assonnare
. Intransitivo, con valore neutro di " addormentarsi ", " essere piegato dal sonno ", in Pd VII 15, dove D. descrive in che misura il sentimento di rispetto per Beatrice lo pervadeva, anzi lo richinava come l'uom ch'assonna (Vellutello : " Quella reverenzia, che per tal nome s'insignorisce di lui, lo richinava e facevalo timido al domandare, come l'uom ch'assonna, come fa l'uomo che vien vinto dal sonno, il qual usa di chinar e non d'alzar la testa "). Con allusione agli occhi di Argo, quando D. rinuncia a esplicare i modi misteriosi del suo assopirsi nel Paradiso terrestre, richiamandosi alla propria impotenza di ritrar come assonnaro / li occhi spietati udendo di Siringa, li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; / come pintor che con essempro pinga, / disegnerei com'io m'addormentai (Pg XXXII 64); nello stesso luogo (v. 69) ricorre l'infinito sostantivato, a ribadire il concetto di rinuncia a esprimere un fatto non descrivibile " sulla base di un'esperienza reale, proprio perché nel momento culminante sfugge alla coscienza di chi lo prova e in seguito non è in grado di ricordarsene " (Sapegno), anzi lo affida a mani più esperte col consueto e topico atteggiamento di modestia consapevole : ma qual vuoi sia che l'assonnar ben finga. Però trascorro a quando mi svegliai, / e dico...
Transitivo (cfr. Parodi, Lingua 265), nel significato di " intorpidire ", " riempire di sonno ", " provocare, indurre letargo in qualcuno ", in un luogo almeno a prima vista ambiguo, pertinente al discorso di Bernardo, o meglio alla sua rassegna di beati prima dell'estrema invocazione alla Vergine: Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna, / qui farem punto, come buon sartore / che com'elli ha del panno fa la gonna (Pd XXXII 139).
Il Barbi (Problemi I 294-295) ha riassunto bene le varie posizioni nell'alternativa dilemmatica per D. fra " un richiamo alla sua condizione di essere vivente, la quale non permette una troppo lunga vigilia " (cioè tensione dei sensi al di là dei loro ineliminabili confini), indicazione generica - e analoga ad altre ricorrenti nella terza cantica - a denotare il salto qualitativo fra i limiti inerenti alla condizione umana e l'atemporalità della condizione paradisiaca o l'immutabilità della vita eterna; e di contro l'accenno al rapimento nel profondo abisso della Verità per il poeta che, come s. Paolo, " quasi dormiens vigilaret ": dunque connotazione precisa di un tempo " assegnato alla contemplazione dei più alti misteri divini, per i quali occorre la totale astrazione dei sensi, e l'uomo rimane quindi come dormente ". Alla prima esplicazione, nella quale converge quella istituita con qualche dubbio dal Torraca (" il tempo il quale solitamente nel mondo terreno ti porta il sonno; ma nell'Empireo siamo fuori del tempo "), pare senz'altro da anteporsi la seconda, che ingloba fra le altre la soluzione del Rossi (" il tempo della mirabile visione che ti è stato assegnato "); anche per l'avallo delle parole agostiniane sul ratto di Paolo e insieme per la configurazione dantesca dell'autore dell'Apocalisse, visto venir, dormendo, con la faccia arguta (Pg XXIX 144). È da segnalare, infine, la suggestiva nota di G. Nencioni (" Studi d. " XL [1963] 50-56) che richiama a vari luoghi delle lettere di s. Paolo.