assumere [assumma, in rima, cong. pres. III singol., con forma non insueta di raddoppiamento arcaico]
Verbo transitivo, che vale " accettare ", " addossarsi ", " impegnarsi a eseguire ", " scegliere " (un incarico, un compito, o una qualsiasi funzione); appare del tutto escluso dalla prima cantica, sporadico nella seconda e più frequente nell'ultima. Così in Pd XXXII 2 quel contemplante [cioè Bernardo] / libero officio di dottore assunse; al passivo (" preso su di sé ", " fatto proprio "), in Pd VII 41 La pena dunque che la croce porse / s'a la natura assunta si misura, / nulla già mai sì giustamente morse: vi si allude alla natura umana presa volontariamente " dal Verbo nella persona di Gesù " (Sapegno) e contrapposta - sia pure contratta, cioè " intimamente congiunta, unita " - alla congenita natura divina (vv. 43-45). In un altro passo il participio passato sfuma verso il valore predicativo, là dove Stazio illumina i presupposti dell'errore di Averroè, che per sua dottrina fé disgiunto / da l'anima il possibile intelletto, / perché da lui non vide organo assunto (Pg XXV 66): la resa letterale " non vide esser preso alcun organo dall'intelletto possibile " è forse da convertire in un'espressione più adeguata, quale " si rese conto che all'intelletto non era destinato alcun organo ", oppure " considerando che all'atto dell'intendere non corrisponde nessun organo corporeo specifico " (Sapegno).
Al tempo composto vale invece " ricevere ", in Pd IX 120, quando Folchetto dice di Raab che Da questo cielo... / Aria ch'altr'alma / del trïunfo di Cristo fu assunta: un passo che consentirebbe anche l'esplicazione " fu elevata al grado di beatitudine del terzo cielo ", in quanto trovi un efficace avallo nel luogo parallelo di XXI 102, ove l'ammonimento di s. Pier Damiano, onde riguarda come può là giùe / quel che non gote perché 'l ciel l'assumma, utilizza il verbo nel significato di " accogliere, innalzare nella gloria divina ".