ASTI
(lat. Hasta, Asta)
Città del Piemonte e capoluogo di provincia. Le vicende cittadine, oscure fino a tutto il sec. 8°, rendono ancora essenziali le testimonianze di Claudiano nel sec. 3° circa i moenia vindicis Astae (Bordone, 1980, p. 15) e di Paolo Diacono (Hist. Lang. V, 5; PL, XCV, col. 598), che suggerisce, nel sec. 7°, una sostanziale permanenza del nucleo abitativo. A. dovette avere nei primi secoli del Medioevo una posizione particolarmente privilegiata. Ne è testimonianza il perdurare di organismi amministrativi legati al potere politico: la sede vescovile almeno dalla metà del sec. 5°, la corte ducale durante la dominazione longobarda, la sede comitale nel periodo franco (Serra, 1952). Nei primi decenni del sec. 9° l'impero legittimò la giurisdizione che i vescovi di fatto già esercitavano sulla città (Bordone, 1980), estendendola poi progressivamente su quasi tutto il territorio comitale. Parallelamente si concedevano ai mercatores astigiani quegli ampi privilegi sulle strade dell'impero, attraverso cui si sarebbe modellato il carattere peculiare della società cittadina nei secoli seguenti. È quindi ovvio che giudici, notai e mercanti appaiano come i gruppi emergenti del sec. 10°; essi divennero sempre più stabilmente partecipi dell'amministrazione vescovile dello stato, fino ad assumere in proprio i poteri pubblici entro la prima metà del 12° secolo. L'elemento economico fu la base dell'istituzione comunale astigiana, i cui soggetti più eclatanti sembrano essere le solide 'casane' familiari, detentrici di filiali in tutta Europa e in grado di finanziare grandi imprese politiche e militari (Abrate, 1977; Fissore, 1977). Dopo aver tenacemente contrastato per circa un secolo l'impero, A. ottenne una posizione di primo piano fra i comuni dell'Italia settentrionale; la sua potenza raggiunse l'apice nei primi decenni del Duecento, efficacemente sostenuta dall'economia mercantile.Dopo la sconfitta nella guerra con i conti di Savoia (Daviso di Charvensod, 1961, pp. 59-107), A. rimase coinvolta nel gioco delle potenze dominanti nell'area subalpina: dovette fare una prima dedizione nel 1314 a Roberto d'Angiò, poi ai Monferrato e in seguito ai Visconti, passando nel 1389 alla signoria orleanese. Al principio del Settecento fu assorbita definitivamente entro il regno sabaudo.
Per l'Alto Medioevo l'esame diacronico della morfologia urbana rimane ancora da definire. Di un castello 'dei Valloni', che Serra (1952, p. 73) riconduce a fondazione romana, rimane la semplice memoria toponomastica a documentare il permanere dell'insediamento abitativo all'interno della cinta romana, o almeno, della sua posizione al di sopra della via Fulvia.Peraltro la storiografia locale accetta concordemente l'ipotesi che entro la cinta muraria l'abitato si fosse contratto verso le falde del colle a N, definendo un nuovo asse principale viario in corrispondenza della via 'alla Cattedrale'; d'altro canto la presenza documentata della chiesa di S. Secondo "non multum longe [...] ubi olim erat curte ducati" (Bosio, 1894, p. 368) fa pensare a un abitato anche nell'area sudorientale, diametralmente opposta al sito del castrum vallonum.Dal sec. 9°, infine, è attestata la presenza del castrum vetus sulla cima del colle, sede dapprima dell'amministrazione comitale laica e, dal 938, dei vescovi-conti, che svolsero una capillare opera di incastellamento e di difesa delle strade su tutto il territorio del comitato. Anche la città e i borghi attigui alle mura subivano una rapida espansione ai piedi delle ristrette difese del castello vescovile (Bordone, 1980, p. 352).La città mercantile si ristrutturò entro l'area del districtus secondo la tipica lottizzazione a insulae nobiliari, inframmezzate dalle aree di proprietà ecclesiastica. La presenza del centro del potere presso la chiesa suburbana di S. Secondo de mercato, e poi presso la cattedrale, sancì il recupero dell'antico tratto della via Fulvia quale asse viario principale e commerciale, mentre la parte alta della città attorno al castrum vetus subiva un progressivo declassamento.Nel momento di massimo fulgore Ogerio Alfieri poteva affermare realisticamente: "Nell'anno di Signore 1280 la città di Asti per grazia di Dio fu quasi completamente rinnovata, piena di ricchezza, cinta da buone mura e nuove, e piena quasi tutta di numerosi edifici, torri, palazzi e case nuove" (Fissore, 1977, p. 227). Queste tipologie edilizie caratterizzano ancora oggi il centro storico astigiano, per la sopravvivenza di numerosi palazzi e case-forti che nell'ultima fase del Medioevo si andarono appoggiando alle più antiche torri.Le guerre che A. sopportò nei secc. 14° e 15° scandirono successive fasi del suo declino commerciale e politico, ma non causarono una crisi demografica. Infatti a metà del sec. 14°, i Visconti fecero eseguire una variante alla cinta muraria per inglobare anche i borghi medievali e avviarono un nuovo ampliamento verso N-E, alle spalle della chiesa di S. Maria Nuova; contemporaneamente costruirono la cittadella, la prima di quelle opere militari che, all'inizio dell'età moderna, trasformarono A. in una piazzaforte tra le più importanti dell'area piemontese.
Nel vasto appezzamento ancora pertinente alla chiesa cattedrale rimangono numerose tracce degli edifici che costituirono, in successive fasi, il complesso delle case canonicali e dei servizi religiosi per il popolo. I reperti più antichi si riferiscono alla chiesa battesimale di S. Giovanni, ristrutturata nel sec. 14°, malamente risistemata nel 1866 e oggi in disuso. La sua cripta è caratterizzata da quattro elementi di sostegno alle sei campate di volta superstiti: quattro fusti di colonne antiche in marmi pregiati, sovrastati da capitelli. Di questi, due risalgono al sec. 4° e sono di tipo corinzio in marmo; gli altri due, a cubo scantonato con leggere incisioni, sono stati assegnati da Porter (1916, p. 73) al sec. 9°, da Bevilacqua Lazise (1911, p. 10) e da Verzone (1971, p. 352) all'8° secolo.L'edificio soprastante è stato solo recentemente riconosciuto da Verzone (1972) come la navata centrale di una basilica d'età carolingia, per le caratteristiche arcate longitudinali a ferro di cavallo, la tecnica costruttiva piuttosto sommaria e le tracce più antiche della decorazione pittorica; riferimento cronologico viene considerato l'incendio dell'844 con la ricostruzione della cattedrale negli anni immediatamente seguenti (Savio, 1898, p. 110).Tra la chiesa di S. Giovanni e la cattedrale esistevano varie costruzioni a uso dei canonici: dei loro chiostri si ha notizia fin dal sec. 10°, ma oggi rimangono solo un edificio a due piani con portico e l'attigua chiesetta di S. Stefano.La chiesa di S. Maria pare sia stata più volte ricostruita nel sito attuale, ma non sempre con funzioni di chiesa matrice (Bosio, 1894, p. 237). Uno dei quattro fonti battesimali in essa conservati, già considerato altomedievale, forse del sec. 7° (Gabrielli, 1977, pp. 28-29), potrebbe essere sensibilmente posteriore, e inoltre trasferito qui da diversa sede; ricavato da un grosso blocco di granito, in forma di capitello, è decorato sulle facce da quattro rosette a sei petali in altorilievo e da quattro mascheroni sugli spigoli di nitida aggettante volumetria. Dell'edificio che papa Urbano II consacrò nel 1096 non rimane quasi nulla, perché fu sostituito dall'attuale costruzione nella prima metà del Trecento. Tuttavia, da numerosi accenni dei documenti e dalle cronache si ricava che l'ampiezza doveva essere uguale all'attuale, che la struttura a tre navate aveva copertura lignea a vista e volte solo nel capocroce. La testimonianza più significativa di quell'edificio è stata rinvenuta nel maggio 1985 sotto l'altar maggiore: un litostrato a tessere policrome suddiviso in dodici riquadri figurati in cui si riconoscono temi iconografici propri dell'età romanica. L'opera, di buona fattura, si ricollega ad altre pavimentazioni musive dell'area piemontese (S. Evasio di Casale Monferrato, le cattedrali di Aosta, di Novara, di Acqui, l'abbazia di Fruttuaria) dei secc. 11° e 12° (Baricco, 1985, tav. 49). Il capocroce della chiesa romanica fu demolito nel 1309 e riedificato entro il secondo ventennio del secolo. Presentava le tre absidi inscritte nel muro est rettilineo, precedute da volte a crociera; il rapporto d'altezza piuttosto modesto fu modificato nel 1764 dal restauro integrativo 'in stile' di Bernardo Vittone. Il corpo longitudinale crollò nel 1321 e fu riedificato nel trentennio successivo. La struttura è del tipo a Hallenkirche in tre navate su robusti pilastri a fascio, reggenti volte a crociera costolonate; il transetto che sporge dai fianchi solo per le absidi terminali, definisce sull'incrocio della navata l'apertura ottagonale della cupola. Verzone (1971, p. 13) e Grodecki (1977, p. 342) hanno rilevato le peculiarità francesi del progetto, che si accordano bene con la soggezione di A., in questi anni, agli Angiò, e con l'episcopato del francese Arnaldo de Rosette, tra il 1329 e il 1348. L'esecuzione materiale dell'opera va invece ricondotta a maestranze locali che adottarono soluzioni caratteristiche dell'area pedemontana, quali la parete piena sobriamente aperta dai finestroni e la decorazione muraria a scacchiera bicroma (tufo e cotto). Un secolo più tardi si aggiunsero due importanti elementi decorativi alle facciate: la galleria cieca ad archetti trilobi sovrapposta alla base della fronte ovest - usata come motivo collegante i tre portali strombati e le loro ghimberghe - e il portico monumentale davanti all'ingresso sud, ricco di decorazioni architettoniche, scultoree e pittoriche.All'interno della chiesa solo le pareti della zona absidale erano ornate di affreschi figurati (distrutti nel rifacimento vittoniano), mentre nel corpo longitudinale "tectum ex fornicato opere picturisque ornatum conspictur" (S. Congregations condilii Relationes, 1599, p. 26), ma le pareti rimasero prive di intonaco fino al 17° secolo.Tra gli arredi si sono conservati il bel coro ligneo a intarsi ancora di forme tardogotiche, firmato da Bernardino de Surso e datato 1477, e il fonte battesimale di marmo bianco, con il bacile ottagono retto da colonnine (Gabrielli, 1977, pp. 81, 100, 101).L'edificio generalmente noto come 'battistero' di S. Pietro in Consavia è stato riconosciuto (Casartelli, 1965) come la chiesa del Santo Sepolcro, edificata nel borgo extramurale di S. Pietro negli anni a cavallo fra 11° e 12° secolo.La chiesa appare un'indubbia imitazione dell'Anástasis gerosolimitana (Casartelli, 1965, p. 29) per la sua pianta circolare con il vano centrale cupolato delimitato da colonne, il deambulatorio anulare voltato, gli ingressi posti a N e a S. Nella veste originaria la costruzione si presentava come un'alta torre ottagonale, fuoriuscente da una più larga base prismatica a ventiquattro lati; piccole monofore si aprivano all'imposta della cupola e della volta anulare, fasce di archetti pensili ne decoravano le cornici sottogronda. Nell'interno, sulla parete perimetrale, perfettamente cilindrica, si stacca la volta in tufo, formata da crociere trapezoidali che poggiano su archi trasversi; gli otto sostegni del guscio centrale sono risolti in forma di tarchiate colonne, costituite da fasce alterne di mattoni e tufo, concluse da capitelli cubici in tufo. Tiburio e cupola, anch'essi costituiti da blocchi litici, poggiano sui capitelli per mezzo di spesse arcature a pieno sesto rialzato.All'inizio del sec. 13° si situano il rialzo del muro perimetrale esterno, che causò la distruzione della fascia di archetti pensili e la chiusura delle finestre nel tiburio, la formazione dei contrafforti e la costruzione dell'atrio vicino alla torre, che metteva in comunicazione la chiesa con il palazzo priorale. Al Tardo Medioevo risalgono invece gli edifici raggruppati attorno al chiostro e la cappella Valperga, una nobile sala quadrata con volta a crociera costolonata.La collegiata di S. Secondo sorge sul luogo dove la tradizione vuole sia stato sepolto il martire, esterna alle mura della città ma subito adiacente a esse.All'interno della cripta a oratorio del sec. 15°, ristrutturata nel 17°, si conserva la più antica testimonianza di culto del santo: parti di muratura dello 'scurolo' e quattro colonnette di recupero, reggenti una volta a crociera a protezione dell'urna. I capitelli, decorati da linee incise, hanno suggerito datazioni al sec. 8° (Porter, 1916, p. 77) o alla seconda metà del sec. 10° (Verzone, 1942, p. 15). Il campanile in mattoni, segnato da numerose fasce marcapiano di archetti pensili in marmo, con aperture gradatamente ampliantesi nei piani superiori, è databile al sec. 11°, per analogia con quello di S. Evasio a Casale (Gabrielli, 1977, p. 43). La chiesa fu ricostruita completamente tra gli ultimi anni del sec. 13° e la metà del secolo successivo, attraverso sospensioni e ripensamenti progettuali. Si ritiene che, almeno all'inizio, si prevedesse qui una replica del modello utilizzato negli stessi anni per la cattedrale, ma la realizzazione appare più legata alla tradizione edilizia locale, per la preminenza della navata centrale rispetto alle laterali, per il contenuto rapporto d'altezza, l'uso delle formelle decorative in cotto attorno alle finestre e la scelta della facciata a capanna anziché a falde spezzate. Bisogna d'altra parte avvertire che, sebbene i due cantieri avessero avuto un contemporaneo avvio, la maggior parte delle murature oggi visibili nella collegiata fu realizzata nella prima metà del Quattrocento, con criteri che ingiustamente la critica locale ha voluto per molto tempo ritenere simili a quelli della cattedrale già compiuta un secolo prima.La cripta del convento di S. Anastasio fu ritrovata nel 1907, durante i lavori di demolizione della soprastante chiesa barocca. In quell'occasione emersero anche le basi del precedente edificio romanico, costruito tra il 1132 e il 1187 (Gabrielli, 1977, p. 11). La chiesa riscoperta si configura come un impianto basilicale orientato, a tre navate con absidi semicircolari; la sua struttura portante era a sistema alternato, impostato sulle tre campate della navata centrale a volta. La cripta sottostante è divisa in tre navatelle, con sette campate a crociera, ed è il risultato di tre fasi successive di costruzione, la più antica delle quali si riferisce alla parte mediana, dove per i sei supporti intermedi sono stati impiegati elementi di recupero appartenenti a epoche diverse: due capitelli del sec. 4°, due del sec. 5° e altri due ancora simili a quelli della cripta di S. Giovanni (Porter, 1916, p. 73; Verzone, 1971, p. 352). Particolarmente eleganti sono i capitelli dell'ampliamento occidentale, coevo alla ricostruzione romanica della chiesa: animali fantastici entro una composizione dominata da linee sinuose, o elementi fitomorfi, in una variante del capitello composito tendente a una disposizione su due ordini sovrapposti. L'ultimo ampliamento fu realizzato, assieme allo spostamento verso E dell'abside centrale, in periodo gotico.
Molti elementi decorativi litici venuti alla luce durante lo scavo della chiesa di S. Anastasio sono stati raccolti nella cripta dopo i recenti restauri: oltre ai vari pezzi della fase romanica, altri appartenenti a fasi precedenti, come il capitello ad aquile e palmette della fine del sec. 7° (Gabrielli, 1977, p. 37).In questo stesso ambiente sono stati recentemente sistemati tutti i pezzi già conservati nel Mus. Archeologico. La raccolta costituisce un'eccezionale documentazione di scultura, di architettura e di epigrafia, unica testimonianza di edifici, distrutti da tempo, realizzati in età compresa tra il 7° e il 15° secolo.Nel tesoro della cattedrale, tra i numerosi oggetti d'oreficeria, va ricordata la croce-reliquiario in argento e cristallo di rocca, donata nel 1276 da Oberto di Cocconato, cardinale di S. Eustachio, già arcidiacono del Capitolo astigiano (Gabrielli, 1977, pp. 30-31). All'estremità dei quattro bracci sono inseriti medaglioni d'oro, decorati a smalto cloisonné con i busti di Cristo Pantocratore, s. Marco, s. Matteo, s. Giovanni Evangelista; la tecnica d'esecuzione è raffinata, paragonabile a quella d'altri lavori di matrice bizantina (croce-reliquiario di Namur, parte centrale della Pala d'oro di Venezia), databile all'11° secolo.Un altro reliquiario è del tipo 'a cattedrale', in argento lavorato a filigrana e cristallo di rocca, di gusto gotico, firmato dal milanese Materniganus de Filipis, attivo per qualche anno nella vicina Savigliano, e datato 1457. Particolarmente ricco si presenta il patrimonio librario costituito in A. negli ultimi secoli del Medioevo; se ne conservano numerosi esemplari nella Bibl. del Seminario e nel palazzo comunale. Preziosi i codici provenienti dall'abbazia di Azzano, tra cui un messale del sec. 12°, con figure miniate ai margini. Nella prima metà del Trecento emerge l'opera del domenicano Damiano Borelli, miniatore di due antifonari (Asti, Bibl. del Seminario, Liber de note, del 1332; Liber Sanctorum, del 1333), in cui si riconoscono elementi francesi e lombardi (Bianco, 1960, pp. 435, 443; Gabrielli, 1977, pp. 34-35, 42, 50, 68). Ricco di spunti fantastici negli arabeschi di contorno, l'autore appare più classicamente composto nell'iconografia tradizionale usata nelle scenette inserite entro le lettere d'inizio pagina.Al ventennio successivo (1358) risalgono le splendide miniature che ornano il Codex astensis (Asti, Arch. Com.) che si ritengono verosimilmente dovute a due artisti milanesi, per la committenza di Giovanni Visconti.
Bibl.:
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