ATENA ('Αϑήνη, 'Αϑηνᾶ, Athēna)
Una delle più importanti divinità celesti della religione greca. Quale stato del cielo essa rappresentasse, è mostrato dalle saghe che si raccontavano intorno alla sua nascita e ad alcune sue imprese. Una forma cosmogonica del mito della nascita di A. faceva balzare la dea fuori dall'Oceano e dalla Notte, cosi come, già in Omero, tutte le cose e gli dei stessi nascono dall'Oceano; e in Omero essa porta perciò, l'epiteto di Τριτογένεια. A. si trova quindi adorata sulle sponde dei laghi e dei fiumi: anzitutto in Beozia, ove, con l'epiteto di 'Αλαλκομενηίς, era venerata sulle pendici sovrastanti al lago Copaide; e così in Arcadia, presso l'Alfeo; nell'Elide, sulle sponde del Larisos (A. Larisea); in Laconia, presso il fiume Nedon (A. Nedusia); nell'isola di Creta, in vicinanza di Cnosso. Ma ben più nota e diffusa era l'altra forma della saga, che faceva nascere A. dalla testa di Zeus. Già l'Iliade conosce A. come la figlia prediletta di Zeus, la "forte figlia di forte padre" ('Οβριμοπάτρη) ,ch'egli ha generato da solo e che tiene a parte d'ogni suo disegno e alla quale affida gl'incarichi più difficili. Ma il mito appare completo, per la prima volta, nella Teogonia di Esiodo (v. 886 segg.) e nell'inno omerico ad A., come, più tardi, nella settima olimpica di Pindaro (v. 34 segg.). Prima sposa di Zeus era stata Metis, figlia dell'Oceano e personificazione della ragione e dell'intelligenza: temendo però il sommo degli dei la nascita d'un figlio che avrebbe potuto divenire più potente di lui, s'ingoiò la moglie, ch'era appunto allora incinta di A.; così questa nacque dalla testa del padre, che Efesto aveva, all'uopo, spaccato con un'accetta. A. entra così in stretta relazione con Efesto, non tanto per il particolare sopra accennato, quanto per un'altra forma della saga, che narrava di una contesa fra Zeus ed Era, in seguito alla quale Zeus aveva generato da solo A., ed Era, senza il concorso di Zeus, Efesto. Chiaro è dunque il significato del mito: A. è la dea nata dal cielo tempestoso, in mezzo ai bagliori dei lampi e al fragore dei tuoni che squarciano la cortina delle nubi; essa è l'etra raggiante che disperde, lampeggiando, le procelle celesti e riconduce il sereno luminoso nel cielo. A questa relazione di A. coi fenomeni celesti accennano altri simboli ed epiteti; come quelli di Γλαυκῶπις, allusivo al colore glauco dello sguardo, per cui, in Atene, fu raccostata alla dea la civetta (γλαῦξ), che ne divenne il simbolo consueto e, in certo modo, ufficiale. A. è di conseguenza una divinità guerriera, nata com'era in mezzo alle lotte celesti e con l'arma in pugno: dal capo di Zeus essa è balzata fuori armata di lancia e di scudo. La lancia rappresenta il fulmine, col quale essa squarcia le nuvole del cielo e del quale essa è signora, al pari di Zeus; e il suo scudo è l'egida (anche questa attributo comune a lei e al padre divino), simboleggiante il cielo tempestoso rotto dal bagliore dei lampi. Nel mezzo dell'egida sta il gorgone (γοργόνειον), l'orribile capo della Gorgone Medusa. Nel suo significato originario, la Gorgone alludeva probabilmente alla notte (rappresentata dal suo aspetto lunare) o alle nubi temporalesche; nella forma più tarda e più sviluppata del mito, Medusa era una fanciulla, che, amata da Posidone e dotata di bellissimi capelli, aveva perciò eccitata la gelosia di A.: e la dea ne aveva cangiati i capelli in serpi e reso sì orrendo lo sguardo da impietrare chi avesse osato sostenerlo. Inviato dalla dea, Perseo aveva ucciso il mostro, il cui volto orribile, terrore e rovina di ogni nemico, A. aveva poi fissato nel centro del suo scudo. Perciò, A. è soprannominata la "dea che ha ucciso la Gorgone" (Γοργοϕόνος) o "colei che ha lo sguardo della Gorgone" (Γοργῶπις).
Dell'attività guerriera di A. parlava anche il mito, che narrava la parte preponderante sostenuta dalla dea nella lotta contro i Giganti; ma importanza anche maggiore assunse questo aspetto della divinità nelle forme di culto con cui la veneravano i Greci. Le rappresentazioni più frequenti della dea (i cosiddetti Palladî) la raffiguravano tutta armata, con elmo, scudo e lancia; era venerata come Πρόμαχος ("colei che combatte nelle prime file") p. es. in Tessaglia e in Beozia; come 'Αλκίς ("la soccorrente") in Macedonia; come Σϑενιάς (la "forte") a Trezene: la si invocava: Λαοσσόος ("la dea che chiama il popolo a battaglia"), 'Αγελείη ("che concede la vittoria e la preda"); 'Ερυσίπτολις ("che difende le città"). La si trova soprannominata anche 'Αρεία, come quella che spesso era invocata nelle battaglie insieme con Ares; ma, a differenza di questo dio, essa ispira, piuttosto che l'impeto brutale dell'assalto, le sapienti operazioni e gli accorti stratagemmi della guerra; essa protegge e consiglia i guerrieri che le sono cari, come Ulisse e Diomede. Essa è pertanto la dea che dà la vittoria, insegnando le arti migliori per conseguirla: essa è Νικηϕόρος; è senz'altro, la Vittoria, Νίκη; e come tale ('Αϑηνᾶ Νίκη) era venerata in Atene, nello speciale tempio dinnanzi ai Propilei.
A. però non personifica soltanto il valore guerriero, ma la virtù, nel più largo significato della parola: in quanto essa, la figlia di Zeus e di Metis, è la personificazione della saggezza, della prudenza stessa del padre degli dei. E, prima di tutto, ha insegnato agli uomini a cavalcare e a navigare, ciò che la ravvicinava spesso, nel culto, a Posidone. In Attica era venerata come ‛Ιππία; a Corinto, dove aveva insegnato a Bellerofonte a domar e infrenare Pegaso, come Χαλινῖτις (da χαλινός "il morso"); a Lindo, nell'isola di Rodi, era adorata come la dea che aveva insegnato a Danao a costruire la prima nave a cinquanta remi. Così era A. che aveva diretto la costruzione della nave degli argonauti.
Dea dell'intelligenza, essa protegge naturalmente anche le opere della pace, e anzitutto, donna essa stessa, le arti e le opere femminili, che spesso son designate senz'altro "opere di Atena" (ἔργα 'Αϑηναίης). Protettrice delle donne, A. elargisce loro la fecondità nel matrimonio, veglia sul nascere e il crescere della prole (onde ha il nome di Κουροτρόϕος). La sua protezione si estende a tutte le forme dell'attività che gli uomini spiegano nell'agricoltura e nell'industria: da lei l'Attica aveva appreso la coltura dell'olivo; e le arti belle citati dagli uomini, non meno di quelli esercitati dalle donne, la riconoscevano come loro patrona ('Α. 'Εργάνη). Essa è l'inventrice delle arti musiche e della danza, e in Beozia le si attribuiva l'invenzione del flauto (mentre altrove si narrava la nota favola di Mania); essa ha insegnato a suonare la tromba, a ballare le danze guerriere. Da A., infine, la pura vergine che personifica la chiara luce del cielo, si ottiene la lucidità dell'ingegno, la prudenza, l'assennatezza e anche l'astuzia; da lei deriva la profondità e la vastità dell'intelletto, che conduce a scoprire nuove verità e a filosofare; e dei filosofi e degli scienziati fu considerata la naturale protettrice, nell'età aurea della cultura ateniese.
Questo aspetto della dea, di protettrice di opere della pace, prevalse, in progresso di tempo, sulla sua figura originaria di divinità guerriera: sicché essa fu considerata il genio tutelare dello stato, la dea della città (Πολιάς, Πολιοῦχος), e come tale dovunque onorata. Essa protegge la città, purificandone l'aria e mantenendo la salute pubblica (onde vien soprannominata 'Υγίεια), allontanando le malattie e le infernnità (onde è 'Αλεξίκαλος, 'Αποτροπαία), favorendo, come Zeus, il crescere e il perpetuarsi delle genti e delle famiglie (Φρατρία, 'Απατούρια). Accanto a Zeus Βουλαῖος, essa, con l'epiteto di Βουλαία o di 'Αγοραία, veglia sul buon governo delle città, protegge le costituzioni e le leggi, sovrasta alle alleanze liberamente giurate. Come divinità poliade, noi troviamo questa dea appellata dovunque con epiteti che designano le più importanti sedi regionali del suo culto: in Tessaglia e in Beozia, essa è 'Ιτωνίας, cioè "la dea di Itonos", oppure 'Αλαλκομενηίς, cioè "la dea di Alalcomene"; in Arcadia, è "la dea di Alea" ('Αλέα); nella regione di Troia, è 'Ιλιάς; nelle tre città dell'isola di Rodi, è Καμιρας, 'Ιαλυσία, Λινδία; è Κυνϑία a Delo; è Λεμνία nell'isola di Lemno, e così via. È finalmente, nell'Attica, "la dea di Atene" ('Αϑηναία, o, in forma contratta, 'Αϑηνᾶ).
CiÒ mostra evidente l'esigenza di chiarire il rapporto che intercorre tra il nome della dea e quello della città. La dea è designata in due modi: o semplicemente come Atena ('Αϑήνη) o come Pallade Atena (Παλλὰς 'Αϑήνη); due nomi, questi ultimi, che non ricorrono mai separati in Omero e in Esiodo. Di ambedue i nomi è incerto il significato; si attribuisce dai più al primo un valore predicativo, alludente alla forza che vibra la lancia (πάλλειν "vibrare") oppure alla giovinezza o alla verginità (παλλάς = παρϑένος); nella radice del secondo (αἰϑ o ἀϑ) si cela forse l'idea della fiorente giovinezza (ἄνϑος "fiore" da ἀϑ) o della luce lampeggiante (αἰϑήρ, etere" da αἰϑ): oppure (considerata l'α come negativa rispetto alla radice ϑη di ϑήνιον = γάλα "latte") il concetto della sua creazione miracolosa, senza allattamento e senza infanzia. Ma è certo, in ogni modo, che questo secondo nome della dea non si può separare da quello della città di cui è signora e patrona. In generale si preferisce considerare il nome della città formato su quello della dea (v. Kretschmer, Einleitung in die Geschichte der griechischen Sprache, p. 448 segg.); dal nome della città sarebbe poi derivata la forma appellativa 'Αϑηναία o 'Αϑηνᾶ. Alcuni invece (p. es., Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., I, 1, 155) ritengono che la dea poliade di Atene, chiamata appunto "l'Ateniese", portata dalla colonizzazione attica nelle Cicladi e nell'Ionia, sia infine assurta a importanza panellenica e venerata dovunque con questo nome, al quale gli altri antichi nomi locali si aggiunsero come appellativi.
Qualunque sia delle due teorie che colga il vero, è un fatto che il culto attico di Atena sovrasta di gran lunga, per importanza e magnificenza, a quello che la dea riceveva nelle altre regioni della Grecia: l'Attica è il paese favorito dalla dea, Atene è la città alla quale essa elargisce tutti i suoi favori e i suoi doni. Per il possesso di questa terra, la dea - come narrava il mito - aveva vinto la gara proposta da Zeus ad Atena e a Posidone: che il paese avrebbe appartenuto a quella delle due divinità che gli avesse fatto il dono più utile; e Posidone aveva donato il cavallo, ma Atena l'albero dell'ulivo. Nel culto ateniese si riflettevano ambedue gli aspetti della figura divina di Atena: quello più antico, naturistico, di divinità dei fenomeni celesti, e quello più recente, etico, di dea della virtù guerriera e dell'operosità pacifica, d'inventrice e protettrice delle arti e delle industrie. Sotto questi due distinti aspetti, essa era venerata in due santuarî che gli Ateniesi le avevano dedicato sull'Acropoli: nel più antico, l'Eretteo (restaurato al tempo della guerra peloponnesiaca), ove si conservava una statua della dea che si diceva caduta dal cielo e si mostrava il sacro albero dell'ulivo da lei donato alla città, A. era venerata come Πολιάς, cioè come protettrice dell'Acropoli, insieme con altre divinità a lei strettamente connesse nel culto e nel mito, come Eretteo, Aglauro, Pandroso, tutte di natura ctonica, e a Posidone stesso, soprannominato qui 'Ερεχϑεύς e "Ιππιος; nel secondo, il Partenone, ricostruito anch'esso al tempo di Pericle, era venerata come la dea di ogni intelligente operosità umana e come divinità nazionale e politica. In mezzo ai due edifici, sul dinnanzi di essi, s'ergeva, a ricordo della vittoria conseguita, con l'aiuto di A., sui Persiani, la colossale statua di 'Α. Πρόμαχος; inoltre, nei singoli demi, fiorivano culti e tradizioni locali riferentisi alla protezione e alla benevolenza della dea verso il suolo dell'Attica. Va ricordato il santuario di Pallene, sulla strada di Maratona ('Α. Παλληνίς); quello di 'Α. Σκιάς, presso il porto del Falero; quello dell'Accademia, ove la dea era venerata insieme alle divinità del fuoco Efesto e Prometeo e onorata con lampadeforie.
Ai molteplici aspetti di A. e della sua azione protettiva si riferiscono le varie feste del culto attico della dea. Sul finire dell'anno agricolo, si celebravano le Oscoforie, al tempo della vendemmia: consistevano principalmente in una processione che, movendo dal tempio ateniese di Dioniso, arrivava a quello di A. Scirade, al Falero, simboleggiando la mitica partenza di Teseo e dei quattordici giovani destinati a placare il Minotauro; il corteggio era preceduto da due fanciulli recanti in mano tralci di vite carichi di grappoli ('οσχοϕόροι) e vestiti dell'antico chitone attico (ciò che fece credere più tardi, quando quella foggia d'abito non si usava più, ch'essi indossassero abiti da fanciulla). Al principio dell'anno agricolo, invece, e cioè alla fine dell'inverno, quando cominciavano a germogliare le messi, si festeggiavano le Procaristerie, nelle quali tutti i magistrati cittadini offrivano un sacrificio ad A. Ancora nell'ottobre, in occasione delle Calchee (una festa spettante piuttosto al culto di Efesto), cominciava il lavoro di tessitura del peplo destinato alla dea, al quale attendevano le ἐργαστῖναι (donne e fanciulle incaricate di questo lavoro), sotto la sorveglianza della sacerdotessa di A. e delle due errefore (v. sotto). Al principio dell'estate, nel mese di Targelione (maggio-giugno), avevano luogo le Plinterie e le Callinterie: in questa occasione, la gente dei Prassiergidi, dopo aver compiuto alcune funzioni espiatorie, toglieva il peplo alla statua di A. e chiudeva il tempio. Nel mese successivo, di Sciroforione, seguivano le Arreforie (v.) durante le quali si sceglievano due fanciulle, di nobile famiglia (chiamate appunto ἀρρηϕόροι), fra i sette e gli undici anni, le quali restavano addette, per gran parte dell'anno, al servizio di A. Poliade sull'Acropoli. Infine, nel mese di Ecatombeone (luglio-agosto), si celebravano le famose Panatenee, nelle quali si volle vedere, in progresso di tempo, il ricordo del sinecismo attico, promosso e protetto dalla dea: si distinguevano le Panatenee ordinarie, che avevan luogo ogni anno, dalle grandi Panatenee, che ricorrevano invece nel terzo anno di ogni olimpiade. Le feste consistevano principalmente in giuochi e agoni ginnici, musicali e poetici: culminavano, il giorno 28 Ecatombeone (metà agosto), nella grande processione che portava in dono alla dea il magnifico peplo, nel quale le donne di Atene avevano prodigato le loro arti migliori e la loro valentia di tessitrici e di ricamatrici.
Bibl.: L. Preller, Griechische Mythologie, 4ª ed. di C. Robert, I, Berlino 1887, pp. 184-230; W. H. Roscher, in Ausführliches Lexikon für griechischen und röm. Mythologie, I, Lipsia 1884-1890, pp. 675-687; Dümmler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Athena, II, Stoccarda 1896, coll. 1941-2008; O. Gruppe, Griech. Myth. u. Religionsgeschichte, II, Monaco 1906, p. 1193 e seguenti.
L'iconografia artistica. - I primi documenti dell'iconografia di Atena sono rappresentati da tutta una classe di quei rozzi idoli cui apparteneva il cosiddetto Palladion, ricordato nell'epopea omerica, come indispensabile presidio della libertà di Troia. Di tali statue, che dovevano probabilmente esistere in molti santuarî della Grecia preistorica, si ha memoria in varie città, fra cui Atene, dove era posta nel tempio dell'Eretteo, Sparta, dove era venerata sotto il nome di Χαλκίοικος ("dal tempio di bronzo"), Pergamo, ecc.; la dea è rappresentata in piedi, in attitudine di difesa e d'attacco, il corpo con le gambe serrate come inguainato, con lo scudo imbracciato e la lancia minacciante.
Si trattava di primitivi idoli in legno (ξόανα) derivati probabilmente da antichissimi trofei antropomorfi, e venerati per la loro remota antichità, che permetteva fossero ritenuti di provenienza miracolosa, a simiglianza di talune vecchie tavole bizantine nelle tradizioni cristiane. Lo schema approssimativo di tali statue si ritrova in rappresentazioni di vasi e di monete, nonché in piccole terrecotte e bronzi.
Quasi contemporaneamente a questo tipo ne sorge però un altro, in cui la dea è rappresentata seduta. Non sappiamo se l'antichissimo idolo in legno d'olivo dell'Acropoli d'Atene fosse così; ma tale era certamente l'Atena Poliade dell'Iliade e tali sono altre statue più recenti, descritteci dagli antichi come esistenti a Chio, a Focea (Strabone, XIII, 601), nonchè l'Atena Alea di Tegea, quella Ergane di Eritre e la più famosa, dell'Acropoli di Atene, avanti l'Eretteo, opere dello scultore attico Endeo che la tradizione vuole alunno del mitico Dedalo. Numerose statuette votive di terracotta dell'Attica riproducono lo schema di queste primitive statue sedute, con gli attributi del πόλος, dell'αίγίς e del γοργόνειον; mentre possiamo riconoscere l'Atena di Endeo in una statua del Museo dell'Acropoli di Atene.
Questo tipo seduto non ha però larga fortuna nell'iconografia della dea, la quale invece si ricollega al tipo ritto, da cui discende tutto il suo ulteriore svolgimento, con quella lenta evoluzione tutta propria della plastica greca, legata nell'elaborazione dei tipi quasi da una timidezza rituale.
Come per altri tipi, così per il nostro, si comincia a correggere quella rigidità del primitivo ξόανον, che risente ancora dell'originario pilastro antropomorfo, e si rappresenta la figura con le gambe in posizione di marcia, anzi, più esattamente, nell'attitudine del combattimento. È il tipo che, appunto, viene chiamato della Πρόμαχος, largamente documentato da bronzi e da pitture vascolari, nonché da una statua di Ercolano e da un torso arcaistico di Dresda. Derivano dalla Πρόμαχος, con un impeto sempre crescente del movimento, il quale da salda attesa diviene attacco, la statua della dea che atterra Encelado nel frontone del secondo Ecatompedon; quella centrale, nobile teofania fra i combattenti, di uno dei frontoni di Egina, la metopa del tempio E di Selinunte, attraverso le quali si giunge alle figure dei frontoni del Partenone: quella dell'occidentale in cui A., come vediamo da un noto vaso di Kerc, pianta la lancia in terra per farne spuntare l'olivo sacro, quella dell'orientale che - secondo l'idea che ne ricaviamo da un puteale di Madrid - nata appena dal cervello di Zeus, lancia il grido di battaglia.
Il fregio di Pergamo, rappresentante A. in lotta coi Giganti, ci dà l'ultima e forse più vigorosa fase del tipo: la dea nella veemenza dell'azione non perde la solenne dignità che è propria a tutte le sue rappresentazioni.
Mentre avveniva lo sviluppo di questo prevalente tipo di A. combattente, un altro motivo, la dea armata e in piedi, ma in attitudine di riposo e di dignità, e insieme di calma vigilanza, occupa l'amorosa cura degli artisti. Numerose varianti nel gesto delle braccia, nella presenza o meno e nella collocazione dello scudo, nei varî attributi, dànno la possibilità di distinguere classi diverse in questo tipo unitario.
Soppresso talora lo scudo, si modifica sempre il gesto della destra che diviene d'invito all'offeria, come nell'A. della collezione Hope e in quella Farnese-Albani del Museo di Napoli (corrispondente forse alla A. Igiea di cui esiste la base nell'Acropoli ateniese), ovvero oratorio come in quella di Velletri, ora al Museo del Louvre, che si attribuisce al cretese Cresila, scultore di poco posteriore a Fidia. Non è il caso di seguire nella loro varietà, non grande, le molte statue meno illustri che l'arte greca del sec. V e del IV ci ha dato essenzialmente intorno a tale motivo. Conviene qui ricordare invece alcuni tipi che nel frattempo sono venuti sorgendo e se ne distaccano alquanto: l'A. detta "pensierosa" o "a guardia del confine" di un finissimo rilievo dell'Acropoli, tipologicamente collegata a una statua del Museo di Francoforte, divenuta da poco celebre perché in essa s'è riconosciuta la copia di un elemento del gruppo di bronzo di Atene e Marsia, esistente sull'Acropoli di Atene e opera dello scultore Mirone; l'A. che tiene in mano l'elmo, attestata da rilievi e piccoli bronzi e ricostruita dalla non dubbia congiunzione di un torso dell'Albertinum di Dresda (simile ad altra di Cassel) con una mirabile testa di Bologna; e che sarebbe - secondo una discussa ipotesi del Furtwängler - l'A. Lemnia di Fidia; da ultimo l'A. che ci appare nelle intestazioni dei decreti attici di alleanza, nell'attitudine di stringere la mano alla personificazione dell'altro popolo contraente.
La famosa statua d'oro, avorio e legni e metalli preziosi (crisoelefantina) che Fidia aveva scolpito per il Partenone nel 438 a. C., non si allontanava invece dal tipo generale. Di essa noi siamo informati attraverso la descrizione che ne diede Pausania nel primo libro della sua Descrizione della Grecia, Ritta, vestita d'una lunga tunica talare, con l'egida e l'elmo decorato di grifoni e d'una sfinge, la dea s'appoggiava con la sinistra allo scudo posato a terra, dietro il quale svolgeva le spire il serpente Erittonio; il braccio destro sosteneva una statuetta della Vittoria, il cui peso era sorretto da una colonnina; la lancia era appoggiata alla spalla sinistra. Sull'esterno dello scudo era scolpita in rilievo una amazonomachia, sull'interno una gigantomachia; sulla bordura dei sandali una lotta di Centauri e Lapiti e sul prospetto del piedistallo la nascita di Pandora. Secondo Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 18) la statua era alta, senza il piedistallo, 26 piedi (circa 12 metri) ed erano occorsi, per costruirla, 40 talenti d'oro. La congerie delle copie romane di grandi dimensioni e di accurato lavoro che ci ha conservato il riflesso di tante statue elleniche manca quasi completamente per questo come per altri capolavori di Fidia. Tolta la replica a grandezza naturale firmata da Antioco Ateniese nella collezione Ludovisi, è soltanto in due statuette del Museo Nazionale d'Atene, di cui una è un modesto abbozzo - la cosiddetta Atena Lenormant - l'altra un goffo e tardo lavoro di scalpellino - l'Atena del Varvakeion - che ritroviamo in qualche modo lo schema dell'antica statua perduta. Maggior valore hanno gli elementi della testa che fondatamente si presume si siano conservati in alcuni monumenti, fra cui primeggiano una gemma, un medaglione aureo rinvenuto nella Crimea e talune monete di Siracusa. Anche dei rilievi dello scudo abbiamo un avanzo di copia al Vaticano, ed altri ricordi.
A codesti tipi si riattaccano le statue di A. di età ellenistica nonché le rappresentazioni anistiche, etrusche e romane, di Minerva identificata con A.; interviene soltanto lo speciale attributo delle ali in qualche scultura etrusca. (V. Tavv. XXXI-XXXIV).
Bibl.: O. Jahn, De antiquissimis Minervae simulacris atticis, Bonn 1866; C. O. Müller e F. Wieseler, Denkmäler d. alten Kunst, 2ª ed., Gottinga 1854, voll. 3; S. Reinach, Répertoire de la statuaire grecque et rom., Parigi 1907 segg.; A. Michäelis, Der Parthenon, Lipsia 1871; G. Fougères, Minerva, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom.; A. Furtwängler, Athena in d. Kunst, in Roscher, Ausführliches Lexikon, I, Lipsia 1884-1890; id., Meisterwerke der griechischen Plastik, Lipsia-Berino 1893; W. Klein, Geschichte d. griechischen Künstler, Lipsia 1904-1907, voll. 3; M. Collignon, Histoire de la sculpture grecque, Parigi 1892-97, voll. 2; P. Ducati, Arte classica, 2ª ed., Torino 1926.