Astensione del difensore e diritto al rinvio dell’udienza
La valorizzazione del rango costituzionale che nell’ordinamento assume l’astensione degli avvocati dalle udienze, intesa come forma di manifestazione volta alla tutela degli interessi della categoria, ha determinato la rivisitazione in chiave critica e, in alcuni casi, il definitivo superamento di indirizzi giurisprudenziali, pacifici e consolidati, che propugnavano letture restrittive del diritto ad ottenere il differimento dell’udienza per il professionista forense che aderisca alla manifestazione di protesta. In questa prospettiva, i numerosi interventi in materia della Suprema Corte, anche nella sua composizione più autorevole, hanno calibrato un nuovo assetto del bilanciamento tra i contrapposti interessi coinvolti, disegnando uno scenario interpretativo completamente nuovo.
L’astensione degli avvocati dalla partecipazione alle udienze, pur costituendo esercizio di un diritto di rango costituzionale, incide, sostanzialmente paralizzandola, sull’attività giurisdizionale, così determinando la necessità di individuare un punto di equilibrio attraverso il bilanciamento tra gli interessi coinvolti.
In questa prospettiva, mentre, da un lato, si colloca il diritto degli avvocati di associarsi e manifestare per tutelare gli interessi della categoria, dall’altro lato, si collocano sia il diritto di coloro che, trovandosi in relazione con l’amministrazione della giustizia, hanno interesse a un corretto svolgimento dell’attività giudiziaria, sia il rispetto dei principi di ordine generale posti a tutela della giurisdizione.
In passato, l’assenza di specifiche disposizioni che regolassero le forme e i modi dell’astensione è stata censurata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei primi due commi dell’art. 2 l. 12.6.1990, n. 1461. Più precisamente, il Giudice delle leggi ha ravvisato un contrasto di tali disposizioni con l’art. 24 Cost. nella parte in cui non prevedevano, nel caso di astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati, né l’obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell’astensione, né gli strumenti idonei ad individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure consequenziali nell’ipotesi di inosservanza di tali regole.
Attualmente, a seguito delle modifiche rese necessarie da tale intervento, la materia è disciplinata dal codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007, in attuazione di quanto disposto dall’art. 2 della l. 11.4.2000, n. 83, che pone a carico dei professionisti che intendano aderire alla protesta una serie di adempimenti finalizzati ad assicurare un ordinato e prevedibile svolgimento della protesta e ad assicurare, nel processo penale, l’assistenza legale nei casi in cui si verifichino particolari situazioni (processi con imputato detenuto, imminente decorso del termine di prescrizione, svolgimento di atti “a sorpresa”).
Il rispetto dei presupposti fissati dal codice di autoregolamentazione, secondo la Suprema Corte, costituisce la precondizione per la sussistenza del diritto che l’avvocato vuole esercitare, con la conseguenza che, qualora egli non vi si attenga, il giudice non sarà tenuto a concedere il rinvio dell’udienza2.
Tuttavia, si è posta, in termini fortemente problematici, la differente questione relativa al potere del giudice di disporre la prosecuzione del giudizio laddove, anche in presenza di una legittima dichiarazione di astensione, lo impongano esigenze superiori connesse all’esercizio della funzione giurisdizionale3.
Sul punto, l’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità ha risolto in termini positivi il quesito, argomentando sul rilievo che le regole del codice vincolano coloro che appartengono alla categoria che lo ha emanato e non il giudice che, pertanto, pur non potendo interferire sulla libertà di esercitare il diritto di astensione, può valutare le circostanze che, rendendo urgente la trattazione, impediscono l’accoglimento di una richiesta di rinvio del dibattimento e impongono di procedere oltre nel giudizio4.
Senonché, la solidità di tale convincimento è stata incrinata da un intervento delle Sezioni Unite che, pur non trattando il tema ex professo, hanno avuto modo di precisare che il codice di autoregolamentazione costituisce normativa secondaria alla quale occorre conformarsi5.
Dunque, ritenendo che tale enunciazione di principio imponga il rispetto delle previsioni del codice a tutti i soggetti del processo e non soltanto agli avvocati, le Sezioni Unite sono state espressamente chiamate a pronunciarsi sulla effettiva sussistenza in capo al giudice del potere di valutare la compatibilità dell’astensione con le altre esigenze processuali e negare il rinvio dell’udienza qualora ritenga che il bilanciamento tra gli interessi in gioco si risolva in favore delle seconde6.
La massima composizione della Suprema Corte si è espressa sul punto ripercorrendo, sia sotto il profilo storico sia sotto quello teorico, la complessa evoluzione della questione7. Posta tale premessa, ha esaltato il ruolo che nell’ordinamento costituzionale assume il diritto degli avvocati ad astenersi dalle udienze e, sciogliendo alfine il quesito, ha statuito che i codici di autoregolamentazione, che sono fonte normativa a tutti gli effetti, obbligano tutti i soggetti del processo. In questa prospettiva, poiché il giudizio di bilanciamento tra i confliggenti diritti costituzionali è già contenuto proprio in tali codici, le Sezioni Unite hanno escluso un potere del giudice di sindacare la compatibilità dell’astensione con le ulteriori esigenze processuali, se non in ipotesi eccezionali8.
I rivolgimenti giurisprudenziali che si sono susseguiti in un ristrettissimo arco temporale hanno determinato una radicale rivisitazione di tutti gli approdi esegetici in materia di astensione degli avvocati dalle udienze. In chiave critica, infatti, è stato riesaminato anche un altro pacifico orientamento giurisprudenziale che negava il differimento dell’udienza qualora la dichiarazione di astensione fosse stata presentata in un procedimento camerale,motivando sul rilievo che in simili ipotesi non trova applicazione l’istituto del legittimo impedimento a comparire del difensore9.
La Suprema Corte, muovendo dal presupposto che l’adesione del difensore alla manifestazione di protesta della sua categoria non può essere ricondotta nella nozione di legittimo impedimento partecipativo, ma costituisce esercizio di un diritto costituzionale, ha affermato che il diritto al differimento dell’udienza non tollera distinzioni fra procedimenti nei quali la partecipazione del difensore è necessaria e procedimenti nei quali è facoltativa10.
L’improvviso radicarsi di un contrasto interpretativo sul punto ha imposto la rimessione della questione alle Sezioni Unite chiamate questa volta a stabilire se il differimento dell’udienza per l’astensione del difensore possa essere concesso anche nei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio11.
La massima espressione della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, si è espressa in senso negativo12.
1 C. cost., 27.5.1996, n. 171, in Giur. cost., 1996, 1552, con nota di Di Filippo, C., Sui rapporti tra l’astensione dalle udienze degli avvocati e il diritto di sciopero alla luce della sent. n. 171 del 1996 della Corte costituzionale. Invero, prima di procedere a tale declaratoria, la Corte, considerata l’importanza della materia, aveva rivolto un monito al legislatore affinché colmasse la lacuna (C. cost., 31.3.1994, n. 114, in Giur. cost., 1994, 970).
2 Cass. pen., 12.7.2013, n. 39248.
3 A titolo esemplificativo, esaminando la casistica in materia, si potrebbe citare la necessità di escutere un teste che ha affrontato un lungo viaggio per partecipare all’udienza.
4 Cass. pen, 19.4.2013, n. 22353.
5 Cass. pen., S.U., 30.5.2013, n. 26711.
6 Cass. pen., 21.11.2013, n. 51524.
7 Cass. pen., S.U., 27.3.2014, n. 40187.
8 Esemplificando, le Sezioni Unite hanno escluso che la necessità di escutere un teste che abbia affrontato un lungo viaggio abbia il carattere dell’eccezionalità e consenta di procedere oltre nella trattazione del processo, così come non legittimano simile provvedimento le difficoltà e i disagi che all’amministrazione della giustizia derivano dalla protesta forense.
9 Cass. pen., 20.12.2012, n. 5722.
10 Cass. pen, 24.10.2013, n. 1826.
11 Cass. pen., 25.3.2014, n. 18575.
12 Cass. pen., S.U., 30.10.2014.