MANFREDI, Astorgio
Terzo di questo nome, figlio di Galeotto e di Francesca di Giovanni (II) Bentivoglio, nacque a Faenza il 20 giugno 1485.
Faenza in quegli anni era governata dal padre del M., al tempo stesso vicario apostolico della città e conte di Val di Lamone, la valle appenninica che comprendeva la maggior parte del contado faentino. Galeotto governava la signoria faentina in seguito a un colpo di mano del novembre 1477 contro i fratelli Carlo e Federico; il sostegno di Lorenzo de' Medici aveva consolidato il suo potere e nel 1481 egli aveva ottenuto anche il vicariato apostolico da papa Sisto IV. La sua posizione non era comunque affatto sicura: quando Galeotto fu ucciso il 31 maggio 1488 in una congiura della moglie spalleggiata dal padre e sostenuta dalle élites urbane faentine, Faenza divenne una pedina territoriale importante da controllare.
Alla morte di Galeotto, secondo il testamento di suo padre Astorgio (II), la successione sarebbe spettata a Ottaviano di Carlo (II), il più grande dei nipoti. In realtà, essendo la città in mano a Giovanni Bentivoglio, fu acclamato signore il M., che aveva appena tre anni, usurpando il diritto del cugino sedicenne. Il disegno di Giovanni era di rendersi di fatto signore di Faenza governando in nome del nipote. La reazione non si fece attendere: il 4 giugno, all'arrivo a Faenza del capitano sforzesco Giovan Pietro Carminati di Brembilla, detto il Bergamino, con una squadra di uomini d'arme da Forlì, la città insorse, mentre il commissario fiorentino Giovanbattista Ridolfi radunava armati in Val di Lamone per conto della Repubblica, di cui Galeotto era sempre stato stipendiato e aderente. Carminati di Brembilla fu trucidato, Giovanni Bentivoglio catturato e trasferito a Modigliana, e Francesca, chiusa nella rocca con il piccolo M., fu consegnata ai Fiorentini dal castellano, il faentino Simone Zuccoli, fra il 6 e l'8 giugno. Pochi giorni dopo, la disputa intorno alla struttura e agli indirizzi della reggenza sotto autorità fiorentina era terminata: il M., sottratto alla tutela della madre, rifugiatasi a Bologna, fu consegnato al nuovo castellano della rocca di Faenza, Nicolò Castagnini.
Castagnini prese in custodia il M. in ottemperanza agli accordi provvisori intercorsi fra il Comune di Faenza, la Comunità di Val di Lamone e la Repubblica fiorentina, che avrebbe assunto la protezione del suo Stato e gli avrebbe corrisposto una condotta annua uguale a quella già goduta dal padre: 10.000 ducati (14.000 in caso di guerra). In cambio il commissario fiorentino avrebbe affiancato gli Anziani del Comune nel disbrigo degli affari pubblici per conto del Manfredi.
Nell'estate 1489 Caterina Sforza Riario propose il matrimonio del M. con la figlia Bianca, di quattro anni maggiore: il parentado non dispiacque a Giovanni Bentivoglio, che ne parlò a Lorenzo de' Medici in settembre; non conosciamo la data del consenso di Lorenzo, che dovette arrivare nei primi mesi del 1490, anno in cui la condotta fiorentina fu rinnovata al M. alle precedenti condizioni (come poi anche nei primi mesi del 1493). Negli ultimi giorni del gennaio 1495, con il benestare del duca di Milano Ludovico Sforza detto il Moro, fu annunciata la conclusione del contratto matrimoniale fra il M. e Bianca Riario. Contemporaneamente il Moro prese in condotta il M., ormai decenne: la tutela fiorentina si era infatti allentata per gli eventi che avevano travolto l'egemonia medicea a Firenze con la discesa del re di Francia Carlo VIII.
L'allineamento sforzesco rinsaldava temporaneamente il legame fra Faenza e i Riario di Imola e di Forlì: nel corso dell'anno peraltro la mancata corresponsione della condotta milanese allentò nuovamente questa estemporanea alleanza e a Faenza, vista fuori gioco la Repubblica fiorentina, si prese a guardare a Venezia. Il Consiglio di reggenza faentino era in trattative con Venezia nel novembre 1495: il 15 dicembre il M. firmava la nuova condotta veneziana per 8000 ducati annui. Avevano contribuito ad accelerare le trattative i movimenti di Ottaviano Manfredi, sinora in Toscana. Infatti, a dicembre, Ottaviano si diresse in Val di Lamone: a capo degli uomini di Val di Lamone, guidati da Dionigi e Vincenzo Naldi, si avvicinò a Faenza nella notte del 18 dicembre, contando probabilmente su appoggi interni; fu un tentativo improvvisato e mal coordinato, dagli esiti fallimentari.
Il nuovo provveditore veneziano a Faenza, Domenico Trevisan, non tardò a operare in modo da screditare e indebolire la reggenza faentina, in particolare il castellano Nicolò Castagnini e il Consiglio di reggenza, con il pretesto di agire in nome e per l'esclusivo vantaggio del giovane principe. I rapporti fra i reggenti e i rappresentanti veneziani si fecero tesi, e lo stesso M. (peraltro appena undicenne) inviò messi a Venezia per lamentarsene. La situazione era difficile: l'influenza veneziana in Romagna era sempre più solida e Milano non era in grado di sostenere Caterina Sforza nei suoi tentativi di conservare punti di appoggio filosforzeschi nella regione. In seguito ai rapporti conflittuali con la reggenza faentina, Trevisan fu richiamato a Venezia nel 1497: i Faentini temettero allora le conseguenze di questa semiribellione, che in effetti si tradusse in una decurtazione dei pagamenti della condotta. La morte di Carlo VIII (7 apr. 1498) cambiò la situazione: la necessità del controllo della città e il rischio di scontentare i Faentini spinsero Venezia a riassegnare la condotta al M. per un anno, al soldo di 8000 ducati (27 settembre). Durante la guerra di Pisa, Firenze permise a Ottaviano Manfredi, suo condottiero, di recarsi in Romagna, a Castrocaro e poi a Forlì, a minaccia del cugino Manfredi.
Nella primavera 1499, grazie alla mediazione di Ercole I d'Este, fu stipulata la pace fra Venezia e Firenze: le manovre per condurre in porto il matrimonio forlivese del M. ripresero, e grazie a esse ripresero anche gli sforzi di Caterina Sforza per sottrarre il M. all'orbita veneziana. Era nel frattempo stato ucciso Ottaviano Manfredi, che rappresentava l'ultima minaccia per il M., interna alla signoria. Con la morte di Ottaviano, caro a Caterina Sforza, i rapporti tra Faenza e Forlì si raffreddarono di nuovo: i quattro tutori del M. lo ricondussero dunque per un altro anno con Venezia.
Nel 1499 peraltro le vicende di Faenza vennero travolte da eventi che dovevano modificare definitivamente gli assetti della storia peninsulare: il 6 ottobre il re di Francia Luigi XII entrò in Milano, conquistata in poche settimane; lo accompagnava Cesare Borgia, da pochi mesi marito di Carlotta d'Albret e duca di Valentinois. Nel novembre 1499 Cesare Borgia, nominato luogotenente da Luigi XII, mosse verso la Romagna, dove intendeva crearsi, venticinque anni dopo Girolamo Riario, uno Stato come principe "pontificio"; conquistò Imola l'11 dic. 1499 e Forlì un mese dopo, nonostante la disperata resistenza di Caterina Sforza; dovette a quel punto interrompere le operazioni per combattere Ludovico il Moro, rientrato in Milano. Il successivo soggiorno di Cesare Borgia a Roma per riorganizzare le forze diede qualche mese di respiro a Faenza, dove il M. e i suoi tutori si erano sin troppo chiaramente avveduti che l'alleanza che legava Venezia al re di Francia e a papa Alessandro VI avrebbe posto in serio rischio la loro, seppur limitata, libertà.
Il papa aveva infatti dichiarato decaduti i vicariati apostolici assegnati ai signori romagnoli per i ritardi nel pagamento dei censi dovuti alla S. Sede: le truppe inviate da Venezia a Ravenna non sembravano garanzia sufficiente a resistere alle insistenze del pontefice. I Faentini mandarono a Roma un emissario a pagare il censo dovuto, ma questo venne rifiutato. Il M. allora si recò personalmente a Venezia nell'aprile 1500: la Serenissima promise di rinnovare la condotta del M., che sarebbe scaduta nel dicembre successivo.
La definitiva sconfitta di Ludovico il Moro nella primavera 1500 segnò la fine della signoria manfrediana: il papa infatti il 31 maggio propose a Venezia che se la Repubblica avesse tolto la propria protezione su Faenza, Rimini e Pesaro egli avrebbe armato 10 galee contro i Turchi; il destino del M. sarebbe stato un cappello cardinalizio.
Venezia, pressata dall'urgenza di combattere i Turchi nel Mediterraneo, a settembre cedette e diede il via libera all'iniziativa papale, rescindendo le condotte romagnole. Il M. e i Faentini, sorretti dalla speranza di aiuti da parte di Francesco Gonzaga e di Giovanni Bentivoglio, decisero di resistere. Cesare Borgia entrava a Pesaro il 27 ottobre ed era a Rimini il 30. Apparve chiaro che se Faenza era fedele al M., la Val di Lamone, su cui i tutori del M. avevano incrudelito nel 1498 dopo l'assassinio di Ottaviano Manfredi, non era legata in alcun modo a quanto restava della dinastia dei Manfredi. Lo stesso Dionigi Naldi, di Val di Lamone, che aveva combattuto accanto a Ottaviano e che l'anno precedente aveva difeso la rocca di Imola, era passato dalla parte di Cesare Borgia.
Faenza si apprestava alla difesa, avendo ricevuto un piccolo contingente di uomini da Mantova: essendosi arresa la Val di Lamone come prevedibile, il 16 novembre Cesare Borgia era sotto le mura della città, ma l'impresa si rivelò difficile e lenta. Egli dovette sospendere le operazioni durante l'inverno: solo il 25 apr. 1501 riuscì infine a firmare i patti di resa, che garantivano alla città e al M. condizioni accettabili.
Il 26 aprile il M. uscì da Faenza con il fratellastro Giovanni Evangelista (nato nel 1482 da Galeotto e dalla ferrarese Cassandra Pavoni) per recarsi a rendere omaggio a Cesare Borgia, padrone ormai della città. Il M. e il fratello lo seguirono a Roma, dove giunsero ai primi di luglio.
Guicciardini (p. 461) narra la fine del M.: "ma Astore, che era minore di diciotto anni e di forma eccellente, cedendo l'età e l'innocenza alla perfidia e crudeltà del vincitore, fu, sotto specie di volere rimanesse nella sua corte, ritenuto appresso a lui con onorevoli dimostrazioni; ma non molto tempo poi condotto a Roma, saziata (secondo si disse) la libidine di qualcuno, fu occultamente insieme con uno suo fratello naturale privato della vita". Donati ricostruisce gli eventi che precedettero la scomparsa del M., spostando però la vicenda di un anno sulla base di fonti documentarie. Il M. sarebbe stato ucciso con il fratello in riva al Tevere per strangolamento e i loro corpi sarebbero stati gettati in acqua, i primi giorni del giugno 1502, dopo che era stata diffusa ad arte la voce di un loro trasferimento a Piombino.
Terminava così la dominazione manfrediana su Faenza: la vita del M., morto a meno di diciott'anni dopo quindici anni di signoria fantasma, in cui altri governarono per lui in un contesto politico difficilissimo, trova una sua romantica giustificazione nella disperata resistenza dei Faentini di fronte all'"esercito molto fiorito di capitani e soldati" di Cesare Borgia "per conservarsi nella soggezione della famiglia de' Manfredi, dalla quale erano stati per moltissimi anni signoreggiati" (Guicciardini, pp. 454 s.).
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