ATENAGORA ('Αϑηναγόρας; Athenagŏras)
Apologista cristiano del sec. II. L'opera principale che ci resta di lui è l'apologia indirizzata a M. Aurelio Antonino e L. Aurelio Commodo "Armeniaci, Sarmatici, e, ciò che più vale, filosofi". Si vede dall'intestazione che Atenagora approfitta dell'importanza che M. Aurelio dava alla propria qualità di filosofo. E in nome della filosofia egli chiede per i cristiani il diritto comune, in fatto di libertà di culto, dal momento che a tutti i popoli del dominio romano si lasciano adorare quegli dei e seguire quei costumi che son loro patrî; vuole inoltre che si ricerchi se i cristiani siano o no colpevoli degli enormi delitti di cui sono imputati (ateismo, unioni incestuose, cene tiestee) e che non li si condanni per il solo nome di cristiani. Notevole, contro l'accusa di ateismo, la controffensiva che prende A. dimostrando che uno solo è il vero Dio, di natura spirituale; il politeismo è assurdo, empio, stolto specialmente in quanto ha con sé l'idolatria. Atei i cristiani che "affermano Dio Padre, Dio Figlio, lo Spirito Santo", e dimostrano nell'unità loro la potenza, nell'ordine loro la distinzione? Che ammettono, inoltre, una moltitudine di angeli creati da Dio e ministri suoi nel governo del mondo? Il politeismo è frutto degl'inganni dei demonî che sono angeli decaduti, e delle fantasie dei poeti sulle opere di antichi uomini. Si può affermare, quindi, che con A. appare nella letteratura cristiana la prima prova razionale dell'unità di Dio, e il primo tentativo d'illustrare con la ragione il mistero della Trinità. Alle accuse d'immoralità A. contrappone una famosa descrizione dei costumi severi dei cristiani: per costoro, anche solo il pensiero cattivo è peccato, il matrimonio è indissolubile e diretto ad aver figliuoli, la verginità è preferita, le stesse seconde nozze fanno l'impressione di un "adulterio coonestato", il diritto alla vita è tanto sacro che rifuggono anche solo dal vedere i giuochi gladiatorî, la lealtà verso l'imperatore è un dovere, tutte le speranze come tutti i timori sono per l'al di là.
L'apologia porta il titolo di Legazione (πρεσβεία) per i cristiani, ma si ammette da tutti che questo è un titolo metaforico, e non vi sia stata nessuna vera ambasceria di Atenagora agli imperatori. Questo scritto, bellissimo nel suo genere, ci è pervenuto in seguito alla trascrizione che delle opere di A. fece fare Areta vescovo di Cesarea in Cappadocia, pare nel. sec. X.
Da tale trascrizione sappiamo anche che Atenagora era ateniese. È strano che né Eusebio né S. Girolamo parlino di A.; forse la sua apologia ebbe poca rinomanza, ovvero si confuse anonima nel gruppo delle apologie della scuola di S. Giustino: alla quale di fatto si riallaccia, distinguendosi tuttavia per il maggior campo dato alla filosofia, e per un maggiore ossequio verso l'autorità costituita. A. è invece nominato da Metodio d'Olimpo trattando della risurrezione dei morti, sul quale argomento aveva scritto pure Atenagora. Anche questo trattato di A., Περὶ ἀναστάσεως νεκρῶν, ci fu conservato da Areta, ed è importante perché ci fa conoscere le obiezioni e le risposte di quei tempi su tale dottrina. Chi ci dà altre notizie di Atenagora è Filippo. di Side (fine sec. IV), ma tali notizie però sono in gran parte errate (p. es., che Atenagora fosse il fondatore della scuola cristiana alessandrina): gli si può credere forse solo quanto al ritenere Atenagora un convertito. L'apologia pare scritta verso il 177, poiché allora appunto Commodo era stato fatto Augusto, e inoltre vi si parla d'un periodo di completa pace nell'Impero: il che indica il 176-177. La fine della Legazione mostra un autore che s'interessa del problema della risurrezione, ma non ne ha ancora trattato a parte: il trattato dunque sulla risurrezione è posteriore all'apologia. Grandi somiglianze corrono tra la Legazione di A. e l'Ottavio di Minucio Felice.
L'edizione principe del trattato sulla resurrezione è quella di P. Nannius, Lovanio 1541 (la precedente ediz. di G. Valla, Venezia 1498, è solo una versione latina); dell'apologia (con il trattato), quella di C. Gessner, Zurigo 1557. Altre edizioni: P. Maran, Parigi 1742, riprodotta in Migne, Patrol. Graeca, VI, coll. 889-1024; J. G. Otto, in Corpus Apologetarum, VII, Jena 1857; F. Schwartz, in Texte u. Untersuchungen, IV, 11, Lipsia 1891; J. Geffcken, Zwei griechische Apologeten, Lipsia 1907.
Bibl.: Su Atenagora, oltre ai trattati generali, quali O. Bardenhewer, Geschichte der altkirkl. Lit., I, 2ª ed., Friburgo in B. 1913, pp. 289-302; A. Puech, Histoire de la littérature chrétienne, II, Parigi 1928, pp. 196-203, si vedano: L. Arnoult, De Apologia Athenagorae, Parigi 1898; Chaudouard, La philosophie du dogme de la résurrection... Étude sur le Περὶ ἀναστάσεως d'Athénagore, Lione 1905; A. Puech, Les apologistes grecs du II siècle de notre ère, Parigi 1912; inoltre i varî articoli dell'Ubaldi, Porta, Gaschino, apparsi nel Didaskaleion di Torino, dal 1914, al 1916, in seguito alla traduzione italiana fatta da P. Ubaldi, La Supplica per i cristiani, Torino 1913.