astronomia
Per i classici e i medievali questo termine, il cui sinonimo era ‛ astrologia ', ha avuto un significato così lato, da comprendere tutte le discipline che riguardavano il cielo e le stelle. Come tale fu considerata un'arte liberale e fece parte, dopo l'aritmetica, la geometria e la musica, del quadrivio ', che rappresentò il più alto grado dell'insegnamento medievale.
Così la definiva Isidoro (Etym. III 24) : " Astronomia est astrorum lex, quae cursus siderum et figuras et habitudines stellarum circa se et circa terram indagabili ratione percurrit " (c. 27); " Inter Astronomiam autem et Astrologiam aliquid differt. Nam Astronomia coeli conversionem, ortus, obitus motusque siderum continet, vel qua ex causa ita vocentur. Astrologia vero partim naturalis, partim superstitiosa est. Naturalis, dum exequitur solis et lunae cursus, vel stellarum certas temporum stationes. Superstitiosa vero est illa quam mathematici sequuntur, qui in stellis augurantur, quique etiam duodecim caeli signa per singula animae vel corporis membra disponunt, siderumque cursu nativitates hominum et mores praedicare conantur ". In Domenico Gundisalvi abbiamo invece l'inversione di significati tra a. e astrologia (v.).
Va comunque ricordato che lo studio del cielo e di tutto ciò che è in esso, può essere fatto da un punto di vista ‛ fisico ' o ‛ matematico '. Lo studio fisico interessa l'ordine e la natura di tutto l'universo, cioè il ‛ cosmo ', e si propone di spiegare, generalmente con un modello materiale, di cosa e come esso è costituito, formando così una disciplina più generale che può venir designata come ‛ cosmologia '. Per a., invece, deve intendersi più propriamente la descrizione del cielo e lo studio delle regole che governano il movimento degli astri per stabilire la lunghezza dei periodi che caratterizzano i loro ritorni a posizioni o situazioni prefissate. Si tratta essenzialmente di problemi di ordine geometrico e matematico, per la cui soluzione si è fatto ricorso a modelli che, a differenza di quelli cosmologici, devono intendersi come astrazioni, cioè come pure e semplici ipotesi matematiche. Lo sforzo del pensiero scientifico, anche del Medioevo, fu dunque quello di raggiungere un modello che corrispondesse contemporaneamente sia alla realtà fisica, sia alle condizioni geometriche e matematiche del cosmo. Ai tempi di D., le leggi astronomiche e i calcoli relativi si desumevano dal trattato di Tolomeo, l'Almagesto. Tuttavia esso manteneva prevalentemente un valore di ipotesi matematica, in quanto il suo sistema del mondo differiva sensibilmente, in più punti, da quello aristotelico in cui si riconosceva il vero modello fisico del cosmo.
L'a. prima di Dante. - Risultato di secolari ricerche e tipica espressione dell'a. greca, era stato il sistema di Eudosso che per primo tentò di stabilire un modello geometrico che desse conto dei vari movimenti degli astri.
Di fronte al problema delle grosse irregolarità delle rivoluzioni dei pianeti (che rispetto alle stelle talvolta sembrano fermarsi e andare a ritroso) e della durata del loro ciclo, che invece risultava costante (il loro cammino inoltre sembrava riprodursi sempre uguale), si fu indotti a ritenere che tali movimenti potessero riprodursi secondo una composizione di tanti moti circolari e uniformi. Difatti Eudosso ideò per ogni astro errante un sistema di tre o quattro sfere, imperniate l'una nell'altra (in modo analogo alla sospensione della bussola, cosiddetta cardanica) e tutte concentriche alla terra, ruotanti a velocità costanti ma diverse, intorno ad assi posti in direzioni pure diverse. I vari pianeti si pensavano fissati all'equatore della sfera più interna, animata da una rotazione propria, che si combinava con le rotazioni delle sfere più esterne, in modo tale che il moto del pianeta così determinato potesse riprodurre con una certa precisione quello realmente osservato.
Per ognuno dei cinque pianeti vi era un sistema di quattro sfere, mentre per il Sole e la Luna vi erano tre sfere ciascuno per un totale di ventisei sfere suddivise in sette sistemi indipendenti. Tali sistemi furono perfezionati dai continuatori di Eudosso, i quali aggiunsero due sfere sia al Sole che alla Luna, e una a Mercurio, Venere e Marte, con un numero complessivo di trentatré sfere. Aristotele fece propria tale concezione, ma la trasferì dal piano squisitamente geometrico a quello fisico, tramutando quelle sfere ideali in corpi materiali. Inoltre, immaginando che ogni sistema doveva trasmettere il moto al successivo, aggiunse ventidue sfere intermedie, per accordare in intensità e direzione le velocità dei singoli sistemi di Eudosso.
Le sfere omocentriche perfezionate da Aristotele rimasero così il modello fisico dell'universo, a cui vennero aggiunti, per una migliore spiegazione dei moti, gli ‛ epicicli ' e i ‛ cerchi eccentrici '. Di essi si giovò Ipparco (Il sec. a.C.) che fondò l'a. su più perfezionate osservazioni, realizzando un modello in origine puramente geometrico, ove ogni pianeta percorreva un cerchio immaginario il cui centro rotolava su di un altro analogo cerchio, così da giustificare, finché era necessario, irregolarità via via riscontrate. Sicché Tolomeo, per adattare tale modello ai nuovi calcoli che ne rivelavano ancora un sensibile scarto dalla realtà, non dovette fare altro che aumentare il numero di cicli, epicicli ed eccentrici, e variare opportunamente i loro piani, così da mettere a punto un modello che, senza essere eccessivamente complesso, offriva la possibilità di calcolare le future posizioni dei corpi celesti con una precisione mai raggiunta prima di allora.
La civiltà del basso impero e quella latino-barbarica considerò in genere l'opera di Tolomeo come un limite insuperabile. Ben diverso, invece, come osserva il Nallino, fu la fortuna presso gli Arabi che, dal IX al XII secolo, elaborarono e perfezionarono l'opera di Tolomeo (di cui si ebbero almeno due traduzioni dell'Almagesto). Ricchi di una loro tradizione astronomica, essi fondarono i primi grandi osservatori astronomici a Bagdad e a Damasco e promossero la pubblicazione di esattissime Tavole astronomiche. L'a. araba trovò le sue maggiori espressioni con il compendio di Alfragano (IX secolo), con l'opera di Albatenio (morto nel 929) e con Arzachel, che con le sue famose Tabulae Toletanae iniziava una tradizione di studi astronomici che si protrarrà ininterrotta fino all'originalissimo Alpetragio (morto nel 1204). In Europa famosi sono i Libros del saber de Astronomia raccolti da Alfonso X (che fu re di Castiglia dal 1252 al 1282), ma che si rivelano una semplice traduzione, spesso divulgativa, delle opere arabe. Per quanto riguarda la tradizione aristotelica araba, va ricordato Averroè, che nel suo commento al De Coelo invoca nuovamente un modello del cosmo basato su sfere concentriche ruotanti intorno ad assi diversamente inclinati, come nel sistema di Eudosso : teoria ripresa da Alpetragio, il quale tenta la rappresentazione, anche in base a influssi neoplatonici, di un nuovo sistema completo e organico da sostituire a quello di Tolomeo.
Egli ammette l'esistenza di nove sfere concentriche, l'ultima delle quali, la più veloce, trasmette a tutte le sottostanti il moto diurno da oriente a occidente. Egli sostiene l'assurdità fisica di un moto ad esse proprio, in senso inverso, moto che è invece una semplice apparenza, dovuta a una sorta di slittamento nella trasmissione della rotazione da una sfera alla successiva. Così l'ottava sfera, delle stelle fisse, rispetto alla nona - già ipotizzata da Tolomeo e che compie un giro nelle ventiquattr'ore - perde un grado ogni cento anni circa, e in tal modo sembra compiere un intero giro da occidente a oriente in trentaseimila anni. La settima sfera, di Saturno, è notevolmente più lenta, per cui perde un giro in circa trent'anni; analogamente le altre sei sfere, che perdono un giro in un tempo sempre più breve, e cioè Giove in dodici anni, Venere in due, il Sole e Mercurio in uno, e infine la Luna in meno di un mese. Tutti questi ritardi sono quelli che danno l'illusione di moti inversi, cioè verso oriente, di uguali periodi. Delle difformità dei singoli movimenti, di massima evidenza nelle stazioni e retrogradazioni dei pianeti esterni al Sole, fra i quali pone anche Venere (e in questo D. non lo seguirà), Alpetragio dà una spiegazione, come Eudosso, ricorrendo per le varie sfere ad assi di rotazione aventi ognuno una direzione diversa.
Tale modello, che si accordava perfettamente con la teoria aristotelica, aveva il pregio della straordinaria semplicità e armonia.
L'a. in Dante. - Nelle opere di D. l'a. è designata come Astrologia (v.), secondo l'uso corrente al suo tempo.
Le sue nozioni astronomiche D. approfondì (dice il Nardi) con l'opera di Alfragano, che nella traduzione latina reca il titolo Liber de Aggregationibus Scientiae Stellarum et Principiis Coelestium Motuum, e che altro non è se non un riassunto dell'Almagesto di Tolomeo. D. stesso, del resto, nel Convivio cita esplicitamente il libro de l'Aggregazion[i] de le Stelle (II V 16). Il suo schema teorico fondamentale è quindi prettamente tolemaico, con la Terra immobile al centro dell'universo, intorno alla quale ruotano Sole e Luna e, mediante cicli ed epicicli, i cinque pianeti, due dei quali, Mercurio e Venere, fra la Luna e il Sole. Si hanno così le sette sfere tradizionali, cui è sovrapposta l'ottava delle stelle fisse, alla quale si riconoscevano due movimenti : lo movimento ne lo quale ogni die si rivolve... E... lo movimento quasi insensibile... da occidente in oriente per uno grado in cento anni (Cv II XIV 10-11), cioè il movimento diurno e quello contrario, intorno a un altro asse, che provoca il lento spostamento dei punti equinoziali lungo l'eclittica.
Passeremo ora in rassegna i passi più importanti riguardanti l'a. in Dante. Nozioni astronomiche troviamo già nella Vita Nuova (II 1-2) : Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto alla sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente... Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente de le dodici parti l'una d'un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono : dove alla profonda importanza del numero nove vien dato un fondamento astronomico con la rotazione annua del Sole e il tempo di rotazione dell'ottava sfera corrispondente a un dodicesimo di grado a causa del suo lento moto di un grado in cento anni (cfr. Cv II V 16; Pg XI 108). Nel Convivio (II II 1) il tempo trascorso dalla morte di Beatrice è indicato con due rivoluzioni sinodiche di Venere : Cominciando adunque, dico che la stella di Venere due fiate rivolta era in quello suo cerchio che la fa parere serotina e matutina, secondo diversi tempi, appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata. Secondo la teoria tolemaica, Venere era tornata serotina o mattutina due volte per gli effetti combinati del suo moto sull'epiciclo e del moto del centro di questo sul deferente; ma D. si esprime come se il pianeta si muovesse sul solo epiciclo, bastandogli, evidentemente, indicare il più importante e caratteristico dei due movimenti. E così, senza troppo precisare, dice che da quel trapassamento erano trascorsi due volte 584 giorni.
In Cv II III 6, corrette le antiche idee di Aristotele sul numero e l'ordine dei cieli, e attribuita a Tolomeo l'introduzione del nono cielo, D. afferma che sono nove cieli mobili; lo sito de li quali è manifesto e diterminato, secondo che per un'arte che si chiama perspettiva, e [per] arismetrica e geometria, sensibilmente e ragionevolmente è veduto, e per altre esperienze sensibili : sì come ne lo eclipsi del sole appare sensibilmente la luna essere sotto lo sole, e sì come per testimonianza d'Aristotile, che vide con li occhi ... la luna, essendo nuova, entrare sotto a Marte da la parte non lucente, e Marte stare celato tanto che rapparve da l'altra parte lucente de la luna, ch'era verso occidente.
La prospettiva e l'aritmetica sono qui viste come scienze ausiliarie dell'a. nell'indicare l'ordine dei cieli; ma altrettanto preziose risultano le indicazioni ‛ sensibili ' ricavate dalle osservazioni dirette, come quelle dell'eclissi di Sole e delle occultazioni di pianeti.
Esposto l'ordine dei nove cieli mobili (Cv II III 7), e dopo aver detto che fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo Empireo (§ 8), egli tratta dei poli e dell'equatore di ogni cielo descrivendo poi l'epiciclo e il deferente di Venere, i quali formano uno cielo pur essendo cieli distinti.
Nelle comparazioni tra le proprietà dei cieli e quelle delle scienze, in Cv II XIII e XIV, si trovano esposte alcune notizie sui singoli astri, fra le quali interessante quella di XIII 22, ove è descritta l'apparizione del 1301 della cometa che sarà detta di Halley, in figura d'una croce e con grande quantità di... vapori seguaci de la stella di Marte, interpretata come triste presagio della venuta di Carlo di Valois e della rovina di Firenze. In II XIII 15 è detto : E lo cielo del Sole si può comparare a l'Arismetrica per due proprietadi : l'una si è che del suo lume tutte l'altre stelle s'informano; affermazione formulata anche in III x11 7, ove si legge : Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che 'l sole. Lo quale di sensibile luce sé prima e poi tutte le corpora celestiali e le elementali allumina (la stessa idea in Pd XX 1-6). Tale credenza era fondata sull'opinione che le stelle prive di luce propria riflettessero la luce solare.
In Cv II XIV 14-16 il Primo Mobile viene paragonato alla Morale Filosofia, perché questa ci predispone alle varie scienze, e come la giustizia comanda quelle essere apprese e ammaestrate, così detto cielo ordina col suo movimento la cotidiana revoluzione di tutti li altri.
A ciò segue, con grande esattezza astronomica, l'ipotesi delle perturbazioni che si produrrebbero nell'ordine universale qualora possibile fosse questo nono cielo non muovere : la sfera stellata ruoterebbe solo per il suo lentissimo moto verso levante sicché, nei seimilacinquecento anni trascorsi dalla creazione (Pd XXVI 118-123, If XXI 112-114), avrebbe compiuto poco più di un sesto di rotazione, onde la terza parte del cielo [stellato] sarebbe ancora non veduta in ciascuno luogo de la terra. Inoltre, ogni pianeta rimarrebbe celato per un tempo eguale a metà della sua rivoluzione siderea: quattordici anni e mezzo Saturno, sei anni Giove, quasi un anno Marte, centottantadue giorni e quattordici ore il Sole, Venere e Mercurio quasi come il Sole, quattordici giorni e mezzo la Luna. A tale scompaginarsi dell'armonia del cosmo seguirebbero conseguenze fatali: non sarebbe qua giù generazione né vita d'animale o di piante: notte non sarebbe né die, né settimana né mese né anno... e lo movimento de li altri [cieli] sarebbe indarno (II XIV 17).
Ma per l'ordine universale non meno essenziale del Primo Mobile è il movimento annuo del Sole. D. dedica, in Cv III V, un'ampia descrizione ai vari aspetti di tale movimento combinato col movimento diurno, rispetto all'orizzonte delle due immaginarie città di Maria (polo nord) e di Lucia (polo sud), all'equatore e alle latitudini intermedie, concludendo che ogni punto della Terra riceve in un anno eguali tempi di luce e di tenebre.
Nella Commedia l'a. assolve un importante compito strutturale e descrittivo, con la definizione di tempi e luoghi entro un ben determinato sistema cosmografico, che agisce come elemento portante della costruzione poetica. Mentre il sistema aristotelico-tolemaico offre lo schema di riferimento per l'azione reale, numerose indicazioni astronomiche precisano nel tempo il succedersi dei singoli episodi.
Le posizioni dei pianeti indicate da D. sono: Sole in Ariete (If I 38-40; Pd XXVII 86-87); Luna al plenilunio (If XX 127-129; Pg XXIII 118-121) nel giorno iniziale del viaggio; Saturno nel Leone (Pd XXI 13-15); Venere nei Pesci e mattutina (Pg I 19-21, XXVII 94-95). Queste sono tutte descrizioni fornite di reale valore scientifico, e non pure finzioni poetiche. La precisa conferma che di esse viene data in momenti diversi del viaggio è prova dell'intenzione di D. di scandire il procedimento poetico secondo i gradi della cosmografia del suo tempo. Le suddette posizioni D. può averle osservate o, più verosimilmente, ricavate da tavole astronomiche (è opinione diffusa che usasse l'Almanacco perpetuo di Profacio). Comunque è indubbio che la sua cultura astronomica consente l'ipotesi di una trama astronomica, voluta e preliminare, del poema. Dalle posizioni degli astri usate nelle numerose indicazioni orarie (If VII 98-99, XI 112-114, XX 124-129; Pg II 55-57; IV 15-16, 137-139, IX 1-12, 43-44, XXII 118-120, XXV 1-3, XXXIII 103-105) alle indicazioni di ore simultanee utili alla determinazione delle longitudini (Pg III 25-27, XV 1-6, XXVII 1-6, Pd IX 82-87), al rosseggiare di Marte (Pg II 13-15), alle stelle filanti (Pd XV 13-18), alle macchie lunari (II 49-51), alla lunghezza del cono d'ombra della terra (IX 118-119), all'ago magnetico (XII 29-30), all'arcobaleno (Pg XXIX 73-80), alla marea (Pd XVI 82-84), all'errore del calendario (XXVII 142-143), è tutto un succedersi di fenomeni astronomici, o aventi legami con l'a., che provano l'assoluta preminenza dell'a. nella costruzione della Commedia.
I passi relativi all'a., nella Commedia, sono circa un centinaio, e presenti principalmente nel Purgatorio e nel Paradiso. Nell'Inferno l'intervento dell'a. è limitato quasi esclusivamente a indicare i tempi, mediante le posizioni o i movimenti delle stelle o della Luna rispetto all'orizzonte di Gerusalemme.
Notevole, nell'Inferno, la mancanza di riferimenti al Sole per indicare i tempi, anche quando sono indicate ore di pieno giorno. Così, in If XI 113-114, il non lontano sorgere del Sole è indicato con i Pesci che guizzan su per l'orizzonta, e con il Carro che tutto sovra 'l Coro giace; in XX 124-126, per indicare un'ora di poco successiva alla levata del Sole, è usato il tramonto della Luna; in XXIX 10-11 il passaggio della Luna all'antimeridiano indica, nel giorno successivo a quello del plenilunio, circa l'una pomeridiana. La prima indicazione di tempo data mediante una posizione del Sole si incontra in XXXIV 96, quando i poeti sono ormai entrati nell'emisfero del Purgatorio, al quale saranno riferite le indicazioni successive.
All'arrivo sulla spiaggia dell'isoletta, a oriente, il pianeta Venere splende fulgidissimo, velando con la sua luce le piccole stelle dei Pesci (Pg I 19-21); mentre a sud, verso il polo antartico, quattro stelle / non viste mai fuor ch'a la prima gente (vv. 23-24) sembra vogliano rallegrare il cielo con le loro fiammelle (v. 25).
Con le quattro misteriose luci del cielo australe D. con ogni probabilità ha voluto simboleggiare le quattro virtù cardinali, ma non è meno certo, anche se la sicura identificazione non è possibile, che egli intendesse descrivere quattro stelle reali di quell'emisfero. Troppo rigorose astronomicamente, e indicanti con troppa chiarezza una visione diretta, sono le condizioni poste in Pg I 22-23, 28-30 e VIII 91-92, per poter accettare l'opinione, sostenuta da qualche commentatore, che D. abbia voluto dare alle quattro stele un significato puramente simbolico. Oltre all'enigma delle quattro stelle sono da ricordare quello delle tre facelle (Pg VIII 89-90), della concubina di Titone (IX 1-6), e dei quattro cerchi e delle tre croci (Pd I 37-42).
In Pg II 1-3 è descritto il prossimo sorgere del Sole al Purgatorio : il Sole, con l'Ariete, era giunto, tramontando, all'orizzonte di Gerusalemme, mentre la notte, considerata come un punto diametralmente opposto al Sole (v. 4), attraversava, con la Bilancia, il meridiano del Gange (vv. 5-6). D. rappresenta col Gange il limite orientale della Terra abitabile, che pone a 90° di longitudine da Gerusalemme, mentre pone il limite occidentale, pure a 900 di longitudine da Gerusalemme, sul meridiano dell'Ibero (Pg XXVII 1-5). Trovandosi la notte al meridiano del Gange, il Sole attraversava il meridiano dell'Ibero. Per tali differenze di longitudine, e col Sole vicino all'equinozio come nei giorni del viaggio, si verificavano simultaneamente le ore indicate da Dante.
Si deve però rilevare che i valori delle longitudini dati da D., che seguiva gli antichi geografi, sono erronei : l'estensione in longitudine del Mediterraneo, da lui posta eguale a 90°, in realtà è di circa 40°, e le foci del Gange si trovano a circa 55° da Gerusalemme. Ma nell'antichità, e ancora ai tempi di D., le longitudini erano pressoché sconosciute, perché non era possibile determinare le ore simultanee di due meridiani diversi. Le sole osservazioni utilizzabili erano quelle, assai rare e imprecise, delle esclissi lunari o solari.
Al contrario D. poteva conoscere con buona precisione le latitudini, di facile determinazione in quanto fondate sulla misura delle altezze meridiane osservabili con strumenti validi quali gli astrolabi, i triquetri, i circoli o quadranti murali. Un'allusione al quadrante murale sembra quella di Pg IV 42.
Per le indicazioni astronomiche nel Purgatorio si fa riferimento soprattutto al Sole, che accompagna i poeti i quali, avanzando tutt'intorno al monte, procedono nel senso del suo corso diurno. Il Sole er'alto già più che due ore (Pg IX 44) allo svegliarsi di D. davanti alla porta del Purgatorio; il Sole già declinava verso il tramonto quando i suoi raggi ferien per mezzo 'l naso (XV 7) i poeti che, nel girone degl'invidiosi, procedevano inver' l'occaso (v. 9); e ancora durava il vespro quando essi, nel terzo irone, andavano contra i raggi serotini e lucenti (v. 141). E il Sole a indicare l'ora quando lascia il cerchio di merigge al Toro e la notte a lo Scorpio (XXV 2-3); mentre in XXVII 1-6, a conferma della già descritta disposizione fondamentale delle longitudini dantesche, il Sole tramonta nel Purgatorio mentre vibra i primi raggi a Gerusalemme, l'Ibero cade sotto l'alta Libra e l'onda del Gange è ‛ riarsa ' dal mezzodì. Il Sole è appena sorto quando colpisce la fronte di D. (XXVII 133) che, iniziata la salita dalla spiaggia dell'isoletta rivolto a ponente e con l'astro alle spalle (III 16-18), raggiunge il Paradiso terrestre rivolto a levante dopo avere descritto, passando per il settentrione, metà giro intorno alla montagna; e infine il Sole è folgorante al meridiano (XXXIII 103-105), all'inizio dell'ascesa al regno dei cieli.
Nel Paradiso, con l'ascesa di cielo in cielo, D. ripercorre tutta la struttura del mondo aristotelico-tolemaico, per culminare poi nell'Empireo, cielo cristiano. Il poeta invita a levare la vista verso le sfere più alte, dritto a quella parte / dove l'un moto e l'altro si percuote (Pd X 8-9), nei punti equinoziali, cioè ove si incrociano il moto diurno verso ponente lungo i paralleli e il moto verso levante del Sole e dei pianeti lungo lo Zodiaco. In XIII 4-12, troviamo la descrizione delle due ghirlande di beati formate dalle stelle più luminose; ancora, la croce luminosa del cielo di Marte è punteggiata di luci come la Via Lattea (XIV 97-99). Giunto negli etterni Gemelli (XXII 152), D. contempla il sistema planetario quale gli appare di lassù, dall'alto dell'ottava sfera, e descrive i pianeti, con le loro diverse grandezze e velocità (vv. 148-149); il Sole (vv. 142-143), la' Luna, incensa e senza macchie (vv. 139-141) e la Terra tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante (v. 135). Ancora, dopo aver rivolto l'ultima volta l'occhio alla Terra (XXVII 79-87), D. sale alle sfere più alte. In XXX 1-9 troviamo il paragone tra lo scomparire delle stelle all'avanzare dell'aurora, e lo scomparire delle luci degli angeli nella salita all'Empireo. Notevole, nell'ultimo verso del poema l'amor che move il sole e l'altre stelle, l'immagine cristiano neo-platonica del Dio-amore che permea e muove il creato in un movimento di discesa e ritorno.
Nelle Rime, oltre ad alcuni accenni astronomici di scarso rilievo (LXXXIII 96-100, XC 16-17, C 27-29, CIV 89), troviamo notazioni molto interessanti in C 1-9 Io son venuto al punto de la rota / che l'orizzonte, quando il sol si corca, / ci partorisce il geminato cielo, / e la stella d'amor ci sta remota / per lo raggio lucente che la 'nforca / sì di traverso, che le si fa velo; / e quel pianeta che conforta il gelo / si mostra tutto a noi per lo grand'arco / nel qual ciascun di sette fa poca ombra. Il poeta indica, astronomicamente, con la rotazione delle sfere celesti, una data d'inverno. In questa data, al tramonto del Sole, all'orizzonte sorgono i Gemelli, e trovandosi il Sole fra Sagittario e Capricorno, si avvicina il solstizio invernale. Venere, intanto, è alla massima distanza da noi, perché alla congiunzione superiore, e rimane invisibile perché colpita di traverso dai raggi del Sole; mentre il freddo Saturno (cfr. Cv II XIII 25, Pg XIX 3) rimane visibile per tutta la notte col suo massimo arco, in quanto si trova nella costellazione del Cancro, nella quale ogni pianeta raggiunge la massima altezza. L'ultimo particolare è astronomicamente il più interessante. I pianeti, cioè, che percorrono la fascia dello Zodiaco, acquistano la massima declinazione nel Cancro, sicché, nel nostro emisfero, descrivono il massimo arco sopra l'orizzonte raggiungendo la massima altezza. Tale configurazione astronomica si verificò nel dicembre del 1296.
Nella Quaestio è da ricordare che l'estensione delle terre emerse per 180° di longitudine, dal Gange alle Colonne, già descritta nella Commedia, viene dedotta dall'osservazione di un'eclisse di Luna, avvenuta contemporaneamente alle Colonne nel momento della levata del Sole e alle foci del Gange nel momento del tramonto, nel giorno dell'equinozio: condizioni astronomiche tali da rendere eguale a 12 ore la differenza fra i tempi locali del fenomeno.
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