GIANNI, Astorre
Nacque a Firenze, intorno al 1380, nel quartiere S. Giovanni, gonfalone Leone d'Oro: la data del 1379 si deduce dalla portata al Catasto del 1427, in cui il G. risulta avere 48 anni ed è riferita anche dal Passerini; tuttavia, la sua nascita potrebbe essere avvenuta anche due anni dopo, nel 1381, dal momento che anche nelle attestazioni di età del 1429, contenute nei registri del fondo Tratte, egli dichiarava di avere 48 anni (Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 79, c. 1r). Della madre del G. si conosce solo il nome, Gherarda, mentre del padre, Niccolò di Gherardino, si sa che ricoprì importanti cariche politiche, conseguendo in particolare il priorato nel 1350, nel 1353 e nel 1362 (ibid., 57, cc. 90v, 94r, 103v); il G. ebbe cinque fratelli: Niccolò, Gherardino, Piero, Bartolomeo, Ugo, e una sorella, Bartolomea.
Non si hanno notizie sulla giovinezza e la formazione culturale del G., che si sposò assai presto, nel 1398, con Benedetta di Piero Canigiani, dalla quale ebbe nove figli: Giovanni, che sposò Bonda di Barnaba degli Agli; Niccolò; Luigi, che si unì a Pippa di Antonio Barbadori; Gherardo, che divenne monaco nella badia fiorentina; Ridolfo; Iacopa; Camilla, sposata nel 1422 a Salvatore Bini; Dianora, unitasi nel 1419 a Salvestro Pucci del Chiassolino; Cosa, morta in tenera età. Nell'ultima dichiarazione fiscale del G. (1447) non compare più la moglie Benedetta, verosimilmente morta, mentre sono registrati altri tre figli del G., Gismondo di 15 anni, Alessandra di 5 anni e Maddalena di 4 anni: questi ultimi potrebbero essere figli naturali, in quanto è improbabile che la stessa Benedetta, che nel 1433 aveva già 47 anni, abbia potuto partorire ancora in età così matura.
Il G. entrò ben presto nella vita politica, divenendo un esponente di rilievo del reggimento guidato dal partito albizzesco, nell'ambito del quale ricoprì numerosi uffici e svolse delicate missioni diplomatiche, assumendo in particolare un ruolo di primo piano, anche se controverso, durante la guerra che Firenze intraprese contro Lucca nel 1429.
Il 28 ag. 1409 il G. conseguì la sua prima carica pubblica come podestà di Colle. Nel 1411 si qualificò per i tre maggiori uffici e l'8 luglio dello stesso anno divenne capitano della cittadella di Arezzo. Dal 25 apr. 1412 fu dei Dieci di Pisa e nel 1413 fece parte della Balia deputata della riforma della magistratura dei capitani di Parte; in questo stesso anno, dal 1° giugno, entrò nella magistratura degli Otto di custodia e nel bimestre luglio-agosto seguente ottenne per la prima volta il priorato; dall'11 febbr. 1414 fu ragioniere del Comune e dal 5 settembre seguente vicario del Valdarno inferiore. Nel 1415, dal 18 ottobre, fu regolatore dei contratti, dal 1° giugno 1416 camerario di Camera, dal 1° apr. 1417 capitano di Orsammichele e dal 2 ottobre seguente vicario della Val d'Ercole e del Valdarno inferiore.
In una istruzione del 29 sett. 1418 diretta a Leonardo di Stagio Dati, Lorenzo Ridolfi, Rinaldo degli Albizzi, Bartolomeo Valori e Ridolfo Peruzzi, inviati a Roma presso il papa Martino V, si fa riferimento a un prestito di denaro effettuato dal G. alla Camera apostolica e si incaricano gli ambasciatori di sollecitare il pontefice affinché restituisca il debito (Arch. di Stato di Firenze, Signori. Legazioni e commissarie, 6, c. 91v). Il G. ebbe ancora gli uffici di provveditore della Camera del Comune dal 1° febbr. 1419 e di ufficiale delle Carni dal 7 apr. 1421. In questo stesso anno, il 26 giugno, il G. venne inviato insieme con Giuliano Davanzati presso il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, e quindi presso il doge di Genova Tommaso Fregoso; la partenza avvenne il 2 luglio e il ritorno a Firenze il 12 agosto seguente. Scopo della missione era quello di indurre il signore di Milano, che aveva effettuato un attacco contro Genova, a desistere dalla sua politica espansionistica, dal momento che, se il porto ligure fosse caduto sotto il Visconti, questi avrebbe controllato gran parte del commercio fiorentino nel Mediterraneo, con ulteriore pericolo per Livorno e Porto Pisano, che allora si trovavano sotto il dominio genovese. Sempre nel 1421, il 19 ottobre, il G. ricevette in dono da Bernardo di Castello Quaratesi - che si era impegnato a restaurare e ampliare la chiesa di S. Niccolò Oltrarno - una cappella con sepoltura, situata nella stessa chiesa accanto a quella dei Quaratesi, le abitazioni dei quali in S. Niccolò confinavano con quelle dei Gianni.
Nel 1422, dal 1° agosto il G. fu dei Dieci della libertà e dal 1° apr. 1423 podestà di Arezzo; nel 1424, dal 15 maggio, fu nuovamente degli Otto di custodia e dal 1° dicembre seguente ufficiale della Condotta. Dal 18 ott. 1425 entrò in ufficio come regolatore dei Contratti; camerario delle Prestanze dal 23 ag. 1426, nel 1427, per il bimestre marzo-aprile, conseguì il gonfalonierato di Giustizia. In questo stesso anno effettuò la sua prima denuncia catastale, dalla quale risulta che abitava nel "popolo" di S. Niccolò con la famiglia, in una casa divisa per metà con gli eredi di Luigi di Piero di Gherardino - abitazione che divenne poi un palazzo, come venne dichiarato nel 1433 - e che possedeva un podere nella Pieve a Ripoli.
Nel maggio del 1428 il G. vinse lo scrutinio per il gonfalonierato di Giustizia; e nel 1429, dal 1° agosto, fu dei Regolatori dei contratti. In questo stesso anno è documentata la sua partecipazione alle consulte riguardanti l'eventualità di muovere guerra contro Lucca e il suo "tiranno", Paolo Guinigi, ritenuto colpevole di essersi schierato dalla parte dei Visconti nella precedente impresa militare sostenuta dai Fiorentini contro Milano, conclusasi in modo insoddisfacente. La questione lucchese fu tuttavia molto controversa per la divisione che essa provocò all'interno del reggimento fiorentino. Il 7 ott. 1429 il G. si schierò dalla parte di Niccolò da Uzzano, che manteneva un atteggiamento di vigile prudenza, consigliando di trattare con gli oratori inviati dal signore di Lucca, Filippo da Lucca e Iacopo Viviani. Il 26 novembre venne scelto come arbitro in una lite sorta, sempre in materia lucchese, tra Niccolò da Uzzano e Niccolò Soderini; il 2 dicembre successivo, essendo ormai stato deciso l'attacco, il G. discusse, insieme con Rinaldo degli Albizzi, Giuliano Davanzati e Giovanni Minerbetti, circa i provvedimenti da adottare per la guerra. Il 16 dello stesso mese venne nominato dai Dieci di balia commissario in campo insieme con Rinaldo degli Albizzi e il 17 ricevette le relative istruzioni. Il nutrito carteggio che i due commissari intrattennero con i Dieci - il cui materiale documentario non è più conservato - fu pubblicato da C. Guasti e consente di seguire tutte le fasi della campagna militare. Il G. si separò ben presto dall'Albizzi per portare il campo sotto Pietrasanta al fine di tagliare la via ai rifornimenti che fossero giunti ai Lucchesi dalla Lombardia (11 genn. 1430); in seguito si trasferì a Montuolo, presso Ponte San Pietro, da dove effettuò una serie di scorrerie verso Lavenza, mantenendosi in stretto contatto con le forze dell'Albizzi: da Montuolo scrisse il 13 febbr. 1430 una lettera ad Averardo de' Medici, che si trovava a Pisa in carica come console del Mare, relazionando sulla situazione logistica e raccomandandogli i figli Niccolò e Luigi (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, II, 207). Il 16 febbraio seguente il G. ripartì per Firenze richiamato dai Dieci e interrompendo così il suo mandato: al riguardo la questione non è chiara e diverse sono le versioni che ne sono state date. Giovanni Cavalcanti attribuì al G. un comportamento iniquo e crudele, accusandolo di aver perpetrato una serie di atrocità ai danni della popolazione lucchese e sostenendo che egli venne richiamato a Firenze dai Dieci con una lettera in cui sarebbe stato ritenuto non più degno ("indiletto") dell'amore della sua patria e quindi sostituito con Rinaldo degli Albizzi.
È probabile che, con questa presa di posizione, il Cavalcanti, manifestamente antimediceo e contrario alla guerra contro Lucca, tendesse a rivalutare piuttosto la figura di Rinaldo, che pone infatti in grande evidenza arrivando addirittura a falsare gli avvenimenti storici, in quanto l'Albizzi non venne nominato commissario al posto del G., ma insieme con lui. Niccolò Tinucci, all'epoca notaio dei Dieci di balia, sostiene che il G. venne richiamato a causa dell'intervento di Averardo de' Medici che istigò i Dieci a prendere una decisione in tal senso (Examinadi ser Niccolò Tinucci, in Cavalcanti, Istorie, pp. 414-416) e così il Machiavelli; il Guasti (Commissioni, III, p. 209) mantenne un giudizio equidistante, facendo tuttavia notare che, se anche il G. venne in effetti accusato di aver rubato al castellano di Lavenza un cavallo e 33 fiorini d'oro, tuttavia egli venne assolto il 26 maggio 1430 dai Conservatori di legge, con la certezza che non vi erano altre testimonianze a suo carico. Secondo il Guasti, il G. sarebbe stato vittima - come lo fu anche l'Albizzi - di calunnie a causa di un clima esacerbato per una guerra da cui Firenze non uscì vittoriosa. Per una tale ipotesi propende anche il Capponi, che ritiene il G. vittima del contrasto esistente tra le fazioni politiche cittadine.
Il G. fu dal 1° ott. 1430 dei Sei di mercanzia; dal 13 febbr. 1431 conservatore di Legge e nel successivo bimestre luglio-agosto conseguì per la seconda volta il priorato; nell'agosto dello stesso 1431 vinse lo scrutinio per il priorato. Dal 1° genn. 1432 fu ancora degli Otto di custodia; il 25 febbr. 1433 venne inviato come ambasciatore presso Eugenio IV in relazione al salvacondotto da lui promesso all'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, assicurandolo per conto della Signoria che questi avrebbe avuto tutta l'assistenza possibile nel caso fosse transitato sul territorio fiorentino e pregandolo, inoltre, di una mediazione per la conclusione della pace con i Senesi. Il 9 settembre successivo il G. prese parte, come membro dell'ufficio dei Sei della mercanzia, alla Balia con la quale venne decretato l'esilio di Cosimo de' Medici e ai suoi fautori. Nello stesso anno il G. partecipò allo scrutinio indetto nell'ottobre, nel quale svolse le funzioni di accoppiatore, qualificandosi inoltre per i tre maggiori uffici. Nuovamente entrò a far parte della Balia del 28 sett. 1434 che, ribaltando la situazione dell'anno precedente, richiamò i Medici a Firenze, determinando così la fine del regime albizzesco e l'avvio di quello mediceo.
L'adesione del G. al nuovo governo instaurato da Cosimo è documentata dalla sua partecipazione, il 2 nov. 1434, alla pratica in cui vennero decisi i provvedimenti relativi alle epurazioni politiche che colpirono fra gli altri lo stesso Rinaldo degli Albizzi. In conseguenza del mutato scenario politico, l'anno seguente, il 25 febbr. 1435, il G. venne nominato provveditore della casa della sapienza insieme con Bartolo di Bartolo Tedaldi al posto di Palla Strozzi e Ridolfi Peruzzi, banditi da Firenze in base alle proscrizioni del 1434.
Nel 1444, in un clima di grande tensione per lo scadere delle condanne di numerose persone che erano state esiliate o private dei diritti politici nel 1434 e poiché il regime mediceo temeva una reazione da parte della coalizione avversa, venne istituita una nuova Balia, che non solo rinnovò le proscrizioni del 1434 per altri dieci anni, ma le estese a molti altri cittadini, fra i quali vi erano anche coloro che avevano ricoperto la carica di accoppiatore nel 1433: in seguito a questi provvedimenti, anche il G., il 2 giugno, venne privato per vent'anni dei diritti politici insieme con i fratelli e i figli.
Nella sua ultima portata catastale del 25 febbr. 1447, effettuata congiuntamente al fratello Piero, il G., ormai vedovo, risultava avere a carico una numerosa famiglia, costituita dai figli maschi, dalle nuore Bonda e Pippa e da numerosi nipoti. Alla metà del palazzo di cui era proprietario a S. Niccolò si era aggiunta una casetta con orto: il G. denunciava lo stato di difficoltà economica in cui si trovava e la necessità a cui era stato costretto nel passato di ricercare uffici per vivere: il che ormai non poteva più fare. Il G. morì a Firenze il 17 luglio 1449 e venne sepolto in S. Croce.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 64, cc. 207r-208r (1427); 393, cc. 4r-5r (1430); 487, cc. 39r-40r (1433); 646, cc. 17r-18r (1447); Tratte, 8, c. 9r; 57, cc. 90v, 94r, 103v, 155v, 165v, 169r; 79, c. 1r; 170, cc. 11r, 12v; 171, cc. 1r-17v; 359, c. 1r; 361, c. 1r; 362, c. 1r; 363, c. 1r; Consulte e pratiche, 48, cc. 92r, 112r, 118r, 125r, 127v; 50, cc. 205r, 206v; Signori. Legazioni e commissarie, 6, cc. 91v, 123v-125r (1421); 9, cc. 64r-70v (1433); Signori. Rapporti di oratori fiorentini, 2, cc. 89r-92r (13 ag. 1421); Mediceo avanti il principato, II, 167 (31 genn. 1430); II, 207; Balie, 24, c. 7v; 25, c. 2v; Capitano del Popolo, 3476, cc. 27r-28r; Ufficiali della grascia, 189, c. 120r; Manoscritti, 292, c. 678; 348, cc. 57r-59; 360, cc. 41r, 459 s.; 624, cc. 220, 415, 433; CarteCeramelli Papiani, 2351; Firenze, Bibl. nazionale, CartePasserini, 188; Poligrafo Gargani 952; Magl. XXVI.147, c. 111v; Delizie degli eruditi toscani, XIX (1785), pp. 25, 77, 87, 100; D.M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi, VII, Firenze 1791, p. 123; XV, ibid. 1794, pp. 66-69; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di F. Polidori, Firenze 1838, pp. 308-321, 414-416; C. Guasti, Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze dal 1399 al 1433, I, Firenze 1867, pp. 301, 354; III, ibid. 1873, pp. 191 s., 209; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, pp. 494-496; Statuti della Università e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 248-250; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di M. Martelli, Firenze 1970, pp. 727 s., 731; G. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, p. 434; D. Kent, The rise of the Medici faction in Florence, 1426-1434, Oxford 1978, pp. 85, 261 s., 265, 272 s., 345.