Abstract
Viene esaminata la disciplina della l. 12.3.1999, n. 68, sul diritto al lavoro dei disabili, con particolare attenzione all’attuazione giurisprudenziale.
Per rispondere alle difficoltà di inserimento lavorativo delle persone disabili, l’obbligo di assunzione imposto ex lege ai datori di lavoro è la soluzione adottata dall’ordinamento italiano ben prima della normativa generale di cui alla l. 2.4.1968, n. 482. Questa si limitava a prevedere un tale obbligo, disinteressandosi dell’utilità dell’inserimento lavorativo per il lavoratore ed il datore di lavoro. Ciò ne consentì un’interpretazione giurisprudenziale ispirata «ad una concezione meramente assistenziale» (Ichino, P., Diritto al lavoro e collocamento nelle giurisprudenza costituzionale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1988, 28 ss.), prescindendo l’obbligo dalla sussistenza di effettive esigenze aziendali, nonostante il diverso orientamento espresso fin dagli anni '60 dalla Corte costituzionale, che negò il contrasto della legge con l’art. 41 Cost. perché «una volta instaurato, sia pur coattivamente, un regolare rapporto di lavoro, non è più a parlare di mantenimento, bensì di prestazione di opere, che determina da parte del datore di lavoro la corresponsione della retribuzione». Sempre la Consulta individuò nell’art. 38, co. 3, Cost., il fondamento del sistema di assunzioni obbligatorie, ma escluse che gli artt. 2, 3, co. 2, e 4 Cost., ne costituissero ulteriori basi giuridiche (C. cost., 15.6.1960, n. 38; C. cost., 29.9.1983, n. 279; C. cost., 31.12.1998, n. 454).
Abrogata la normativa del 1968, con la l. 12.3.1999, n. 68, «Norme per il diritto al lavoro dei disabili», cambia la filosofia dell’intervento, sulla scia del passaggio ad una concezione della disabilità come esito di un’organizzazione sociale che non tiene conto delle persone con impedimenti fisici o psichici. Ricadute di tale impostazione sono il riconoscimento dei diritti fondamentali del disabile quale persona e membro attivo della comunità e l’inclusione attraverso la personalizzazione degli interventi (Longo, E., Unitarietà del bisogno di cura. Riflessioni sugli effetti giuridici conseguenti al passaggio dal modello medico al modello sociale di disabilità, in Non profit, 2011, 36 ss.). Questa impostazione, consacrata nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, del 2006, ratificata in Italia con l. 3.3.2009, n. 18, e accolta anche dalla normativa dell’Unione europea (art. 21, Carta dei diritti fondamentali e direttiva 2000/78/CE), è stata ripresa nell’ordinamento italiano con la l. 8.11.1991, n. 381, e la l. 5.2.1994, n. 104, seguite dal d.lgs. 9.7.2003, n. 216, d’attuazione della suddetta direttiva. A queste la l. n. 68/1999 si collega senza però rompere con l’obbligo di assunzione, ancora fulcro strutturale, ma non più finalità del sistema normativo, dall’art. 1, co. 1, posta nella «promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro» e dall’art. 2 tradotta operativamente nel collocamento mirato, «serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto». Tale definizione è insieme fondamentale canone interpretativo della legge (Lambertucci, P., Art. 2, in Santoro Passarelli, G.-Lambertucci, P., a cura di, Legge 12 marzo 1999, n. 68. Commentario, NLCC, 2000, 1362 ss.; Cass., 22.6.2010, n. 15058. Contra, Bozzao, P., Il collocamento mirato e le relative convenzioni, in Cinelli, M.-Sandulli, P., a cura di, Diritto al lavoro dei disabili, Torino, 2000, 191 ss.) e sintesi del bilanciamento tra l’art. 4 Cost., ora «fondamento generale» del sistema (Sandulli, P., Il lavoro dei disabili nel sistema del Welfare State, in Cinelli, M.-Sandulli, P., a cura di, op. cit., 18 ss.), e l’art. 41 Cost., realizzato soprattutto tramite incentivi economici e convenzioni, “strumenti” che coniugano personalizzazione dell’inserimento lavorativo e flessibilità di assolvimento dell’obbligo d’assunzione, per cui non pare dubbia la legittimità costituzionale della legge (contra Suppiej G., Collocamento obbligatorio e Costituzione, in Studi sul lavoro. Scritti in onore di Gino Giugni, Bari, 1999, II, 1300). Prescinde, invece, dalla l. n. 68/1999, l’obbligo di adottare ogni «accomodamento ragionevole», ai sensi dell’art. 2 della citata Convenzione delle Nazioni Unite, imposto a tutti i datori di lavoro pubblici e privati dall’art. 3, co. 3 bis, d.lgs. n. 216/2003, al fine di garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori, in ottemperanza alla sentenza della Corte di giustizia 4.7.2013, C-312/11, Commissione europea c. Repubblica italiana.
Tutto ciò cambia da “burocratico” ad “attivo” anche il ruolo dei servizi pubblici competenti (Cinelli, M., Profili del collocamento obbligatorio”riformato”, in Cinelli, M.-Sandulli, P., a cura di, op. cit., 4), ancora da individuare nei «centri per l’impiego», ex art. 4, co. 1, lett. e), d.lgs, 23.12.1997, n. 469, strutture delle province cui la lett. a) del medesimo articolo ha attribuito, tramite la legislazione regionale, le funzioni e i compiti relativi al collocamento obbligatorio. Sono questi che presiedono all’iscrizione dei lavoratori aventi titolo nell’apposito elenco, secondo un’unica graduatoria formata in base a criteri definiti da un atto di indirizzo del Presidente del consiglio dei ministri ed integrati da normative regionali (art. 8), così come agli ulteriori compiti di legge (avviamento lavorativo, rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri, delle compensazioni territoriali, stipula delle convenzioni, ecc.).
Il livello provinciale, però, non è necessitato, ché l’art. 3, d.lgs. n. 276/2003 è norma cedevole al diverso assetto individuato dalle regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di «tutela e sicurezza del lavoro» (art. 117, co. 3, Cost.; C. cost. 28.1.2005. n. 50). Il quadro delineato è del resto precario sia perché la l. 7.4.2014, n. 56, non richiama le suddette funzioni tra quelle che eserciteranno le province quali «enti territoriali di area vasta» (art.1, co. 85 e 86), sia per la prospettata abolizione delle province e della potestà legislativa concorrente (d.d.l. S. 1429 del 2014, artt. 24 e 26).
Rispetto al concetto di disabilità, punto critico della legge è la conservazione dei pregressi criteri della causa e del grado di riduzione della capacità lavorativa, per individuare i beneficiari dell’obbligo di assunzione. Così, agli affetti da «minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo», con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% (art. 1, lett. a) si affiancano gli invalidi del lavoro con invalidità superiore al 33% (lett. b), le persone non vedenti o sordomute, ai sensi delle l. 27.5.1970, n. 382 e 26.5.1970, n. 370 (lett. c), salve comunque le disposizioni per i centralinisti non vedenti (co. 3) e gli invalidi di guerra o civili di guerra (lett. d). A mitigare la contraddizione sovviene il d.P.C.m. 13.1.2000, cui rinvia l’art. 1, co. 4, che richiede, ai fini dell’accertamento delle condizioni di disabilità, una «diagnosi funzionale della persona disabile finalizzata ad individuarne la capacità globale per il collocamento lavorativo».
Tutti costoro, compresi i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia (C. cost., 30.12.1998, n. 454), se in possesso dei requisiti di legge, vantano un diritto all’iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio (Cass., 30.10.2012, n. 18637). L’art. 1, co.1, lett. a), l. n. 68/1999, chiede che il soggetto sia «in età lavorativa», mentre l’art. 1, co. 1, del regolamento di esecuzione (d.P.R. 10.10.2000, n. 333), parla di «età pensionabile», riferimento da ritenersi non più rilevante (Cass., 4.6.2009, n. 12916; contra, Cass., 19.10.2009, n. 22113, entrambe relative, al requisito di “incollocazione” ex art. 13, l. 30.3.1971, n. 118, cancellato dall’art. 1, co. 35, l. 24.12.2007. n. 247), se non illegittimo (App. Ancona 19.6.2007, n. 238, in Dir. lav. Marche, 2007, 546) anche per l’effetto discriminatorio verso le lavoratrici del settore privato, almeno fino al 2018 (art. 24, l. d.l. 6.12.2011, conv. in l. 22.12.2011, n. 214).
Necessario è poi il possesso dello “stato di disoccupazione” (art. 8, co. 1), come definito e regolato dal d.lgs. 21.4.2000, n. 181, e dalle leggi regionali d’attuazione. Problemi di coordinamento sussistono tra la “perdita” di tale stato, di cui all’art. 4 del decreto, e l’art. 10, co. 6, l. n. 68/1999 che prevede la cancellazione temporanea dalle liste di collocamento quando il lavoratore per due volte consecutive rifiuti senza giustificato motivo un’offerta di lavoro consona alle proprie condizioni professionali o non risponda alla convocazione dell’ufficio competente (Garofalo, D., Disabili e regioni, W.P. Adapt, n. 53/2008). Secondo gli artt. 7, co. 2, 8, co. 2, e 16, co. 2, nel pubblico impiego tale requisito deve sussistere al momento di presentazione della domanda di partecipazione al concorso, ma non anche a quello di assunzione (Cons. St., sez. VI, 11.2.2013, n. 1992 e 10.3.2003, n. 1271).
Infine, “rigorosamente propedeutico” (Cass., 12.6.2012, n. 9502) all’iscrizione nelle liste del collocamento è l’accertamento della sussistenza e poi delle permanenza, dello stato d’invalidità, da parte delle strutture sanitarie individuate ai co. 4, 5 e 6 (art. 1, co. 4).
Del diritto al collocamento obbligatorio usufruiscono, però, anche lavoratori non invalidi: coniugi e orfani di lavoratori deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, o per loro aggravamento, nel limite di una quota dell’1%, e nei confronti di datori di lavoro pubblici e privati con più di 50 dipendenti (art. 18, co. 2, l. n. 68/1999); determinate categorie di parenti delle vittime di atti di terrorismo o criminalità organizzata, ovvero deceduti per fatto di lavoro o a causa dell’aggravarsi delle mutilazioni o infermità che hanno dato luogo a rendita da infortunio sul lavoro (art. 1, co. 2, l. 23.11.1998, n. 407; art. 34, co. 1, l. 16.1.2003, n. 3; art. 3, co. 123, l. 24.12.2007, n. 244); testimoni di giustizia, soltanto nella pubblica amministrazione e nei limiti di cui all’art. 7, d.l. 31.8.2013, n. 101, conv. l. 30.10.2013, n. 125.
Purché occupino almeno 15 dipendenti, i datori di lavoro pubblici e privati sono obbligati ad assumere: un lavoratore, se i dipendenti sono tra 15 e 35, due, se sono tra 36 e 50, il 7% degli occupati, se superano i 50 (art. 3, co. 1). Al fine di stabilire l’entità degli occupati, l’art. 4, co. 1, l. n. 68/1999, come modificato dalla l. 28.6.2012, n. 92, considera i lavoratori con contratto di lavoro subordinato, fatta eccezione per quelli con contratto a termine di durata fino a sei mesi, contratto di somministrazione, a domicilio, assunti per attività all’estero, emersi ex art. 1, co. 4 bis, l. 18.10.2001, n. 383, dirigenti, soci di cooperative di produzione e lavoro, soggetti impegnati in l.s.u. e poi assunti ex art. 7, d.lgs. 28.2.2000, n. 81. Esclusi sono anche i lavoratori “occupati” obbligatoriamente, compresi quelli ex l. n. 482/1968, espressamente mantenuti in servizio dall’art. 18, co. 1, e, nel limite percentuale loro riservato, i non disabili di cui al co. 2 (art. 3, co. 1, d.P.R. n. 333/2000; Cass., 20.9.2012, n. 15873). Introdotta nel 2012, una norma di chiusura fa salve «le eventuali ulteriori esclusioni previste dalle discipline di settore», così superando le incertezze relative ad alcune fattispecie contrattuali, in particolare l’apprendistato (per l’esclusione, Maresca, A., Rapporto di lavoro dei disabili e assetto dell’impresa, in Cinelli, M.- Sandulli, P., a cura di, op. cit., 44. Contra, Biagi, M., Disabili e diritto del lavoro, in Guida lav., 1999, 9, 12; App. Brescia 18.10.2012, in Dir. rel ind. 2013, 485).
Nella quota di riserva si computano i lavoratori non vedenti di cui alle l. 21.7.1961, n. 686 e 29.3.1985, n. 113 (art. 3, co. 7), i lavoratori disabili occupati a domicilio o in telelavoro, purché sia garantita loro una data quantità di lavoro (art. 4, co. 3) e i lavoratori già assunti ex l. n. 482/1968. Non più computabili sono i lavoratori assunti ex art. 18, co. 2, (art. 2, d.l. 25.10.2002, n. 236, conv. l. 27.12.2002, n. 284), mentre con l’art. 1, co. 1, l. 11.3.2001, n. 25, è venuta meno la «precedenza rispetto ad ogni altra categoria e preferenza a parità di titoli» per i soggetti di cui alla l. n. 407/1998, perciò l’applicazione dell’art. 3, l. n. 68/1999 è ad esclusivo beneficio dei lavoratori disabili. L’art. 4, co. 4, riconosce ai lavoratori divenuti inabili con riduzione delle capacità lavorativa superiore al 60%, in conseguenza di infortunio o malattia non imputabile al datore di lavoro, un diritto ad essere computati (TAR Lazio, Roma, 4.3.2009, n. 2278), con scelta da alcuno ritenuta di dubbia razionalità (Maresca, A., op. cit., 50).
Disposizioni speciali esprimono il bilanciamento tra obbligo di assunzione e specificità del datore di lavoro e/o delle attività svolte, ove a rilevare sono la tutela della salute del lavoratore o altri interessi generali. La base di computo della quota di riserva è limitata al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative nei partiti politici, nelle organizzazioni sindacali e in quelle non profit operanti nel campo della solidarietà sociale, l’assistenza e la riabilitazione (art. 4, co. 3), mentre esclusioni parziali dalla stessa base sono previste per i datori di lavoro del trasporto, non più solo pubblico (art. 78, co. 9, l. 23.12.2000, n. 388), aereo, marittimo e terrestre, dell’autotrasporto, del settore edile e degli impianti a fune, in relazione a particolari categorie di lavoratori (art. 5, co. 2). D’incerto significato, l’art. 3, co. 4, limita ai «soli servizi amministrativi» il collocamento obbligatorio per la polizia e la protezione civile: secondo il regolamento d’esecuzione l’esclusione riguarderebbe anche l’obbligo di assunzione, mentre per altri il personale non “amministrativo” concorre a determinare la quota d’obbligo ai fini della quota di riserva tutto il personale (Nogler, L., Quote di riserva, soglie occupazionali e relativi criteri di computo, in Cinelli, M.-Sandulli P., a cura di, op. cit., 236).
Forme di bilanciamento sono anche la sospensione e l’esonero parziale dall’obbligo di assunzione. La prima è sancita dall’art. 4, co. 5: a) nei confronti delle imprese in Cassa integrazione guadagni straordinaria - anche soggette alle procedure concorsuali, ex art. 3, l. 23.7.1991, n. 223, peraltro abrogato a decorrere dal 1.1.2016, dall’art. 2, co. 70, l. n. 92/2012 -, per la durata dell’intervento e in proporzione ai lavoratori sospesi nell’ambito provinciale; b) nelle ipotesi di cui agli artt. 4 e 24, l. n. 223/1991, per la durata della procedura di licenziamento collettivo; c) in caso di avvenuto licenziamento collettivo ex art. 24, l. n. 223/1991, per la durata del diritto di precedenza ai sensi dell’art. 8, co. 1, l. n. 223/1991, abrogato a far data dal 1.1.2017, dall’art. 2, co. 71, l. n. 92/2012.
L’esonero dall’obbligo di assunzione è previsto dall’art. 5, co. 3, soltanto in favore dei datori di lavoro privati e degli enti pubblici economici. Esso è sempre parziale, è condizionato all’esistenza di «speciali condizioni dell’attività» che rendano impossibile la copertura dell’intera quota di riserva ed è oneroso, richiedendosi un contributo giornaliero per ciascun soggetto non occupato, da versare al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili di cui all’art. 14. l. n. 68/1999. Al rilascio dell’autorizzazione provvede l’ufficio competente, ma non sussiste per il datore di lavoro un diritto all’esonero. In attesa di un decreto ministeriale di riforma (art. 5, co. 8-quinquies), il procedimento, i criteri e le modalità di concessione sono ancora quelli di cui al d.m. 7.7.2000, n. 357, che, tra l’altro, individua le speciali condizioni in una tra faticosità della prestazione lavorativa, pericolosità connaturata al tipo di attività, particolare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa; fissa nel 60% della quota di riserva il limite massimo di esonero; prevede la decadenza dall’esonero in caso di mancato pagamento del contributo e delle sanzioni previste.
L’obbligo di assunzione sussiste indipendentemente dall’esistenza di posti vacanti nell’organico aziendale (Cass., 21.9.2006, n. 20450 e Cass., 10.12.2008, n. 29009), con l’eccezione dei datori di lavoro privati fino a 35 dipendenti e delle organizzazioni ex art. 3, co. 3, per i quali scatta in caso di nuove assunzioni. Nel settore pubblico tale regola sembra preclusa dal divieto di situazioni di soprannumerarietà del personale di cui all’art. 6, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, oltre che dalle numerose disposizioni di riduzione del personale e blocco delle assunzioni (art. 1, co. 4, d.l. 13.8.2011, n. 138, conv. l. 14.9.2012, n. 148 e art. 2, co. 6, d.l. 6.7.2012, n. 95, conv. l. 7.8.2012, n. 135), ma va detto che, in mancanza di espressa deroga, la giurisprudenza contabile si è a volte espressa in senso contrario (C. conti Liguria, sez. controllo, 3.8.2011, n. 60; C. conti, S.U. Sicilia, sede consultiva, 1.7.2011, n. 49).
Le quote d’obbligo vanno rispettate a livello nazionale, ma i datori di lavoro privati hanno facoltà di compensare le assunzioni tra unità produttive o imprese di un gruppo aventi sede in Italia (art. 5, co. 8 e 8-bis), mentre per il settore pubblico l’ambito di compensazione è regionale, ma previa autorizzazione (co. 8-ter).
Agli uffici competenti, tutti i datori di lavoro presentano richiesta di assunzione indicando la “qualifica” del lavoratore, di norma entro sessanta giorni dal sorgere del relativo obbligo ed altresì inviano annualmente un prospetto informativo, indicante gli occupati, gli assunti obbligatoriamente, i posti e le mansioni utili per l’assolvimento dell’obbligo di assunzione, salvo che, rispetto al precedente invio, non vi siano stati cambiamenti incidenti sull’obbligo o la quota di riserva (art. 9, co. 6; d.m. 2.11.2010). In precedenza il prospetto informativo non era ritenuto idonea espressione della volontà di assumere del datore, mentre ora la legge precisa che la richiesta si intende presentata anche per suo tramite (Cass. 28.11.2011, n. 25048 e 18.7.2008, n. 20027), evitando così una facile elusione degli obblighi di legge.
L’assunzione avviene tramite richiesta nominativa o numerica, oppure stipula di una convenzione (art. 7). La richiesta nominativa è una facoltà riconosciuta per l’intera quota di riserva a partiti politici, organizzazioni sindacali e sociali, enti da questi promossi, nonché ai datori privati fino a 35 dipendenti; nella misura del 50 o del 60% se gli occupati sono rispettivamente da 36 a 50 e oltre 50. In mancanza l’avviamento è numerico, sempre secondo qualifica richiesta.
La chiamata nominativa mediante convenzione ex art. 11 è l’unica modalità di assunzione prevista per gli invalidi psichici (art. 9, co. 4; Cass., 22.7.2013, n. 17785), il che ne pregiudica il diritto all’avviamento obbligatorio, con dubbi di legittimità costituzionale (Bozzao, P., op. cit., 229; Ciucciovino, S., Art. 9, in Santoro Passarelli, G.- Lambertucci, P., a cura di, op. cit., 1412). La previsione non pare applicabile nel settore pubblico ove regola generale è, per l’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 165/2001, la chiamata numerica (Cass., 6.8.2012, n. 14153), non derogata dall’art. 9, co. 4 (Trib. Teramo, ord. 2.4.2009), oppure il concorso; gli iscritti negli elenchi provinciali, ad eccezione dei cittadini extracomunitari (Cass., 13.11.2006, n. 24170), hanno diritto ad una riserva fino al 50% dei posti a concorso (art. 7, co. 2) e le amministrazioni hanno facoltà di assumere gli idonei anche oltre tale tetto, a copertura della quota (art. 16, co. 2).
La l. 28.2.1987, n. 56, individuò nella convenzione lo strumento per flessibilizzare il collocamento (Canavesi, G., Collocamento dei disabili e ruolo degli enti non profit nella legislazione statale, in Dir. lav. Marche, 1999, 175), ma solo la l. n. 68/1999 ne detta una disciplina organica. Parti necessarie sono l’ufficio competente, che decide della stipula, e il datore di lavoro. Bilaterali sono quelle di cui all’art. 11, l’una di “programma”, oggi principale canale d’avviamento al lavoro, con cui si definiscono tempi e modalità di assunzione (chiamata nominativa, tirocinio, contratto a termine, ecc.); l’altra d’integrazione, per disabili con particolari difficoltà d’inserimento lavorativo. D’uso limitato sono le altre, trilaterali: quella dell’art. 12 coinvolge, quali soggetti ospitanti, soprattutto cooperative sociali di tipo b), in cui sono inseriti temporaneamente lavoratori disabili assunti obbligatoriamente da datori di lavoro che affidano alle prime commesse di lavoro, e quella dell’art. 12 bis che replica lo schema precedente, con la differenza che l’assunzione è effettuata direttamente dal “destinatario” (o ospitante), ma vale a copertura della quota d’obbligo del datore di lavoro, soggetto conferente. Questa è stata introdotta dalla l. n. 247/2007 a compensazione dell’abrogazione dell’art. 14, d.lgs. n. 276/2003, poi ripristinato dal d.l. 25.6.2008, n. 112, prima ipotesi di superamento convenzionale dell’obbligo (diretto) di assunzione. In realtà, i limiti apposti, rendono queste fattispecie poco funzionali agli scopi perseguiti.
Dopo la riscrittura del 2007 (art. 1, co. 37, l. n. 247), l’art. 13 configura gli incentivi alle assunzioni quali aiuti di stato per l’occupazione, ai sensi del regolamento CE n. 2204/2002. Solo in caso di assunzioni a tempo indeterminato, regioni e province autonome possono concedere contributi non superiori al 60% del costo salariale e diversificati in relazione al grado di riduzione della capacità lavorativa, nonché, quando questa superi il 50%, il rimborso forfetario parziale delle spese di adeguamento del posto di lavoro o rimozione di barriere architettoniche. Il finanziamento è statale, ma altri contributi o provvidenze sono erogabili dal Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, di cui all’art. 14.
Il comportamento illegittimo dell’ufficio competente può dar luogo ad un obbligo risarcitorio in caso di mancata assunzione (Cass., 12.9.2012, n. 15257; TAR Catanzaro, 28.7.2008, n. 1107; Trib. Roma, 28.9.2006, in Lav. giur., 2007, 713). Invece, la giurisprudenza ritiene legittimo il rifiuto d’assumere del datore di lavoro se è impossibile adibire il lavoratore ad attività per lui non pregiudizievoli (Cass., 10.12.2008, n. 29009), non c’è corrispondenza tra qualifica richiesta e posseduta dal lavoratore avviato, o sono stati avviati lavoratori con qualifiche simili senza osservare le condizioni dell’art. 9, co.2 (Cass., 25.3.2011, n. 7007; Cass., 22.6.2010, n. 15058). Per contro, in tale ipotesi, un obbligo di assunzione, coercibile ex art. 2932 c.c., sarebbe desumibile dall’art. 7, co. 7, d.P.R. n. 333/2000 (Ferraresi, M., La recente giurisprudenza sul collocamento delle persone disabili: assestamenti del “diritto diseguale”, in Argomenti dir. lav., 2012, 313), ma la legittimità della norma è posta in dubbio da altra dottrina (Limena, F., Il collocamento mirato dei soggetti disabili, in Cester C., Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Torino, 2007, 259). Invece, i contenuti della richiesta e/o del prospetto renderebbero applicabile all’illegittimo rifiuto di assunzione l’art. 2932 c.c. (Tursi, A. La nuova disciplina del lavoro dei disabili, in Riv. giur. lav., 1999, 727 ss.; Cass., 25.3.2011, n. 7007).
Già sotto la l. n. 482/1968, la condizione di disabilità non consentiva di differenziare i trattamenti economici e normativi legali e contrattuali rispetto al lavoratore non disabile. Tale regola generale, ribadita dall’art. 10 l. n. 68/1999, è ora rafforzata dal d.lgs. n. 216/2003. Quella condizione non è però neutra, riflettendosi sulla disciplina del rapporto di lavoro o, meglio, della sua cessazione, in termini di contemperamento tra diritto alla salute del lavoratore e libertà d’iniziativa economica. Se la prestazione richiesta non può essere incompatibile con le “minorazioni” (art. 10, co. 2), in caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione di lavoro, la facoltà di richiedere accertamenti sanitari è data al lavoratore, quanto alla compatibilità delle mansioni con lo stato di salute, ed al datore, quanto alla perdurante utilizzabilità del primo. L’accertamento compete esclusivamente alle commissioni mediche ex art. 4, l. n. 104/1992 (Cass., 10.4.2014, n. 8450) e l’eventuale incompatibilità porta alla cessazione del rapporto solo come extrema ratio, allorché risulti la definitiva impossibilità di reinserimento in azienda «anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro». Ciò è inteso come obbligo di ricercare nell’organizzazione aziendale un’altra posizione utile, anche mediante ricomposizione di funzioni sottratte ad altri collaboratori, però nell’ambito di mansioni già esistenti (Cass., 24.5.2005, n. 10914; Trib. Reggio Calabria, 16.03.2011). Escluso da questa giurisprudenza, il dovere di modificare l’organizzazione, anche per individuare nuove mansioni, è da altri desunto con un’interpretazione dell’art. 10, co. 3, alla luce dell’art. 5, dir. 2000/78/CE (Giubboni, S., Sopravvenuta inidoneità alla mansione e licenziamento. Note per una interpretazione «adeguatrice», in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 289 ss.). In carenza di tale condizione il rapporto di lavoro resta sospeso senza retribuzione fino a che l’incompatibilità sussiste, con possibilità di ricorrere ai tirocini formativi. Ciò significa che, salvo l’ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, il licenziamento è legittimo solo in caso di perdita totale della capacità lavorativa o di situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica (Cass., 12.9.2012, n. 15269). Peraltro, all’esito di un recesso per giustificato motivo oggettivo, nonché di licenziamenti collettivi ex artt. 4, co. 9, e 24, l. n. 223/1991, il datore di lavoro deve comunque rispettare la quota di riserva di cui all’art. 3, l. n. 68/1999, ma non quella ex art. 18 (Cass., 26.6.2009, n. 15080), altrimenti risultando annullabile il licenziamento (art. 10, co. 4).
La normativa va poi coordinata con quella sui lavoratori divenuti disabili in corso di rapporto e non computabili nella quota d’obbligo. Ad essi, l’art. 1, co. 7, assicura la conservazione del posto di lavoro, nei termini indicati dall’art. 4, co. 4, perciò l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento se possono essere adibiti a mansioni equivalenti o inferiori, allora con conservazione del trattamento economico pregresso. Diversamente, si prospetta un avviamento «presso altra azienda» privata (Cass., 6.8.2012, n. 14153) da parte degli uffici competenti, ma senza inserimento nelle liste del collocamento, ovvero senza essere disoccupati.
L. 12.3.1999, n. 68; d.lgs. 23.12.1997, n. 469; d.P.R. 10.10.2000, n. 333; art. 35, d.lgs. 30.3.2001, n. 165; d.lgs. 9.7.2003, n. 216; art. 14, d.lgs. 10.9.2003, n. 276; l. 3.3.2009, n. 18; l. 11.3.2011, n. 25; art. 7, co. 1, d.l. 31.8.2013, n. 101, conv. in l. 30.10.2013, n. 12; dir. n. 2000/78/CE del 27.11.2000; art. 21, Carta dei diritti fondamentali; Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, del 13.12.2006.
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