assolutismo
Modello politico di regime monarchico, nel quale il sovrano esercita un potere non vincolato alle leggi positive (absolutus; legibus solutus) e libero sia rispetto a istanze rappresentative (parlamenti) e giudiziarie interne al regno sia rispetto a condizionamenti dei grandi poteri sovranazionali laici ed ecclesiastici (papato e impero). Il termine, nato con connotazioni negative, tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento venne utilizzato per connotare le monarchie europee dell’Età moderna (in partic. le monarchie nazionali, come Francia, Spagna, Inghilterra). Le origini teoriche dell’a. si collocano nella dottrina giuridica del tardo Medioevo, che affermò l’autonomia dello Stato di fronte ai poteri universalistici e il diritto del sovrano, rappresentante di Dio in terra, a esercitare con pienezza il governo sull’insieme dei sudditi. Tuttavia, furono soprattutto i teorici dell’Età moderna, come J. Bodin, Giacomo I Stuart e T. Hobbes, a segnare il superamento della tradizionale concezione del potere, definendo il concetto di sovranità, intesa come pienezza e unicità del potere statuale, e assegnandone l’esercizio al solo sovrano. Anche per i teorici dell’a., peraltro, il monarca rimaneva vincolato ai dettami del diritto divino e naturale, distinguendosi così dal paradigma politico del dispotismo e della tirannide. La traduzione della teoria dell’a. in concreta pratica di governo caratterizzò le monarchie europee tra il 16° e il 18° sec. e si realizzò attraverso una serie di processi, tra loro collegati: la creazione di una burocrazia che faceva capo al sovrano; il disciplinamento dei comportamenti della nobiltà, anche attraverso la creazione di una corte che si poneva come centro politico e culturale del Paese; l’affermazione del sovrano a spese dei residui poteri feudali e delle istituzioni ecclesiastiche; la mobilitazione degli apparati statali nelle grandi guerre dell’epoca. Pur nella concomitanza dei processi, è possibile individuare significative differenze tra le varie realtà. In Spagna l’a., affermatosi già con Carlo V e Filippo II, convisse a lungo con i particolarismi regionali, che durante i decenni centrali del Seicento si espressero in una serie di rivolte. In Inghilterra, la costruzione di una monarchia assolutista, avviata dai sovrani Tudor Enrico VII ed Enrico VIII nel Cinquecento, sfociò, nel corso del Seicento, in un duro contrasto tra la monarchia e il Parlamento. A seguito delle rivoluzioni del 1642-48 e del 1688, il ruolo del Parlamento si affermò e l’azione dei sovrani fu sottoposta a una serie di rigidi vincoli, che avviarono la costruzione di una monarchia costituzionale. In Francia, la fine delle guerre di religione (1562-98) portò, nel corso del Seicento, a una forte affermazione dell’a. monarchico, grazie all’azione del cardinale Richelieu e del cardinale Mazzarino, che ridussero all’obbedienza l’alta nobiltà, ribellatasi durante la Fronda (1648-53). Raccogliendo la loro eredità, Luigi XIV, durante il suo regno personale (1661-1715), segnò l’apogeo dell’ideologia e della pratica assolutistica, costituendo un modello da imitare anche per numerosi Stati regionali in Germania e in Italia. Nel 18° sec., la forma di governo assolutista evolvette in direzione del cosiddetto «a. illuminato», caratterizzato cioè da un’energica azione riformatrice e modernizzante, che si apriva a un nuovo rapporto con le istanze politiche espresse dal basso, ma l’affermazione di forme di monarchia limitata si realizzò solo nel corso dell’Ottocento, dopo l’esperienza della Rivoluzione francese.