astrologia
Con il termine a. (che all'epoca di D. poteva essere usato come sinonimo di astronomia) propriamente si intende la scienza che studia le influenze degli astri sugli esseri e sulle vicende terrene. Appunto in base a tali influenze, l'a. presume di predire avvenimenti futuri, e quindi propiziarsi l'avvenire scegliendo il momento più favorevole per dare inizio a un'impresa, o dare spiegazione di fatti passati.
Lo studio degl'influssi e la determinazione del futuro, quest'ultima nel duplice significato cui si è accennato, sono dunque due caratteri della pratica astrologica intimamente legati fra loro.
La parola a. è lessicalmente la prima e indifferenziata definizione dello studio degli astri. Presso tutti i popoli primitivi, l'osservazione del cielo di notte e dell'ombra solare di giorno (‛ gnomonica ') dà luogo alle prime conquiste di cronometria e di astronomia, l'evoluzione delle quali si compie gradualmente insieme alla civilizzazione. Queste laboriose conquiste che con tutta probabilità furono il vanto della casta sacerdotale delle popolazioni mesopotamiche, sono l'indispensabile premessa al sorgere dell'a. così come da noi intesa, per cui lo studio degli astri, dalle considerazioni di influssi veri (sul clima, sul ciclo vegetativo, sulle maree, ecc.) e dall'acquisita possibilità di preannunciare con gran precisione l'inizio delle stagioni, le eclissi e le piene ricorrenti dei fiumi, è passato alla considerazione di più complessi influssi immaginari e alla formulazione di predizioni illusorie, che avevano la stessa probabilità di smentita e conferma.
Secondo la tradizione, che sembra confermata da copiosi reperti archeologici, anche l'a. ha avuto la sua culla in Mesopotamia, da dove si è poi diffusa, forse a partire dal VI secolo a.C. Nel mondo greco spunti di filosofia e religione astrale troviamo soprattutto nei pitagorici e in Platone.
Con la ‛ prónoia ' degli stoici, cioè la provvidenza o fato divino, troviamo una tematica analoga. Essa governa il mondo, e con le stelle e i segni del cielo guida e governa gli uomini. Quando verso il 270 a.C. Beroso, sacerdote e astronomo caldeo, si stabilisce nell'isola di Coo e vi comincia a praticare e predicare l'a. più come una nuova fede che come una scienza, la diffusione del suo insegnamento è di incredibile rapidità, assimilandosi sempre più a una pratica scientifica.
Specie con lo stoico Posidonio, l'a. si assimila intimamente alla scienza greca, finché, in Alessandria, nel II sec. d.C., dà alla materia il primo assetto organico e una più efficace divulgazione Tolomeo, con il Tetrabiblos (o Quadripartitum, dal titolo della sua traduzione medievale dall'arabo). Trasmessa dal mondo greco orientale all'impero romano, l'a. attraversò un periodo di crisi nei primi secoli del cristianesimo che rifiutava il ferreo determinismo dell'a., scienza pagana. Ma l'elaborazione della nascente teologia cristiana, sotto l'nfluenza del pensiero classico mantenuto vivo specialmente dal neoplatonismo e dallo gnosticismo, acquisì importanti elementi dell'eredità cosmologica antica, che implicava intimamente la scienza astrologica. Così, si ebbero parziali accettazioni di principi astrologici in personalità vicine alla cultura del tardo impero, come Clemente d'Alessandria, Origene, Firmico Materno.
Dove invece l'a. ebbe largo sviluppo fu nel mondo islamico.
Il Nallino spiega questo fatto ricordando che già nel sec. VII gli elementi pagani che pregnavano l'a, si erano cautamente mimetizzati, senza contare che il magistero coranico, col suo determinismo e la sua predestinazione così vicini alle concezioni stoiche, non poteva che favorirla. Gli Arabi, pur continuando in modo prevalente il filone dell'a. greca, raccolsero anche la tradizione iranica e quella indiana; ma diedero alla materia un'impronta ancor più scientifica, con calcoli molto più rigorosi.
Nel mondo cristiano, favorita dall'elaborazione del mondo islamico, l'a. comincia a godere credito e popolarità. Nel XII secolo troviamo discusso in Ugo di San Vittore il problema dell'a. considerata come scienza in parte naturale e in parte superstiziosa (Didasc. P.L. 176, 756): " Astrologia autem quae astra considerat secundum nativitatis et mortis et quorumlibet aliorum eventuum observationem quae partim naturalis est, partim superstitiosa. Naturalis in complexibus corporum, quae secundum superiorum contemperantia variantur, ut sanitas, aegritudo, tempestas, serenitas, fertilitas et sterilitas. Superstitiosa in contingentibus et in iis, quae libero arbitrio subiacent ". Suddivisione ripresa da Domenico Gundisalvi, dove è presente il già notato scambio di significati di a. per astronomia e viceversa (De Divisione philosophiae, de astrologia, ed. L. Baur, 115, 118): " Astrologia est scientia mobilis magnitudinis, quae cursus siderum et figuras et habitudines stellarum circa se et circa terram indagabili ratione perquirit [cfr. Isidoro Etym. II XXIV 15]... Astrologia dicitur scientia de ratione astrorum. ‛ Logos ' enim ‛ ratio ' interpretatur, inde astrologia i.e. scientia de ratione astrorum, dicitur, quia quicquid de astris dicit rationibus esse ita esse convicit ". A questa certezza dell'a. = astronomia corrisponde l'opinabilità dell'astronomia = a. (ibid., ed. L. Baur 119, 120): " astronomia est scientia, quae cursus et positiones stellarum secundum hominum opinionem describit ad temporum notitiam... Alpharabius dicit, quod astronomia est scientia de significatione stellarum, quid scilicet stellae significent de eo, quod futurum est, et de pluribus praesentibus et de pluribus praeteritis... ‛ Astronomia ' nomen compositum est ab ‛ astro ' et ‛ norma ', quod est regula. Inde astronomia dicitur quasi norma astrorum, i.e. lex sive regula. Differt autem astronomia ab astrologia eo, quod illa est secundum rei veritatem, haec vero secundum opinionem hominum... Astronomia vero partim naturalis, partim superstitiosa est: naturalis, dum exequitur solis et lunae cursus vel stellarum certas temporum stationes, superstitiosa vero est illa, quam mathematici secuntur, qui in stellis augurantur, quique etiam duodecim signa per singula animae vel corporis membra disponunt, siderumque cursus nativitates hominum et mores praeiudicare conantur ". All'aspetto naturale dell'a. come scienza che studia il corso degli astri e la loro influenza sul complesso degli effetti naturali, viene opposto e rigettato quello di scienza superstiziosa, che pretende assolvere a un compito divinatorio sulla base di un rigido determinismo tra mondo celeste e volontà umana. La pretesa che nel cielo sia già scritto ciò che appartiene alla volontà dell'uomo distrugge il concetto di libero arbitrio, fondamentale per il personalismo cristiano (" superstitiosa in contingentibus et in iis, quae libero arbitrio subiacent "). Più rigorosa ancora, sulla linea agostiniana, la polemica di Giovanni di Salisbury (Policraticus II 19): "in creatoris prorumpunt [gli astrologi] iniuriam. Costellationibus suis ascribunt omnia. Tu videris an fiat ei iniuria, qui fecit caelum et terramet omnia quae sunt in eis. Deinde eam costellatio rebus necessitatem indicit, ut arbitrii perimat libertatem ", e con lui Guglielmo di Auvergne. Con l'entrata dell'aristotelismo nel mondo culturale del XIII secolo, l'assetto cosmologico aristotelico-tolemaico si afferma definitivamente e con esso l'a. viene legittimata, e limitata, sul piano naturale. Alberto Magno testimonia un vivo interesse per l'a., ma vista entro lo schema della nuova cosmologia. Dio, motore e causa prima, si serve delle intelligenze motrici e dei cieli come di suoi strumenti nella determinazione degli eventi naturali (Meteor. XI II 12 " Sicut manus est instrumentum intellectus pratici in artificialibus, ita totus coelestis circulus est instrumentum huius intellectus ad totam materiam naturae quae ambit "; Nat. orig. an. I 5 " Intellectus qui est cum coelesti virtute, eo quod ipse coelum movet virtutes coelestes quae sunt in materia generabilium, et est intellectus purus et primus movens et informans omnia alla sub ipso instrumentaliter agentia "). In tale processo universale le intelligenze celesti divengono cause mediatrici tra la prima causa e la materia, e per esse si comunica il moto generativo di tutta quanta la realtà naturale, e in tal senso acquistano valore segni premonitori celesti quali congiunzioni astrali e comete. Sicché l'uomo, in quanto soggetto di effetti naturali è implicato nello stesso processo, ma in quanto fornito di anima razionale e di volontà, rimane libero e non soggetto in modo necessitante al moto degli astri, i quali intervengono solo nella generazione dell'anima vegetativa e sensitiva. Solo in questo ambito rimangono valide sia l'arte del genetliaco che la dottrina delle elezioni. Alberto comunque rigetta l'idea di fato come assoluta necessità. Anche Tommaso d'Aquino ascrive all'a. un importante posto nella scienza naturale vista, al pari di Alberto, entro gli schemi della cosmologia aristotelica, ove le stelle sono media tra le intelligenze separate e il mondo materiale. Ma la volontà umana è libera e libera è l'anima, sostanza intellettuale, dalle coercizioni della sostanza corporea in cui risiede. Tramite essa, però, le stelle possono condizionare l'intelletto umano (cfr. Sum. theol. II 95 5, I 115 4). Delle virtù celesti l'uomo può far uso in quanto forze naturali già esistenti in natura (l'uomo saggio sa dominare gli astri) e però estranee a ogni opera umana, in quanto distinta dagli oggetti naturali. In tal senso Tommaso rigetta l'idea del mago che opera e produce entro la natura con l'aiuto e l'intervento delle virtù dei cieli. Il fatto dunque è il potere esercitato dalle stelle tramite i loro movimeni e le reciproche relazioni, ma tale fato non è necessità fatale imposta dal mondo inferiore. Al loro moto necessario, inevitabile e inalterabile corrisponde un modo di ricevere il loro influsso, nelle cose generate, mutevole e contingente, in rapporto alle mutevoli nature di queste ultime. Le stelle, quindi, esercitano il loro influsso per aliud et per accidens. Tommaso, inoltre, riconobbe la possibilità della divinazione, per la quale i teologi arabi erano stati in genere molto più cauti (alcuni di loro, anzi, avevano ricordato come precetto di fede che Maometto doveva essere considerato l'ultimo profeta), ma negò che essa potesse derivare da una pratica logica e razionale, dando adito a intendere, come ha fatto D., che la divinazione e il vaticinio possono essere solamente o d'ispirazione divina, o di suggestione demoniaca.
In conclusione, al tempo di D. nessuna persona colta dubitava degl'influssi degli astri; ma la determinazione del futuro, che contrastava fra l'altro con i dettami della religione, doveva essere giudicata illecita per l'uomo comune. Pertanto, mentre l'a. veniva a far parte della concezione cosmologica corrente, per cui gl'influssi astrali rappresentavano un sistema di forze che governavano i cieli e tramite essi la realtà terrena, l'astrologo che pretendeva di determinare il futuro esclusivamente con mezzi razionali, doveva esser considerato un falso profeta, oppure un perverso ipocrita, che mascherava con i suoi calcoli un ricorso ad arti diaboliche.
In sostanza, anche il Nardi afferma che è per questo che D. nel XX canto dell'Inferno accomuna gli astrologhi alle pene dei maghi e delle streghe: " Michele Scoto e Guido Bonatti insieme con Manto e con quanti osarono far violenza al giudizio della fortuna, ch'è occulto come in erba l'angue. Potrebbe non essere facile spiegare il grave giudizio di D. riferendolo semplicemente a Michele Scoto, al cui insegnamento forse egli stesso era in qualche modo debitore; ma la cosa diventa chiarissima se si pensa alla figura di Guido Bonatti (If XX 115-118).
È arrivata infatti fino a noi la tradizione che Guido, astronomo e astrologo dell'omonimo conte di Montefeltro in Forlì, prima di ogni spedizione militare del suo signore, saliva sul campanile di San Mercuriale a spiare il cielo, e nel momento in cui gli aspetti degli astri erano più favorevoli, dava lui stesso il segnale della partenza agli armati già pronti. Se il poeta giudica questo un peccato nefando, è perché ritiene reali e immancabili le influenze degli astri, per cui la volontà di un abile astrologo senza scrupoli poteva sostituirsi alla provvidenza divina nella determinazione degli eventi futuri.
In D. è presente una valutazione positiva della scienza astrologica intesa nel senso albertino; nel Convivio, ad esempio (III III 3), ove dà dell'attrazione verso il nord del magnete la spiegazione secondo cui tale attrazione viene esercitata dalle miniere concentrate intorno al polo boreale della terra: vedemo la calamita sempre da la parte de la sua generazione ricevere vertù. Questa teoria nel 1269 venne combattuta come errata da Pietro Peregrino, che sostenne, invece, che l'attrazione del polo della calamita avveniva per virtù del polo celeste. Ed è a questo concetto che sembra ispirato il passo del Paradiso (XII 129 ss.) in cui D., alla voce di s. Bonaventura, si volge come ago a la stella, cioè come l'ago calamitato dei naviganti alla stella polare.
L'astronomo e fisico O.F. Mossotti vide un accenno al sistema di riferimento degli astrologi nel controverso inizio del IX canto del Purgatorio. Allo spuntare dell'alba - la concubina di Titone antico - la notte, de' passi con che sale, / fatti avea due... / e 'l terzo già chinava in giuso l'ale. Il Mossotti interpretò quei passi come le case astrologiche, che dividono il cielo visibile in sei parti, ognuna delle quali, da un qualsiasi punto dello zodiaco, viene percorsa in due ore. Questo luogo starebbe quindi a significare che erano già trascorse circa cinque ore della notte; ma a questa interpretazione, benché non gratuita, vi sono state vivaci opposizioni, anche perché non si è voluto ammettere che D. mutuasse una simile immagine dalle pratiche astrologiche. Ma nel Convivio, e ancor più nella Commedia, non mancano più espliciti richiami all'a. e agl'influssi celesti.
Ancora, nel Convivio (e cfr. II VI 9), è detto come l'influsso dei cieli è determinante nella formazione dell'anima fin dalla generazione, com'è descritto in IV XXI 4-5 E però dico che quando l'umano seme cade nel suo recettaculo... esso porta seco la vertù dell'anima generativa
e la vertù del cielo... e matura e dispone la materia a la vertù formativa, la quale diede l'anima del generante; e la vertù formativa prepara li organi a la vertù celestiale, che produce de la potenza del seme l'anima in vita. La quale, incontanente produtta, riceve da la vertù del motore del cielo lo intelletto possibile. L'anima riceve dalla virtù dell'intelligenza motrice del cielo, mediatrice del primo motore, la potenza intellettiva, e può prodursi più o meno pura a seconda della qualità del seme, della disposizione del generante e della disposizione del cielo: E però che la complessione del seme puote essere migliore e men buona...e la disposizione del Cielo a questo effetto puote essere buona, migliore e ottima (la quale si varia per le constellazioni, che continuamente si transmutano); incontra che de l'umano seme e di queste vertudi più pura [e men pura] anima si produce (§ 7). Anima generata nelle migliori disposizioni di tutti i cieli è quella di Beatrice, perché il numero nove si trova ripetutamente congiunto con gli avvenimenti dell'apparizione e della dipartita della ‛ gentilissima '; e perché questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme (Vn XXIX 2).
Nel Convivio, Astrologia sta evidentemente per ‛ astronomia ' (termine mai ricorrente in D.), ma in senso lato, tale cioè da comprendere tutti gli aspetti di quest'arte. Così, in II XIII 8, D. indica con Astrologia la quarta scienza del quadrivio, cui corrisponde il cielo di Saturno (ancora, §§ 28 e 29, II III 4 e 6); e in IV XV 16, quando vuol caratterizzare i dissennati per leggerezza che pretendono discutere di scienza nella più completa ignoranza, egli dice: non saprebbero l'a.b.c., e vorrebbero disputare in geometria, in astrologia e in fisica.
Nella Commedia dell'a. si parla nel Purgatorio ('l mezzo cerchio... / che si chiama Equatore in alcun'arte, IV 80). Ma in questa e nella successiva cantica, agl'influssi degli astri D. dedica un'attenzione crescente, con la grave questione della loro compatibilità con il libero arbitrio. Non solo le sfere celesti esercitano un influsso. Non pur per ovra de le rote magne, / che drizzan ciascun seme ad alcun fine / secondo che le stelle son compagne (Pg XXX 109-111); ma la grazia divina può aggiungere i suoi doni alle influenze celesti, come volle nel caso di D. (v. 112-117). Così il concetto cristiano della grazia interviene, integra e sottopone al divino volere le influenze delle stelle; sì da inserire l'a. di D. in una concezione profondamente religiosa dei destini umani.
Alla complessa questione, quasi interamente riservata al Paradiso, fa come da preambolo la disquisizione di Marco Lombardo nel XVI del Purgatorio (vv. 64-81). D. gli ha chiesto se la causa della malizia del mondo è nel cielo, cioè negl'influssi astrali, oppure qua giù, cioè nel volere degli uomini. La risposta è conforme al magistero corrente : il cielo infonde in noi le prime inclinazioni, ma coltivando la parte migliore della nostra natura possiamo aver ragione del male, perché l'uomo nasce libero e il potere di Dio è comunque molto superiore a quello degli astri.
Nel Paradiso, fin dal primo canto, vi è accenno agli influssi celesti. Direttamente da Dio procede la creazione degli angeli (forme o atti puri), della materia prima (potenza pura) e dei cieli (combinazione incorruttibile, perché operata direttamente da Dio, di forma e potenza : Pd XXIX 13 ss.). I cieli, che stanno in una posizione intermedia fra gli angeli e la materia prima, sono preposti, fin dall'origine dei tempi, alla generazione delle cose inferiori e terrene, per loro natura corruttibili, perché non procedono direttamente dalla creazione divina. Quanto all'uomo, a parte Adamo e Cristo, esso è una via di mezzo, perché in parte partecipe della creazione e in parte della generazione mediante i cieli, che non possono quindi non influire su tutta la sua vita. Questo influsso è vario e incostante;
e siccome questo non può procedere da alcun mutamento nei cieli, che per la loro origine sono incorruttibili e immutabili, ne segue che la diversità dei loro influssi dipende solamente dai loro movimenti reciproci
e dalle posizioni relative che ne conseguono, come insegna l'a. medievale.
I veri e propri riferimenti astrologici contenuti nella Commedia sono numerosi : ricorderemo i principali. All'inizio (If I 37-40) si dice che il sole si levava dall'orizzonte nel segno dell'Ariete. Sono questi gli elementi principali per trarre l'oroscopo, e che esso sia favorevole ce lo conferma il poeta ai versi seguenti: a bene sperar m'era cagione / ... l'ora del tempo e la dolce stagione (vv. 41 e 43); sì che, se stella bona o miglior cosa / m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi, dice in If XXVI 23-24, proponendosi di far buon uso dell'ingegno avuto dalle stelle o da miglior cosa, cioè, ancora, dalla grazia divina; in If XV Brunetto Latini, vissuto in fama di astrologo, dice al discepolo : Se tu segui tua stella, / non puoi fallire a glorioso porto (vv. 55-56), e subito dopo: veggendo il cielo a te così benigno, / dato t'avrei a l'opera conforto... (vv. 59-60). Nel Paradiso vi è un'esplicita conferma delle favorevoli influenze al sorgere del sole in Ariete, cioè all'equinozio di primavera: Surge ai mortali per diverse foci / la lucerna del mondo; ma da quella / che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella / esce congiunta, e la mondana cera / più a suo modo tempera e suggella (I 37-42). Infine, proprio verso il termine della sua ascesa attraverso i cieli, D., trovandosi in quella costellazione dei Gemelli con cui sorgeva e tramontava il sole il giorno della sua nascita, fa un esplicito riferimento al suo stesso oroscopo, con accenti di gratitudine per gli astri cui tanto egli deve: O glorïose stelle, o lume pregno / di gran virtù, dal quale io riconosco / tutto, qual che si sia, il mio ingegno, / con voi nasceva e s'ascondeva vosco / quelli ch'è padre d'ogne mortai vita, / quand'io senti' di prima l'aere losco (XXII 112-117). ‛ Virtù ' è il termine usato comunemente da D. per ‛ influenza '; e nell'ultimo verso riportato si ha un chiaro riferimento al preciso istante in cui le influenze degli aspetti celesti si fanno maggiormente sentire: l'istante del primo respiro. Del resto, anche nel Convivio, D. aveva detto che, pur da un medesimo seme, l'uomo nasce con diverso ingegno. E questo, fra l'altro, perché può essere diversamente propizia la condizione del cielo la quale si varia per le constellazioni, che continuamente si transmutano (IV XXI 7).
Questa soggezione dell'indole degli uomini agl'influssi celesti è però tutt'altro che limitatrice del loro libero volere. Se ne è un ostacolo, esso è tutt'altro che insormontabile, perché vinto dalla ‛ libertate de la volontà ' o libero arbitrio che, per le creature intelligenti e solo per loro, è lo maggior don che Dio... fesse creando (Pd V 19-20) e che rappresenta uno dei motivi dominanti di tutto il poema. Però D. va oltre, e vede nei cieli e nei loro influssi una vera e propria ‛ scala ' per salire a Dio. Basta a tal fine che l'anima di ognuno sappia interpretare e secondare gl'influssi venuti dal cielo. E sembrerebbe che nel Paradiso la successione degli spiriti corrisponda proprio a un analogo criterio, perché troviamo in ogni sfera spiriti nati sotto l'influenza di quel medesimo cielo e che a quell'influenza hanno saputo pienamente corrispondere. Così ad esempio, nel cielo di Venere, Cunizza da Romano dirà a D.: qui refulgo perché mi vinse il lume d'esta stella (Pd IX 32-33), e ancor più chiaramente, poco oltre, Folchetto da Marsiglia: questo cielo / di me s'imprenta, com'io fe' di lui (vv. 95-96).
Ma è indubbio che ai numerosi richiami astrologici della Commedia gli antichi commentatori erano più sensibili. Quando di Saturno, che in quel tempo si trovava in Leone, D. dice che raggia mo misto giù del suo valore (Pd XXI 15), Iacopo della Lana commentava: " la influenza viene mista alla Terra dalla natura dei corpi celesti. Leone si è caldo e secco, Saturno è freddo e secco; or miscia queste due complessioni, avrai eccellente secco ".
I richiami alla scienza astrologica sono quindi copiosi e tali da fornire strutture essenziali all'intelaiatura di tutto il poema e in particolare del Paradiso. Ma ciò nonostante, D. degli astrologi dà una valutazione negativa; essi sono null'altro che geomanti (Pg XIX 4). La pratica astrologica era troppo lontana dal ruolo e dal significato che D. attribuisce agl'influssi celesti, visti all'interno della nuova scienza aristotelica che proprio in quel secolo trovava un accordo con le strutture del pensiero cristiano.
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