astratto/concreto
Coppia di termini, dei quali il primo indica, in senso estremamente generico, ciò che è stato isolato da altre cose con cui si trova in un rapporto qualsiasi, allo scopo di farne uno specifico oggetto di indagine.
In Aristotele il termine astrazione è usato per significare un’operazione che colga l’intellegibile nel sensibile, la forma nella materia. In questo senso l’astrazione rappresenta un momento fondamentale del processo della conoscenza (➔), perché, una volta applicata ai «fantasmi» derivati dalla sensazione, permette l’enucleazione dei concetti, ossia la conoscenza intellegibile. Nella Metafisica (➔) Aristotele esamina vari casi di procedimenti astrattivi. Per es., il matematico spoglia le cose di tutte le qualità sensibili (peso, leggerezza, durezza, ecc.) e le riduce alla quantità discreta e continua. Il fisico prescinde da tutte le determinazioni dell’essere che non si riducano al movimento. Analogamente, il filosofo spoglia l’essere di tutte le determinazioni particolari (quantità, movimento, ecc.) e si limita a considerarlo solo in quanto essere (Metafisica, XI, 3, 1061 a 28 segg.). La conoscenza sensibile consiste appunto nell’assumere le forme sensibili senza la materia, come la cera assume l’impronta del sigillo senza il ferro o l’oro di cui esso è composto. La conoscenza intellettuale, poi, riceve le forme intellegibili astraendole dalle forme sensibili nelle quali sono presenti (L’anima, II, 12, 424 a 18 e III, 7, 431 a segg.). Tale operazione è opera specifica dell’intelletto attivo – concetto peraltro abbastanza problematico nella filosofia peripatetica. Un punto fermo della filosofia aristotelica, comunque, è che l’a. non è più reale del c. da cui è stato isolato e prescelto. L’animalità, per es., non è più reale dei singoli animali, perché veramente reali sono solo le sostanze individuali: esse sono il c. al quale occorre in ogni caso fare riferimento. Questo modo di impostare il rapporto a./c. è svolto da Aristotele in aperta polemica con la teoria delle idee di Platone, secondo la quale le idee non sorgono affatto per astrazione dal c. ma preesistono a esso, e anzi il c. ne è solo una pallida copia.
Il rapporto a./c. fu variamente discusso nel 12° sec. in connessione con il problema degli universali (➔). Tommaso d’Aquino riprese le teorie aristoteliche in relazione al concetto di materia come principio d’individuazione e al rapporto tra intelletto agente e intelletto possibile. L’intelletto non conosce propriamente altro che l’universale. Astraendo dalla materia individuale esso produce le specie intellegibili. Secondo questa impostazione l’astrazione non presuppone alcuna precedente cognizione intellettiva, ma rappresenta un processo mediante il quale l’intelletto come facoltà noetica apprende, tramite le specie sensibili, le forme individuate nella materia. In Duns Scoto e Guglielmo di Occam il concetto di a. subisce una profonda modificazione. Sostenendo che base indispensabile dell’astrazione è la conoscenza intellettiva del singolare, essa assume di conseguenza quei caratteri che verranno poi mantenuti attraverso tutta la speculazione moderna, sia razionalistica che empiristica. Diviene cioè un procedimento attraverso il quale si ottengono concetti o idee generali mediante il raffronto di più elementi particolari, isolandone le caratteristiche comuni.
I rapporti di questa nuova concezione dell’a. con il piano linguistico furono messi in particolare evidenza da Locke, secondo il quale la genesi degli universali (idee o termini che rappresentano tutti gli oggetti della stessa specie) che ha luogo attraverso l’astrazione, conduce poi all’introduzione di nomi generali corrispondenti. «Mediante l’astrazione – egli dice – le idee tratte da esseri particolari diventano le generali rappresentanti di tutti gli oggetti della stessa specie e i loro nomi diventano nomi generali applicabili a tutto ciò che esiste ed è conforme a tali idee astratte. Così, avendo oggi osservato nel gesso o nella neve lo stesso colore che ieri lo spirito ha ricevuto dal latte, esso considera quel solo aspetto e ne fa la rappresentazione di tutte le altre idee della medesima specie. E, avendogli dato il nome bianchezza, con questo suono significa la medesima qualità, dovunque essa venga immaginata o incontrata. In tal modo vengono composti gli universali, sia che si tratti di idee, sia che si tratti di termini» (Saggio sull’intelletto umano, 1690, II, XI, § 9) (➔). La possibilità di ricavare dai particolari c. mediante un processo di astrazione un’idea generale verrà negata da Berkeley e da Hume. Secondo Berkeley è impossibile astrarre l’idea del colore dai colori c., o l’idea dell’uomo dagli uomini concreti. Le idee generali non sono idee prive di ogni carattere particolare, ma idee particolari assunte come segni di un gruppo di altre idee particolari che presentano delle affinità. Il triangolo usato dal geometra in una dimostrazione non è un triangolo a., ma un triangolo particolare, per es. isoscele. Ma poiché di tale carattere particolare non si fa menzione nella dimostrazione, il teorema dimostrato vale per tutti i triangoli, ognuno dei quali può prendere il posto di quello preso in considerazione (Trattato sui principi della conoscenza umana, 1710, Introduzione, § 16) (➔). L’analisi di Berkeley venne ripresa da Hume nel Trattato sulla natura umana (➔) (1740, I, 1, 7): un’idea particolare, scrive Hume, diventa generale quando viene collegata a un termine generale, ossia a un termine che in virtù di una associazione abituale ha una relazione con molte altre idee particolari, e immediatamente le ravviva nell’immaginazione. Nella Dissertazione del 1770 Kant introdurrà una importante distinzione tra i concetti puri, che astraggono da ogni riferimento alla realtà sensibile, e i concetti empirici, per i quali può ancora valere il termine a.; nella visione kantiana i concetti puri o categorie sono fattori di ordine dei fenomeni, e quindi si pongono al di fuori del rapporto a./concreto.
I termini a. e c. subiscono una sostanziale inversione di significato nell’idealismo tedesco e in particolare nella filosofia di Hegel. Per Hegel vero c. è solo l’intero, quindi il processo dello spirito nella sua articolazione complessiva. A. è ciò che viene considerato isolatamente da tale processo, e quindi l’a. è una visione intellettualistica dello stesso. Esempi di astrazione sono tanto la filosofia critica di Kant, ferma alla scissione tra fenomeni e cose in sé, quanto l’idealismo etico di Fichte, prigioniero della «cattiva infinità». Ma neanche l’idealismo oggettivo di Schelling è esente da pecche, perché esso è un insieme privo di articolazioni e di distinzioni al proprio interno. Il vero c., insomma, è «l’identità dell’identità e della non identità», formula nella quale si condensa il codice genetico del sistema esposto nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (➔) (1817), nel quale il sapere assoluto contempla come il distinto si muove al proprio interno e ritorna nella sua unità. Il tema del rapporto a./c. è anche al centro dell’Introduzione a Per la critica dell’economia politica di Marx (1857), nella quale il confronto con Hegel è esplicito. Sembrerebbe corretto – scrive Marx – cominciare l’analisi economica partendo dal reale e dal c., per es. dalla popolazione, che è il fondamento dell’intera attività produttiva. Ma a veder bene la popolazione è un concetto a. se trascuro le classi in cui è divisa. Ma queste classi sono di nuovo un concetto a., se non conosco gli elementi di cui si compongono, come lavoro salariato, capitale, ecc., che a loro volta sottendono scambio, divisione del lavoro, prezzi, e così via. Se dunque cominciassi dalla popolazione, avrei una visione caotica dell’insieme. Il metodo corretto sarebbe quindi risalire dal c. empirico ad astrazioni sempre più precise. Di lì, poi, tornare nuovamente al c., cioè alla popolazione, ma questa volta concepita non in modo caotico, bensì come una totalità ricca di articolazioni e rapporti. Il c. è ora c., in quanto sintesi di molte rappresentazioni, quindi unità nella molteplicità. Nel pensare, il c. si presenta dunque come sintesi, come risultato, e non come punto di partenza. I punti di contatto di Marx con Hegel sembrerebbero evidenti, e tuttavia proprio a questo punto Marx fa una precisazione importante. Il metodo di pervenire dall’a. al c. – dice Marx – è solo il modo del pensiero per appropriarsi del c., per riprodurlo come un c. dello spirito, ma non è certamente il modo del reale processo di generazione del c. stesso. Concepire il reale – al modo di Hegel – come il risultato del pensiero che si raccoglie, sprofonda in sé e si muove a partire da sé stesso, è solo «un’illusione». Marx dunque contrappone quello che è stato definito il circolo ‘concreto-astratto-concreto’ al circolo ‘astratto-concreto-astratto’ caratteristico dell’impostazione idealistica hegeliana. E tuttavia la definizione del c. come «unità nella molteplicità» resta carica di suggestioni hegeliane, delle quali restano tracce consistenti nelle stesse opere di analisi economica, e che verranno esaltate e messe in piena luce, per es., dal Lukács di Storia e coscienza di classe (1923), opera nella quale a. torna a essere definito, al modo di Hegel, l’intelletto scientifico, e c. il processo storico nella sua totalità, scandito secondo i ritmi della dialettica hegeliana. Sull’importanza dell’a. nell’ambito delle scienze come procedimento necessario nelle varie fasi della ricerca, ha posto decisamente l’accento Mach. Successivamente, nel quadro di una revisione delle vecchie posizioni logico-gnoseologiche, la teoria tradizionale dell’a. è stata criticata da Dewey, che riprendeva una distinzione già introdotta da Peirce. Vengono così chiaramente distinti nell’a. due aspetti: uno prescissivo, che sottolinea il carattere selettivo proprio del procedimento astrattivo, l’altro ipostatico, che caratterizza la creazione di enti astratti, specie nel campo matematico.
Il rapporto a./c. è anche al centro della speculazione nel neoidealismo del Novecento. Per Croce il c. si identifica con il concetto, che si qualifica come «universale c.», ed essendo accessibile solo alla filosofia, va accuratamente distinto dagli «pseudoconcetti» generalizzanti delle scienze empiriche. In Gentile c. è solo l’atto puro del pensare, inteso come «pensiero pensante». A. è invece il «pensiero pensato», se considerato isolatamente dall’esperienza spirituale. La polemica contro l’intelletto scientifico caratterizza anche la filosofia di Bergson, che identifica il c. con la «durata», in cui consiste specificamente il flusso della coscienza. L’esigenza del ritorno al c., ossia «alla cosa stessa», è fatta valere da Husserl contro la perdita di senso e l’astrazione delle scienze europee, effetto della rivoluzione scientifica del sec. 17°.