ASTUTO DI LUCCHESE (Lucchesi), Riccardo
Nacque a Napoli il 1º genn. 1882 da Giuseppe e da Maria Laura Castrone Dusmet de Beaulieu, di nobile ascendenza siciliana. Il padre aveva servito nella regia marina raggiungendovi il grado di ammiraglio. Compiuti tutti gli studi a Roma, ove si laureò in giurisprudenza, nel 1906 l'A. entrò nei ruoli dell'amministrazione dei Lavori Pubblici. Segretario della commissione che elaborò i provvedimenti legislativi per porre rimedio ai danni del terremoto di Messina e Calabrie del 1908, fu in conseguenza nominato segretario generale dell'ente nazionale istituito a Messina per la ricostruzione della città.
Nel 1913 P. Bertolini - che lo aveva apprezzato mentre era ministro dei Lavori Pubblici - divenuto primo ministro delle Colonie lo nominò segretario particolare del governatore della Tripolitania V. Garioni, carica che l'A. mantenne anche con il reggente generale G. Cigliana e con il nuovo governatore, il generale L. Druetti. Nominato nel 1915 primo segretario nel ruolo coloniale, fu destinato capo dell'ufficio per gli Affari Civili presso il segretariato generale della Tripolitania. Trasferito sullo scorcio dello stesso anno in Cirenaica, vi resse nel 1916 per circa otto mesi il segretariato generale a Bengasi. Fu quindi destinato a Derna, prima come direttore degli Affari Civili, poi - costituito in Cirenaica il governo civile - come commissario regionale (1919). Alla fine del 1919 il governatore G. De Martino lo nominò direttore degli Affari Civili e Politici del governo della Cirenaica.
L'A. aveva partecipato in questi anni alla politica conciliativa dei nostri governi - che aveva prodotto in Tripolitania l'accordo di Khallet ez-Zeitun ed in Cirenaica quello di er-Regima - con espresse riserve, convinto che solo una politica di energia potesse salvare le sorti della colonia insidiata dalla resistenza antitaliana. Il suo atteggiamento si allineava in generale con la denuncia di "rinunciatarismo" di cui i nazionalisti facevano carico ai nostri governi, ritenuti succubi delle pressioni socialiste e della Lega dei popoli oppressi costituitasi a Roma. Dopo una missione compiuta nella primavera del 1920 presso il Sa'īd Idris es-Senussi a Zuetina, l'A. aveva assunto una posizione nettamente contraria ad ogni accordo con la Senussia, ed il governatore De Martino, pur conservandolo nella carica di direttore degli Affari Civili e Politici della Cirenaica, aveva avocato al proprio gabinetto ogni ulteriore trattativa con i Senussi. Qualche mese dopo, la sempre più manifesta ostilità dell'A. a qualsiasi politica conciliativa indusse il governatore a richiederne al ministero l'allontanamento. Sullo scorcio del 1920 fu dunque trasferito in Somalia, dove ebbe la direzione degli Affari Civili e della Colonizzazione: in tale qualità si trovò a presiedere la imponente opera di bonifica agraria ivi avviata dal duca degli Abruzzi.
Assunta da L. Pintor la reggenza in Cirenaica dopo la scomparsa del De Martino, nella primavera del 1922 il ministero delle Colonie disponeva che l'A. tornasse in Cirenaica; senonché, giunto a Roma, l'A. trovò il nuovo ministro G. Amendola deciso - per sollecitazione del notabile senussita Omar Mansur el Kekîya - a non più inviarlo in Cirenaica. Fu quindi destinato in Tripolitania alle dipendenze del governatore G. Volpi di Misurata, che lo nominò commissario regionale del confine occidentale con sede a Zuara. Tenne questa carica fino al giugno 1923, quando fu nominato segretario generale della Cirenaica, dove intanto L. Federzoni, primo ministro fascista delle Colonie, aveva disposto la denuncia dei patti con la Senussia e l'inizio di un'azione politico-militare che nel corso del decennio successivo avrebbe conseguito la completa sottomissione della colonia.
Al volume La rinascita della Tripolitania. Memorie e studi sui quattro anni di governo del conte G. Volpi di Misurata (Milano 1926), l'A. contribuì con due testimonianze: La situazione politico-militare nel 1921 (pp. 117-124) e Il consolidamento della situazione politico-militare (pp. 411-415).
Fortemente critici nei confronti dei governi tardoliberali ed elogiativi della nuova linea impressa da Volpi dopo il fallimento di quella, anch'essa "interventista", del predecessore Mercatelli, i due scritti contengono indicazioni sulla ideologia colonialista dell'A.: oltre alla polemica contro le democrazie, che "subordinano gl'interessi supremi della patria alle tortuose consorterie di partito", vi si parla del "nostro dovere di potenza colonizzatrice" e vi si manifesta l'istanza di mantenere nei confronti delle popolazioni indigene una "politica di prestigio" fondata sulla forza militare e tale da infondere in esse la certezza di non potervi resistere. Si trovava infine assunto il "trinomio fascista: ordine, gerarchia, disciplina" come "base di qualsiasi azione di governo, in qualunque paese, in qualunque periodo storico…".
Nella seconda metà del 1924 l'A. fu chiamato al ministero delle Colonie con l'incarico di direttore generale degli Affari Politici. Avrebbe conservato questo posto fino alla nomina, alla metà del 1930, a governatore dell'Eritrea. Nel periodo ministeriale espletò varie missioni, fra cui quella di delegato al congresso geografico internazionale di Cambridge (1927); di capo della delegazione delle colonie italiane al congresso postale universale di Londra (1928), e di capo della delegazione italiana nella conferenza di Parigi del 1929 fra Italia, Gran Bretagna ed Etiopia per l'importazione delle armi in Abissinia. Fu anche membro del comitato interministeriale Esteri-Colonie per lo studio delle questioni di politica estera aventi riflessi coloniali.
Nel 1928 comparivano sulla nuova rivista Oltremare diretta da R. Cantalupo due suoi articoli: Congiungere Tripolitania e Cirenaica (II [1928], pp. 11-14) e Ilmomento storico (ibid., pp. 441-444): concludeva nel primo articolo sembrargli giunto il momento di compiere, con l'occupazione della Sirtica, "quell'operazione di "sutura" che [avrebbe dato] per la prima volta l'unione e il contatto territoriale fra la Tripolitania e la Cirenaica". Nel secondo articolo formulava l'ipotesi di un inglobamento dell'Africa nella struttura politica e socio-economica europea ("Eurafrica") che l'A. avrebbe in seguito continuato a sviluppare.
Riprendeva il tema sulla Rivista delle colonie italiane in un articolo dal titolo: GliStati Uniti d'Africa (II [1929], pp. 1091-1103): l'Africa vi era ancor più chiaramente visualizzata come ultimo retroterra disponibile per la colonizzazione alle forze espansive e propulsive della superiore civiltà europea. Esclusa la fascia mediterranea, che si considerava immediato prolungamento dell'Europa e quindi destinata a divenire territorio metropolitano, il sistema di altopiani centro-orientali e meridionali, lungo la linea dall'Asmara a Città del Capo, si presentava climaticamente adatto all'insediamento europeo, su territori estesi a circa due terzi dell'intero continente. Il ruolo europeo vi sarebbe stato inevitabilmente egemonico, nei confronti di un elemento indigeno cui rimanevano disponibili i territori bassi - inadatti alla colonizzazione bianca - e le attività economiche subalterne; la cui espansione demografica ed il cui sviluppo civile e politico avrebbe dovuto essere decisamente contenuto ed arginato.
Governatore e segretario federale fascista dell'Eritrea dall'11 luglio 1930, venne rilevato in questa carica dal maresciallo E. De Bono nel gennaio 1935 all'inizio delle operazioni militari contro l'Etiopia. Durante il periodo del suo governatorato operò per pilotare le tensioni italo-etiopiche verso una crisi che avrebbe dovuto provocare l'assoggettamento dell'Abissinia all'Italia: una "cauta sovversione" (Del Boca), cui non era già in questo momento estraneo il regime mussoliniano, che faceva anche leva sulle correnti centrifughe presenti all'interno dell'impero etiopico, cercando di attrarre nell'orbita italiana alcuni potenti capi periferici (politica tigrina). Per la sua politica sollecitava da Roma maggiori finanziamenti e nel 1933 otteneva autorizzazione ad una spesa di 50.000.000 di lire da destinarsi alla continuazione del tronco ferroviario Biscia-Tessenei: le esigenze militari avrebbero però deviato questi capitali verso il rifacimento della camionabile Massaua-Asmara.
Tornato in Italia ed addetto per circa un anno al ministero, fu membro della delegazione italiana, con a capo Pompeo Aloisi, investita del contenzioso italo-etiopico davanti alla Società delle Nazioni, contenzioso che nella sessione di settembre 1935 si concludeva con l'abbandono italiano e la determinazione di procedere militarmente.
Collocato a riposo nel 1936, l'A. fu in seguito nominato membro del Consiglio generale delle consulte corporative dell'Africa italiana; componente del comitato consultivo del Centro studi di diritto e politica coloniale fascista dell'Istituto nazionale per le relazioni culturali con l'estero; membro ordinario dell'Istituto fascista dell'Africa italiana e vicepresidente della classe politica; consigliere dell'Istituto nazionale di contenzioso diplomatico.
L'assetto imperiale dato dal regime alla conquista etiopica era in perfetta consonanza con la linea imperial-colonialista sostenuta dall'A., che ne scriveva in La legge organica per l'impero dell'Africa Orientale Italiana, in Rassegna italiana, XIX (1936), pp. 641-651; L'impero italiano nel quadro generale dell'Africa, in L'Impero (A.O.I.). Studi e documenti raccoltie ordinati da T. Sillani…, Roma 1937, pp. 265-282; L'originalità dell'ordinamento dell'impero coloniale italiano, in Civiltà fascista, IV (1937), pp. 604-615; L'impero fascista, in Gerarchia, XVII (1938), pp. 163-169. Egli pubblicò inoltre Popolamento ed equilibrio economico in Africa Orientale Italiana, in Rassegna economica dell'Africa italiana, XXVIII (1940), pp. 421-431; Soluzione del problema dell'Africa, in Gli Annali dell'Africa italiana, III (1940), pp. 29-45 e Il problema fondamentale della cooperazione europea in Africa, ibid., pp. 63-77. In tali scritti riproponeva con sempre maggiore concretezza l'ipotesi dell'espansione e valorizzazione africana da riservarsi all'Europa: il "gruppo Europa-Africa" avrebbe formato una entità economica autonoma ed autosufficiente. In altri articoli sviluppava temi come quello della "purezza della razza", da proteggere con severe disposizioni segregazioniste (Ildiritto razzista base dell'Impero, in IlDiritto razzista, I [1939], pp. 42-46; Difesa della razza nell'Africa italiana: gerarchia di razza o reciprocità egualitaria penale?, ibid., II [1940], pp. 170-190); ed una linea di deciso dirigismo politico ed economico in consonanza con le direttive generali del regime (Le nuove consulte corporative dell'Africa italiana e la politica economica imperiale, in Rassegna italiana, XXIII [1940], n-3, pp. 177-183; L'azione sociale del Partito nella colonizzazione dell'Africa Orientale, in Rassegna sociale dell'Africa italiana, IV [1941] pp. 531-539).
Dopo l'ingresso italiano nella guerra, l'atteggiamento dell'A. continuò a radicalizzarsi nell'ottica eminentemente colonialista ed africanista, secondo linee largamente condivise dagli esponenti del nostro nazionalismo (F. Orestano, F. Coppola, R. Cantalupo): l'ipotesi euroafricana era naufragata per la mancata intesa europea che avrebbe dovuto fornirle il presupposto. La guerra gli appariva come una lotta fra le forze dinamiche di giovani popoli e le forze statiche di popoli vecchi e ricchi, con l'intento di rompere l'attuale equilibrio economico. La "nuova Europa" prefigurata dall'Asse Roma-Berlino si sarebbe sviluppata longitudinalmente dal Capo Nord al Capo di Buona Speranza. La nuova ripartizione dell'Africa sarebbe avvenuta fra le potenze europee dotate di "capacità di dominio" (potenza demografica, capacità di organizzazione politica) ed in rapporto ad essa. All'Italia doveva comunque riservarsi l'egemonia nel bacino del Mediterraneo; ma s'intendeva che anche nella riorganizzazione dell'Africa essa avrebbe avuto un ruolo principale.
Notevole in questo periodo è il volume, preceduto da alcuni saggi preparatori, Il problema ferroviario dell'Affica (Milano 1943).
Nel febbraio 1940 l'A. aveva ricevuto incarico dal ministero dell'Africa italiana di curare la pubblicazione del Diario eritreo di Ferdinando Martini, primo governatore civile della colonia eritrea (1897-1907); e ne aveva trattato con Alessandro Martini Marescotti. L'edizione, in quattro volumi (Firenze 1942-43), venne completata nei mesi del nostro collasso militare e politico; la nota introduttiva che l'A. vi aveva fatto precedere era opportunamente riscritta per una nuova edizione databile al 1946.
Una tesi svolta dall'A. in merito alla politica etiopica del Martini rilevava nella linea di progressiva permeazione e di pacifica influenza in Etiopia - sostanziale prefigurazione di un protettorato italiano su tale paese - il capolavoro di quel governatore, ed una favorevole riparazione della crisi di Adua: l'accordo tripartito sull'Etiopia firmato a Londra dal ministro di San Giuliano il 13 dic. 1906, con la spartizione in sfere d'influenza - secondo una visuale tipicamente "europea" della "questione etiopica" -, avrebbe subito sovvertito tale linea a nostro danno.
Nei primi anni del secondo dopoguerra l'A. s'impegnò perché l'Italia riottenesse il governo delle ex colonie africane nella forma dell'amministrazione fiduciaria prevista dalla Carta delle Nazioni Unite, sottolineando in tal senso il nostro urgente interesse ad essere ammessi alle Nazioni Unite (Linee principali di una amministrazione fiduciaria delle nostre colonie, in Rassegna di studi sociali, I [1947], pp. 296-342; L'Eritrea alla commissione dei "Quattro", in Rivista del commercio, II [1948], n. 1, pp. 35-44).
Parallelamente veniva riprendendo i grandi temi del suo africanismo adattandoli alle nuove circostanze internazionali: sul vecchio assioma che l'Africa costituisse il naturale prolungamento politico e socio-economico dell'Europa occidentale, l'A. riproponeva l'"avvaloramento" del continente africano come massimo obbiettivo per una ripresa europea, dato l'immenso potenziale economico di quel continente e la necessità di espansione europea. A tale avvaloramento l'Italia avrebbe contribuito in misura sostanziale con la sua capacità demografica, con le intense esperienze di bonifica territoriale, colonizzazione, costruzione ed organizzazione di infrastrutture, maturate nel cinquantennio precedente. In tale politica - che aveva ora sullo sfondo il clima della "guerra fredda", la direttiva di unificazione europea e l'assistenza degli USA alla ricostruzione in Europa (piano Marshall) - l'A. sollecitava l'assistenza dello stesso capitale americano.
Membro della commissione per la politica estera della Democrazia cristiana dal 1946 e presidente dell'Istituto italiano per l'Africa, collaborò alla rivista Affrica e fu anche vicepresidente della Società italiana per la riconciliazione internazionale e socio dell'Istituto per l'Oriente.
L'A. morì a Francavilla a Mare il 25 ag. 1952.
Fonti e Bibl.: Roma, Ist. italiano per l'Africa, Encicl. biogr. e bibliogr. ital., a cura di A. Ribera, serie 54, I, Precursori…, ad vocem (bozza di stampa); Ibid., Min. degli Affari Esteri, I documenti diplom. italiani, s. 7, 1922-1935, VII-XI (1928-1932), Roma 1970-1983, ad Indices. Vedi inoltre: E. Savino, La nazione operante, Milano 1934, p. 151; Il conflitto italo-etiopico. Documenti, I-II, Milano 1936, ad Indicem; L. Villari, Storia diplomatica del conflitto italo-etiopico, Bologna 1943, pp. 146 s., 251; R. Guariglia, Ricordi 1922-1946, Napoli 1949, pp. 213, 239, 267-269; G. W. Baer, La guerra italo-etiopica e la crisi dell'equilibrio europeo, Bari 1970, pp. 449, 461; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale, II-III, Roma-Bari 1979-1982, ad Indices.