata, della tesi della nullità a regime intermedio. In particolare ci si riferisce all’ipotesi della nullità conseguente al mancato avviso dell’interrogatorio di garanzia al difensore di fiducia tempestivamente nominato, in passato qualificata a regime intermedio dalla già citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 2/1997, Procopio. Aldilà della diversità di ambito applicativo, infatti, il principio – affermato come obiter dictum ed in maniera meramente assertiva – rileva il Supremo Collegio nella decisione in commento – non appare condivisibile alla luce delle considerazioni sin qui svolte. È pertanto auspicabile in questo ambito un adeguamento della giurisprudenza di merito e di legittimità al dictum più recente delle Sezioni Unite.
Si impone, in ultima analisi, una sintetica osservazione sul tema relativo al pericolo, ritenuto sempre più attuale da una parte della giurisprudenza7, che la dilatazione delle nullità assolute conduca ad un sempre maggior rischio di paralisi e di inefficienza del processo, risolvendosi la nullità stessa in uno strumento rimesso all’opportunistica valutazione delle parti; un tema reso particolarmente attuale dalle ormai endemiche difficoltà organizzative della giustizia. Anche in questo caso non può che condividersi la prospettiva suggerita dalle Sezioni Unite: il tema dell’efficienza e della ragionevole durata del processo non può costituire un canone ermeneutico di carattere assoluto, ma deve essere contemperato con altri diritti di rilievo costituzionale e sovranazionale. Ritiene chi scrive che l’analisi di tale problematica trovi naturale collocazione in una prospettiva de iure condendo di revisione dell’attuale sistema delle nullità.
Note
1 Cfr. da ultimo Cass. pen., 29.9.2015, n. 45575, in CED rv. n. 265235, Hoxha.
2 Ex plurimis Cass. pen., 28.3.2014, n. 20449, in CED rv. n. 259614, Zambon; 6.12.2013, n.7968, in CED rv. n. 258615, Di Mattia; 14.1.2009, n. 6240, in CED rv. n. 242530, Plaka.
3 Cass. pen., 14.7.2009, n. 34167, in CED rv. n. 245242, Pellegrino; 23.11.2004, n. 36, in CED rv. n. 230225, Medile.
4 Cass. pen., S.U., 26.3.1997, n. 2, in CED rv. n. 208269, Procopio.
5 Sul punto v. Cass. pen., 6.4.2006, n. 16002, in CED rv. n. 233615, Latovic; 2.10.2007, n. 40250, in CED rv. n. 238048, Esposito.
6 C. eur. dir. uomo, 13.5.1980, Artico c. Italia; 9.4.1984, Goddi c. Italia.
7 È in chiave di rigorosa delimitazione del perimetro applicativo delle nullità assolute che può essere letto quell’indirizzo interpretativo volto a negare il carattere assoluto della nullità di un atto ogni qualvolta esso, pur difforme dal modello legale, sia idoneo al raggiungimento dello scopo cui è preposto. In questo senso cfr. Cass. pen., S.U., 27.10.2004, n.119, in CED rv. n. 229539, Palumbo.