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ASTRAGALO

di R. D. V., A. Mas., B. B. M. - Enciclopedia Italiana (1930)
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ASTRAGALO

R. D. V.
A. Mas.
B. B. M.

. Anatomia. - Col nome di astragalo (gr. ἀστράγαλς, che nella lingua omerica significa "vertebra") si indica l'osso del piede accolto sotto il piedestallo tibiale nella forca malleolare, che ne abbraccia il corpo; esso nell'uomo appoggia in basso largamente sul calcagno con tre superficie e anteriormente si adatta con l'ampia testa nella concavità dello scafoide (v. fig.).

Esso rappresenta una soprastruttura sulla volta del piede, e più precisamente sull'arco posteriore; soprastruttura che ripartisce sul calcagno e sullo scafoide, in maniera differente, il carico che le viene trasmesso dalla tibia; gravitando tanto più sul calcagno, quanto maggiore è la flessione dorsale del piede e trasferendo un gravame tanto più intenso sullo scafoide, quanto più la punta del piede è abbassata in estensione. Nella stazione eretta e nel cammino le sue strutture sono quindi variamente sollecitate, in ragione dell'atteggiamento plantigrado e digitigrado assunto dal piede nei differenti tempi dell'appoggio.

L'astragalo presenta cospicue alterazioni morfologiche primitive nel piede torto congenito; le quali si accentuano in conseguenza degli adattamenti secondarî alle sollecitazioni statiche che lo gravano in direzioni abnormi.

L'astragalo può subire fratture da causa diretta (specialmente per azione di proiettili d'arma da fuoco); ma più di frequente da causa indiretta (come nella precipitazione dall'alto). La radiografia ha dimostrato che, nella caduta sulla pianta, l'astragalo è molto più soggetto a fratture di quanto un tempo non si ritenesse. Si frattura più facilmente nel suo collo, quando nella caduta il piede subisce l'urto d'arresto in atteggiamento di flessione dorsale; è più soggetta a lesioni la testa, se il piede incontra il suolo con la punta. In questo ultimo caso, che è più frequente, l'astragalo subisce sulla testa la pressione trasmessagli dal suolo attraverso le ossa del pilastro interno del piede, mentre sul corpo subisce la pressione trasmessagli dalla tibia; preso fra le due forze opposte, tende a sgusciarsi in avanti, enucleandosi dallo scafoide, se i vincoli legamentosi che lo uniscono ad esso vengono a cedere (lussazione); a meno che le sue strutture non si interrompano prima dei legamenti (frattura).

Eccezionalmente sede di flogosi acuta (se non per infezioni dirette), l'astragalo nell'infanzia e nell'adolescenza è spesso colpito da osteiti croniche (tubercolari), specialmente nelle sue superficie articolari, partecipando al processo osteoartritico della tibio-peroneoastragalica, della sotto-astragalica e della astragalo-scafoidea.

Di rado invece l'astragalo è affetto da tumori (primitivi o secondarî).

Architettura. - In architettura si dicono astragali le modanature che separano il fusto della colonna dal capitello e dalla base. È incerto se gli astragali siano stati scolpiti sin dalle origini nel fusto della colonna o rispettivamente nel capitello e nella base. Ma anche in quest'ultimo caso essi facevano parte molto probabilmente del monolite del fusto. In tale senso pare si debba interpretare quel passo (III, 5, 7) ove Vitruvio, parlando dell'astragalo in cima al fusto, lascia chiaramente supporre che esistesse anche un astragalo scolpito nella base di esso. Gli astragali servivano forse a facilitare la messa in opera e ad eliminare gli spigoli vivi soggetti a facile rottura. In seguito, mentre il toro dell'astragalo inferiore passò definitivamente a far parte delle modanature della base, l'agtragalo superiore, che poteva essere ricavato nel monolite del fusto senza bisogno di aumento di diametro, perché la rastremazione forniva un sufficiente aggetto, rimase a coronare il fusto della colonna. E ciò è soprattutto evidente nei resti di alcuni edifici antichi, ove i marmi colorati dànno particolare risalto alle diverse parti che compongono la colonna. Le sagomature sono semplicissime: in genere un ovolo e un listello, quasi sempre lisci. Assai spesso gli astragali erano sottilmente intagliati a grani tondi e grani ovali. Nell'ordine dorico greco il capitello è separato dalla colonna da tre o quattro piccoli listelli, come nel tempio di Posidone a Pesto, nel Partenone ecc.

Il nome di astragali si dà, per analogia, anche alle piccole modanature poste a una certa distanza dalla cimasa di coronamento, agli anelli di ferro che decorano superiormente le barre di una rampa di scala, e simili.

Il giuoco degli astragali nell'antichità. - Nell'antichità fu usato, analogamente al dado, come mezzo di giuoco l'astragalo del tarso posteriore di capre o montoni (Cels., De re medica, VIII,1), o naturale, o riprodotto in materiale svariato (argilla, vetro, madreperla, avorio, oro, pietre preziose, ecc.).

La tradizione letteraria attribuì l'origine di quest'usanza ai Lidî (Erodoto, I, 94; Ateneo, p. 19, A). Nei costumi greci passò forse, sino dall'epoca omerica (Omero, Iliade, XXIII, 88) e certo almeno nel sec. IX-VIII: si sono trovati numerosi astragali nella necropoli di Lemno e nell'Artemisio di Efeso; nell'epoca classica e ancor più nel periodo alessandrino, tale giuoco era molto diffuso in Grecia, donde passò a Roma.

Al nome di astragalo è associata, nell'antichità, l'idea di piaceri e banchetti: infatti esso designa il re del convito nei Saturnali (Luciano, Saturn., 4; Orazio, Carm., I, 4, 18; Verg., Copa, 37) ed è, talvolta, l'attributo di Venere e delle Grazie (Paus., VI, 24, 5); forse per questo troviamo vasi da bere in forma d'astragalo, come il rhyton a figure rosse di stile severo, qui rappresentato, firmato dall'autore Syriscos. L'astragalo aveva inoltre funzione apotropaica; perciò si portava indosso, e questo spiega perché molti astragali si trovino forati: essi dovettero servire come orecchini, o, mescolati a oggetti analoghi, come collane. Quest'ossicino si usò nei templi per la divinazione (ἀστραγαλομάντεια), finanche nel periodo imperiale (Svet., Tib., 14). Detta la preghiera, si faceva il giuoco dinnanzi all'idolo del dio (Paus., VII, 25, 10) e a quest'uso alludono probabilmente molte rappresentazioni figurate, quali per es. quelle delle monete di Efeso e di Samo, in cui i giuocatori di astragali sono dinnanzi all'idolo.

L'astragalo era carissimo ai fanciulli (Aristofane, Vesp., 295; Plut., Alcib.; Apollonio Rodio, III, 11, 5): un epigramma (Anth. Palat., VI, 308) ricorda che ad un fanciullo furono dati una volta in premio per la sua bella scrittura ottanta astragali. Con questo ossicino si facevano varie specie di giuochi: quattro, nei quali si potevano anche usare le pietruzze, erano comuni ai grandi e ai piccoli, il quinto, analogo al dado, era proprio dei grandi.1. Pari e dispari (ἀρτιασμός: Aristot., Retorica, 3, 5,1; par et impar: Orazio, Sat., II, 3, 248); si prendevano in mano gli astragali a caso, da una borsa, talvolta anche da una scatola a forma di astragalo, e si faceva indovinare se il loro numero era pari o dispari. Tale forma fu usata da fanciulli e da grandi che vi rischiavano forti somme (Aristof., Pluto, 816; Svet., Aug., 71). 2. Il cerchio (εἰς ὤμιλλαν παίζειν: Poll., IX, 102); i giocatori erano posti a una distanza convenuta da un cerchio disegnato, sul quale ognuno doveva scagliare i suoi astragali, spostando quelli dell'avversario: tale forma di giuoco raffigurano due gruppi di terracotta, uno del Louvre e uno del Museo Britannico. 3. La fossetta (τρόπα: Poll., IX, 103), consisteva nel gettare gli astragali in un piccolo buco scavato in terra. 4. Le cinque pietre (πενταλίϑοις παίζειν: Poll., IX, 126), prediletto da donne e fanciulli, e comune anche oggi in Francia e in Grecia, consisteva nel lanciare sassi o astragali per aria, riprendendoli sul dorso della mano destra; se ne cadevano a terra, il giocatore doveva lanciare nuovamente quelli ripresi, e raccogliendo rapidamente i caduti riunirli tutti nel cavo della mano (Poll., loc. cit.). Due fanciulle intente a questo giuoco sono rappresentate in un bellissimo dipinto su marmo trovato ad Ercolano, ora al museo di Napoli, derivato da un grande capolavoro del sec. V: lo stesso soggetto è su vasi a figure rosse. 5. Di questo, che fu probabilmente il giuoco originario, non abbiamo la descrizione completa. A ogni faccia era dato un valore: le facce 2 e 5 mancavano nell'astragalo e, poiché si giocava con quattro astragali, moltissime erano le combinazioni. Di alcune conosciamo il nome e valore: il peggior colpo, di quattro1, era detto cane (Prop., V, 8, 45; Ovid., Trist., II, 474; Luciano, Saturn., 4, ecc.) o avvoltoio (Plaut., Curc., II, 3, 78); il migliore (Marziale, XIV, 14; Luciano, Amor., 16) risultava di 4 facce di differente valore (1, 3, 4, 6) ed era detto Venere (Prop., V, 8, 45; Svet., Aug., 71, ecc.); il colpo di Stesicoro valeva 8 (scolio a Plat., Liside, p. 206); quello, detto di Euripide, 40 (Aten., p. 247; Poll., IX, 101): quindi, in certi casi, almeno una faccia dell'astragalo doveva valere più di 6. Conosciamo il solo nome di altri colpi; l'efebo (Anth. Pal., II, 33, 93), 'Αντιγόξιος, 'Αλέξανδρος, Βερενίκης πλόκαμος, γραῦς, Δαρεῖος, δίκεντρον (v. Esichio, s. v.) basilicus (Plauto, Curc., II, 31 59). Gli astragali portavano lettere o figure (Paus., VII, 26, 10); le regole e i calcoli, sebbene noti ai più, dovevano essere complicati, tanto che sull'argomento furono scritti dei trattati (Ovid., Trist., II, 471 segg.). Il modo più semplice era quello per cui vinceva chi otteneva un maggior numero di punti (πλειστοβολίνδα: Poll., VII, 206) ma talora vinceva invece il colpo di Venere. In mezzo ai giocatori si poneva un premio, che si ingrossava con multe imposte ai cattivi colpi.

Rappresentazioni figurate. - I giocatori di astragali appaiono di frequente nella grande arte pittorica del sec. V: per lo più bambini (i figli di Medea in due celebri pitture pompeiane del museo di Napoli) e fanciulle (cfr. il dipinto di Ercolano su mentovato), ma forse nessuna delle tre deriva da quella della Lesche di Delfi, dove Polignoto dipinse le figlie di Pandareo intente a questo giuoco, coronate di fiori (Paus., X, 30, 2). Nella pittura vascolare a figure rosse e poi nei monumenti ellenistici d'arte industriale il soggetto è molto frequente (bassorilievi, pietre incise, monete ecc.).

Alla grande scultura del sec. V apparteneva il gruppo di bronzo, opera di Policleto, rappresentante due fanciulli intenti al giuoco degli astragali: il capolavoro, che era a Roma nel palazzo di Tito (Plinio, Nat. Hist., XXXIV, 55), è perduto, né di esso si conosce il motivo: ma un gruppo famosissimo di bambini - se ne sono trovate molte repliche intere e frammentarie - dovette esistere nell'arte ellenistica e vi si ispirò la tarda tradizione epica (Apoll. Rod., III, 119; Filostrato, Imag., 8). Alla stessa epoca risale anche un gruppo di giovanette di cui una è riprodotta, col chitone slacciato, tutta presa dalla febbre del giuoco, in una celebre copia in marmo del museo di Berlino, mentre del gruppo conosciamo solo qualche replica in terracotta, un po' diversa, nel motivo, dall'originale.

Bibl.: F. de Ficoroni, I tali e altri strumenti lusorii degli antichi Romani, Roma 1734; L. Grasberger, Erziehung u. Unterricht im klass. Altert., I, Würzburg 1864; L. Becq de Fouquières, Les jeux des anciens etc., Parigi 1869; W. A. Becker, Charikles, II, Berlino 1877, p. 592 segg.; H. Heydemann, Die Knöchelspielerin im Palazzo Colonna zu Rom, in Winckelmanns Programm, II, Halle 1877; L. Bolle, Das Knöchelspiel der Alten, Wismar 1886; Astragalos, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., II, col. 1793; G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., s. v. pentelitha e talus.

Vedi anche
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