ATENOLFO
Figlio di Pandolfo II, principe di Benevento, nella sua infanzia era stato preso da Ottone II quale ostaggio e custodito in un monastero trgnsalpino. Ne fuggì travestito da monaco: ma, ammalatosi gravemente durante il viaggio, fece voto di non lasciare più l'abito monastico se avesse ottenuto la guarigione. Si ritirò quindi nel monastero di S. Modesto a Benevento, dipendente da quello cassinese, che lasciò, accompagnato dagli arcivescovi di Benevento e di Capua e dal padre, quando i monaci di Montecassino lo richiesero a questi come abate nell'anno 1001.
"Vir quanto nobilis, tanto humilis et humanus" lo dice il Chronicon: e difatti il suo governo fu ottimo. A lui, quasi secondo fondatore, si deve la risurrezione di S. Germano (odierna Cassino), non ancora risollevatasi dalla distruzione saracena; a lui, che un diploma dei principi beneventani definisce "restaurator ecclesiarum", devono pure il loro ristabilimento chiese e monasteri: in Montecassino soprattutto A. fece eseguire notevoli opere edilizie ricche di influssi dell'arte nordica; da lui inoltre furono curati trascrizioni di codici. Anche durante il suo governo e alla sua presenza si ebbe il ben noto "placitum castri Argenti" (1014), importante nella storia del diritto e per gli intervenuti al giudizio e per la sentenza pronunciata in base alle leggi romane e longobarde. A., inoltre, si preoccupò costantemente di estendere le zone di influenza e i territori dipendenti dal monastero cassinese, ottenendo donazioni sia in Campania, sia in Abruzzo, sia, infine, in Capitanata. Nel febbraio del 1014 era a Roma, ove, in occasione dell'incoronazione di Enrico II, ottenne, sia da questo imperatore sia dal papa, due privilegi di conferma per i beni dell'abbazia. Ma quando, sotto il comando di Basilio Boioannes, le truppe bizantine presero in Puglia di nuovo il sopravvento sui ribelli guidati da Melo, A. non esitò, insieme col fratello Pandolfo, nuovo principe di Capua, a schierarsi dalla parte dei vincitori. Già nel febbraio dei 1018, otto mesi prima perciò della definitiva vittoria di Canne, il catapano bizantino emanava un privilegio a favore del monastero cassinese. Quando Pandolfo ebbe fatto atto di formale sottomissione all'imperatore d'Oriente, i. rapporti tra i Bizantini e A. divennero sempre più stretti, tanto da giustificare nel giugno del 1021 la donazione ai Cassinesi dei beni di un Maraldo ribelle in Trani. Dopo la vittoria bizantina su Melo, A. sfruttò la situazione assoldando parte dei mercenari normanni ormai liberi da impegno, e servendosene per combattere ì conti di Aquino e quelli di Venafro. L'atteggiamento troppo scopertamente filogreco assunto dal 1018 in poi compromise però gravemente la posizione di A. agli occhi di Enrico II e dello stesso pontefice. Cosicché, quando nel 1022 l'imperatore scese nell'Italia meridionale, un corpo del suo esercito, agli ordini di Pellegrino arcivescovo di Colonia, fu inviato direttamente contro Montecassino e Capua, con il compito di arrestare sia A., sia il fratello principe e di sottoporli a processo come traditori. A., terrorizzato, tentò di fuggire a Costantinopoli: ma, imbarcatosi ad Otranto, naufragò miseramente con tutti i suoi compagni e con i tesori seco portati, fra cui diplomi e scritture, il 30 marzo del 1022.
Fonti e Bibl.: Leonis Marsicani et Petri Diaconi Chronica monasterii Casinensis, in Mon. Ger m. Hist., Scriptores, VII, Hannoverae 1846, pp. 647-654; F. Trinchera, Syllabus Graecarum membranarum, Neapoli 1865, pp. 18, 21; S. Hirsch, Jarbücher des deutschen Reichs unter Heinrich II., III, Leipzig 1875, pp. 149, 150, 156 ss., 197, 199; J. Gay, L'Italie mérid. et l'empire byzantin, Paris 1904, pp. 409, 414, 418, 420, 439; F. Chalandon, Histoire de la domin. normande en Italie et en Sicile, I, Paris 1906, pp. 56, 58-60, 62; M. Schipa, Il mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923, p. 131; A. Pantoni, Problemi archeologici cassinesi, in Riv. di archeol. cristiana, XIV(1930), p. 184; L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto, Monte Cassino 1952, pp. 66 ss.