Astronomia e religione: sul controllo del tempo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’Occidente latino il dibattito tra scienza e religione in merito all’analisi della realtà sensibile continua anche oltre il Mille, sebbene con toni più moderati. La Chiesa, infatti, dopo aver rifiutato per empietà il sapere classico, si accorge ben presto che la conoscenza scientifica può essere uno strumento di potere se ben saldo nelle sue mani. E il controllo del tempo diventa una delle sue manifestazioni: esercitare il controllo sulla formulazione del calendario significa esercitare autorità su quanti lo utilizzano. Anche il mondo islamico mostra lo stesso interesse, raggiungendo tuttavia risultati più attendibili grazie a nozioni di geografia terrestre e astronomica più esatte.
Il dibattito sul rapporto fra i contenuti della scienza greca e il dettato delle Sacre Scritture prosegue nell’Occidente latino, sia pure con toni più sommessi, fino alla fine dell’XI secolo. L’elezione del matematico Gerberto di Aurillac al soglio pontificio con il nome di papa Silvestro II segna il consolidamento del ruolo delle scienze matematiche all’interno della cristianità. La lunga durata del dibattito ha tuttavia contribuito ad adagiare l’Occidente latino su una conoscenza scientifica fatta, più che di matematica vera e propria, di spiegazioni discorsive, di elencazioni concettuali, di schemi grafici con funzione sommariamente esplicativa o puramente mnemonica adatti a fornire una visione d’insieme dei vari campi di un sapere enciclopedico. Il cuore delle scienze matematiche, vale a dire la reale comprensione teorica e pratica dei concetti espressi nei testi greci, viene inizialmente rifiutato per l’empietà delle teorie che supporta, poi lasciato da parte perché lontano dall’impostazione retorica delle compilazioni medievali, e infine ceduto per forza di cose nelle mani più attente di altre culture, come quella bizantina e, soprattutto, quella islamica.
All’inizio dell’XI secolo, una volta superato il dissidio prodotto dalla volontà di affidarsi alle Sacre Scritture anche per interpretare il mondo sensibile, l’Occidente latino comincia ad acquisire consapevolezza del contributo che le scienze matematiche avrebbero potuto portare all’espressione e al consolidamento della religione.
A partire dalla remota antichità, uno degli aspetti più importanti della vita civile è stato rappresentato dal controllo del tempo; vale a dire dalla corretta scansione dei giorni, dei mesi e degli anni secondo i ritmi naturali del ciclo solare e del ciclo lunare. Con il rinnovato crescere in importanza delle città europee e il rinascere degli scambi commerciali, la gestione del calendario viene man mano avvertita come uno strumento di potere. Il calendario permette di conoscere i giorni più adatti per dedicarsi alle diverse attività agricole, di stabilire in maniera non equivoca i termini di validità dei contratti, di celebrare nei momenti propizi le festività più importanti del culto. Esercitare un controllo sulla formulazione del calendario significa acquistare autorità su quanti ne fanno uso. Tuttavia, la definizione esatta del calendario richiede un’attenzione non banale ai fatti astronomici e la cognizione di quelle nozioni matematiche di cui invece è andato perduto il senso più profondo.
Questa perdita è stata in parte favorita dal particolare calendario in uso nell’Occidente latino, risalente alla riforma voluta da Giulio Cesare su proposta dell’astronomo egiziano Sosigene. Il cosiddetto calendario giuliano, in vigore nelle regioni dell’impero romano a partire dall’anno 46 a.C, era nato da assunti astronomici validi al momento della sua gestazione e messa in opera. La formulazione del nuovo calendario adottava un anno di 365 giorni suddiviso in due cicli a svolgimento parallelo. Il primo ciclo si componeva di 12 mesi (rielaborazione del mese lunare di 29 giorni e mezzo) di lunghezza assegnata fra 31 e 28 giorni, che tutti insieme davano 365 giorni. Il secondo ciclo comprendeva circa 52 settimane (reminiscenza dei quarti del mese lunare) la cui successione era slegata sia dai mesi che dall’anno. Il solo elemento che ancora collegava questo calendario ai cicli astronomici da cui era nato consisteva nel cadere dell’equinozio di primavera sempre nello stesso mese e giorno. Poiché la lunghezza dell’anno solare era stata stimata in 365 giorni e un quarto, Sosigene aveva risolto il problema introducendo un giorno in più ogni quattro anni. Il giorno supplementare fu detto bisesto perché aggiunto dopo il sesto giorno antecedente le calende di marzo.
L’applicazione del calendario giuliano non è sentita come problematica dai Padri della Chiesa e, in seguito, dai pochi matematici dell’Occidente latino, fino a che non emergono due problemi correlati: un progressivo slittamento del giorno dell’equinozio di primavera all’interno dell’anno giuliano e la conseguente non corretta determinazione della data della Pasqua. Con il trascorrere dei secoli comincia infatti a rivelarsi una lentissima regressione del giorno dell’equinozio rispetto al 21 marzo, stabilito dal concilio di Nicea dell’anno 325. Lo slittamento, dovuto all’inadeguatezza della correzione costituita dall’aggiunta del giorno bisesto, nell’XI secolo si aggira intorno ai cinque giorni e appare palese a chiunque sappia utilizzare strumenti astronomici rudimentali. L’errore influisce sulla debita celebrazione della Pasqua, la cui data era fissata proprio a partire dal giorno dell’equinozio di primavera.
L’esigenza di controllare il tempo è così importante da accomunare tutte le culture che si affacciano sul Mediterraneo. Tuttavia, a differenza delle regioni cristiane, il mondo islamico non aveva adottato il calendario giuliano, ma si era attenuto a un calendario molto più antico, di remota origine babilonese, basato sull’esatta successione dei cicli solari e lunari.
Dopo il giorno, l’elemento più importante di questo calendario era costituito dal mese lunare di 29 giorni e mezzo, il cui inizio era fissato in base al comparire nel cielo serale della prima falce di luna dopo il novilunio. Questo evento era originariamente determinato per osservazione diretta, ma su un territorio in continua espansione quale quello islamico non era più ammissibile che le consistenti differenze di longitudine e di latitudine fra un luogo e l’altro, nonché locali condizioni di maltempo, portassero a far iniziare il mese in giorni diversi da una regione all’altra. L’astronomia matematica dei greci sopperiva a questo problema permettendo di determinare le condizioni di visibilità della prima falce di Luna al tramonto nei vari periodi dell’anno anche senza il riscontro di un’osservazione diretta. Si poteva perciò fissare l’inizio dei vari mesi in base a calcoli opportuni. A partire da questi elementi si poteva poi determinare con altri calcoli l’inizio dei singoli anni, costituiti ciascuno da 12 mesi lunari, equivalenti a 354 giorni.
Queste determinazioni competono ai muwaqqit, particolari figure che all’interno delle moschee o delle scuole coraniche sono costantemente dedite alla soluzione dei problemi astronomici collegati al culto. Oltre a quella del calendario, esistono infatti due altre questioni di vitale importanza per i fedeli all’islam che richiedono un approccio di tipo matematico. La prima questione concerne la corretta determinazione dei cinque momenti del giorno in cui il muezzin esorta i fedeli alla preghiera: all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e alla sera. Poiché la lunghezza dei giorni è variabile in dipendenza delle stagioni e della latitudine del luogo, la soluzione del problema non è banale. Il muwaqqit deve determinare mediante calcoli le ore della preghiera e, in seguito, tenere sotto controllo il Sole e gli altri astri con appositi strumenti per cogliere l’istante esatto in cui i fedeli vanno chiamati al dovere.
La seconda questione riguarda invece l’individuazione della direzione sacra della Mecca, verso la quale tutti i fedeli devono inchinarsi per pregare. Anche in questo caso il muwaqqit è tenuto a risolvere un problema matematico ricorrendo a esatte nozioni di geografia terrestre e astronomica.
L’adozione di un culto legato al mutare quotidiano dei cieli spiega perché i popoli islamici acquistino immediato interesse per l’astronomia matematica di cui ricavano informazioni da testi greci e indiani. Il fatto che il calendario islamico dipenda dalla conoscenza delle reciproche posizioni del Sole e della Luna obbliga a studiare i moti dei due astri lungo la sfera celeste e ad adottare modelli matematici per prevederne il corso. I cristiani, per contro, grazie all’adozione del calendario giuliano, credono per alcuni secoli che il problema del corretto computo del tempo sia stato risolto una volta per tutte. L’adozione di un ciclo di preghiere quotidiano per tutti i fedeli obbliga gli islamici a mantenere all’interno delle principali istituzioni religiose matematici in grado di controllare lo scorrere del tempo. I cristiani sono invece tenuti a un regime di preghiere più libero e solo nei monasteri, che non a caso costituiscono i luoghi del sapere scientifico europeo, i monaci sono tenuti a pregare a ore determinate. L’individuazione di una direzione sacra obbliga gli islamici a risolvere problemi di trigonometria sferica: la determinazione delle coordinate geografiche del luogo dove il fedele si trova rispetto alla Mecca, l’individuazione dei punti cardinali di tale luogo e, infine, il calcolo della distanza fra esso e la Mecca, poiché ogni vero fedele deve recarvisi in pellegrinaggio almeno una volta nella vita. Sebbene anche i cristiani abbiano eletto un luogo sacro per eccellenza, quella Gerusalemme posta al centro delle rappresentazioni cartografiche medievali, questa città funge più da meta morale che materiale. Un credente, anche se appartenente a un ordine monastico, si pone raramente in viaggio verso di essa.
Un ulteriore fattore sociale costituisce un potente stimolo dell’islam verso l’astronomia matematica. Fra i primissimi scritti greci a essere tradotti in arabo nella seconda metà dell’VIII secolo vi è il Tetrabiblos, l’opera che Claudio Tolomeo aveva dedicato all’astrologia. Questa componente pratica dell’astronomia antica è stata condannata dai Padri della Chiesa, poiché ammettere un condizionamento degli astri sulle vicende umane significa negare il libero arbitrio. La proficua relazione con il potere ecclesiastico che caratterizza il Sacro Romano Impero fa sì che anche il potere politico condivida il punto di vista dei Padri della Chiesa. Nell’Occidente latino l’astrologia rimane perciò un elemento latente, coltivato principalmente in ambito medico, nel quale si ritiene che gli astri influiscano sul decorso delle malattie. La differente organizzazione sociale dell’islam, che vedeva ai propri vertici singoli capi politici e militari con un forte prestigio personale e un potere di vita o di morte sui sudditi, prepara invece all’astrologia un terreno estremamente fertile. Mentre nelle moschee e nelle scuole coraniche si affrontano le questioni “lecite” della misura del tempo, alle corti dei capi politici e militari si ospitano altri astronomi matematici in grado di determinare con la massima precisione le posizioni degli astri e di trarne oroscopi. Su questi pronostici si decidono talora le sorti delle battaglie o le vite degli astronomi matematici stessi.