Astensione del difensore e garanzie dell’imputato
Il diritto del difensore ad astenersi dalle udienze in adesione ai deliberati delle associazioni di categoria, come tale rientrante nell’ambito delle manifestazioni della libertà di associazione tutelata dall’art. 18 Cost., va contemperato, secondo quanto già rilevato dalla Corte costituzionale, con gli altri valori di pari rilevanza costituzionale che dall’esercizio di tale diritto possono soffrire pregiudizio. Il codice di autoregolamentazione adottato ha dunque previsto, recependo essenzialmente quanto già previsto dall’art.1, co. 2, l. n. 146/1990, le ipotesi nelle quali − come confermato da Cass., S.U., 30.05.2013, n.26711 − il diritto di astensione del difensore non opera tout court, da un lato, e quelle nelle quali, invece, lo stesso è recessivo rispetto alla contraria volontà dell’imputato. Resta, invece, ininfluente la contraria volontà dell’imputato nelle ipotesi di processi “ordinari” perché non urgenti o non afferenti allo status libertatis.
Il diritto del difensore di aderire all’astensione dalle udienze penali proclamata dalle organizzazioni di categoria − in quanto produttivo di una inevitabile stasi del processo (nel quale non è riconosciuta la possibilità di autodifesa)1 e, inoltre, della sospensione dei termini di prescrizione del reato − non è, come noto, contemplato dal codice di procedura penale, ma trova la propria disciplina specifica nel codice di autoregolamentazione degli avvocati. L’attuale assetto discende infatti da un percorso avviato, sostanzialmente, dall’intervento, sul punto, della Corte costituzionale2. Dichiarando, infatti, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1 e 5, l. 12.6.1990, n. 146 (contenente norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), nella parte in cui lo stesso non prevedeva, nel caso dell’astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati, tra gli altri, l’obbligo di predisporre gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, da fornirsi anche nel corso dell’astensione, la Corte affermava la necessità di contemperare la libertà di associazione (art. 18 Cost.), da cui trae legittimazione costituzionale il diritto del difensore all’astensione, con gli altri valori costituzionalmente rilevanti con i quali la stessa potesse trovarsi in conflitto. Veniva infatti ribadita la qualificazione dell’amministrazione della giustizia come servizio pubblico essenziale, perché atto a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati3 ed ammessa, in sostanza, l’idoneità dell’astensione – al pari dello sciopero – ad incidere «sul pieno ed ordinato esercizio» della funzione giurisdizionale: con la conseguenza che, quando la libertà degli avvocati sia esercitata in contrasto con detti valori, essa non può non arretrare, per la forza prevalente di quelli». Interveniva pertanto il legislatore − con l’art. 2 l. 11.4.2000, n. 83, introduttivo del nuovo art. 2 bis della l. n. 146/1990 − chiarendo che l’astensione collettiva dalle prestazioni dei «lavoratori autonomi» (tra di essi rientrando, dunque, anche la categoria degli avvocati) a fine di protesta o di rivendicazione di categoria, dovesse essere esercitata «nel rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili» già indicate dall’art. 1 l. n. 146/1990; a tal fine, si stabiliva poi che la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, istituita in base all’art. 12 l. n. 146/1990, dovesse promuovere l’adozione di codici di autoregolamentazione da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate. Di qui, pertanto, l’adozione, da parte degli organismi di rappresentanza dell’Avvocatura, nell’aprile del 2007, del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli Avvocati, valutato infine, dopo alcune modifiche, come idoneo dalla stessa Commissione con delibera n. 749 del 13.12.2007.
Il codice di autoregolamentazione prevede, dunque, una serie di requisiti, partitamente elencati, ritenuti necessari per garantire il contemperamento del diritto di astensione con i diritti della persona costituzionalmente tutelati già individuati dalla Corte costituzionale e, successivamente, dal legislatore. In particolare si prevede, con riferimento alle prestazioni indispensabili da garantire durante l’astensione, che le astensioni, da un lato (art. 4, lett. a, codice cit.), non siano consentite tout court con riferimento, essenzialmente, ad ipotesi di atti non rinviabili (come ad esempio gli atti di perquisizione e sequestro) o ad ipotesi di procedimenti caratterizzati da urgenza (come ad esempio il giudizio direttissimo ovvero i procedimenti inerenti reati soggetti ad imminente prescrizione) o di procedimenti incidenti sulla libertà personale (come ad esempio le udienze di convalida dell’arresto o del fermo od afferenti le misure cautelari) e, dall’altro (art. 4, lett. b, codice cit.), non siano consentite, con riferimento ai procedimenti e ai processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, solo qualora l’imputato stesso chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’art. 420 ter, co. 5, c.p.p., che si proceda malgrado l’astensione del difensore, sicché, in tal caso, il difensore di fiducia o d’ufficio ha l’obbligo di assicurare la propria prestazione professionale. Tale differente assetto è stato confermato, da ultimo, anche dalle Sezioni Unite della Corte con ordinanza riportata nella sentenza del 30.5.2013, n. 26711. La Corte ha in tal modo implicitamente valorizzato i diversi ambiti rispettivamente considerati dalle lett. a) e b) dell’art. 4 del codice suddetto, giacché, mentre nella prima − relativa appunto, come nella fattispecie considerata dalla Corte, alle udienze “afferenti misure cautelari” − l’astensione non è sic et simpliciter consentita, nella seconda − riguardante invece i processi nei quali l’imputato si trova in stato di custodia cautelare o di detenzione − la non operatività dell’astensione è condizionata alla manifestazione espressa della volontà dell’imputato a che si proceda ugualmente.
L’attuale assetto sembra tuttavia lasciare scoperti in particolare due aspetti. Un primo è rappresentato, nell’ambito della regolamentazione dell’astensione del difensore dalle udienze ove si versi in processi con imputati in stato di custodia cautelare o di detenzione, dalla indubbia necessità che, proprio per il rilievo che ivi è attribuito alla diversa volontà dell’imputato, questi venga posto a conoscenza delle intenzioni astensioniste del proprio difensore, pur se, sul punto, il codice di autoregolamentazione nulla prevede; in proposito possono però utilmente richiamarsi quelle pronunce che, già anteriormente all’attuale disciplina, avevano chiarito come spettasse al difensore l’onere di provare la tempestiva comunicazione al proprio assistito della volontà di astenersi dall’udienza, sì da metterlo in grado di manifestare il proprio eventuale dissenso e, se del caso, di revocare il mandato provvedendo alla nomina di altro difensore4. Un secondo aspetto è invece quello dei riflessi negativi dell’astensione sulla posizione dell’imputato, ove, per il solo fatto che si versi in processi per così dire “ordinari” perché esulanti da un ambito di urgenza o afferente la libertà personale, la contraria volontà dell’imputato resta irrilevante, pur a fronte dell’effetto sospensivo della prescrizione del reato destinato, per costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità5, a prolungarsi per tutto il periodo del rinvio da un’udienza all’altra e non solo per il limite massimo di sessanta giorni indicato dall’art. 159 c.p.p. La soluzione, secondo taluni6 da ricercarsi nella possibilità di fare applicazione dell’ult. co. dell’art. 420 ter c.p.p. − nella parte in cui consente all’imputato di affrancarsi dal proprio difensore legittimamente impedito, chiedendo che si proceda in sua assenza, anche al caso in cui questi si faccia latore di una mera richiesta di rinvio per adesione alle astensioni dalle udienze − parrebbe formalmente impedita dalla già ricordata non riconducibilità dell’astensione dalle udienze del difensore ai casi di legittimo impedimento vero e proprio.
1 Cass. pen., 29.1.2008, n. 7786.
2 C. cost., 27.5.1996, n. 171.
3 Vedi art. 1, co. 2, lett. a), l. 12.6.1990, n. 146, sul punto della inclusione, fra i servizi pubblici essenziali, della «amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione».
4 Cass. pen., 11.5.1998, n. 6528; Cass. pen., 16.2.1998, n. 936. In dottrina, Mendoza, R., Trasmissione di atti via telefax e astensione collettiva dalle udienze da parte degli avvocati, in Cass. pen., 1999, 2255.
5 Tra le altre, Cass. pen., 8.2.2010, n. 18071; Cass. pen., 17.6.2008, n. 25714; Cass. pen., 12.2.2008, n. 20574.
6 Grevi, V., L’adesione allo “sciopero” dei difensori non costituisce “legittimo impedimento” (a proposito del regime di sospensione del corso della prescrizione), in Cass. pen., 2006, 2059; Iafisco, L., Nuovo orientamento della Suprema Corte in tema di adesione del difensore alle astensioni dalle udienze e regime della prescrizione: inapplicabili i limiti di durata della sospensione previsti per il legittimo impedimento, ivi, 2008, 4088.