Astrologia
Le posizioni degli scienziati medievali nei confronti dell'astrologia furono molteplici e controverse e, pur mutando nel tempo il favore accordatole, il suo ruolo in rapporto alle altre discipline scientifiche rimase prevalentemente ancillare.
Nel primo Medioevo latino gli studiosi cristiani, pur guardando con diffidenza molti aspetti del sapere greco e latino, ne accettarono le basi fondamentali e, in particolare, si servirono delle teorie metafisiche greche per affrontare le dottrine della Sacra Scrittura e darne un'interpretazione. Il ricorso alla cultura laica era inevitabile anche per leggere e descrivere l'universo fisico, dove si rendevano necessari gli studi di geometria, matematica, astronomia. Molti dei princìpi trasmessi dalla cultura classica, tuttavia, erano inaccettabili per i cristiani, che ipotizzavano un mondo privo d'inizio nel tempo e giudicavano impossibile qualsiasi determinismo, primo tra tutti quello governato dalla posizione dei pianeti o delle stelle: non per nulla s. Agostino (354-430), i cui scritti influenzarono tutta la cultura medievale, pur sollecitando lo studio delle scienze del quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica), conservava diffidenza nei confronti dell'astronomia, che troppo spesso, nell'età classica, aveva spinto gli studiosi verso il determinismo astrologico.
Una tale condanna implicava, nondimeno, la convinzione che le due scienze fossero connesse tra loro e che, se pure in posizione secondaria, l'astrologia avrebbe potuto fare da supporto alle osservazioni astronomiche: a fianco all'Almagesto, d'altro canto, composto da Tolomeo (100-178 ca.) nel II sec. e rimasto il più importante trattato di astronomia fino a Copernico, già figurava la sua più grande opera di astrologia, il Tetrabiblos, noto in latino come Quadripartitum. Una nuova attenzione alle arti liberali del trivio e del quadrivio sarebbe venuta con gli enciclopedisti latini, che ne avrebbero fissato gli ambiti di indagine e le connessioni. Isidoro di Siviglia (570 ca.-636), in particolare, diede nelle Etimologie una dettagliata descrizione delle arti del quadrivium, destinando la sezione più ampia all'astronomia che, sia pur segnandone le differenze, era ancora una volta descritta insieme con l'astrologia.
L'attenzione all'astrologia, pertanto, non venne mai meno e, quando si sarebbe aperta, nel XII sec., l'importante stagione delle traduzioni di testi filosofici e scientifici dal greco e dall'arabo in latino, non pochi sarebbero stati i trattati di argomento astrologico. Il più grande traduttore del Medioevo europeo, Gherardo da Cremona (m. nel 1187), contribuì con il proprio lavoro a modificare profondamente il pensiero scientifico occidentale e cercò di fornire alla cultura mediolatina tutte le opere che, per ciascun settore, riteneva più importanti: ai trattati aristotelici fondamentali, agli Elementi di Euclide, all'Algebra di al-Khwārizmī, a testi di astronomia, geometria, medicina, egli associò anche opere di astrologia (Grant, 1974, p. 35). Se, d'altro canto, la traduzione degli scritti autentici di Aristotele ebbe il potere di forgiare la visione medievale dell'universo, non minore influenza ebbero, per alcune concezioni del mondo, i testi a lui falsamente attribuiti e le traduzioni dall'arabo di opere, derivate dalla filosofia naturale di Aristotele, che riguardavano in particolar modo argomenti di medicina e di astrologia.
Con la nascita delle università, nelle facoltà di arti, l'insegnamento si fondò sulle sette arti liberali, anche se il loro primato, a seguito dell'introduzione nell'Occidente medievale delle opere di Aristotele e della scienza greco-araba, fu sostituito dagli studi di filosofia naturale: il nuovo sapere trasformò in particolare le arti del quadrivio, arricchendole con i dati della nuova scienza. Non è facile stabilire il ruolo delle scienze esatte nel curriculum universitario: certamente aritmetica e geometria avevano una posizione preminente, ma il loro studio era pensato soprattutto come applicazione pratica, principalmente nel campo dell'astronomia. Quest'ultima includeva ufficialmente l'astrologia, con la quale era considerata strumento determinante per la conoscenza dell'universo. Due sistemi cosmologici dominavano dunque la cultura europea: quello aristotelico, trasmesso attraverso il De coelo, la Fisica, la Metafisica e i Meteorologica, e quello tolemaico, rappresentato dalle Ipotesi sui pianeti, dall'Almagesto e, non in posizione secondaria, dal trattato di astrologia, il Tetrabiblos. "Nella forma assunta nelle università medievali, la filosofia naturale era una disciplina teoretica studiata per mezzo della ragione, dell'analisi e della metafisica" e l'astrologia acquisiva un suo ruolo "solo perché era parte integrante dell'astronomia" (Grant, 2001, p. 205).
Lo studio dei corpi stellari aveva intrecciato tra loro la scientia motuum e la scientia iudiciorum, più o meno rispettivamente coincidenti con l'astronomia e l'astrologia (Garin, 1976, pp. 3-5; Lemay, 1976, pp. 197-199); ciò aveva comportato un'accettazione delle osservazioni astrologiche anche all'interno delle dottrine cristiane. Un compromesso era stato tentato in particolare da Alberto Magno, che nei suoi scritti, influenzati dall'astrologia araba e dai trattati pseudo-aristotelici, accettava l'incidenza dei corpi celesti su eventi naturali non dipendenti dalla volontà dell'uomo: il movimento dei pianeti poteva, per esempio, modificare lo stato di alcuni elementi o favorire l'insorgere di malattie (Thorndike, 1923, pp. 577-592).
L'accentuarsi del legame con lo studio delle cause e con la cura delle malattie favorì l'applicazione delle indagini astrologiche alle pratiche mediche, come conferma il giudizio autorevole di Pietro d'Abano (1250-1316 ca.) che, insegnando all'Università di Padova medicina e filosofia, riteneva la logica, la filosofia naturale e l'astrologia strumenti indispensabili della scienza medica. L'astrologia, in particolare, si rivelava utile ausilio per guidare i giudizi del medico (Siraisi, 1990, pp. 67-68). In termini analoghi si esprimeva Cecco d'Ascoli che, rifacendosi alla sentenza attribuita a Ipparco, per cui un medico senza astrologia è "quasi oculus qui non est in potentia ad operationem", riteneva indispensabile considerare la natura e le congiunzioni degli astri per avere l'esatta nozione della malattia (Sarti-Fattorini, 1888, I, p. 585).
Tutto ciò promosse la diffusione dell'astrologia anche al di fuori degli ambienti universitari, dove l'assenza di un rigoroso controllo scientifico tese a favorirne l'autonomia e a separarla dall'astronomia matematica, cui era indissolubilmente legata per il calcolo delle distanze planetarie. Agevolata dal legame con le pratiche mediche, peraltro, fra il XIII e il XIV sec. l'astrologia divenne arte molto apprezzata presso le corti, dove fornì utile ausilio nel governo della cosa pubblica. Presso le corti di Federico II o di Ezzelino da Romano l'organizzazione della vita pubblica e privata era condizionata dal principio che la vita individuale e sociale fosse governata dalle armonie celesti: non per nulla gli affreschi del Palazzo della Ragione di Padova mostrano la figura della Giustizia guidata dal diritto celeste (Il Palazzo della Ragione, 1990).
Sovrani e signori trovavano un sostegno indispensabile nelle scienze astrologiche e astronomiche e se ne servivano per orientare le proprie scelte. Federico II, in particolare, raccolse astrolabi e strumenti astronomici per agevolare i responsi che riteneva fondamentali sia per gli equilibri politici sia per la salute del corpo. I cronisti dell'epoca, e lo stesso astrologo forlivese Guido Bonatti (ca. 1220-1296) che fu al suo servizio, confermano che egli si circondò di astrologi famosi perché lo guidassero nella scelta dei momenti più propizi per le decisioni politiche. Un episodio significativo e molto noto fu quello del consulto astrologico che precedette le nozze combinate, a seguito delle trattative condotte da Pier della Vigna, tra il sovrano e Isabella di Inghilterra: gli accordi prematrimoniali, peraltro, furono avviati da una lettera dello stesso Federico con cui si sottolineava la necessità di alcune unioni per compiere l'armonia della natura (Ruggero di Wendover, 1841, pp. 333-339; Matteo Paris, 1888, pp. 128-131). Nel 1239, a Padova, lo scienziato di corte Teodoro fu incaricato di elaborare previsioni sulla spedizione imperiale e lo stesso maestro di teologia, Rolando da Cremona (ca. 1178-1259), che pure sfidò vittoriosamente, durante l'assedio di Brescia (1238), Teodoro di Antiochia, guardava con favore allo studio degli astri in rapporto all'armonia dell'universo (Morpurgo, 1995, p. 157; Rolandino da Padova, 1905-1908, pp. 73, 66; Haskins, 1927, p. 246; Cremascoli, 1975, pp. 871-874).
Si ebbero, tuttavia, anche elaborate trattazioni astrologiche grazie all'opera di Michele Scoto (v.), sotto la cui guida si svolse quasi tutta la complessa attività scientifica della corte di Federico II. Giunto presso l'imperatore intorno al 1227, Michele Scoto aveva già operato a Toledo traducendo, tra l'altro, il De motibus caelorum di al-Biṭrūǧī, il De animalibus di Aristotele e gli Ampi commentari di Averroè sul De coelo et mundo: la sua opera di scienziato, studioso e traduttore di Aristotele, Avicenna e Averroè si conciliò senza stridori con il lavoro di astrologo. Scrisse, infatti, il Liber quattuor distinctionum, il Liber Particularis e il Liber Physionomie che insieme compongono il Liber Introductorius, ovvero il libro che introduce all'astrologia. Il trattato, testo fondante del pensiero astrologico all'epoca di Federico II, tenta di adattare le traduzioni arabo-latine dei testi astrologici alla società cristiana e imperiale, e di riconoscere all'astrologia lo statuto di scienza seconda solo alla teologia (Burnett, 1994, pp. 385-389).
Nel Liber Introductorius le nozioni teoriche di astronomia e le strumentazioni matematiche sono ridotte al minimo, obbedendo a un intento descrittivo e didascalico che indirizza principalmente l'opera a un pubblico di lettori interessati ma privi di profonde conoscenze scientifiche. Coerentemente con tale impostazione, pur rimanendo nel Liber l'interesse cosmologico per lo studio delle eclissi, delle congiunzioni e, in generale, della dipendenza del mondo sublunare dal movimento degli astri, vi prevale nettamente l'aspetto applicativo, riservato alle interrogationes sulle vicende della vita quotidiana. Una sezione cospicua del libro, infatti, è dedicata a un'ampia esemplificazione di quesiti astrologici, che avrebbero dovuto fungere quasi da manuale per l'astrologo di professione (Morpurgo, 1984, pp. 10-12).
Per quanto concerne il legame tra gli accadimenti del mondo sublunare e i corpi celesti, Michele Scoto ne riconosce l'esistenza fin dalle prime pagine del trattato, anche se vede la configurazione degli astri come effetto del volere divino. Dio può intervenire in qualsiasi momento per modificare il corso dei moti celesti, interferendo così con i responsi dell'astrologo, il quale per divinare il futuro è sempre costretto a servirsi di un sistema di segni e calcoli fissi. Per la parte pratico-applicativa, d'altro canto, si assiste nel Liber a una semplificazione delle tecniche utili a porre e risolvere i quesiti, soprattutto relativamente ai calcoli necessari per stabilire la posizione degli astri. È probabile che tale semplificazione risponda alle esigenze dei destinatari, ma è anche possibile che segni la tendenza, ormai in atto da tempo, di rivedere i canoni scientifici dell'astrologia, dietro le pressioni di un pubblico di laici e di modice litterati che chiede soprattutto affidabili prestazioni professionali (Caroti, 1994, pp. 139-146).
fonti e bibliografia
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