Assunta Spina
(Italia 1915, colorato, 73m a 16 fps); regia: Gustavo Serena, Francesca Bertini; produzione: Caesar Film; soggetto: dall'omonimo testo teatrale di Salvatore Di Giacomo; sceneggiatura: Gustavo Serena, Francesca Bertini; fotografia: Alberto Carta; scenografia: Alfredo Manzi.
Assunta Spina gestisce una stireria ed è fidanzata con il macellaio Michele Boccadifuoco, ma è costretta a difendersi dall'assidua corte di Raffaele, il quale, per vendicarsi dei rifiuti, manda a Michele una lettera anonima, in cui insinua dubbi sulla fedeltà di Assunta; ma la donna convince Michele che si tratta di accuse infondate. Al pranzo per l'onomastico di Assunta al ristorante Scoglio di Frisio si presenta anche Raffaele, provocando la gelosia di Michele che si apparta. Assunta, dopo avere invano chiesto a Michele di ballare, per ripicca invita Raffaele. La gelosia di Michele si trasforma in ira: attende la donna per strada e la sfregia in volto. Arrestato e condotto in tribunale, Michele viene scagionato da Assunta che dichiara di averlo gravemente provocato. Ma la corte condanna Michele, che verrà recluso per due anni nel carcere di Avellino. Pur di farlo restare a Napoli e poterlo vedere più spesso, Assunta accetta la proposta del vicecancelliere Federigo Funelli, ma sarà costretta a divenirne l'amante. Il tempo passa: Federigo ha preso il posto di Michele nella vita di Assunta, ma l'uomo comincia a stancarsi: accetta malvolentieri di andare da Assunta al pranzo di Natale, che è proprio il giorno in cui Michele viene scarcerato. All'incontro con Michele, Assunta cerca di nascondere tutto, ma poi è costretta a dare spiegazioni. Fuori di sé, Michele esce in strada, incontra Federigo che si sta recando da Assunta e lo uccide. Davanti ai gendarmi, Assunta si accusa del delitto che non ha commesso.
Il dramma era stato scritto da Salvatore Di Giacomo per la grande attrice partenopea Adelina Magnetti, che l'aveva portato sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli nel 1909, avendo come partner Giulio Donadio. Il successo era stato immenso e il lavoro era stato ripreso negli anni successivi anche da altre compagnie. Tra le lavoranti della stireria di Assunta figurava una giovanissima Elena Seracini Vitiello che di lì a poco, col nome di Francesca Bertini suggeritole proprio da Di Giacomo, avrebbe cominciato la sua carriera cinematografica.
Assunta Spina, recentemente restaurato dopo il ritrovamento in Brasile di una splendida copia e restituito alle coloriture delle pellicole d'epoca, è a giudizio unanime degli storici del cinema una delle opere più significative del cinema muto, e non solo italiano. "C'è nel film ‒ così Francesco Savio ‒ un gusto affettuoso dell'ambiente e dei sentimenti, una capacità rabdomantica di restituire il 'colore' per cenni indiretti, sommessi, il sole grigio dei vicoli, il riflesso dei volti e dei gesti sul chiaroscuro dei poveri interni. A tratti il film si smaglia, indugia in cronachismi descrittivi, ma bastano il lampeggiare di un controluce, lo scatto di una figura per mettere in moto, dal di dentro, la dinamica e l'asprezza del racconto. Il montaggio non c'è, o non si avverte". Dello stesso avviso è anche uno studioso sensibile come Roberto Paolella: "Il nessun legame delle scene in funzione del montaggio creativo vale a darci un'altra idea della maniera del cinema europeo avanti la volgarizzazione della tecnica di David W. Griffith".
Il film è dominato dalla prepotente personalità di Francesca Bertini. Secondo la testimonianza (inedita) resa a chi scrive da Gustavo Serena, trova piena conferma la ripetuta affermazione dell'attrice circa una sua diretta collaborazione alla realizzazione del film: "E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti; in perfetto dialetto napoletano organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l'angolazione della macchina da presa, e se non era convinta di una scena, pretendeva (e otteneva) di rifarla secondo le sue vedute. Era in un vero stato di grazia, lei, ma anche io, anche Benetti e l'operatore Carta, bravissimo...".
Ed è infatti quasi esclusivamente la presenza della Bertini a imporre il ritmo del film: l'attrice riesce a condensare tutti gli umori e gli ardori del suo temperamento per animare la figura di Assunta Spina. Abbandonati i lezi e le pose della galleria di figure romantiche alle quali prestava solitamente il suo volto, dimentica per una volta di essere figlia del suo tempo, lasciando alle spalle ogni fremito dannunziano tipico della recitazione divistica d'epoca e ricordando invece la purezza vernacolare delle sue origini partenopee, la Bertini esprime una grinta che la consegna definitivamente alla storia del cinema. La sua recitazione, ora sanguigna ora sofferta, non ha riscontri nei film coevi.
Fin dal 1914 la Morgana-Film (come appare nella pubblicità delle riviste cinematografiche) aveva intenzione di realizzare una versione cinematografica di Assunta Spina con la Magnetti e Giovanni Grasso, progetto poi abbandonato quando Di Giacomo s'accordò con la Caesar. Nel 1929 la Caesar, che ancora ne deteneva i diritti, affidò a Roberto Roberti la realizzazione di un remake con Rina De Liguoro e Febo Mari, film passato completamente sotto silenzio. Altra versione è del 1948, regia di Mario Mattoli, con Anna Magnani ed Eduardo De Filippo. Negli anni Ottanta era in progetto un'ennesima versione, poi mai realizzata, con Angela Luce e Mario Merola come protagonisti.
Interpreti e personaggi: Francesca Bertini (Assunta Spina), Gustavo Serena (Michele Boccadifuoco), Carlo Benetti (Federigo Funelli), Alberto Albertini (Raffaele), Antonio Cruicchi (padre di Assunta), Amelia Cipriani (Peppina), Alberto Collo (una guardia).
R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli 1956.
F. Savio, Visione privata, Roma 1981.
A. Bernardini, Assunta Spina, in Il cinema. Grande storia illustrata, Novara 1985.
V. Martinelli, Il cinema italiano 1915, Roma 1992.
J.A. Gili, Le cinéma italien, Paris 1996.
Francesca Bertini, a cura di G. Mingozzi con una filmografia di V. Martinelli, Recco 2003.